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Valeria Masoni-Fontana, "Opera Omnia Volume 2- Prose"

7 Febbraio 2024 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni

 

 

 

 

 

 

 

Opera Omnia Volume 2 - Prose

  Valeria Masoni-Fontana

Guido Miano Editore,  2024.

 

Il secondo volume dell’Opera Omnia di Valeria Masoni-Fontana - che segue il primo dedicato alla sua produzione poetica - è la raccolta degli scritti in prosa dell’autrice, di vario argomento e genere, che spazia all’incirca dagli inizi degli anni quaranta fino alla fine degli anni novanta del Novecento, frutto di un lavoro di ricerca paziente, accurata ed amorevole dei familiari dopo la sua dolorosa perdita avvenuta nel 2020. Vi fanno parte gli esiti letterari giovanili per lo più inediti e quelli della maturità, già pubblicati nel 1995 nel libro La mantide nell’ambra, presentato a Chiasso e a Lugano nella primavera dello stesso anno. Importante questo dato ambientale e geografico, poiché contestualizza il territorio - che diviene anche culturale e storico - in cui si svolgono le vicende narrate dalla scrittrice, ovvero il Ticinese ed ancor più in particolare il Mendrisiotto e quindi quella Svizzera di lingua italiana, così vicina a noi lombardi e milanesi, con la quale gli scambi in ogni campo di attività sono sempre stati frequenti e fecondi per entrambe le comunità.

Non siamo di fronte a racconti o romanzi di fantasia, bensì a lavori d’impronta essenzialmente autobiografica, diaristica e memoriale che però sconfinano spesso nella narrazione e descrizione - con relative riflessioni e pertinenti giudizi - di quel che accade intorno alla cerchia domestica e localistica, nel mondo della scuola, nella società, nella gestione politica delle cittadine ticinesi e della patria svizzera. Ne deriva che il mondo interiore dell’autrice si affianca a quello esteriore dei fatti reali, per cui ci troviamo davanti ad un fecondo connubio tra letteratura soggettiva ed oggettiva, tra privato e pubblico, tra storia personale e storia sociopolitica, elementi tutti che costituiscono il vero humus dell’ispirazione di Valeria Masoni-Fontana, nonché la cifra letteraria della sua scrittura. Tali aspetti sono sottolineati anche da commentatori critici molto più vicini a lei. È il caso di Graziano Papa che, nel suo discorso di presentazione del libro La mantide nell’ambra, precisa: «Il libro di Valeria è, a ben vedere, un diario a posteriori. Forse taluno potrebbe pensare ad un favoleggiamento tardivo, a una sorta di biografia romanzata di un’adolescenza. Ma non è così. Tutto è ancorato ad un ricordo puntuale...» (Sala ‘Diego Chiesa’, Chiasso, 21 aprile 1995). Gli fa eco Giancarlo Vigorelli, in occasione dell’uscita dello stesso libro: «A chiusura, direi quasi a sigillo di questo ripristinato lessico familiare - proprio e della sua città - Valeria fa seguire, alcuni, a dir poco, aggiornamenti aggiuntivi dei percorsi della sua vita, come per fare intendere senza equivoci che da quelle nebbie del passato … non ha tardato a venire fuori una vita ardente, intensa, reale appunto...» (Lugano, 11 maggio 1995).

Questa Opera Omnia è suddivisa in sei parti, che rispettano l’ordine cronologico di stesura dei testi e con tale criterio le presenteremo. Nel mare magnum degli scritti si individueranno alcune esemplificazioni significative per rendere al lettore lo spirito e il cipiglio narrativo dell’autrice, nonché per segnalare gli intendimenti ‘manzoniani’ delle sue opere, cioè «il vero per soggetto, l’interessante per mezzo, l’utile per iscopo». Dove il vero è dato dalla sua prosa realistica; l’interessante è riscontrabile dai commenti sulle cronache locali, dalla descrizione di luoghi e personaggi conosciuti anche dai concittadini, suscitando così la loro curiosità; l’utile dal messaggio finale che si evince dalle sue visioni, le quali approdano tutte, in ultima analisi, a valori etici, morali, professionali, sociali e politici professati e vissuti nell’esistenza concreta, con coerenza e passione.

Dunque la prima parte raccoglie gli articoli apparsi sulla rivista Mosaico (1941-1943) del ‘Circolo Studentesco di Lugano’ e porta il medesimo titolo. Si tratta di annotazioni giovanili eterogenee, nelle quali Valeria Masoni-Fontana dimostra già possesso della lingua, verve narrativa, capacità di approfondimento psicologico, interesse per il mondo circostante. Le sue stringenti ed articolate esplorazioni introspettive emergono fin da subito, come nel brano Luci e ombre (anno I, n°1, novembre 1941). Sono quei conflitti interiori che tutti viviamo, per cui coloriamo la nostra anima di chiaro-scuri, tendendo però a far prevalere un certo pessimismo e forse «... non pensiamo che profonda e calma si nasconde in noi sempre un po’ di luce». Il suo spirito di osservazione e il desiderio di scoprire nuove realtà la spingono a girovagare senza meta: A zonzo (anno II, n°2, novembre 1942) e Il villaggio (anno II, n°3, maggio 1943) rispecchiano questo tratto della sua indole, che le permette di ammirare la natura, sognare e fantasticare, ma poi tornare «… sulle strade diritte e più sicure della chiara realtà», o di camminare sino ad un piccolo villaggio per ritrovare pace e serenità d’animo. Ed ancora, nel brano, La scelta della professione (anno II, n° 2, gennaio 1943) si svolge un colloquio con se stessa, in cui l’argomento dibattuto è relativo alle scelte per il futuro: medico, avvocato o giornalista? Aspetterà l’ispirazione.

La seconda parte accoglie Altre prose giovanili (1941-1944), testi presumibilmente inediti, tranne l’ultimo (Bulletin della Associaton Suisse des femmes universitaires), edito in francese, che è del 1968. Denotano una sorprendente maturità dell’autrice, sia per lo stile già molto personale e ricco di sapidità, sia per la pregnanza dei temi affrontati che spaziano dagli affetti domestici alla natura, dai brani onirici a quelli dedicati alla Confederazione Elvetica. Molto avvincente e drammatica la vicenda esistenziale di Teresa Silva, a cui erano morti dieci degli undici figli messi al mondo, compreso il prediletto, ed inevitabilmente anche lei alla fine si congedò dal mondo: «…Quella notte, nonna Teresa scivolò in silenzio fuori dall’ansia del tempo». Educative le parole dedicate alle mamme, invitandole a non spaventare i bimbi con ‘l’uomo nero’, ma a prenderli sulle ginocchia sussurrando loro favole belle (La Pagina della donna). Commovente il doloroso canto per le Esili betulle stanche, che le apparvero così perché piegate dal vento. Profondo il Sogno nel quale diviene una Danaide, ma solo nella pena e non nella colpa. Di alti sentimenti civili, democratici e patriottici lo scritto Nel 650° anniversario della fondazione della Confederazione, il cui epilogo riassume la nobiltà del sentire morale e politico di Valeria Masoni-Fontana: «...Nata questa nostra Svizzera da un moto di fierezza montanara, rinsaldato nel corso di sei secoli di lavoro e di fede, nei suoi destini, che essa viva nel tempo, intatta e libera sempre».

