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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Nassim Nicholas Taleb

25 Giugno 2019 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #saggi

 

 

 

 

Il cigno nero

Nassim Nicholas Taleb

Il Saggiatore, 2007

 

Difficile scrivere di questo libro. Sono 370 pagine di carta che ho deciso di ascoltare diluite in oltre un mese, intervallandolo con altre letture più leggere. Non perché sia scritto in maniera difficile, anzi, l’autore fa di tutto per rendere gli argomenti accessibili anche ai profani, il problema risiede proprio nel “digerire” le tesi di Taleb. Egli infatti, ex trader, esperto di finanza e statistica, epistemologo e filosofo tenta, col suo libro, di mettere in crisi le nostre conoscenze in fatto di previsione del futuro. E con questo non si intende il futuro lontanissimo, ma, molto più banalmente, l’alba di domani.

Alla base di questo destabilizzante testo vi è la metafora del cigno nero: prima della scoperta dell’Australia, fin dai temi degli antichi Romani, si riteneva che il cigno fosse bianco per definizione. Fino alla scoperta della variante australiana nera. 2000 anni di certezze distrutte con un’unica osservazione. Uno dei temi che incontriamo per primi è proprio questo: il fatto che un evento si sia ripetuto finora in un certo modo non significa che continui a verificarsi seguendo le medesime modalità. Un esempio banale: oggi, come tutti gli altri giorni precedenti dal momento in cui siamo nati, ci siamo svegliati, vivi. Quindi questo significa che ci sveglieremo vivi ogni giorno da qui a seguire, immortali? No, i conti non tornano, perché sappiamo che la nostra vita, per quanto lunga, prima o poi avrà un termine. E se questo ragionamento vale per le nostre vite perché non può valere per il sorgere del sole, i grandi movimenti politici ed economici, i flussi migratori, il clima? Cosa sono quindi, i cigni neri? Eventi singoli e imprevedibili che stravolgono il mondo. Anche qui, vogliamo degli esempi? Le guerre mondiali, l’11 settembre, la crisi del ’29, ma anche la scoperta dei vaccini, delle Americhe, e così via.

I cigni sono “neri” ma non per la carica negativa, ma per quella destruente e rivoluzionaria. Perché accadono i cigni neri? Perché, semplicemente, la maggior parte del nostro mondo si trova ubicato in quello che Taleb chiama Estremistan, un non-luogo dominato dal caso e dal caos. Attenti, prima di dire che non vi sembra così. Taleb ha un armamentario di aneddoti, prove, calcoli statistici da fare vacillare ogni certezza. Il nostro mondo ha un andamento non lineare, con momenti di stagnazione e spinte in avanti causate da cigni neri. Tutto questo ci appare strano perché l’essere umano ha un cervello che elabora il mondo cercando di conferirgli un ordine che primariamente non possiede. L’essere umano da sempre cerca di catalogare, incasellare, elencare, stratificare, ridurre tutto ad una formula come quella della curva a campana, nota anche come “Gaussiana”, funzione matematica aborrita da Taleb, ammiratore della funzione mandelbrotiana, più rappresentativa di una realtà in cui la fisica quantistica ha un peso molto maggiore di quanto si possa pensare.

L’ultima parte del libro, invece, pone forse il quesito più interessante per il lettore ormai stravolto e trascinato nel caotico mondo dei cigni neri e degli eventi influenzati dalle particelle subatomiche, incontrollabile e imprevedibile. È possibile prevedere i cigni neri? O il nostro “osservare la vita come da uno specchietto retrovisore”, come la definisce in maniera ineccepibile l’autore, la nostra cecità al futuro, la nostra fallacia narrativa sono degli handicap insormontabili? Il problema non può essere risolto del tutto, ma, dice sempre Taleb, se non saremmo mai in grado di vedere in anticipo i cigni neri, potremmo almeno intuirli trasformandoli in grigi.

E a questo punto occorre tirare fuori penna e taccuino per annotare la teoria dell’antibiblioteca di Eco (dare più importanza a ciò che non conosciamo piuttosto che arroccarci nella supponenza di ciò che conosciamo, il problema è come conoscere ciò che non conosciamo, se, appunto, non sappiamo di doverlo conoscere?), i saggi di Montaigne, Russel e Poincaré, tutti filosofi che hanno anticipato e contribuito alle teorie del cigno nero.

In molti tra coloro che hanno letto questo saggio, lo hanno trovato nichilista e immobilista (oltreché noioso e antipatico per l’arroganza dello scrittore, che, va detto, non fa nulla per smentire l’impressione di tirarsela parecchio come antiaccademico e distruttore di schemi precostituiti): se infatti il futuro è imprevedibile e qualunque cosa facciamo, un cigno nero, in positivo o in negativo, potrebbe stravolgere i nostri piani, ha senso fare qualsiasi cosa? Ecco, io invece l’ho trovato un meraviglioso invito a rompere gli schemi, ampliare le nostre conoscenze, osare, cambiare, pensare lateralmente, usare tutti i mezzi a nostra disposizione per potere anche solo intravvedere la piuma dell’ala di un cigno nero profilarsi all’orizzonte. Perché se le regole del gioco le facciamo noi, è più difficile perdere. Perché alla fine, noi stessi, con la nostra unicità e imprevedibilità, con il nostro essere prodotto di una storia fatta di cigni neri, siamo noi stessi cigni neri.

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Lezioni americane

24 Giugno 2019 , Scritto da Costantino Delfo Con tag #costantino delfo, #racconto

Disegno di Costantino Delfo

Disegno di Costantino Delfo

 

 

Alcuni anni fa avevo venti anni e fui ospite nella casa di un amico di mio padre, a Seattle, nello stato di Washington. Ogni sabato sera comparivano amici di Mark e Helen, sua moglie.

Dopo i convenevoli, i sessi si separavano. Ciascun gruppo maschile o femminile, solitamente formato da sei o sette persone, si appartava in uno dei salotti della grande villa. Erano quattro i salotti dai vari colori e io, quella sera, stavo nel rosa con uomini dai pochi capelli. Le donne erano nell’altro salotto con Helen. Erano stati Mark e Helen a promuovere questi incontri in cui si parlava di tutto: arredamento, politica, moda, musica...

Gli incontri erano registrati, lo seppi dopo. Mark è uno scrittore e insieme a Helen avevano organizzato questi incontri serali da cui Mark avrebbe tratto ispirazione per il suo nuovo romanzo. Sarebbe stato un altro bestseller.

Quella sera, nel salotto rosa, eravamo in sei, seduti su divani e poltrone, ciascuno con il suo bicchiere di whisky. L’argomento della serata era: il sesso e la donna.

«Sex now!» esordì Mark. La risata corale mi stordì.

«John, comincia tu!» disse ancora.

John Harlowe era un prete con il collarino, dal volto smunto, bianco pallido, ma i radi capelli erano di un rosso fulvo a cui tutto il suo viso si uniformò, quando John lo incitò a parlare. 

“Irlandese” pensai.

«Bene, (gli anglosassoni cominciano sempre così i loro discorsi) non ne so molto. Tutti risero ma lui continuò: «Per me le donne sono il diavolo tentatore. Dio le punì per avere mangiato la mela. Full stop». 

Seguì un’altra fragorosa risata e molti dissentirono col capo.

«Arnold?» disse Mark, chiedendo l’opinione all’uomo seduto accanto a me sul divano. Arnold Buckner era grasso, occupava due delle quattro piazze del divano rosa, ma era di un grasso fresco in quella torrida estate, forse per via dell’aria condizionata. La pelle rosea del suo viso era glabra come quella di un neonato ed emanava un buon profumo di lavanda, pungente al punto giusto. Un profumo di gelsomino con un pizzico di peperoncino, che credo gli venisse dalla lozione dopo barba che usava. Era rigorosamente pelato e dava l’impressione di un pascià o di un eunuco.

«Sono belle, sono belle» sentenziò con una voce argentea, l’eunuco.

«Levin?»

Levin era assorto, ma si risvegliò al richiamo di Mark. Portava una papalina nera sul cocuzzolo che gli copriva in parte la pelata. Le folte basette che si congiungevano in una barbetta caprina, confondevano la sua calvizie. “Ebreo.” pensai.

Levin alzò il capo e la sua espressione dolente fu una certezza: naso adunco, occhi socchiusi, labbra fini.

«Ne ho un vago ricordo,» esordì, «ma è chiaramente scritto.»

Si alzò in piedi e iniziò a recitare con gli occhi spenti e con un ritmico dondolare la testa e il busto. Stava pregando: «Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me: Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione. Parola di Dio».

Rimasi stupefatto dalla sua teatralità e, del resto, rimasi stupefatto da tutte le sue parole e, dopo tutti quei discorsi sulla prostituzione della donna, alla fine anche io fremevo per dire la mia.

«A me piacciono le tette grosse» dissi e atteggiai le mani in una mimica indicativa. Nessuno rise, alcuni sorrisero, ma di quel sorriso compassionevole che ne fa capire il lato dispregiativo.

«Tu Johan?»

«Sììì,» rispose Johan, «ma gli uomini sono uomini.»

Così disse con una mossetta.

“Chiaramente gay” pensai.

Mark si alzò. «Cari amici, grazie per essere intervenuti a questa piacevole serata.»

Finì lì. Dopo i saluti notai Mark che sussurrava all’orecchio di una bionda vistosa, poi mi si avvicinò e mi chiese se potevo accompagnarla a casa. 

«Certo, sì» risposi.

Durante il tragitto, le raccontai della mia figuraccia durante la riunione, così, per farla ridere un poco. Non rise, né disse nulla, solo qualche: Yeah o Aye. Quando arrivammo mi invitò a salire: «Would you like a drink?» mi chiese. Come avrei potuto rifiutare. Era pur sempre una donna: alta, bionda, ben fatta, sui quaranta, le cui forme esuberanti ricordavano un aspetto giunonico ma non era brutta, solo un po’ rotonda, però a guardarla bene, aveva più dei quarant’anni che le avevo assegnato e somigliava un po’ a mia madre, da giovane. Ma aveva una bella facciona simpatica e delle tette semplicemente stupende. Arrivati in casa, mi disse di chiamarsi Jane e di accomodarmi e servirmi pure, indicandomi il carrello dei liquori, lei sarebbe tornata subito. Mi versai un bourbon e mi sedetti sul divano, sorseggiando il whisky. Arrivò e, senza una parola, ritta in piedi in mezzo alla stanza, gettò la parrucca bionda e si tolse il vestito. Sotto era nuda, senza un pelo o capello; con i ballonzolanti, grossi seni e le cosce più che piene. 

«Allora? Come è andata ieri sera?» mi chiese Mark, a colazione. 

«Be… huh, auh, …ne» risposi, m’era andata di traverso, la pancetta. 

«Jane è una cara amica da molto tempo,» continuò, «cara e brava, solo trecento…» disse. «Non preoccuparti, è stato il mio regalo per il suo compleanno. Ieri ne faceva sessanta, il tempo passa.»

 

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UN ARTISTA PER NATURA: "KI"

21 Giugno 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #arte, #pittura, #interviste

UN ARTISTA PER NATURA: "KI"UN ARTISTA PER NATURA: "KI"
UN ARTISTA PER NATURA: "KI"UN ARTISTA PER NATURA: "KI"

 

 

 

Amici lettori, per voi che già conoscete le mie scommesse artistiche, oggi voglio parlarvi di questa mia nuova, vi presenterò un artista speciale, un giovane emergente, al quale la natura, se da un lato con lui è 

stata "bizzarra", per un altro verso ha regalato una dote innata. Di Ki vi parlerò? Il nome di questo artista è Camillo Iannacone, in arte "Ki".

Il linguaggio espressivo di Ki, si manifesta con naturalezza attraverso il disegno, le sue opere sono spontanee e piene di colori. 

Esente da condizionamenti, il nostro giovane artista è libero di spaziare con la fantasia, quello che vede e sente intorno a sé lo rappresenta con una grafia dinamicamente espressiva, i tratti sono astratti ma rapidi e decisi, inoltre Ki sa ben equilibrare i colori, badate, è una caratteristica che appare facile, ma in realtà anche molti artisti consolidati, a volte non riescono ad abbinare le tonalità. Si arriva all'optimum cromatico grazie al lavoro, al mestiere, ma sopratutto per doti naturali delle quali Kì è ben dotato. La brillantezza nell'insieme è impregnata di fantasia, giochi di colore per un dialogo spontaneo. Come vi dicevo, con lui la natura, o il destino, poteva essere più giusto, ma ora io voglio solo vederlo e farvelo conoscere come un artista che ha davanti a sé, per la sua felicità e per quella dell'osservatore, tanti anni di lavoro creativo.

L'abito non fa il monaco e l'interiorità di Ki è grande, da lui non viene espressa attraverso il verbo. Come per magia, mediante semplici strumenti, produce un linguaggio, il suo personale linguaggio, e sicuramente, continuando a lavorare, imparerà altre tecniche e relativi nuovi supporti. Ha già sperimentato in passato l'utilizzo di tessuti e della fotocamera, la sua fantasia è enorme e inesauribile, Ki è molto giovane e per me diventerà un bravo artista, lo aspettiamo alla sua prima mostra, siete tutti invitati, si astenga chi vede solo in bianco e nero, la vita di Ki è tutta a colori.

 

Quattro chiacchiere con Giobbe Iannacone. Giobbe Iannacone, papà di Camillo, in arte Ki, è un bravo architetto e appassionato di jazz, gli ho proposto alcune domande per presentarci in una maniera più personale suo figlio.

 

Giò, puoi raccontarci la prima volta che hai capito e compreso che tuo figlio era dotato, scusa il gioco di parole, di doti artistiche?

- Da sempre, Camillo, in quanto autistico, ed avendo difficoltà nella comunicazione verbale, ha sopperito a questo deficit con la comunicazione grafica... lui parla per immagini.

 

Camillo che studi ha praticato?

- Ha ultimato quest'anno il liceo artistico.

 

Come è stata la tua esperienza di fare arte, fianco a fianco con tuo figlio?

- Io non sono un artista, Camillo lo è, probabilmente è lui che ha insegnato qualcosa a me, io da genitore ho avuto solo il piacere di vederlo lavorare serenamente e di saperlo felice con le sue forme e i suoi colori.

 

Puoi descriverci le sue emozioni quando disegna?

- Si rilassa.

 

Lo hai visto migliorato da quando ha iniziato a disegnare?

- Quando disegna o dipinge è sereno, può passare una intera giornata davanti ai fogli di carta e ai suoi pennini senza mai perdere la concentrazione.

 

Perché il nome d'arte "Ki"?

 

- Sono le iniziali di Camillo Iannacone, la "C" è diventata "K" per pronunciare l'acronimo in maniera grave, come dire "Chi?...""Chi è?"..."Cosa fa?" Come a lasciare intendere un sapore enigmatico all'acronimo.

 

Quale artista del passato lo ha maggiormente interessato?

- Non ha un interesse particolare per un artista specifico e non si ispira a questo o a quell'altro, Camillo è originale.

 

La mostra che avete visitato insieme e che lo ha maggiormente colpito?

- Siamo stati a Città di Castello a visitare il museo di Alberto Burri, presso gli ex seccatoi del tabacco. Frequentiamo spesso spazi espositivi come il Maxi, Gnam, musei Vaticani, musei Capitolini, Palazzo Massimo. Inoltre, anche presso altri siti culturali, nella città di Roma, ci rechiamo sovente a visitare varie mostre temporanee. Camillo ama farsi fotografare con, alle spalle, un'opera famosa.

 

Camillo ha cercato da solo l'arte oppure è l'arte che ha cercato lui?

- La nonna materna è una pittrice ritrattista e neo impressionista, fa parte del gruppo storico dei 100 artisti di via Margutta, Camillo è stato da sempre immerso e circondato da pareti ricoperte di pitture e opere artistiche. In un certo senso è stata un'attrazione e un amore reciproco.

 

Per la realizzazione delle sue opere che tecnica predilige?

- Pennini a colori su cartoncino ma in futuro sicuramente proverà anche altre tecniche artistiche.

 

Puoi dirci le sue qualità umane e artistiche?

-E' un bravo ragazzo che ama disegnare e dipingere.

 

Giobbe, ci avvertirai quando Ki parteciperà con le sue opere a qualche mostra? Ci piacerebbe essere il suo portafortuna.

- Vi ringrazio, sarà un grande piacere informarvi.

 

Molto bene, amici lettori della signoradeifiltri, tutti noi auguriamo a Ki di continuare a divertirsi e a percorrere la strada dell'arte con successo. Vi aspettiamo al nostro prossimo appuntamento, di sicuro sarà ancora a colori.

 

 

 

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Leggermente sovversivi o semplicemente strani libri che fanno a gara per la mia attenzione sul mio tavolino da notte

20 Giugno 2019 , Scritto da Guido Mina di Sospiro Con tag #guido mina di sospiro, #recensioni, #poli patrizia

 

 

 

 

Leggermente sovversivi o semplicemente strani libri che fanno a gara per la mia attenzione sul mio tavolino da notte

 

di Guido Mina di Sospiro

Pubblicato su New English Review, tradotto dall’originale inglese da Patrizia Poli

 

Milioni di persone prendono quotidiane dosi di vitamine e integratori (chi potrebbe fare a meno, tra gli altri, delle bacche di Acai o della polvere Reishi?). Io prendo alte dosi di terapia anti-banalità più spesso possibile, il che include anche di notte. Sul mio comodino ci sono due pile di libri, tomi che fanno a gara per la mia attenzione, e che leggo a spizzichi. La maggior parte, se non tutti, provengono da librerie dell’usato che tendo a sovvenzionare, siccome in quelle “normali” la propaganda conformista è così inevitabile che esse ne sono diventate uno dei veicoli ufficiali.

Può darsi che una selezione dei libri che ho attualmente sul comodino catturi anche il vostro  interesse. Senza un ordine particolare:

El horror de Dunwich (L’orrore di Dunwich), by H.P. Lovecraft.

Considerato al centro dell’universo dei miti Cthulhu, questo racconto è simile ad altri di Lovecraft per quanto riguarda la reazione che provoca nel lettore: si passa da “Ma, è mostruoso?  a “Sì, è  mostruoso!” fino a “Mio Dio, è tremendamente mostruoso!”. In aggiunta, la sua prosa è indigesta: così manierata che sembra una parodia. La grazia salvifica arriva quando Lovecraft è tradotto in una lingua romanza. Ho letto Lovecraft tradotto in italiano e in castigliano, com’è avvenuto con questo particolare libro, e la sua prosa diventa più elegante e meno pesante semplicemente perché le lingue romanze aprono più parentesi e reggono meglio periodi lunghi. Ho comprato El horror de Dunwich in Urueña, la Villa del Libro, o città del libro, in Castilla y Lèon, nella Spagna centrale. Lì ci sono più librerie che bar. Posta sulla sommità di una collina, circondata da antiche mura fortificate, è un luogo in cui qualsiasi bibliofilo vorrebbe perdersi. Con la prosa di Lovecraft resa più leggibile dal fatto di essere stata tradotta in una lingua romanza, posso capire perché egli sia diventato parte dell’attuale credenza in antichi alieni e nella manipolazione preistorica dell’umanità; a tal punto che è considerato un involontario chiaroveggente.

I fiumi scendevano a Oriente, di Leonard Clark.

Ah, i bei vecchi tempi quando un esploratore esplorava… l’inesplorato. Oggi che non è rimasto più niente da esplorare, i diari di viaggio avventurosi si sono trasformati in cronache d’imprese bizzarre, come, ad esempio, scalare l’Everest volgendo le spalle alla sommità, senza ossigeno e per giunta bendati. “A oriente delle Ande Peruviane”, recita la quarta di copertina, “c’è la vasta foresta pluviale del Gran Pajonal, impreziosita da fiumi cristallini e abitata da selvaggi per i quali la tortura e la morte sono cose di tutti i giorni”. Davvero? Allora devo leggere, l’editore deve aver supposto che i lettori pensassero. E a quel tempo lo fecero. Pubblicato nel 1953, riporta avventure datate 1949 che sono, per gli standard attuali, incredibili. Certi passaggi, come il seguente, sono comici nel loro candore. “È accertato che prima della scoperta dell’America e degli antichi Inca, la sifilide era sconosciuta in Europa. Uno scienziato di Lima ha estratto - dalle tombe degli Inca precolombiani - le ossa di persone sifilitiche, dovute, secondo lui, al fatto che gli Indiani andini lavoravano con i lama e avevano un antico istinto per la sodomia.  Molto probabilmente l’umanità deve questa maledizione a Pizarro e al lama andino. C’era una legge nazionale che proibiva a ogni maschio indiano di viaggiare con una mandria di lama per più di ventiquattro ore a meno che una donna non lo accompagnasse. E siccome tutte le donne disponibili facevano i turni nelle miniere, le carovane di lama furono bloccate per tempo indefinito.”