Ricordanze (1971-1975) è il titolo della terza parte, che specifica nel sottotitolo: L’amore di figlia, di moglie, di madre nei sogni di Valeria: dialogo coi cari defunti. Vi possiamo leggere lettere immaginarie scritte ai genitori defunti, tutte datate con precisione, dalla prima (18 aprile 1971) all’ultima (25 dicembre 1975). Epistolario che tocca i tasti delicati e profondi del sentimento, della memoria più cara e vissuta, dell’elaborazione del lutto, di quella corrispondenza di amorosi sensi di foscoliana matrice che unisce i vivi ai morti e perpetua quanto vi è di più umano ed autentico nei confronti di chi ci ha dato la vita, ovvero la gratitudine per il dono della vita stessa e per gli insegnamenti e l’amore ricevuti. Emerge il vero senso della famiglia come centro d’affetti, casa del proprio esistere, protezione materiale e spirituale, cellula vitale per camminare anche nel mondo, nascita di progetti e sogni per il futuro. Così tutti i brani diaristici sono commoventi e si crea un’empatia con l’autrice, poiché queste lettere immaginarie possono essere paradigmatiche per capire qualcosa del mistero dei rapporti umani filiali, materni, paterni. Emergono figure genitoriali esemplari e luminose, che una figlia avrà impresse nel cuore per sempre: «Mamma da 10 anni non più con noi, ma in noi» (dall’incipit della scrittura datata 18 dicembre 1975). Il diario s’interruppe quando gli studi per la preparazione dell’esame di Notaia l’assorbirono sempre di più: per la cronaca, ella diventò la prima donna Notaia del Canton Ticino nel 1979.

Vengono poi le Nebbie sul Breggia (1978), raccolta di articoli apparsi a ritmo settimanale o bisettimanale sul quotidiano “Gazzetta Ticinese”: nel capitolo 4 del libro sono riproposti nella loro versione originale, mentre il capitolo 5 è costituito dai testi rivisti dall’autrice e pubblicati nel 1995 nel volume La mantide nell’ambra, che raccoglie scritti nel periodo 1978-81.  Il quarto capitolo contiene anche l’articolo Sentire il cimitero del  tuo paese, del 31 ottobre 1978, recuperato recentemente. Tali rivisitazioni dell’autrice dei propri testi dopo un certo periodo di tempo rivelano un’acribia autoreferenziale tipica del  labor limae oraziano e consistono in ritocchi stilistici come la ricerca di un termine più idoneo, o di un incipit più consono al contesto, o di un certo bisogno di sintesi negli epiloghi. Ottimamente ci illumina, sull’origine di questi scritti, Armando Dadò nell’introduzione al libro La mantide nell’ambra: «La perdita della madre … poi qualche anno dopo del padre… la rivisitazione dei luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza… furono per lei la spinta a ritrovare, come in una nebbia magicamente custode o generatrice di memorie, angoli scomparsi del paese, case, piazze, vie e volti d’amici, di compagni, di conoscenti, figure ricorrenti nel piccolo mondo chiassese (maestri, professori, uomini di cultura, artisti, professionisti, spedizionieri, negozianti, artigiani, operai) o volti appena intravisti a Chiasso, a Mendrisio, perfino a Lugano dove la portava il primo treno del mattino per frequentare il Liceo...». E ne viene fuori un ritratto fedele della vita degli anni quaranta di quei luoghi, spaccato sociale, storico e familiare di una pullulante umanità, operosa e vivace, sulle sponde del fiume Breggia, le cui sorgenti sono al Monte Generoso per sfociare, dopo essere transitato da Chiasso, nel Lario. Così avviene la rivisitazione delle radici, dei posti dove ha giocato durante l’infanzia, il ricordo della casa natale, di via Soave, il ritorno da scuola quando lei incontra - mentre suonano a distesa le campane del mezzogiorno - il direttore scolastico, le maestranze di una ditta, la signora Teresa alla finestra … ma soprattutto la mamma al balcone e l’attesa del papà verso il quale correrà incontro piena di gioia e di emozione.

Si susseguono come in un fiume in piena ricordi di ogni genere tra cui quelli scolastici con la lettura in classe dei Promessi Sposi; il giorno della prima Comunione; la situazione dei fiumi del suo paese, Breggia e Faloppia, un tempo liberi di scorrere ed ora incanalati e intrappolati. Il mosaico è ricco di tanti altri tasselli: dall’apertura di una nuova strada al posto della vecchia carrareccia, senza rispettare la natura e l’ambiente, alle passeggiate con mamma e papà in montagna vicino alla frontiera alpina; a una visita domenicale al camposanto di Breno, alla tradizionale capatina al ‘Caffé Indipendenza’ o al tavolino di una confetteria a gustare i dolci locali, fino a un negozio di sigari e tabacchi in Corso San Gottardo, per acquistare ‘fumo’ a papà che era rimasto senza… E fino ai sindaci della sua vita: Elvezio, Guido (che l’ha unita in matrimonio); e ai segretari comunali Achille, Giulio («pallido, allampanato, dinoccolato») che per tanti lustri hanno accompagnato la vita dei cittadini, prima e dopo la guerra ed oltre.

L’Opera Omnia si chiude con gli scritti della sesta parte: Du côté de chez… rien (già editi in La mantide nell’ambra) in cui Valeria Masoni-Fontana fa rivivere le suggestioni che l’hanno spinta a scrivere e intreccia le vicende delle tre famiglie (quella paterna, i Fontana, quella materna, Felix, e quella dell’ava paterna Teresa Silva, ultima discendente del ramo degli artisti di Morbio). Qualche critico ha pensato di accostare la carrellata dei personaggi del Mendrisiotto a quella di Lee Masters nell’Antologia di Spoon River e qualcun altro ha evocato la Recherche di Marcel Proust in relazione al viaggio nella memoria: accostamenti letterari che certamente forniscono un’idea al lettore del genere di scrittura predominante nei testi dell’autrice; tuttavia, a chiusura di questa analisi critica, vorrei anche ricordare la definizione della sua personalità tratteggiata da Giancarlo Vigorelli, che calza a pennello rispetto alla sua profonda identità pubblica, per essere in possesso di «…una civile educazione di donna di esemplare tradizione elvetica e di comune spirito europeo».

Enzo Concardi

 

 

Valeria Masoni-Fontana (Chiasso, 1925 - Lugano, 2020) è stata avvocatessa, scrittrice e poetessa. I suoi genitori erano Cornelio Fontana e Paola Felix; il padre, da molti anni, Vicesindaco liberale-radicale di Chiasso, quando la forte colonia italiana pareva in procinto di superare, per numero, i cittadini svizzeri e indulgere al fascismo e a qualche suo atteggiamento prepotente, aveva tenuto un discorso fortemente antifascista a sostegno della nostra democrazia. Ha frequentato il Ginna­sio Cantonale a Mendrisio, il Liceo Cantonale a Lugano e ha studiato legge a Zuri­go e a Losanna. Ha esercitato l’avvocatura dal 1956 e dal 1969 (prima donna ammessavi nel Canton Ticino) il nota­riato. Ha condotto con il marito Franco Masoni uno studio legale e notarile a Lugano, cui si so­no unite poi le figlie Marina, Giovanna, Paola. Da giovane ha pubblicato prose e poesie in giornali e riviste studente­sche del ginnasio e della Federazione Goliardica Ticinese, tra cui In bilico e Mosaico (rivista del Circolo Studentesco di Lugano). Nel 1957 ha pubblicato la raccolta di poesie Per quel che non mu­ta nella Collana di Lugano diretta da Pino Bernasconi (per i tipi della SA Successori a Natale Mazzuconi); tre poesie di questa raccolta sono poi apparse nel volume Scrit­tori Italiani del II Dopoguerra, La poesia con­temporanea, con prefazione di Bruno Maier (Guido Miano Editore, Milano 1982); qualche suo verso è richiamato nella raccolta di Franca Cleis, Ermiza e le altre (Roosenberg & Sellier, Torino 1993). Dal 1978 al 1981 ha pubblicato prose letterarie (ricordi d’infanzia e familiari) a ritmo quasi settimanale nella “Gazzet­ta Ticinese”, a firma vmf, con il titolo Nebbie sul Breggia. Le stesse prose sono state poi raccolte nel volume La mantide nell’ambra (Dadò Editore, Locarno 1995) insieme ad una nuova sezione di testi (ricordi precedenti e recenti) chiamata Du côté de chez… rien (il titolo è d’ispirazione proustiana perché Marcel Proust era per Lei l’Autore preferito).

 

 

Valeria Masoni-Fontana, Opera Omnia Volume 2 - Prose, premessa di Guido Miano, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 504, isbn 978-88-31497-80-0, mianoposta@gmail.com.

 

 

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Valentina Marzulli, "Divenire"

6 Febbraio 2024 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Divenire di Valentina Marzulli (Eretica Edizioni, 2023 pp. 60 € 15.00) cattura l'energia ispiratrice dello svolgimento del tempo intorno al passaggio esistenziale del mutamento. La poetessa intuisce nel divenire qualcosa che diviene, nel movimento interpretativo della realtà, che si manifesta e si dissolve nelle contraddizioni emotive, non disperde l'essenza originaria dell'evoluzione passionale ma la rinnova. La visione ontologica di Valentina Marzulli accoglie la molteplicità della vita, dilata il contenuto incondizionato dell'amore, include la progressiva conversione attraverso l'illusoria provenienza delle aspettative e la concreta destinazione dell'assenza, realizza l'incessante necessità di presagire le espressioni del desiderio e la sospensione del sentimento, di riconoscere, nelle relazioni, l'intensità del coinvolgimento e di dare un significato profondo al qualcos'altro che anima la percezione sensuale della carnalità e la coscienza sincera della spiritualità. Valentina Marzulli concretizza il simbolico richiamo del passato nella concezione dialettica delle vibrazioni evocative del cuore, alterna l'indeterminatezza del silenzio con la risolutezza delle parole, scrive versi incisi nel carattere coraggioso ed efficace di una poetica che adotta il sentire in tutte le sue carismatiche declinazioni. Divulga la sconfinata estensione di ogni orizzonte sensitivo attraverso la viscerale, impulsiva e ineluttabile prospettiva dei ricordi, distende la deviazione impetuosa degli affetti nei provocanti intrecci lirici e romantici dell'anima, assapora l'inquieto profumo della malinconia, esplora l'intonazione suggestiva delle divagazioni autobiografiche, affianca alla riflessione sul cambiamento la conservazione autentica della speranza. Divenire svolge il suo insegnamento poetico intorno alla discordanza irrequieta degli interrogativi, evidenzia lo stridore dei contrasti, mostra il turbamento della fragilità, pone l'accento sui discorsi interrotti e sospesi, consuma la dolcezza dei baci e il fascino ineluttabile degli incontri, l'impronta infinita e imprevista del destino, oppone all'oscurità del vuoto la limpidezza dei giorni, mantiene la lacerazione delle ferite interiori, trattiene l'equilibrio della verità per lenire il dolore e saldare i margini di ogni guarigione. “Divenire” è tramutare le sensazioni provate e vissute lungo lo spostamento introspettivo del pensiero, è il valico che collega la prospettiva dinamica della trasformazione alla libertà di affidarsi alla vita e al suo sincero entusiasmo, sostiene la proiezione della consapevolezza. Valentina Marzulli invita il lettore a prestare attenzione e cura alle occasioni e a credere alla straordinaria forza delle corrispondenze, a imparare a sorprendersi e a svincolarsi serenamente da tutto ciò che non è più un giovamento e limita il nostro essere, a seguire l'indicazione positiva delle decisioni, a ricevere tutto ciò che accade e allontanare tutto ciò che vaga. La poesia di Valentina Marzulli approccia la metamorfosi dell'anima, fa spazio all'inarrestabile ribaltamento delle situazioni, nella dimensione seducente e sconosciuta  del diventare altro, fluisce naturalmente nel luogo simbolico del riscatto e della serenità che protegge l'identità sacra dell'amore, culla l'immutabilità del bene e tutto quello che resta.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

 

IL SUO VUOTO

 

Il suo vuoto

aveva il colore

di tutti gli occhi malati,

delle mani sgarbate,

del suo corpo

per sempre marchiato.

Il suo vuoto

era pieno di sale,

e di terra,

e di strappi,

e di piccoli pezzi di cuore.

 

STATO DI NATURA

 

Come acqua scorro,

turbolenta, tra i miei pensieri.

Come un sasso affondo,

tutta intera, tra le mie voglie.

Come un naufrago mi abbandono,

miserabile, ai miei tormenti.

 

CONTRASTI

 

Bianco.

L'orlo

del vestito

sul ginocchio.

Il seme

che si sparge

e cola piano.

Il cielo

che risplende

e, anche oggi,

scorre invano.

È nero.

 

AUT AUT

 

Vedere, non guardare.

Volere, non toccare.

Sentire, non pensare.

Capire, non parlare.

Amare.

 

 

UTOPIE

 

E domani amore,

             domani tu incontrami.

Lasciamo una volta,

              che la vita poi scorra,

              che la Luna rinasca,

              che il destino si compia,

che nei tuoi baci io muoia.

 

LE STELLE POI CADRANNO

 

Verranno giorni limpidi,

le nubi passeranno.

Al mare in pieno Agosto,

le stelle poi cadranno.

 

12 LUGLIO

 

Io non lo so

dove poi ce ne andiamo

quando smettiamo di esserci.

Dove finisce

tutto il nostro incessante pensare?

E tutti quei sogni, l'anima, i baci?

So di certo,

che quel mattino d'estate,

quando mi hanno chiamato,

io nel mio corpo esistevo

tanto quanto tu,

forse, dal tuo già te ne andavi.

Ed è stato un bene

che poi tu sia restato,

come avremmo saputo altrimenti,

in tanta confusione, dove ritrovarci?

La vita, come la morte,

è solo un passaggio,

così mi hai insegnato.

La prossima volta,

allora, ricordati di lasciarmi

il tuo nuovo recapito.

 

 

 

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Messaggio in bottiglietta

1 Febbraio 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con PicFinder AI

 

 

 

Ho appena finito di scrivere su un foglietto di carta. Non l'ho piegato accuratamente, ma vabbè, infilo lo stesso il messaggio dentro questa bottiglietta bassa e tozza che mi appresto a sigillare con un tappo di sughero.

Mi trovo in riva e alla deriva, nell'eventualità in cui l'SOS dovesse essere raccolto da un'anima pia, magari potrebbe trarmi in salvo.

Un gabbiano volteggia libero e spensierato, sembra prendermi per il culo per via del suo continuo garrire. Volgo lo sguardo verso il mare e, ringhiando rabbiosamente, scaglio la bottiglietta quadrata il più lontano possibile. Merda! Ho fatto fiasco col fiaschetto in quanto si è schiantato contro uno scoglio. 

Faccio spallucce e, barcollando un po', mi avvio verso casa, giungendo inoltre alla seguente conclusione: se il lancio fosse andato a buon fine, chi avrebbe “pescato” quella bottiglietta di whisky, probabilmente non sarebbe stato in grado di comprendere la nota, infatti, ubriaco come sono, chissà cosa minchia avevo scribacchiato.

 

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L'anima

31 Gennaio 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

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Ho esalato l'ultimo respiro. Buio. Interminabili secondi a chiedermi: sprofonderò in un oblio senza fine oppure la fantomatica vita dopo la morte sarà una realtà concreta?

Improvvisamente avverto una vibrazione rigenerante, per di più riesco a librarmi agilmente in questa asettica stanza d'ospedale dove giace il mio corpo fisico collegato a quell'ormai inutile macchinario. 