Back to God’s Country (Ritorno alla città di Dio) di James Oliver Curwood

Nella zona di Washington, le vendite BIG (Books for International Goodwill) sono imperdibili. Decine di migliaia di libri sugli scaffali, al prezzo di 3 dollari per quelli con la copertina rigida, 2 dollari per quelli in brossura, e 1 dollaro per i tascabili. Come funziona? “B.I.G raccoglie più di 1000 libri al giorno, la maggior parte dei quali vengono inviati in parti del mondo scarsamente fornite, per tenerli vivi e per aiutare la crescita dell’educazione e della cultura nelle nazioni in via di sviluppo. I libri non adatti alla spedizione vengono venduti ai residenti. I proventi delle vendite dei libri pagano le spese di spedizione oltreoceano verso comunità che si stanno costruendo le loro biblioteche.”  Sempre alla ricerca di libri vecchi, sebbene abbia imparato in questi ultimi gli anni che è più difficile rintracciarli, ho preso, tra gli altri, Back to God’s Country di Curwood, una raccolta di racconti su animali, umani e aspri elementi della natura nel Grande Nord, con la sua copertina originale, cosa rara per un libro pubblicato un secolo fa, insieme al quel sottile aroma di muffa che mi piace tanto, poiché compro i libri anche a seconda del loro aroma. A parte questo, ho pensato che Curwood fosse solo qualcuno che scopiazzava Jack London. Mi sono dovuto ricredere: sostenitore ante litteram dell’ambientalismo, fu uno degli autori più venduti negli anni venti, e almeno diciotto film sono stati ricavati dalle sue storie. Back to God’s Country (1919) fu il film muto di maggior successo della storia americana. Rappresenta, per inciso, una  delle prime scene di nudo della storia del cinema. Il personaggio principale del film fu stranamente cambiato: dall’alano a Dolores, una protagonista umana – cosa che dispiacque molto a  Curwood.

La voce delle pietre. Civiltà perdute di Robert M. Schoch

Ogni volta che mi trovo a Sedona, in Arizona, mi dirigo venti miglia più a sud verso Cottonwood, dove David Hatcher Childress, l’Indiana Jones della vita reale, ha una delle sue librerie Adventures Unlimited. Durante l’ultima visita ho quasi saccheggiato il posto. Fra le tante perle ho scovato Civiltà Perdute di Schoch. Non è facile farci cambiare la nostra opinione sulle origini della civiltà, ma Schoch gradualmente costruisce un percorso convincente. “Eresia!” Gridano all’unisono gli archeologi conformisti; ciò che irrita gli accademici è che questa non è l’opera di un ciarlatano ma di un collega accademico, dell’Università di Boston, con un PH.D dell’Università di Yale. “Dovrebbe ragionare diversamente!” è la critica che gli viene frequentemente mossa da colleghi meno arrabbiati ma ugualmente disapprovanti. Lo stesso, sebbene in altre branche della conoscenza, accade per Rupert Sheldrake, James Stevens Curl, Joscelyn Godwin e altri. Tali studiosi sono tutti visti come rinnegati. Ma, siccome la verità non si cura delle conventicole, delle consorterie, né delle nozioni ed idee preconcetti, tali attacchi da parte del mondo accademico devono essere interpretati soltanto come un buon segno.

La gran aventura del reino de Asturias: Asì empezò la Reconquista, by José Javier Esparza. (La grande avventura del regno delle Asturie: così iniziò la reconquista.)

A Cangas de Onìs, nelle Asturie, ho comprato questo libro del saggista e critico monocolo Esparza, il quale sta facendo una professione del revisionismo storico. Questo libro, in particolare, annuncia orgogliosamente sulla copertina di aver raggiunto l’ottava edizione, e forse più da allora (settembre 2016). Come molti altri imperi coloniali, la Spagna, dopo la fine del franchismo nel 1975, ha attraversato un periodo in cui si è sentita profondamente in colpa per il suo passato. A differenza del Regno Unito, tuttavia, si sta sviluppando una controtendenza, grazie alla quale la sua complessa e ricca storia viene rivalutata; alcuni spagnoli cominciano a sentirsi fieri della loro eredità. Le Asturie sono l’unica regione della Spagna che non è mai stata catturata dai Mori; la Riconquista, che è culminata otto secoli più tardi con l’espulsione dei Mori dalla penisola iberica, ha avuto inizio in quel reame remoto e montagnoso, capitanata da un regno visigoto. Ci è stato detto che i Mori hanno tenuto viva la cultura durante i secoli bui, mentre il resto dell’Europa era addormentato. In realtà, la cultura è risorta col rinascimento carolingio (dopo che Carlo Martello ebbe sconfitto l’esercito saraceno) ed è stata tenuta in vita da migliaia di monaci e frati, nei monasteri di tutto il continente, che trascrivevano antichi manoscritti, finché questi ultimi vennero riportati in auge nell’alto Medioevo, in Italia e altrove. I Mori produssero alcuni filosofi aristotelici dilettanti di seconda categoria e poco d’altro; mai musica o arte figurativa, ovviamente, perché erano entrambe proibite dal Corano. Qualcuno dirà che l’eredità architettonica che i Mori si sono lasciati dietro in Spagna è notevole, ma le chiese preromaniche in miniatura, che i primi re delle Asturie riuscirono a costruire attorno a Oviedo come segni di una Cristianità imperitura, sono toccanti, mentre così tante piazze e luoghi pubblici, edifici religiosi e universitari, palazzi e costruzioni sontuose che la Spagna ha prodotto nei secoli, mentre la Riconquista si spostava da nord a sud, sono spettacolari. Ciò che La gran aventura del reino de Asturias spiega nel dettaglio è come si sono comportati i Mori, in realtà come si comportano tutti i barbari invasori, saccheggiando, rapinando, uccidendo, dando fuoco e radendo al suolo tutto quello che incontravano sul loro cammino.

La lancia del destino, di Trevor Ravenscroft

Pubblicato per la prima volta nel 1973, La lancia del destino si riferisce alla lancia del centurione romano Longino che trapassò il fianco di Cristo sulla croce. Un giovane e squattrinato Hitler poté ammirarla nella camera del tesoro asburgico nella Hofburg, a Vienna (ci sono altre di queste lance in esposizione a Roma, a Echmiadzin, ad Antiochia e chissà qual è quella autentica, ammesso che ne esista una? Questa quisquilia non sembrava interessare al giovane Hitler). La lancia del destino è il primo ampio studio sulle origini occulte del nazismo. Il modus operandi nel produrre il libro sembrerebbe spurio: Ravenscroft, un seguace di Rudolf Steiner, disse di aver condotto la sua ricerca attraverso la meditazione mistica e rifacendosi agli scritti dell’antroposofista austriaco Walter Stein, affidatigli dalla vedova di quest’ultimo. L’iniziale pretesa dell’autore di aver incontrato Steiner fu in seguito modificata: aveva avuto contatti con lo spirito di Steiner attraverso un medium. Ma, caro lettore, sospendi l’incredulità: ciò che credo interessi di più è l’immagine che emerge dal libro, in cui l’avvento del nazismo sembra inevitabile: Wagner, Nietzsche, Houston Stewart Chamberlain, Karl Househofer e altri famosi pensatori furono tutti influenzati dalla Weltanschauung tedesca. L’avvento e l’ascesa di Hitler, se inseriti un contesto storico, sembrano, almeno col senno di poi, prevedibili. Inoltre, c’è l’intero aspetto occulto del macro-fenomeno, esaminato nei dettagli, che è ugualmente allarmante. Considerato che l’altra grande calamità, il comunismo, non è stato inventato dal niente da Marx ed Engels, ma ha avuto i suoi fondamenti nell’opera di Hegel e, prima di lui, in quella di Kant, e cioè è radicata nella più canonica tradizione filosofica tedesca, si giunge alla conclusione che la cultura germanica nel suo insieme, che sia di estrema destra e/o di estrema sinistra, ha regalato al mondo le sue due più tossiche e ferali ideologie.

Pedro de Alvarado: Conquistador de México y Guatemala, di Adrian Recinos. (Pedro de Alvarado: Conquistatore del Messico e del Guatemala).

Acquistato anni fa a Città del Guatemala, questo libro, pubblicato nel 1952, ha sonnecchiato sullo scaffale fino a che di recente non ho letto l’affascinante trilogia di Graham Hancock War God sulla conquista spagnola del Messico azteco. Mentre Hernan Cortes ci appare come la reincarnazione di Ulisse, il suo braccio destro Pedro de Alvarado è il ragazzaccio fra i conquistadores: bello, appariscente ma temibile, con i capelli biondi lunghi fino alla vita e un arsenale di spade, coltelli e  pistole sempre addosso, spietato almeno quanto inarrestabile. Dopo aver partecipato alla conquista di Cuba e del Messico, si avventurò in quella che oggi è l’America Centrale, conquistò anche la maggior parte di quella regione e fondò il Guatemala, di cui divenne governatore. Riportata alla mia attenzione dal dimenticatoio, ho trovato la biografia di Alvarado, scritta da Recinos, illuminante. Recinos fu politico, storico, saggista, diplomatico, studioso e traduttore di opere precolombiane. Fu un grande esperto della storia nazionale del Guatemala, non solo della civiltà Maya, ma anche dei popoli K’iche’ e Kaqchikel. La sua fu la prima edizione in castigliano del Popol Vuh, basata sulla sua traduzione. Sebbene fosse un criollo, cioè di pura discendenza spagnola, aveva una grande affinità con le popolazioni indigene del centro America. La sua biografia, perciò, non si legge come un’agiografia. Si direbbe che egli si senta combattuto: Pedro de Alvarado è stato il fondatore del Guatemala, ma…

Making Dystopia: The Strange Rise and Survival of Architectural Barbarism, by James Stevens Curl. (Creando la distopia: la strana ascesa e sopravvivenza della barbarie architettonica).

Questo recente libro è stato portato alla mia attenzione dal saggio Modern Architecture’s Disastrous Legacy, scritto da Stevens Curl stesso, e pubblicato sul numero di gennaio di NER. Il suo tomo di 551 pagine dovrebbe figurare orgogliosamente accanto a De architectura (Sull’architettura, o Dieci libri sull’architettura) dell’antico architetto e ingegnere romano Marco Vitruvio Pollio, dedicato al suo mecenate, l’imperatore Cesare Augusto, e I quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio (1508-1580).

Making Dystopia di Stevens Curl risponde adeguatamente alla domanda: Che cosa diavolo è successo da allora? Quando si viaggia in Estonia, fra tante altre nazioni, le guide sono pronte a mettere in evidenza varie mostruosità architettoniche ascrivendole ai sovietici. Vero ma, dov’erano, ad esempio, in New Jersey i sovietici? Nonostante la loro assenza, anche là c’è una quantità di orrori brutalisti. Alcuni recensori del libro di Stevens Curl lo hanno stroncato ferocemente: provenendo dal conformismo, da rappresentanti (indottrinati) delle élite che hanno decorato il mondo con una architettura così aberrante, ciò conferma quanto questo libro sia importante, di valore, per non dire profondamente informato.

Tahiti-Nui: By raft from Tahiti to Chile, (Tahiti Nui, in zattera da Tahiti al Cile) by Eric de Bisschop.

Ho trovato questo libro, pubblicato nel 1959, qualche anno fa nella deliziosa libreria Scarthin Books, a Cromford, nel Derbyshire, in Inghilterra. Da un estratto della copertina: “Quando Heyerdahl e i suoi compagni fecero il famoso viaggio sul Kon-Tiki a sostegno della loro teoria che la Polinesia era stata scoperta e colonizzata da genti provenienti dal Sudamerica, de Bisschop decise di confutare questa teoria facendo un viaggio in zattera nella direzione opposta. Con quattro compagni più giovani costruì Tahiti Nui (trattino omesso, G.M.d.S.) a Papeete e, all’età di sessantacinque anni, e contro l’avviso di tutti gli esperti, partì per il periglioso viaggio verso il Cile.” Un’azione spettacolare? Invidia per il successo mondiale ottenuto dalla spedizione del Kon- Tiki? È difficile dirlo leggendo questo libro. De Bisschop era un marinaio devoto e di grande esperienza, completamente francese e gesuita per giunta. Il cocktail di hybris francese/gesuitica è una sorta d’inaspettata delizia, specialmente nei primi capitoli, che sono più teorici, prima della traversata vera e propria. E come andò? Per non rivelarvi il seguito, vi dirò solo che alla fine fu costruito un secondo Tahiti-Nui…

E poi c’è l’altra pila di libri sul mio sovraffollato comodino. Borges aveva ragione quando diceva: “Non posso dormire se non sono circondato dai libri”.

 

Millions take daily doses of vitamins and sundry supplements (who could do without, among others, Acai berries and Reishi powder?). I take doses of mainstream-avoidance therapy as often as I can, which means also at night. There are two big piles of books on my nightstand, tomes that vie for my attention and that I read in dribs and drabs. Most, though not all, come from second-hand bookshops, which I tend to patronize since in the “normal” ones the mainstream propaganda is so inescapable, they have become one of its official vehicles.

 

A selection of the books currently on my nightstand may catch your fancy, too. In no particular order:

 

El horror de Dunwich (The Dunwich Horror), by H.P. Lovecraft.

Considered to be at the core of the fictional universe of the Cthulhu Mythos, this short story seems like Lovecraft’s every story as far as the reaction they provoke in the reader: from, “Is this monstrous?” to, “It is monstrous!” to, finally, “My God, it is inconceivably monstrous!” In addition to that, his prose is indigestible: so very mannered that sometimes it comes off as a parody. The saving grace comes when Lovecraft’s work is translated into a Romance language. I’ve read Lovecraft in Italian and in Castilian, as with this particular book, and his prose becomes more elegant and less heavy simply because Romance languages are more parenthetical and better support long-winded periods. I bought El horror de Dunwich in Urueña, la Villa del Libro, or Bookville, in Castilla y Léon, in central Spain. There are more bookshops in it than cafés. Situated on top of a hill, surrounded by ancient fortified walls, it’s a place in which any bibliophile likes to get lost. With Lovecraft’s prose restored to better readability thanks to its being translated into Romance languages, I can see why he has become part of the current belief in ancient aliens and the prehistoric manipulation of humanity; so much so, in fact, that he is perceived as an inadvertent clairvoyant.

 

The Rivers Ran East, by Leonard Clark.

Ah, the good old days in which an explorer did explore the . . . unexplored. Nowadays, with nothing left to explore, adventure travelogues have turned into chronicles of bizarre undertakings, such as, say, climbing Mount Everest with no oxygen, backwards, and blindfolded to boot. “East of the Peruvian Andes,” reads the book’s flap, “lies the vast rain-forest of the Gran Pajonal, laced with white-water rivers and inhabited by savages to whom torture and death are everyday matters.” Really? Well, I’d better read on, the publishers must have assumed readers would think. And, back then, they did. Published in 1953, the adventures in it date back to 1949 and are, by contemporary standards, incredible. Also refreshing-if-not-comical in their candor are passages such as the following one. “It has been established that prior to the discovery of America and the ancient Incas, syphilis was unknown in Europe. Nearby pre-Colombian Incan graves were at the moment producing—under the spades of a Lima scientist—the bones of syphilitics, due, he believed, to the Andean Indians’ working with llamas and the ancient instinct for sodomy. Very likely humanity owes this curse to Pizarro and the Andean llama. There was a national law which forbade any male Indian from traveling with a herd of llamas on a trip exceeding twenty-four hours, unless a woman went along. And since all available women were working shifts in the mines, the llama trains were stalled indefinitely.”

 

Read more in New English Review:

• Europe

• Letter from Berlin

• Libertarianism VS Postmodernism and Social Justice Ideology

 

Back to God’s Country, by James Oliver Curwood.

In the DC area, the BIG sales (Books for International Goodwill) are unmissable. Tens of thousands of books are on the shelves, priced at $3 for hardbacks, $2 for trade soft-bound, and $1 for pocket paperbacks. How does this work? “B.I.G. collects over 1,000 books per day most of which are sent to under-served parts of the world to keep these books alive and to assist in the growth of education and culture in developing countries. Books not suitable for these shipments are offered for sale to local residents. Proceeds from book sales pay for shipments of books overseas to communities building their local libraries.” Always on the lookout for oldish books, though I have noticed down the years that they are harder to come by, I picked up, among others, Curwood’s Back to God’s Country, a collection of short stories about animals, humans and harsh elements in the Great North, with its original cover, which is rare for a book published a century ago, as well as its slightly musty aroma, which I welcome, as I buy books also in accordance to their smell. Other than that, I thought Curwood might be just some hack ripping off Jack London. I stand corrected: an ante litteram advocate of environmentalism, he was one the best-selling authors of the 1920s, and at least eighteen films have been based on his stories. Back to God’s Country (1919) was the most successful silent film in Canadian history. It features, incidentally, one of the first nude scenes in cinema history. The protagonist of the film was oddly changed: from the Great Dane to Dolores, a human female lead—much to Curwood’s chagrin.

 

Forgotten Civilizations, by Robert. M. Schoch.

Whenever I find myself in Sedona, Arizona, I drive twenty miles south to Cottonwood, where David Hatcher Childress, the real-life Indiana Jones, has one of his Adventures Unlimited bookstores. During my latest visit I nearly sacked the place. Among many pearls is Schoch’s Forgotten Civilizations. Changing our understanding on the origins of civilization is no small achievement, but Schoch gradually builds up a convincing case. “Blasphemy!” mainstream archeologists scream in unison; what further irritates academe is that this is not the work of a charlatan, but of a fellow academician, from Boston University, with a Ph.D. from Yale University. “He ought to know better!” is a frequent criticism moved to him by less outraged but equally disapproving colleagues. The same, if in other branches of knowledge, happens to Rupert Sheldrake, James Stevens Curl, Joscelyn Godwin and others. Such scholars are all perceived as renegades. But, since the truth does not care about affiliations, cliques, preconceived notions and assumptions, such attacks by academe are only to be interpreted as a good sign.

 

La gran aventura del reino de Asturias: Asì empezò la Reconquista, by José Javier Esparza.

In Cangas de Onís, in Asturias, Northern Spain, I bought this book by the one-eyed essayist and cultural critic Esparza, who is making a career out of historical revisionism. This particular book proudly announces on its cover to have reached the eight edition, and probably more since then (September 2016). Like other former colonial empires, Spain, after the end of Francoism in 1975, has gone through a period of acute guilt feelings about its past. Unlike the United Kingdom, however, a countertrend has come into being, thanks to which Spain’s complex and rich history is being reevaluated; some Spaniards are beginning to find pride once more in their heritage. Asturias is the only region in Spain that was never captured by the Moors; the Re-conquest, which culminated eight centuries later with the expulsion of the Moors from the Iberian Peninsula, began in that remote and mountainous kingdom, led by Visigothic royalty. We have all been told that the Moors from Spain kept culture alive during the Dark Ages, when the rest of Europe was asleep at best. Actually, culture was revived by the Carolingian Renaissance (after Charles Martel defeated the Saracen army) and kept alive by thousands of monks and friars in monasteries all over the continent who transcribed ancient manuscripts, until the latter were restored to prominence in the High Middle Ages in Italy, and then elsewhere. The Moors produced numerous second-rate dabblers in Aristotelian philosophy, and not much else; never any music or figurative art, of course, as they were both forbidden by the Koran. Some will say that the architectural heritage the Moors left behind in Spain is noteworthy, but the pre-Romanesque miniature churches that the early kings of the Asturias managed to build around Oviedo as the first statements of undying Christianity are touching, while so many of the squares and public spaces, religious and university buildings, palaces and palatial houses that Spain created down the centuries as the Re-conquest moved from north to south are utterly stunning. What La gran aventura del reino de Asturias explains in detail is how the Moors behaved, in fact, as all invading barbarians do, by sacking, plundering, raping, murdering, and burning to the ground everything in their path.

 

The Spear of Destiny, by Trevor Ravenscroft.