Conservo, pardon, ho ampliato la capacità di pensare e di ricordare, peraltro cosa non poco importante, so di esistere ancora. Potrei paragonarmi a un bruco uscito da una mela, in seguito a una galleria scavata faticosamente

Un'invitante luce multiforme, calda e rassicurante, punta nella mia direzione, istintivamente le vado incontro. Una dimora che desidero chiamare Aldilà mi aspetta, tra infinite incognite e compenetrazioni dell’essere. 

Al termine dell’esperienza terrena, l'anima non muore, l'anima si anima. In eterno.

 

 

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Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon

30 Gennaio 2024 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #saggi, #poesia

 

 

 

 

Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon

a cura di Enzo Concardi

Guido Miano Editore, 2024.

 

Il presente lavoro si prefigge la finalità di ordinare il materiale costituito dai contributi della critica letteraria a commento delle opere poetiche di Maurizio Zanon. Il contesto nel quale si può inquadrare riguarda le principali tendenze contemporanee circa le metodiche degli aspetti filologici, circa le analisi comparative testuali, altresì in relazione alle varie interpretazioni scaturenti dalle diverse scuole di pensiero. Un autore attento a quanto è stato scritto su di lui, si dimostra sensibile all’importante ruolo che la critica letteraria svolge nella storia culturale, poiché percepisce che la comunicazione e la divulgazione dei messaggi insiti nella sua scrittura hanno bisogno di una mediazione tra il soggetto creativo e il soggetto ricettivo, comunemente identificato nel lettore. Non esistendo tuttavia un unico modello di lettore, ma tanti lettori ognuno con la propria preparazione culturale e con i propri gusti letterari, ecco la necessità di quella che abbiamo chiamato mediazione, che viene solitamente attribuita appunto ad un terzo soggetto, il critico letterario, che potremmo definire un lettore speciale che possiede gli strumenti esegetici per sviscerare integralmente o quasi, lessico e contenuti specifici del soggetto creativo.  

Maurizio Zanon, consapevole di tutto ciò, ha voluto dare alle stampe questa sorta di opera omnia della critica a suggello di una carriera letteraria che lo ha visto esprimersi soprattutto attraverso la poesia. Ed è da qui che partiamo, col definire ed inquadrare, seppur con una certa sintesi, i cardini principali della critica letteraria italiana, con cenni storici e tendenze attuali. Si potrà così acquisire una visione più pertinente delle basi culturali dinamiche dell’analisi critica ed applicarle, nello specifico, alle opere di Maurizio Zanon. (…).

C’è nella poesia di Zanon un filone d’ispirazione naturalistica, che visita i luoghi nei quali è attratto dagli incanti della natura, dalle misure cosmiche, dalle metamorfosi stagionali: non sono solo luoghi fisici, geografici, paesaggistici, dal momento che queste contemplazioni si trasformano, attraverso l’elaborazione del pensiero, in luoghi dell’anima e dello spirito e nasce così certamente una sorta di filosofia della natura. Accanto, c’è poi un viscerale attaccamento alle radici lagunari che, nel suo caso, sono cittadine e il suo rapporto duale, conflittuale con Venezia rappresenta un altro ceppo lirico di somma rilevanza, poiché mette in gioco le origini e il destino di quella che è la patria del poeta, che sfida i suoi sentimenti d’amore infinito, mostrando un volto diverso da quello desiderato dal figlio tradito. Nasce qui, invece, una specie di canto civile di sofferta testimonianza. Su tali tracce si muovono i critici analisti dei testi in tema, che suddividiamo in due parti. (…)

Sul filo del rasoio delle varie dimensioni temporali si sviluppano spesso i legami esistenti tra le nostre rimembranze in generale, i nostri vissuti sentimentali in particolare. Gli amori posseggono tutti l’itinerario che percorre l’oggi, ma con riverberi appartenenti a ieri e con proiezioni verso il domani. I grandi maestri del vivere umano insistono, nei loro insegnamenti di saggezza, sulle caratteristiche valoriali delle filosofie del tempo e dell’essere, sulla gestione sapienziale del panta rei da parte dell’individuo e dei gruppi umani. Così la letteratura e la poesia hanno sempre attinto a piene mani a queste tematiche, perché appartenenti alla vita concreta e a quella sognata. Così le opere di Maurizio Zanon riflettono tutte ampiamente una problematica direi quasi ineludibile per un poeta come lui, abituato a riflessioni profonde, filosofiche e nello stesso tempo attente ai cosiddetti “segni dei tempi”, ovvero agli stili di vita contemporanei. Così la critica ha registrato tali aspetti della sua poetica, mettendo in risalto la sua ricerca e il suo viaggio nell’avventura umana. (…).

Enzo Concardi

 

 

Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-24-0, mianoposta@gmail.com.

 

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Lost in Space

21 Gennaio 2024 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #serie tv, #fantascienza

 

 

 

 

Che dire di Lost in Space –  serie remake dell'omonimo telefilm americano degli anni '60 ispiratore di un film del 1998 (che all’epoca ho visto e mi è piaciuto) e risalente ai  romanzi di Johann David Wyss prima e Jules Verne poi – dopo aver visto tutte e tre le stagioni, se non che si tratta (finalmente!) di buona fantascienza in stile anni 80, alla vecchia maniera, molto ben confezionata, con tanto di navi intergalattiche, robot, pianeti alieni, avventure mozzafiato, rischi inverosimili da cui i protagonisti si salvano per un pelo all’ultimo secondo, effetti speciali superlativi, ottimi attori  e personaggi molto ben caratterizzati ed amabili, se non che il rapporto fra Will Robinson, il più piccolo e il più coraggioso dei protagonisti, con il suo Robot, è veramente un elemento eccezionale e vale l'intera storia?

Will Robinson, novello Crusoè naufragato con la famiglia su pianeti alieni, è un antieroe, per la giovanissima età che lo rende naturalmente timoroso e perché non ha nemmeno passato la selezione per intraprendere il viaggio verso la colonia Alpha Centauri. Veniamo a sapere che è stata sua madre, Maureen, formidabile scienziato, a imbrogliare per farlo ammettere. Il piccolo crescerà durante le tre stagioni, di statura e di dimensione etica, fino a divenire il salvatore dei mondi, l’anello di congiunzione fra le specie, colui che, liberando i robot alieni dalla schiavitù dei programmi, farà loro capire che possono scegliere di non combattere gli umani ma di collaborare in un rapporto che non è più di schiavitù bensì paritario.

Robot” è un meccanismo alieno creato da una razza che si è poi estinta proprio a causa dell’intelligenza artificiale. Viene salvato da Will, bambino indifeso, e ne diviene il paladino. Dapprima lo serve per riconoscenza, poi ne diventa amico e lo ama, e questa emozione lo affranca. Scopre che amare vuol dire sacrificarsi per l’altro, volere il bene dell’altro, non per interesse o condizionamento, non per un algoritmo, ma per scelta.

Interrogativi etici, avventura e molti buoni sentimenti, tra i quali non spicca l'innamoramento se non in modo fugace e poco coinvolgente, lieto fine assicurato per tutti, persino per la “cattiva” di turno, dottor Smith. I legami familiari sono strettissimi e fondamentali, ma anche la nuova amicizia con Robot ha accenti elegiaci e commoventi. Insomma, un bel prodotto che mi sono goduta dal primo all’ultimo episodio.