First published in 1973, The Spear of Destiny refers to the spear of the Roman centurion Longinus that pierced the side of Christ on the cross. Young and penniless Hitler could admire such a spear in the Hapsburg Treasure House at the Hofburg Palace, in Vienna, Austria (there are other such lances, on display in Rome, Echmiadzin, Antioch, and who knows which is the authentic one, if any? Such a quibble did not seem to concern young Hitler). The Spear of Destiny is the first very extensive study of the occult origins of Nazism. The modus operandi in producing the book would seem spurious: Ravenscroft, a follower of Rudolf Steiner, claimed that he conducted his research through mystical meditation and by resorting to the writings of the Austrian anthroposophist Walter Stein, whose widow had entrusted them to Ravenscroft. The original claim by the writer to have met with Stein was later changed: he had had contacts with Stein’s spirit through a medium. But, dear reader, like me do suspend disbelief: what I think matters most is the picture that emerges from the book, one in which the advent of Nazism seems inevitable: Wagner, Nietzsche, Houston Stewart Chamberlain, Karl Haushofer and other prominent thinkers all deeply influenced the German Weltanschauung. The advent and rise of Hitler, put in historical context, seems, at least in hindsight, foreseeable. In addition to that, there is the whole occult aspect of the macro-phenomenon, dissected in great detail, that is equally disturbing. Considering that the other great calamity, Communism, was not invented by Marx and Engels out of the blue, but had its foundations in the work of Hegel and, before him, in that of Kant, and that is, it was rooted in the most canonical German philosophical tradition, one comes to the conclusion that German culture as a whole, be it from the extreme Right and/or from the extreme Left, has given the world its two most toxic and deadly ideologies.

 

Pedro de Alvarado: Conquistador de México y Guatemala, by Adrian Recinos.

Bought years ago in Guatemala City, this book, published in 1952, slumbered on a shelf until I recently read Graham Hancock’s riveting trilogy War God about the Spanish conquest of Aztec Mexico. While Hernán Cortés comes off as a reincarnation of Ulysses, his right arm Pedro de Alvarado was the most badass among the major conquistadores: handsome, flamboyant, but fearsome, with blond hair down to his waist and an arsenal of blades and pistols always on him, he was as ruthless as he was unstoppable. After participating in the conquest of Cuba and of Mexico, he ventured into what today is Central America, conquered most of that region, too, and founded Guatemala, of which he became governor. Restored to my attention from oblivion, I found Recinos’s biography of de Alvarado enlightening. Recinos was a politician, historian, essayist, diplomat, scholar and translator of pre-Columbian works. He was a great student of the national history of Guatemala, not only of the Maya civilization, but also of the K’iche’ and Kaqchikel people. His was the first edition in Castilian of the Popol Vuh, based on his own translation. Although he was a criollo, and that is, of pure Spanish descent, he had a great affinity for the indigenous people of Central America. His biography, therefore, does not read like a hagiography. One can tell that he is torn: Pedro de Alvarado is the founder of Guatemala, but...

 

Making Dystopia: The Strange Rise and Survival of Architectural Barbarism, by James Stevens Curl.

This recent book was brought to my attention by the essay Modern Architecture’s Disastrous Legacy, penned by Stevens Curl himself, and published in the January issue of NER. His 551-page tome should stand proudly beside De architectura (On architecture, or Ten Books on Architecture) by the ancient Roman architect and military engineer Marcus Vitruvius Pollio, dedicated to his patron the emperor Caesar Augustus, and I quattro libri dell’architettura (The Four Books of Architecture) by Andrea Palladio (1508–1580). Stevens Curl’s Making Dystopia adeptly answers the question, What the hell happened since? When one travels to Estonia, among other countries, guides are quick to point out various architectural monstrosities and blame them on the Soviets. Fair enough, but in, say, New Jersey, where were the Soviets? Despite their absence, there are plenty of brutalist horrors there, too. Some reviewers of Stevens Curl’s book have produced fiery hatchet jobs: coming from the mainstream, from (indoctrinated) representatives of the élites who have festooned the world with such aberrant architecture, these confirm how great and valuable, not to mention profoundly informed, this book is.

 

Tahiti-Nui: By raft from Tahiti to Chile, by Eric de Bisschop.

I found this book, published in 1959, a few years ago in the delightful Scarthin Books, in Cromford, Derbyshire, in England. Excerpting from its flap: “When Heyerdahl and his companions made the famous voyage in the Kon-Tiki to support their theory that Polynesia had been discovered and colonised from South America, de Bisschop determined to refute this claim by making a raft voyage in the opposite direction. With four younger companions he built Tahiti Nui [hyphen omitted, G.M.d.S] in Papeete and at the age of sixty-five, and against the advice of all the experts, set forth on the hazardous voyage to Chile.” A publicity stunt? Envy over the worldwide success won by the Kon-Tiki voyage? It is hard to tell by reading this book. De Bisschop was a committed and vastly experienced seafarer, thoroughly French, and a Jesuit to boot. The cocktail of French/Jesuitical hubris is an unannounced delight of sorts, especially in the early chapters, which are more theoretical, before the actual crossing. And how did that go? Not to spoil anything, I’ll just add that a second Tahiti-Nui would eventually be built...

 

And then there is the other pile of books on my overloaded nightstand. Borges had it right when he stated, “I cannot sleep unless I am surrounded by books.”

 

 

 

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Un colloquio con COUN-HA-CHEE della tribù dei Miccosukee

18 Giugno 2019 , Scritto da Guido Mina di Sospiro Con tag #guido mina di sospiro, #il mondo intorno a noi, #poli patrizia

 

 

 

 

Un colloquio con COUN-HA-CHEE della tribù dei Miccosukee

 

di Guido Mina di Sospiro

 

Pubblicato da New English Review, tradotto dall’originale inglese da Patrizia Poli

 

Sia durante la mia infanzia sia durante l’adolescenza ho letto innumerevoli libri – alcuni storici, la maggior parte di narrativa – sulla lotta “Pellerossa contro Uomo Bianco,” tifando sempre per il perdente designato, cioè il nativo americano. Nonostante ciò, qui negli Stati Uniti non avevo mai cercato di conoscere un nativo americano. C’è voluto il caporedattore di una rivista di viaggi italiana per farmelo fare. Quando vivevo a Miami, mi chiese il favore di scrivere un articolo sui Miccosukee, di origini Creek, che vivono nelle Everglades della Florida meridionale. Andai a incontrare il loro addetto alle pubbliche relazioni che, a sua volta, m’indirizzò al loro villaggio. Là, mi presentò vari membri della tribù, incluso un uomo umile e sereno, un promulgaore degli antichi costumi, o COUN-HA-CHEE, come specificò l’addetto alle pubbliche relazioni. Si scoprì che proveniva da una famiglia di guaritori, o uomini medicina, come lui stesso li definì. 

Nell’articolo che pubblicai sulla rivista menzionai COUN-HA-CHEE ma nessuna delle cose che mi aveva rivelato; non erano quelli i lettori giusti. Ma avevo registrato la nostra conversazione, e l’ho trascritta parola per parola.

Nel corso del nostro colloquio COUN-HA-CHEE parlava molto lentamente, scandendo ogni parola, sotto voce, a volte fin quasi a sussurrare. Il lettore, leggendo le mie domande a un ritmo normale, dovrebbe fare lo sforzo di leggere le sue risposte molto lentamente. Chiaramente, parlò come portavoce, con una voce non esclusivamente sua. È COUN-HA-CHEE stesso a usare la parola “indiano” al posto del politicamnte corretto “nativo americano”. Segue il colloquio, trascritto parola per parola (le mie domande sono in corsivo).

 

••••••••••••••••••••••

 

Gli indiani Miccosukee, e forse tutti gli indiani d’America, hanno sempre avuto storie sui bianchi. Ci è stato detto che quando sarebbero arrivati i bianchi, sarebbe stato il segnale dell’inizio della fine della Terra. E da parte nostra ci fu detto di riconoscere queste persone. Abbiamo, nel nostro vocabolario, una parola antica; e nel nostro vocabolario abbiamo due nomi che sono entrambi antichi e si riferiscono ai bianchi. La prima parola è AH-NAHT-KEE. AH-NAHT-KEE nella lingua Miccosukee si riferisce ai “non umani” – una forma di vita che somiglia all’umana ma non è umana. La seconda parola è YAHT-TAT-KEE. YAHT-TAT-KEE è un essere umano bianco.

 

Quindi la maggior parte dei bianchi è AH-NAHT-KEE?

 

Quando vediamo che la distruzione viene giustificata, ci riferiamo a essa come AH-NAHT-KEE. Ci riferiamo alla giustificazione della distruzione della natura come alla via dell’AH-NAHT-KEE. 
Vediamo persone che hanno uno stile di vita simile al vostro. Vediamo gente che ci avvicina, ci parla e fa domande sulla Antica Maniera; ci riferiamo a loro come YAHT-TAT-KEE. YAHT-TAT-KEE è un essere umano bianco. Sentiamo che l’Antica Maniera degli indiani è stata insegnata ai bambini di tutto il mondo, e per qualche motivo la maggior parte della gente nel mondo l’ha dimenticata. L’ha messa da parte per il bene del progresso. Forse è stato per raccogliere più cibo, forse i loro pensieri erano incentrati sul cibo, ma per qualche ragione hanno messo da parte gli insegnamenti. E quando hanno raggiunto la cima di ciò che stavano cercando, hanno dimenticato di portare con sé gli insegnamenti. Ma noi sentiamo che tutta la gente del mondo ha gli stessi insegnamenti degli indiani d’America; solo, non hanno deciso di seguirli.

 

Accecati dall’avidità?

 

Ci è stato mostrato il denaro. Il denaro non è mai esistito su questa Terra. Ci è stato fatto conoscere quando vennero gli spagnoli. Abbiamo combattuto contro gli spagnoli perché uccidevano la nostra gente. E non hanno potuto sconfiggere noi e la nostra Terra, così hanno fatto pace con noi. E ci hanno dato denaro, fucili, cavalli, mucche, e hanno contrattato per avere i prodotti naturali di questa Terra. Per avere zucchine, fagioli, zucche, pomodori, patate, patate dolci, grano – tutti i prodotti naturali di questa Terra. Era cibo mai visto dagli spagnoli. Ma serviva per sopravvivere qui. Non lo riconoscevano come cibo, glielo abbiamo fatto conoscere noi. Così ci hanno dato del denaro; non sapevamo cosa farcene; allora con le monete facemmo dei gioielli. Non era importante, e la nostra gente ancora ha questa mentalità, che il denaro è una cosa molto brutta. Ma oggi non solo gli indiani lo considerano una cosa brutta, sentiamo anche i bianchi definirlo “la radice di tutti i mali”. Così pensiamo che capiscano anche loro.

Ci viene detto che, se prendete l’esistenza di una persona e seguite il suo modo di fare e alla sua morte lo rendete un simbolo o ne fate qualcosa di cui il mondo non può fare a meno, allora state facendo una cosa molto brutta, state creando una malattia. Quando gli esseri umani muoiono non dovreste usare i loro spiriti al posto di Dio. Così la maggior parte del tempo che vedete gli indiani Miccosukee vedrete che portano con loro pochissimo denaro o non ne portano affatto. E gli indiani Miccosukee vi diranno che la ragione di ciò è che gli americani alla morte della loro gente hanno preso le loro facce e le hanno messe su questo pezzo di carta; e il pezzo di carta ha preso il posto della religione e del modo di vivere. Un pezzo di carta con una figura per la quale sarebbero pronti a ucciderti, e per il quale sarebbero tutti pronti a morire.

Così vedrete che gli Indiani Miccosukee portano poco denaro o non lo portano affatto, perché noi pensiamo che sia come portare lo spettro di una persona e un idolo.

 

E dove va lo spirito quando un uomo muore?

 

Ci hanno chiesto molte volte verso dove crede l’indiano d’America che lo spirito degli esseri umani viaggi. Quando diciamo che crediamo che ci sia un posto come il paradiso, di cui loro stessi parlano, ci chiedono “dove pensate che sia?” Noi diciamo che il paradiso non è oltre l’azzurro, quando guardi in alto. Il paradiso è lontano solo quanto l’aria che respiri; che l’aria che rende possibile la vita è la sola cosa che nasconde il paradiso dagli occhi degli esseri umani; che l’aria che respiriamo, se sarà  aperta, ti mostrerà il paradiso. Il paradiso si nasconde da noi. Ci viene detto che un giorno la sostanza dell’aria, quelle particelle che formano l’aria, si apriranno, si divideranno. E quando si apriranno, vedrai il paradiso, e potrai passare di là.

Così, per questo motivo, gli indiani d’America sono sempre molto attenti a quel che dicono e a quel che fanno. L’Antica Maniera che ha insegnato loro a considerare sacra la vita è perché si rendono conto che Dio non è lontano un miliardo di anni luce, ma è proprio qui, e solo l’aria lo nasconde. Così, se puoi toccare l’aria, stai toccando la sostanza stessa che nasconde Dio.

 

Esiste un qualche mezzo per raggiungere questo aldilà senza lasciare il vostro corpo, senza morire?

 

Ci viene detto che c’è il viaggio, ma questo dono viene condiviso solo con coloro che hanno già attraversato. Se muori, e passi attraverso l’aria che nasconde il paradiso, scoprirai che l’aria stessa è un’oscurità; dovrai passare attraverso questa oscurità. Ma passando attraverso questa oscurità verso l’altra parte, se decidi, quando sei con Dio, che vuoi tornare dai tuoi parenti… è possibile. È un dono. Così puoi riattraversare e far visita ai tuoi. Ma la nostra gente, gli indiani americani pensano che questo dono non è riconosciuto solo dagli indiani americani, ma da tutta la gente del mondo. Solo che non lo vedono come un dono; lo vedono come qualcosa di innaturale. Si parla tanto di fantasmi, “ci deve essere un fantasma in casa”, o, “è un fantasma a fare questo rumore”, ma lo si vede come qualcosa di innaturale. Noi non lo vediamo come qualcosa di innaturale – lo vediamo come un dono.  

 

E, per quanto ne sapete, può accadere qualcosa del genere mentre la persona è ancora viva? Essere in grado di raggiungere questo aldilà? Attraversare queste particelle d’aria e poi tornare indietro? Qualcosa come uno stato alterato? Allucinogeni, droghe speciali preparate dall’uomo medicina?

 

Non ci viene insegnato molto di come si può vedere l’altra dimensione, ma ci viene detto che si possono vedere coloro che ci hanno lasciato. E c’è un modo per vedere. Ma per vedere dovrai usare un animale. Ma è una cosa brutta prendere un’esistenza solo per soddisfare la tua curiosità su com’è dall’altra parte. Ma ci viene insegnato come farlo, e abbiamo bisogno di un animale per farlo, e non sacrifichiamo l’animale – l’animale deve essere vivo. E prenderemo qualcosa dall’animale mentre è ancora vivo e lo useremo, e questo rende possibile vedere.

 

È una cosa solo per sciamani o per chiunque?

 

 Chiunque. Chiunque può farlo.

 

Non avete bisogno di un addestramento speciale o di una certa condizione mentale?

 

Noi pensiamo che sia qualcosa che nessuno proverà a fare.

 

Lei lo ha fatto?

 

Non lo farei.

 

Come fate a sapere che c’è?

 

La cultura viene insegnata alla nostra gente attraverso l’esperienza personale. Da parte mia, non ne avevo bisogno.

Durante un incidente che ho avuto in passato sono riuscito ad “attraversare”. Mi ritrovai impossibilitato a parlare per via di un incidente, impossibilitato ad alzarmi da terra. E vidi della gente attorniarmi e cercare di sollevarmi e all’inizio li sentivo parlare, “Stai bene? Ti puoi alzare?”. Ma poi non riuscivo più a sentire le loro voci, potevo solo vedere i movimenti delle loro labbra. Ricaddi sul terreno, rimasi disteso mentre le persone stavano intorno a me. Guardai verso una piccola luce che lampeggiava sullo sfondo, e questo puntino luminoso lampeggiava, e tenni i miei occhi fissi su di esso e sembrò crescere. Mentre lo osservavo, crebbe sempre di più e molto presto questo puntino crebbe fino ad essere grande come il sole. E io pensavo, “Ci sono due soli!”. E quest’altra luce, questo sole, divenne così grande che non potevo vederne la fine. Dalla luce che copriva il cielo azzurro guardai a sinistra e non potevo vedere la fine di quella luce; guardai a destra, non potevo vedere la fine di quella luce. E mentre guardavo direttamente dentro la luce, sembrava che questa luce gigantesca stesse per schiantarsi sulla terra e distruggere tutto ciò che vive. Il pensiero che mi venne mentre guardavo questa cosa fu l’impatto con la terra. Chiusi gli occhi e mentre lo facevo sentii che la luce scorreva prepotentemente nel mio corpo. Al momento in cui percorse il mio corpo, spinse i miei capelli sul terreno, e sentii che i miei capelli ondeggiavano con forza nell’aria. Mescolò i miei capelli alla terra.

A quel punto provai una sensazione di calma e aprii gli occhi. Mi ritrovai a galleggiare sopra il mio corpo mentre una folla vi era radunata attorno. Lo guardai e pensai fra me e me, “Ci sono due persone come me – sono quassù in aria e c’è un altro me sul terreno…”. A quel punto, il mio corpo girò su se stesso e mi diressi verso dove il sole tramonta. Mentre il mio corpo viaggiava attraverso l’oscurità, questa oscurità finalmente si trasformò in luce.

Quando arrivai dentro la luce, trovai un luogo dove la terra era liscia ma non piatta, e coperta dalla luce che abbiamo anche noi qui, ma più bella. E dovunque guardassi vedevo gente – che sorrideva e camminava. Così quella gente mi  guardava e mi indicava, e io pensavo, “Devo trovarmi giù dove sono quelle persone, là è dove appartengo. E avevo l’impressione che non sarei mai stato con loro, che sarei rimasto in aria per sempre. Quelli giù continuavano a indicarmi e a guardarmi, - e all’improvviso mi sentii prendere per i piedi e trascinare indietro. 

Tornai indietro nell’oscurità e aprii gli occhi una seconda volta. Ero in una infermeria, coperto di ghiaccio, e un infermiere mi disse: “È tornato! Pensavamo di averla persa!” Quel giorno mi resi conto che in questa vita c’è più che il semplice camminare su questa Terra, che c’è uno scopo se siamo qui. Non dimenticherò mai quelle immagini, e quando ne parlano, ricordo ogni secondo. C’è un modo per passare di là. E gli indiani Miccosukee possono vedere, ma non attraversare, ma possiamo vedere.

 

(Seguì una lunga pausa. Queste ultime parole furono sussurrate, ognuna molto distanziata dalla precedente e da quella seguente.) 

 

Ha altre domande…? (A quel punto la mia mente non stava formulando altre domande…, né lo faceva la mia bocca.)

 

Stavo riflettendo, ritornando ad un livello più mondano, sul bel racconto che mi ha fatto, prima che iniziassi a registrare, sul ragazzo che va a caccia – una, due, tre, quattro volte, e finalmente ha il permesso di condividere il cibo, perché a quel punto ha imparato che sta cacciando per il clan, per la famiglia, non per se stesso. Così il fatto che anche lui possa mangiare la sua preda giunge come una sorpresa. Questo è il primo 4. Poi c’è l’altro 4 – i quattro elementi che ha menzionato, i quattro ceppi nel fuoco, a partire dalla Madre Terra, orientati verso il sorgere del sole, e poi, in senso antiorario, le Piante, gli Animali e finalmente noi, gli esseri umani. E poi ci sono i quattro colori, che sono i quattro colori della razza umana, non mescolati, cioè…

 

Anche i quattro colori sacri sono connessi con le quattro direzioni – est, nord, ovest e sud. Questi quattro colori giocano un ruolo importante nelle cerimonie di guarigione. Noi pensiamo che questi quattro colori sono quelli che abbiamo sempre usato durante tutta l’esistenza del nostro popolo. Oggi ci rendiamo conto che ciò che ci è sempre stato insegnato erano i colori più sacri – perché devono essere usati per guarire – e sono i colori degli esseri umani. 

 

Si deve essere chiesto perché il quattro è un numero magico?

 

Vedete che i numeri più usati dagli indiani Miccosukee sono il due e il quattro. Quando andiamo a caccia di cibo, usciamo sempre in due; quando diamo vita ad una danza per una cerimonia religiosa, ci sono due danze; quando facciamo le cerimonie di guarigione, usiamo quattro elementi. In ogni rituale di guarigione bisogna seguire uno specifico periodo di digiuno e viene fuori il quattro.

Noi abbiamo sempre avuto uno stile di vita molto semplice, e a noi non sembra misterioso. Questo modo di vita, ci viene detto, deve essere seguito; e se non lo segui, ci viene detto che  che il viaggio verso l’altra dimensione sarà pieno di punizioni.