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Wanda Lombardi, "Opera Omnia" II Edizione

16 Gennaio 2024 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Wanda Lombardi

OPERA OMNIA

II edizione

 

Guido Miano Editore propone nella sua prestigiosa collana “Il Pendolo d’Oro” la seconda edizione dell’Opera Omnia di Wanda Lombardi, che raccoglie molte delle poesie pubblicate della scrittrice di Morcone (BN) nell’arco di un ventennio, permettendo al lettore di ripercorrere la sua felice parabola.

Va subito notato che si avverte appena il distacco che c’è tra le poesie proposte, che sono scelte da Miti e realtà del 2022 andando a ritroso nel tempo dell’Autrice fino alla sua prima raccolta Nel silenzio, che risale al 2001. Se distacco c’è, questo è solo temporale, non tematico. Si può davvero dire che a tutte le composizioni proposte, comprese le due raccolte di haiku (Nel vento dell'esistere, 2020, e Attimi lievi, 2018), è sotteso un robusto fil rouge che le unifica lungo pochi percorsi argomentativi, che Enzo Concardi, nel suo recente saggio Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi (Guido Miano Editore, Milano 2022), riassume in: «il tempo, il cosmo, l’oggi, il divino»; il tutto è passato attraverso il filtro della memoria, che purifica e rende limpido ogni pensiero e aiuta anche a comprendere come sia scaturita nella Lombardi la voglia di scrivere poesie.

L’alternanza dei toni delle composizioni contribuisce a tener viva l’attenzione del lettore. Sono toni a volte elegiaci, come nell’inizio di Vento inclemente: «Vento che con le foglie / i sogni porti via, la vita, / lasciami l’eco di un evento lontano / che in me poco visse, / crollato qual castello di sabbia!…» (poesia dedicata al ricordo della madre, cui, nel cinquantesimo della morte, la poetessa ha dedicato anche la composizione Mamma); tono che ritorna, ad esempio, nel finale di Sogni nel vento, in cui rimpiange i suoi «giovani giorni» ormai passati: «…Ideali smarriti in roveti spinosi / senza altro lasciare / della loro fuggevole esistenza / che lacrime». Altrove si trovano, invece, toni severi, tesi a difendere con ardore i propri sentimenti, come nel finale di Specchio: «… / Sol cosa grande / non riesce ad afferrare: / la mia sensibilità. / Essa appartiene solo a me, / non vacilla con gli anni / e non invecchia; / nessuno me la può sottrarre / o modificare, / né mai si perderà». Toni anche duri, quasi di ribellione, come in Turbini d’indifferenza, in Tempi assurdi e ne I mali del mondo, dove si legge: «…Ho visto l’onestà / come foglie marcire, / la viltà come gramigna diffondersi. / Travolti i sentimenti, diritti negati, / individualismo e parco pensare / per fretta di andare…». E toni leggeri, pacificanti, capaci di far sorridere, come in questo haiku: «Col buonumore / della vita s’accetta / ogni colore».

Il ricorso a differenti modalità espressive vivacizza la lettura. Echeggiano qua e là delle similitudini esplicite, a volta struggenti (come in Canto: «…Qual pianta che al gelo non s’arrende / e nella sua invernal secchezza / risparmia forze per svegliarsi in pienezza, / così il pensier mio, da scosse contrastato / minuzie varie adorna / da render singolari; / a volte diamanti appaiono / dalle molte varietà, / altre echi sottili risonanti qua e là…»). Altrove invece si trovano similitudini implicite, nascoste: leggere, come in Una nuvola, o nostalgiche, come in Ora che… E non manca mai il ricorso al colloquio interiore – un esempio per tutti si ha in Mio cuore.

Pur con l’alternarsi di poesie di media lunghezza (in genere non più d’una pagina l’una) e delle brevi terzine che compongono ciascun haiku, prevale su tutto l’unità dell’ispirazione dell’Autrice, che nelle pur diverse forme delle sue composizioni avvince il lettore con la chiarezza del suo esprimersi. Anche quando il colloquio col lettore prende i toni dell’esortazione – quasi a richiamare la funzione pedagogica svolta dalla Lombardi nei suoi anni d’insegnamento – come nella breve poesia Umanità: «Abbandonare l’egoismo o il rancore / e vestirsi di bontà / per accogliere in braccia d’amore / il dolore a te accanto, / e nel fonderlo col tuo / un conforto trovare, uno sprone / per proseguire con l’altro / nel mai sopito sogno / di dialogo e di pace». A proposito di insegnamento, non sfugge a chi legge che diverse poesie sono basate sugli studi dell’Autrice, che li richiama con immagini dipinte senza manierismo in diverse composizioni, come Ad Afrodite, A Nike àptera (Alla vittoria senza ali), Ricordando Cassandra; altre figure mitologiche o storiche compaiono qua e là, come il Nettuno de L’invidia, gli Argonauti e le Vestali (citati in Non scriverò…), o Tito Livio (ricordato in Ruderi): figure rievocate soprattutto nella seconda sezione della raccolta, che riprende la silloge Volo nell’arte del 2021. Reminiscenze che sono «…Perle, / di cui si è persa la memoria» (ultimi due versi di Perle del passato).

Si può ben concludere con l’osservazione di Maria Rizzi, nella Prefazione ad Opera Omnia di Wanda Lombardi: che «... i poeti scrivono di soppiatto, quasi all'insaputa di se stessi» (p. 8); una osservazione che sottolinea insieme la freschezza quasi inconsapevole della poesia dell’Autrice e la sorpresa che i suoi versi destano a ogni pagina per il lettore, che facilmente può riconoscersi in essi. Del resto, è famoso il detto di Salvatore Quasimodo, che «la poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia interiore e personale, che il lettore riconosce come proprio»; e qui sta anche il segreto fascino della poesia della Lombardi, che sprona proprio alla lettura.

Marco Zelioli

 

 

Wanda Lombardi, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 200, isbn 979-12-81351-13-4, mianoposta@gmail.com.

 

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Maria Antonietta Rotter, "Tempus fugit"

13 Gennaio 2024 , Scritto da Luisa Martiniello Con tag #luisa martiniello, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Maria Antonietta Rotter

Tempus fugit

 Guido Miano Editore, Milano 2023.

 

 

Il titolo di oraziana memoria, a sua volta erede del πάντα ῥεῖ eracliteo, nelle liriche della poetessa Rotter assume nei colori delle stagioni la sua percezione più incisiva: la neve invernale, i candidi e lievi fiocchi, divenuti «manto» con il loro peso spezzano «quel ramo vecchio» e l’evento è rimarcato dalla similitudine «come accade a un cuore/oppresso da un fardello di dolore».

Le voci dell’autunno si odono nel «vento» personificato, «che spettina i capelli», nei «mulinelli di foglie gialle / verdi fino a ieri», nella «nebbiosa coltre» che tutto ricopre.

Il male di vivere montaliano nella “foglia accartocciata” diviene compartecipe dolore della poetessa nel «feroce ghigno», nelle «armi brandite per straziare» le donne che «non sono erbacce da strappare via».

La morte, «discreta come amica», la sente al fianco e deve poter prendere per mano e dire: «adesso andiamo», a quella soglia senza aver paura.

Nella lirica Ricchezze, al ricco di turno la poetessa fa notare: «non puoi comprarti un alito di vita / quando il tuo tempo sarà terminato».

Il ciclo della vita e della morte ben si staglia in quello che può a primo acchito far pensare a una filastrocca con le soppesate rime, una «melina» si chiede perché è nata, dal vecchio e saggio tronco ha una risposta: nessuno nasce invano. Nell’inverno diviene «cibo a un uccellino /… al suolo, lo fu di un topolino /…. e sotto foglie morte / si mise per dormire ad aiutare il melo / a marzo a rifiorire».