Noi sentiamo dire dalla gente di fuori che c’è un paradiso e che c’è un inferno. E ci dicono che la religione che è venuta su questa Terra dall’altra parte dell’oceano parlava di diecimila anni. Noi non capiamo questo insegnamento. Ma se è un insegnamento dove gli esseri umani credono in Dio, allora lo accettiamo.

Noi crediamo che l’insegnamento sia un dono, che debba essere trattato come un dono – bisogna averne cura e apprezzarlo come un dono. Così, per gli indiani Miccosukee, la religione della nostra gente è rimasta intatta; è curata; è protetta.

Noi sappiamo che ci sono modi in cui l’uomo esiste senza andare mai contro natura. Capiamo che c’è un delicato equilibrio. Questo equilibrio delicato è delicato solo per l’uomo. E capiamo che, se sovvertiamo il delicato equilibrio, facciamo del male a noi stessi e non alla vita. E perciò ci viene insegnato a trattare la nostra vita con grande rispetto. Quando prendi la vita di un animale, lo tratti con grande rispetto. Onori il dono della vita che ti è stato elargito. E ci viene detto che l’animale si dona a te. E quando gli indiani Miccosukee vanno a caccia, essi cantano una canzone. La notte prima della caccia parlano di quale animale cercare. E quando vanno in cerca di quell’animale, se incontrano un altro animale, non lo uccidono, perché la notte prima non hanno parlato di quell’animale. Se quell’animale decide di donarsi agli Indiani Miccosukee, apparirà. Ti guarderà. E si preparerà a morire. Se l’animale non si dona a te, allora sulla via di casa un altro animale vede  il tuo percorso e riconosce che sei in cerca di cibo, e si dona a te.

La nostra gente ha un modo di preparare l’animale. Non tutti gli animali possono essere mangiati da un uomo o da una donna. La donna non può mangiare certe parti di un animale. Solo gli uomini Miccosukee. Certe parti dell’animale non possono essere mangiate né dall’uomo né dalla donna. Ci viene insegnato a donarle come offerta a Dio.

La nostra gente segue ancora questa Antica Maniera.

Lei è venuto in un luogo dove la gente ancora nasconde molte cose al mondo esterno. Il mondo esterno non è pronto a sapere molte delle cose che noi conosciamo. Noi possiamo offrire loro queste cose come doni, ma loro li distruggeranno. Così gli Indiani d’America possiedono molte cose che possono aiutare l’umanità. Ma l’umanità non è ancora pronta.

503 anni fa giunsero i  vostri antenati. Ci spararono, ma non si ricordarono di noi. E oggi si comportano ancora in quel modo. Quando dimostreranno di essere umani, gli Indiani d’America doneranno loro tutti i segreti. Non oggi.

La nostra gente conosce storie che si avverano. Ci sediamo e vediamo avverarsi le profezie, e ci chiediamo che cosa possiamo dire al mondo da poterlo risvegliare. E ci ritroviamo seduti a veder passare le profezie senza dire niente al mondo. Vediamo che le profezie sono state messe in moto e dipende da noi quando verrà la fine. Conosciamo l’inizio e conosciamo la fine. E sappiamo che dipende dall’uomo.

 

Il calendario Maia finisce nell’anno 2012; sembrerebbe la fine del mondo. Qualcuno può passare all’altra dimensione, ma molti se ne andrebbero. Cronologicamente, mi dica: pensa che sia attorno a quella data?

 

Ci è stato detto che alla fine le persone che sono venute su questa Terra costruiranno sentieri che segneranno questa terra nella forma di una ragnatela, e che tutti questi sentieri che saranno costruiti verranno usati come vie di fuga, in preparazione per quella che loro sanno essere la fine. Dicono che quando fanno questi sentieri sulla terra, fanno un segno su ogni sentiero per mostrare che sono pronti alla guerra, che sono pronti per la fine. E questo sentiero sarà segnato come una via per fuggire. Nel 1994 gli Indiani d’America, i Miccosukee, viaggiano su questa terra e noi vediamo ogni sentiero pavimentato segnato con un segno blu che dice “Sentiero di Evacuazione”. Ci viene detto che la fine è vicina.

Il segno che dovrete cercare oltre a questo è che la terra comincerà a riscaldarsi. Mentre la terra comincia riscaldarsi, appariranno forme di vita che non avete mai visto. Quella vita rinascerà. La vita come Dio l’ha creata all’inizio. Torneremo indietro e completeremo il cerchio. 

Quando sediamo ad ascoltare queste storie, ci chiediamo se il tempo non sia già arrivato. Vediamo le strade degli Americani segnalare “vie di evacuazione”. Sentiamo il mondo parlare di inquinamento che ha assottigliato lo strato di protezione dalle radiazioni solari – il calore intenso; sentiamo dire di aver aperto un buco che permette a un calore letale di penetrare. Ci dicono che la terra diventerà come una casa verde. Sentiamo dire dalla comunità scientifica che stanno creando della vita mai vista prima, eppure la stanno creando. Sentiamo dagli scienziati che sono capaci, con la tecnologia di oggi, di riportare in vita i dinosauri. E stiamo seduti qui e rammentiamo che la vita finirà nel modo in cui Dio la creò.

Quando la vita fu creata, la Terra parlava; gli alberi parlavano; gli animali parlavano. E oggi ci viene detto che in giro per il mondo c’è gente che trova il modo di parlare con gli animali e di farsi rispondere dagli animali. E qualsiasi giorno della settimana possiamo accendere la televisione e vedere un’animazione della terra che parla; e alberi parlanti  e animali parlanti. 

Ma l’ultimo segno non lo abbiamo ancora visto. C’è un ulteriore segno che giungerà e quello sarà l’ultimo. Di questo parliamo raramente. Pensiamo che sia meglio che il mondo non sappia.

 

Rispetto questa scelta

 

Partecipiamo a cerimonie religiose, e queste cerimonie sono molto speciali per il mio popolo. Nelle cerimonie religiose abbiamo sacchetti di medicine. E queste medicine ci predicono il futuro. In questi sacchetti trasportiamo spiriti che viaggiano da un posto all’altro e ritornano al sacchetto. Ed è attraverso il loro viaggio che ci viene detto cosa accadrà nell’anno. Sempre più ci accorgiamo che essi non ritornano. E questo ci dice che c’è uno squilibrio – sono sempre ritornati. Se doveste prendere un pezzo della medicina degli indiani Miccosukee e portarlo in una stanza e metterlo su un tavolo e chiudere a chiave la stanza senza finestre,  e ritornaste un altro giorno ad aprire la stanza, scoprireste che l’idolo del sacchetto di medicine è scomparso, ma se aprite il sacchetto sarà di nuovo lì. A volte non ritornano e qualche volta ci fanno preoccupare. 

Noi Indiani Micosukee siamo gente molto religiosa, crediamo che la Terra parli; crediamo che gli alberi parlino; e crediamo che gli animali parlino. E crediamo che noi siamo tutto ciò che rimane dell’esistente, quelli che hanno meno da offrire – e non abbiamo insegnamenti. E crediamo davvero che, se non seguiamo l’Antica Maniera, rendiamo più vicina la fine della Terra.

 

Vedrete che per gli indiani Miccosukee il cambiamento di cui lei ha appena parlato (fuori registrazione avevo parlato di una crescente coscienza ambientalista) non è una rinascita, ma è il tremore di una persona morente. Bisogna fare qualcosa per guarire quella persona. Sentiamo che, come esseri umani, siamo stati chiamati a essere guerrieri. L’Indiano d’America è un guerriero. E i guerrieri sono sempre esistiti, fin dalla creazione del Secondo Essere Umano. Ma i guerrieri non hanno mai combattuto fra loro. La ragione per cui sono stati creati i guerrieri è continuare la lotta per tener viva la religione. I guerrieri non sono stati creati per combattere e uccidere.

Siamo guerrieri, ma lo siamo per tenere viva la parola di Dio; non siamo guerrieri per uccidere la gente. Siamo ancora qui. Gli indiani Miccosukee sono quei guerrieri che cercano di tenere viva la religione.

Il giorno in cui l’essere umano dimenticherà l’Antica Maniera sarà il giorno in cui la Terra morirà. Così tutti i giorni parliamo dell’Antica Maniera così che la Terra rimanga viva.

Nell’anno 2012 i miei figli saranno qua. E insegnerò loro che hanno la responsabilità di tenere viva la Terra. Come fratelli degli animali, degli alberi e come figli della terra, nostra Madre. Dovremo essere preparati.

 

During both my childhood and adolescence I read countless books—some historical, most fictional—on the struggle “Red Man vs. White Man,” always rooting for the designated loser, i.e., the Native American. Despite that, here in the US I never sought to meet with a Native American. It took the editor-in-chief of an Italian travel magazine to make me do just that. When I used to live in Miami, he asked me as a favor to write an article on the Miccosukee, of Creek descent, who dwell in South Florida’s Everglades. I drove out to meet with their public relations manager, who in turn directed me to their village. There, he introduced me to various members of the tribe, including a humble and serene man, a promulgator of the Old Ways, or COUN-HA-CHEE, as their public relations manager said. As it turned out, he came from a family of healers, or medicine men, as he himself called them.

 

In the article I published in the magazine I did mention COUN-HA-CHEE but none of the things he revealed to me; it was just not the right readership for them. But I did tape our exchange, and have transcribed every word of it.

 

During our colloquy, COUN-HA-CHEE spoke very slowly, each word much apart from the other, sotto voce, sometimes down to a whisper. The reader, while reading my questions at a normal pace, should make an effort and read his words extremely slowly. Clearly, he spoke as a spokesperson with a voice not exclusively his. I’ve added some endnotes. It is COUN-HA-CHEE himself who uses the word “Indian.” Now follows the colloquy, transcribed word for word (my questions in italics).

 

••••••••••••••••••••••

 

The Miccosukee Indians and maybe all of the native Americans have always had stories about the white people. We were told that when these white people arrive they would signal the beginning of the end of the Earth. And for us, we were told to recognize these people. We have, in our vocabulary, an ancient word; and in our vocabulary we have two names that are both ancient and they refer to white people. The first word is AH-NAHT-KEE. AH-NAHT-KEE in the Miccosukee language refers to ‘not humans’—an existence that resembles human but that is not human. The second word is YAHT-TAT-KEE. YAHT-TAT-KEE is a white human being.

 

So most whites are AH-NAHT-KEE?