In Temporale notturno la metafora sinestetica di memoria pascoliana “un gran pianto” diviene «un gran pianto di ciliegie rosse» dopo la burrasca: la morte è nelle cose e il colore rosso rimanda non solo alla maturità del frutto, ma alla sua vulnerabilità, quella stessa che è nel tormento prima della caduta della maggior parte delle foglie d’autunno. La rotacizzazione rende più crudo e sonoro il quadro: scarruffato, burrasca, torceva i rami… spezzava qualche frasca.

A rendere più acuto il dolore delle assenze in Casa di ombre, «risuona il piede / dentro il vuoto!».

Il passato e il presente si specchiano, l’infanzia passata velocemente è resa con due similitudini: «come un alito di vento / come una scia di barca che si chiude». Così una promessa di ritorno è associata al Fiore di spino, che diviene «veleno amaro nel suo profumo lieve». La rivisitazione dei luoghi del cuore offre uno spettacolo deludente del grande oleandro, anch’esso connotato dal profumo amaro: «il pozzo è abbandonato, / tu disseccato e morto / e tutt’intorno è pieno / solo di solitudine e sconforto». Ciò che è stato non ha più vigore, è soggetto alla legge della trasformazione, della solitudine palpabile. Così nel cassetto dei ricordi lettere d’amore che vanno in cenere, lasciano solo  «una favilla» che ancora scotta nel cuore e la vita è resa pienamente con la metafora del viaggio: «quando hai ben appreso le leggi del volante, / la macchina si ferma», per il viandante «dalle molte speranze inavverate». Lo scoramento per un mondo privo di umanità, ricco di solitudini, di compiti e ruoli demandati si legge nel non voler vedere dei vecchi, utili una volta, ora soppiantati da nonna tv. Si è reciso anche il filo di lana della nonna, il «filo della memoria», sì che la vita vissuta è paragonata ad una «vecchia barca sulla spiaggia» e Villa Regina, ritrovo di «ex della vita» abbandona ogni passato nelle mani giovanili stipendiate. Con i suoi colori variabili per stagioni, rapiti alle cose accarezzate, il vento, simbolo più consono del «tempus fugit», ci lascia con il colore dei crisantemi, il colore del perpetuo autunno della vita.

Luisa Martiniello

 

 

Maria Antonietta Rotter, Tempus fugit, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 84, isbn 979-12-81351-00-4, mianoposta@gmail.com.

 

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Carla Malerba, "La milionesima notte"

12 Gennaio 2024 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

La milionesima notte di Carla Malerba (FaraEditore, 2023 pp. 64 € 12.00) è una raccolta poetica delicata e preziosa che consegna la sottile inquietudine di un tempo in bilico, arreso ai titoli delle sezioni che compongono la silloge. “Attese”, “Segnali”, “Tracce”  danno già il significato interpretativo del percorso introspettivo dell'autrice e delineano l'espressione ermeneutica delle parole. Carla Malerba affronta la consuetudine insistente e ossessiva della vulnerabilità umana, comprende la dolorosa invariabilità dell'inconsistenza, subita nell'assenza, canta la superficie delle emozioni, descrive la percezione della malinconia e la consapevolezza della proiezione inesorabile della fragilità, insegue la luminosa nostalgia del desiderio, contro la crudele vacuità del tutto. Diffonde l'inclinazione del suo pensiero poetico, attinge nella risorsa spazio-temporale dell'attesa l'indicazione positiva per accogliere l'evoluzione dell'anima, esplora la forza inalterabile dell'invocazione, intonata alla toccante solennità della propria sensibilità, nel vivo clamore di ogni risonanza, capace di amplificare l'oscillazione delle immagini nell'inabissamento prolungato della memoria, di rimuovere l'intervallo incerto e indolente della dissolvenza. Concentra l'illuminazione di una trasmutazione vitale, cerca con energica fermezza di oltrepassare l'indefinita e assorta provvisorietà per poter infine manifestare le indicazioni della gioia, attraversare il confine silenzioso di un epilogo e di un nuovo principio. La poesia di Carla Malerba si posa lungo gli argini dell'oscurità, nell'indugio esitante delle notti insonni, nella mancanza, nella speranza fiduciosa di poter recuperare l'agilità della vita. Nel torpore del succedersi tra il giorno e la notte la protettiva salvaguardia dei luoghi familiari subisce un restringimento, ma il segnale inequivocabile della presenza consola e incoraggia la conversazione dei pensieri, valica la fenditura degli eventi angosciosi degli ultimi anni, affianca l'epifania del vivere e del morire. La milionesima notte conta la progressione della parabola esistenziale, include la disorientante discordanza delle reazioni dell'uomo, spiega l'inafferrabile solitudine della comunità, commenta il lento affievolimento delle relazioni nel tentativo vano del loro annientamento, trasferisce la mutevole e indefinita destinazione della psiche nelle confessioni delle percezioni intime e confidenziali. Carla Malerba riscatta il proprio turbamento attraverso la pacatezza dei versi, guida la trasparenza sensibile della funzione disvelativa della sua poesia. Legge la propria realtà nelle pagine tracciate dalla tenerezza dell'inconscio, stimola l'orizzonte empatico della riflessione e lo svolgimento autentico dell'osservazione quotidiana. L'espansione dell'esclusione dei contatti umani, subita nel devastante provvedimento durante la pandemia, è per l'autrice una nota fondamentale per la sua poesia che affranca il tracciamento e l'identità di ogni territorio interiore, finalizza una lacerazione nel presente, indispensabile per riscrivere la biografia dei ricordi, per inseguire le tracce che riportano l'energia coraggiosa della vigilanza al senso dell'appartenenza. L'agguato disincantato della consapevolezza di sé è un'interazione privilegiata con la necessità di illuminare le esperienze in sintonia con l'esilio poetico e l'attitudine generosa di amare.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

Il buio ci sorprende

quando la luce indora

un poco le montagne

e precipita il giorno

oltre il crinale

così di fretta

tra un aprire al mattino una finestra

e richiuderla appena si fa sera.

 

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Un piccolo lume

in questa veglia

nel chiuso delle case

l'amore un filamento

di fumo parola impastata

dal sonno corrotta

dall'abitudine.

Lo sguardo

si allunga a spiare

barlumi di faville

che brillano nel buio

il tempo di un batter di ciglia.

 

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Quello che resta in fondo

è la poesia.

Non ti ricorderai

di chi l'ha scritta,

ma sempre e perdurante

il senso dato,

il respiro allargato

nella sosta, nel sogno

dire ti ho incontrato,

ho provato in quel giorno

ed in quell'ora lo smarrimento

dell'anima che sola

ancora

non ha scorto la salita.

 

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L'oro dei girasoli

mi hai portato

invade la stanza

riverbera di luce

tra pareti che sanno

quanto vorremmo

per un giorno almeno

essere girasoli

in mezzo a un campo.

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Se qualcosa ci è stato donato

non è da dire con astruse parole

ma col piano linguaggio dei baci

che si unisce assai bene

al volo delle api

e allo stormire leggero del vento

al raggio di sole

che s'infiltra fra i rami

e crea sospese

cattedrali di luce.

 

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Nella milionesima notte

il plenilunio rischiara

l'astro trafitto

da un nero ramo.

L'ombra percorre i fossati

scivola lungo gli argini:

troppo lieve la speranza

i gesti ormai racchiusi

nei fardelli della memoria

nei rigagnoli di neve

di un maledetto febbraio.

 

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Mi disegna la notte

un ventaglio di immagini

sparse

tra il vero e l'ombra

che mai mi abbandona.

Al buio scrivo parole

che la mente illumina

e guida la mano

il pensiero del nulla che siamo.

 

 

 

 

 

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La grande partita del 1951

10 Gennaio 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #sport

 

 

 

 

Ricordo i tempi in cui correvamo a perdifiato sul tappeto verde del Magona, prendevamo posto sulle gradinate ampie e basse, sui sedili di ferro della vecchia tribuna verde, incitavamo i ragazzi che vestivano la maglia nerazzurra. Piombino, amore mio! Potrei esclamare, parafrasando titoli di famosi romanzi, perché la mia unica vera squadra, la sola che ho sempre seguito è l’Unione Sportiva Piombino, qualunque nome portasse, quel che contava era il colore delle maglie. Non sarebbe potuto essere altrimenti, visto il mio ruolo di arbitro di calcio, interpretato dal 1976 al 1999, dopo aver tentato con scarsi risultati di vestire la tanto amata maglia nerazzurra. Il Piombino era la sola squadra che non avrei mai potuto arbitrare in una competizione ufficiale, perché era la formazione del luogo natio, la compagine della mia città. Confesso la mia difficoltà a dirigere persino alcune amichevoli, perché il nerazzurro cancellava l’imparzialità di giudizio.

La squadra cittadina adesso si chiama Atletico Piombino, come Unione Sportiva ha vissuto un periodo glorioso negli anni Cinquanta, con l’esperienza della serie B e la vittoria per tre reti a una sulla Roma di Nordahl. Era il 18 novembre del 1951. Pensare che il 18 novembre è anche il giorno del mio matrimonio (qualche anno dopo, nel 1998), così ho due buoni motivi per festeggiare, posso dirlo tranquillo tanto mia moglie non ci sente, non ama il calcio. Un Piombino fantastico, irripetibile, incredibile che si permetteva il lusso di malmenare compagini come Genoa (2-0), Venezia (3-0), Verona (2-0) Treviso (4-0)…

Alcuni anni dopo, una storica amichevole disputata al Magona contro la Lazio, il primo settembre del 1955, terminata 3 a 1 per i biancocelesti romani, vide i calciatori locali protagonisti di una grande prova. Molte amichevoli contro club di serie A si sono susseguite negli anni Settanta: Fiorentina, Juventus, Sampdoria, Perugia, Torino (ai tempi di Agroppi), vinte dai club più prestigiosi, seguite da un grande pubblico che affollava gli spalti del Magona. Il Piombino calcio negli anni Ottanta ha vissuto periodi di decadenza, due fallimenti e campionati di basso livello come la Seconda e la Terza Categoria. Dal 2013 è cominciata la resurrezione: la squadra è tornata in Promozione, nel 2014 di nuovo in Eccellenza, partecipando agli spareggi per la Serie D nel 2016 - 2017, retrocessa in Promozione al termine di un’infausta stagione 2018 - 2019, quindi nel 2020, pur non terminando il campionato causa pandemia, promossa in Eccellenza come seconda classificata, dietro la capolista Certaldo. Il sogno della massima categoria regionale è durato poco perché il Piombino è di nuovo retrocesso e adesso naviga in Promozione, in attesa di tempi migliori. Il pubblico che segue la squadra non è più quello di Piombino - Roma, neppure quello dei Piombino - Cecina, Piombino - Rosignano, dei campionati dilettanti negli anni Settanta, che vedevano al Magona un minimo di mille spettatori per domenica. Conservo la memoria di un derby anni Settanta disputato contro il Cecina alla presenza di ben 7.000 spettatori.

Lo Stadio Magona d’Italia, costruito dall’azienda siderurgica come sede del dopolavoro, era un vero gioiello: tribuna coperta (adesso distrutta) addossata agli spogliatoi in muratura, gradinata (sul lato opposto), curva (lato Tolla), aveva persino un sottopassaggio per entrare in campo (e quello rimane!) e poteva contenere 12.000 spettatori. Il Magona si è andato deteriorando con il tempo, per l’incuria e la sempre più scarsa passione calcistica dei piombinesi verso la loro squadra. La vecchia tribuna adesso non esiste più, la curva è stata chiusa per molto tempo, riaperta con la promozione in Eccellenza (2014), resa di nuovo agibile nel 2019 da un gruppo di volontari, insieme al rifacimento del sottopassaggio. Per anni si è parlato di un progetto Unicoop Tirreno per costruire al posto dello stadio un centro commerciale, con nuova edificazione in altra zona cittadina di un complesso sportivo. La speranza è che tale idea nefasta sia stata accantonata per sempre: il Magona è troppo importante da un punto di vista storico e sentimentale per scomparire. Ha solo bisogno di un restauro e di un ampliamento, di un lavoro di trucco e parrucco (come dicono i cinefili), ma lo stadio dovrà restare nel suo sito d’elezione, in viale Regina Margherita. Non dovrà fare la fine del Campino Marrone, il glorioso Magona Sussidiario dove giocavano le giovanili, sacrificato sull’altare di un parcheggio.

Il calcio è il più antico sport di squadra cittadino, nato nel 1921, gode di un bel libro scritto da Gianfranco Benedettini nel 1971, - Cinquant’anni in nerazzurro -, in occasione del cinquantenario della società. Il Piombino calcio nasce da alcune riunioni di giovani studenti e operai in casa di Dante Gronchi (Sciaurino), a partire dal 1919, subito dopo la fine della Grande Guerra. La prima società di calcio si chiama Sempre Avanti e viene conglobata nella società di ginnastica e di scherma. L’Unione Sportiva Piombino nasce in casa Gronchi, ma il gioco del calcio viene portato in città dal dottor Florestano Belleni e da un sottufficiale della Guardia di Finanza. Pionieri sono i fratelli Bianchi, Guasconi e Pepi, i giovani Nassi, Pavoletti e Talini. Primo Presidente il signor Emanuele Russo, primi colori sociali maglia bianca con taschino azzurro. L’ingegner Lanza concede il piccolo campo della Tolla, dove si giocano le prime romantiche partite amichevoli, senza un vero e proprio campionato. Benedettini ricorda la prima gara disputata dal Piombino contro i Pompieri del Cantiere Navale Venezia, finita quattro a zero per i nostri colori. Una volta chiuso il campo della Tolla si gioca al padule di Pontedoro, nei campi di via Leonardo Da Vinci, infine il Comune concede il vecchio Campo di Sansone, l’odierna piazza Dante. Il primo vero campo sportivo piombinese è proprio quello, spalato e messo a posto dagli stessi giovani calciatori che si trovano a giocare dopo il lavoro. Quando piazza Dante non basta più, la società Ilva concede il terreno davanti allo stabilimento (davanti all’odierno MacDonald) dove viene edificato il Campo Sportivo Salvestrini, un vero stadio con tribuna, spogliatoi e pista per le corse in bicicletta. Lo stadio viene inaugurato il 20 agosto 1924, il Piombino fuso con la società di ginnastica si chiama USSAP (Unione Sportiva Sempre Avanti Piombino), e perde per 4 a 0 un’amichevole con il Livorno. Si comincia a fare sul serio, anche se tutto è molto pioneristico e disorganizzato, con l’iscrizione al primo campionato di Terza Divisione. La palla di cuoio è uno sport britannico che vince la diffidenza di quanti lo considerano un gioco assurdo, buono solo per prendersi un malanno correndo al freddo e con i calzoni corti. Il calcio diventa lo sport cittadino per eccellenza e comincia a coinvolgere un buon pubblico che non si può contenere dietro le corde di Piazza Dante. Potrei raccontare molte leggende sul periodo eroico del Salvestrini e del vecchio Stadio Magona. Tra le tante, la più gettonata è quella del Piombino che batte la Roma nel campionato di serie B 1951 - 52 ed è una storia che si tramanda di padre in figlio. Nei primi anni Cinquanta Piombino vive il suo miglior periodo economico e sociale, la Toscana guarda alla nostra città come a un paese di bengodi dove non mancano pane e fumo. L’industria dell’acciaio è fiorente, la Magona finanzia la squadra di calcio, il dopolavoro gestisce il campo sportivo e i calciatori nerazzurri vivono come veri professionisti. Una città di trentatremila abitanti dà alla squadra di calcio milleduecento abbonati che sono linfa vitale per andare avanti. Tre anni di serie B che lasciano il segno ed entrano a buon diritto nella leggenda, soprattutto perché nel 1951 - 52 il Piombino si trova a un passo dall’essere promosso in serie A. Pure qui ricordiamo la leggenda metropolitana delle partite vendute, perse per non essere promossi, perché il campionato maggiore sarebbe costato troppo. In ogni caso quel Piombino è una rivelazione incredibile e fronteggia alla pari Roma e Genoa (nelle partite casalinghe vince con entrambe), in passato campioni d’Italia. Il Piombino che il 18 novembre del 1951 batte la Roma per tre reti a una è allenato da Fioravante Baldi, contestato a inizio campionato perché non vuole grandi acquisti e portato in trionfo dopo la vittoria sulla capolista. Il segreto di Baldi sta nel sempre valido squadra che vince non si tocca e lui dopo aver vinto il campionato di serie C chiede alla società di modificare l’organico il meno possibile. Baldi partecipa alla serie B con un gruppo di uomini affiatati, che saranno pure modesti calciatori ma si conoscono a memoria, di sicuro più di tanti campioni strapagati che litigano in campo. Il Piombino ha un gioco e una personalità ben definita frutto di un campionato di serie C vinto alla grande. La Roma è travolta da un avversario pieno di entusiasmo e i quattromila tifosi che hanno invaso Piombino se ne tornano a casa sotto un coro di sfottò della tifoseria toscana. Il mito della serie B a Piombino è duro a morire. Se con un piombinese di mezza età il discorso cade su argomenti calcistici state pur certi che prima o poi ve l’ammolla quel noi s’è fatto la serie B, anche se lui manco era nato nel 1951. Ve lo dico per esperienza, ché non ricordo quante volte l’ho detta questa frase per giustificare la mediocrità attuale del calcio piombinese. Nel 1951 il Piombino resta a lungo capolista e molti sognano a occhi aperti la serie A, specie dopo la vittoria sulla Roma. È la nona giornata del primo campionato di serie B e la città è invasa da bandiere giallorosse, torpedoni e treni speciali. Franco Biegi, in un articolo del Tirreno di Livorno datato 1996, ricorda diecimila romani che in realtà sono soltanto quattromila, ma si sa che il tempo ingigantisce le cose. In ogni caso è vero che sembra d’essere a Roma, si vedono solo le loro bandiere che alla fine arrotolano silenziosi sotto i fischi dei piombinesi riuniti sulla via Provinciale all’uscita della città. Il Piombino batte la Roma e balza in testa, ma chiude il campionato solo al sesto posto dietro Roma, Brescia, Messina, Genoa e Catania. Il sogno della massima serie sfuma, forse è meglio così perché la squadra vive sull’entusiasmo della matricola e sul catenaccio inventato da Baldi che schiera un calciatore nel ruolo di battitore libero. Difesa e contropiede sono le armi italianissime di quel Piombino che sconfigge la Roma di Nordahl II, Andersson e Sundqvist in quello storico pomeriggio del 18 novembre. Le reti portano la firma del bomber Biagioli (doppietta, una su rigore) e di Montiani. Di quel Piombino ricordiamo con simpatia il maestro elementare Zucchinali che correva i cento metri in undici secondi netti e anche i fratelli Bonci (Irio ed Emilio), schierati uno come centrocampista, l’altro da battitore libero. Ma tutta la squadra merita un ricordo perché era un gruppo valido e compatto, una compagine leggendaria. Il portiere Carlotti, una sicurezza del reparto arretrato, Mezzacapo, piombinese purosangue idolo del Cotone, Coeli, spietato francobollatore di attaccanti, Ortolano, mediano redditizio e scaltro, Lancioni, abile sia di piede che di testa, Morisco, infaticabile ala tornante, Biagioli, attaccante fiorentino veloce e furbo, Cozzolini, mezz’ala sistemista, Bodini e Montiani, attaccanti puri, capitan Zucchinali, personificazione umana del simbolico topolino nerazzurro. Era una squadra fatta di operai per una città operaia che viveva e lavorava per la sua domenica di calcio, costruita pezzo per pezzo da un allenatore intelligente come Fioravante Baldi. La partenza di Baldi per altri lidi dà il via al declino, prima con il fiorentino Nello Bechelli con cui il Piombino si salva a stento, poi con l’allenatore-giocatore Ferruccio Valcareggi (ha trentatré anni e fa il centromediano) che arriva nel periodo di crisi nera della Magona. Nel 1953 - 54 giunge la prevista retrocessione in serie C, anticipata dalla chiusura dei cordoni della borsa da parte di una Magona sempre più in difficoltà. È proprio il caso di dire che a Piombino tutto ruota attorno all’acciaio, pure le fortune calcistiche: sino a quando la siderurgia è il motore trainante della città le cose girano a dovere. Argomento che sviscerato in due miei romanzi che ruotano intorno al mondo del calcio e che vedono protagonista un giocatore piombinese che ritorna ai suoi lidi dopo aver calcato palcoscenici importanti: Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino Sogni e altiforni - Piombino Trani senza ritorno. Il pallone si sgonfia senza rimedio con la chiusura della Magona (1955), vero sponsor delle locali glorie calcistiche. Dal 1955 in poi è tutto un susseguirsi di alti e bassi con un vivacchiare tra Serie D e campionati dilettanti. Si pensa di aver toccato il fondo nel 1987 con la retrocessione in Seconda Categoria, purtroppo al peggio non c’è mai fine: la stagione 2004 - 2005 vede l’Atletico Piombino in Terza Categoria. In questo periodo storico è di nuovo altalena tra Eccellenza e Promozione, ma questo meraviglioso libro a fumetti ci permette di rivivere un momento indimenticabile del nostro passato.

 

Gordiano Lupi

 

Gordiano Lupi (Piombino, 1960) scrive di cinema, traduce autori cubani, si occupa di cultura caraibica. Ha dedicato molte opere alla sua città: Piombino leggendariaStoria popolare di PiombinoAlla ricerca della Piombino perdutaPiombino a tavolaAmarcord Piombino. Ha partecipato alle antologie collettive Piombino in giallo e Piombinoir. Alcuni tra i suoi migliori lavori di narrativa sono ambientati a Piombino: Cattive storie di provinciaCalcio e acciaio - Dimenticare Piombino (presentato al Premio Strega, 2014, vincitore del Premio Giovanni Bovio a Trani), Miracolo a Piombino - Storia di Marco e di un gabbiano (presentato al Premio Strega 2016), Sogni e altiforni - Piombino Trani senza ritorno (presentato al Premio Strega 2018). Pagine web: www.infol.it/lupi. E-mail per contatti: lupi@infol.it

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Gordiano Lupi
www.ilfoglioletterario.it

 

 

 

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VENTICINQUE ANNI DI EDITORIA INDIPENDENTE
Rivista: www.ilfoglioletterario.it
Casa Editrice: www.edizioniilfoglio.com

VENERDI' 12 GENNAIO

Presentazione Ufficiale de LA GRANDE PARTITA del 1951

ovvero PIOMBINO - ROMA 3 a 1

in Biblioteca Civica Falesiana

PIOMBINO - ORE 17 e 30

PARTECIPANO

MASSIMO PANICUCCI autore
PATRIZIA LESSI redattrice Nautilus
GORDIANO LUPI editore IL Foglio Letterario

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