 

When we see destruction being condoned, we refer to it as AH-NAHT-KEE. We refer to the condoning of the killing of nature as the way of the AH-NAHT-KEE.

 

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The Fascist Devil

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We see people who live an everyday way of life such as yourself. We see people approach us, and they talk and they ask questions about Old Ways; we refer to them as YAHT-TAT-KEE. YAHT-TAT-KEE is a white human being. We feel that Old Ways of Native Americans were also taught to all children around the world, and for some reason most of the people around the world forgot them. They laid them aside for the sake of progress. Maybe it was to gather more food, maybe their thoughts were on their food, but for some reason they laid down the teachings. And when they got to the pinnacle of what they were after, they forgot to bring the teachings with them. But we feel that all the people around the world have the same teachings as the American Indians; only, they have not decided to pick them back up.

 

Blinded by greed?

 

For us, we were introduced to money. Money never existed here in this Land. We were introduced to it in the time that the Spaniards came. We fought with the Spaniards because they were killing our people. And they couldn’t defeat us, and our Land, so they made peace with us. And they gave us money, guns, horses, cows, and traded for the natural products of this Land. For us, squash, beans, pumpkins, tomatoes, potatoes, sweet potatoes, corn—all of the natural produce of this Land. It was food like the Spaniards never saw before. But they needed it to survive here. They did not recognize it as food, we introduced it to them. So they gave us money; we didn’t know what to do with it; so we made jewelry out of money. It was not important, and for our people we still carry on this way of thinking, that money is very bad. But today not only the Indian people see it as being bad; we even hear the white people refer to it as ‘root of all evil.’ So we assume that they also understand.

 

For us, we are told that if you take a person’s existence and you follow his ways and at death you make him into a symbol or a part of life that the world cannot live without, then you are doing a very bad thing, you are creating a sickness. When human beings die you should not use that person’s spirit in place of God. So most of the time that you see Miccosukee Indians you will find that they carry very little or no money at all. And the Miccosukee Indians will tell you that the reason for this is because the Americans at death of their people have taken their faces and put them on to this piece of paper; and the piece of paper which has taken the place of religion and way of life. A piece of paper with a picture that they will kill you for, they are all willing to die for.

 

So you will find the Miccosukee Indians carrying very little or no money at all, because we feel that it is carrying the ghost of a person, and an idol.

 

And where does the spirit go when a man dies?

 

For our people, we have been asked many times where the American Indian believes that the spirit of human beings travel to. When we tell them that we believe that there is such a place as heaven that they speak of, they will ask us, ‘Where do you believe heaven is?’ We tell them that heaven is not beyond the blue sky as you look upward. Heaven is only as far away as the air that you breathe[1]; that the air that makes life possible is the only thing that hides heaven from the eyes of human beings; that the air that we breathe, if it is to open, you will see heaven. It hides it from us. We are told that someday the existence of air, those particles that make up air will open, split apart. And when they open, you will see heaven, and you will be able to cross.

 

So for that reason the American Indians have always been very careful in what they say and what they do. The Old Ways that has taught to them to treat life as sacred is because they realize that God is not a billion light years away, but it is right here, and only the air is hiding it. So if you can touch the air, you are touching the very existence that hides God.

 

Is there any way by which you can reach this Otherness without leaving your body, without dying?

 

For our people, we are told that there is travel, but this gift they share with those who have already crossed over. If you die and you cross through the air that hides heaven you will find that the air itself is a darkness; you will have to go through this darkness. But in going through this darkness through the other side, if you choose when you are with God that you want to come back with your relations... it is possible. It’s a gift. So you can come back across and visit. But for our people, the American Indians, we find that this gift is not only recognized by American Indians, but by all people around the world. Only they don’t see it as a gift; they see it as something unnatural. They speak a lot about ghosts, ‘a ghost must be in the house, or, a ghost makes this noise,’ but they see it as something unnatural. We don’t see it as something unnatural—we see it as a gift.

 

And can anything of the sort happen, in your experience, while the person is still alive? To be able to reach this Otherness? To break through these air particles, and then come back? Something like an altered state? Hallucinogens, special drugs prepared by the medicine man?

 

For our people, not much of how you can see the other side is taught to us, but we are told that you can see those who left. And there is a way to see. But this way to see you will have to use an animal. But it is very bad to take such an existence just to benefit your own curiosity of what it looks like. But we are taught of how to do it, and we need an animal to do it, and we don’t sacrifice the animal—the animal has to be alive. And we will take something from the animal while it’s living and we will use it, and that makes it possible to see.

 

Have you done it?

 

I will not go that way.

 

Is it something only for shamans or for anybody among you?

 

Anyone. Anyone can do it.

 

Don’t you need a special training or a certain frame of mind?

 

For the Miccosukee Indians, we find that it is something that no-one will ever attempt.

 

How do you know it’s there?

 

The culture of our people is taught through personal experiences. For myself, I didn’t need it.

 

In an accident in my past I was able to cross. For me, I found myself from an accident unable to talk, unable to get up off the ground. And I saw people coming around me trying to lift me up and in the beginning I could hear them talking, ‘Are you OK? Can you stand up?’ By then I could no longer hear their voices, I could only see the movements of their mouths. As I fell back to the Earth, I lay as people stood around me. I looked up to a little small light that was flashing in the background, and this little pin light was flashing and I kept my eyes focused on it and it appeared to be growing. As I watched it, it grew and grew and pretty soon this little pin light grew to be as large as the sun. And I was thinking, ‘There are two suns!’ And this other light, this sun got so large that I couldn’t see the ends. From the light that covered the blue sky I looked to the left and I could not see the end of that light; I looked to the right, I could not see the end of that light. And as I looked directly into the light, it appeared that this gigantic light was going to crash into the earth and to destroy all that is living. The thought that I felt by looking into that was that of the impact with the Earth. I closed my eyes, and as I did I felt that light rush through my body. At the time that it rushed through my body, it pushed my hair into the ground, and I felt my hair waving through the air with force. It made my hair mingle with the Earth.

 

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At that point I felt a calmness, and I opened my eyes. I found myself floating above my body as a crowd was gathered around it. I looked down on it and I was thinking to myself, ‘There are two people like me—I am up here in the air and there’s another one of me in the ground . . .’ At that point, my body spun around and I headed the way the sun goes down. As it travelled on through the darkness, this darkness finally broke to light.

 

As I got into the light, I found a place where the Earth was smooth but not flat, and covered with the light that we see here, but more beautiful. And everywhere that I looked I saw people—smiling and walking around. So those people looked up at me and they were pointing to me, and I was thinking to myself, ‘I need to be down there where those people are, that is where I belong...’ And I got the feeling that I was never going to be with them, that I was going to just hang in the air forever. Those on the ground kept pointing at me, looking at me—and all of a sudden I felt myself being pulled backwards, feet first.

 

I went back through the darkness and I opened my eyes a second time: I was in an infirmary, covered with ice, and an attendant said: ‘You came back! We thought we lost you!’[2]

 

I that point I realized that there is more to this life than just walking this Earth, that there is a purpose for us here. These images I’ll never forget, and when they speak of it, I remember every second. There is a way to cross over. And the Miccosukee Indians can see it, but not cross, but we can see it. (A long pause followed. These last words have been whispered, each one very spaced  apart from the preceding and following one.)

 

Do you have any other questions? (By then my mind was not asking any other questions, nor was my mouth.)

 

I was wondering, going back to a more mundane level, about the beautiful tale that you told me, before I started taping, about the boy going out to hunt—one, two, three times, four times, and finally he is allowed to partake of the food, because by then he’s learned that he is hunting for the clan, for the family, not for himself. So the fact that he too can eat of his own prey comes as a surprise. That’s one 4. Then there is the other 4—the four elements you mentioned, the four logs in the fire, starting with Mother Earth, oriented towards sunup, and then, counter clockwise, the Plants, the Animals and finally us, human beings. And then there are the four colours, which are the four colours of the human races, unmixed, that is . . .

 

The four sacred colours are also connected with the four directions—East, North, West and South. These four colours play an importance at healing ceremonies. For our people, we find that these four colours that we have always been using throughout the history of our people’s existence. Today we realize that what we have always been told were the most sacred of colours—because they are to be used for healing—are the colours of the human beings.

 

You must have wondered why it is that 4 is a magical number?” [3]

 

For us you find that the numbers which are most often used among the Miccosukee Indians are Two and Four. When we go hunting for food, we always go out in two; when you go into a dance for a religious ceremony, there are two dances; when you have the ceremonies for healing, you will find four elements being used. For our people you will find that any healing rituals the time given is to follow a specific fasting period—it comes in four.

 

For us it has always been such a simple way of life, and to us it never seems mysterious. This way of life, we are told, must be followed; and if you do not follow it, we are told that your journey to the other side will be filled with punishment.

 

For us, we hear of outside people saying that there is a heaven and that there is a hell. And they tell you that the religion that came to this Land from across the ocean spoke of ten thousand years. We do not understand that teaching. But if it is a teaching where human beings believe in God, then we accept that teaching.

 

For our people, we believe that the teaching is a gift, that it must be treated as a gift—you must take care of it and cherish it as a gift. So for Miccosukee Indians, the religion of our people has kept intact; it’s cherished; it’s protected.

 

For our people, we know that there are ways in which man first exist and never go against. We understand that there is a delicate balance. That delicate balance is delicate only for man. And we understand that if we upset that delicate balance, we hurt ourselves and not hurt other life. And so we are taught that we must treat our life with great respect. When you take an animal’s life, you treat it with great respect. You honor the gift of life that was shared with you. And we are told that the animal gives itself to you. And the Miccosukee Indians when they go hunting they sing a song. They will speak the night before they go hunting of what animal they are going to look for. And when they go looking for that animal, if they come across another animal, they do not kill it, because the night before, that is not what they spoke of. They will continue on their journey in search of that animal that they spoke of. If that animal chooses to give itself to the Miccosukee Indians, it will appear. It will look at you. And it will prepare for its death. If the animal does not give itself to you, then on the way home another animal sees your flight and recognizes that you are here searching for food, and it does give itself to you.

 

For our people, we have way in which we prepare the animal. Not all of the animal is allowed to be eaten by man, or a woman. Certain parts of the animal woman cannot eat. Only a Miccosukee man. Certain parts of the animal, man or woman, is not allowed to eat. We are taught to give it as an offer of thanks to God.

 

For us, we still follow these Old Ways.

 

You have come to a place where we still hide many things from the outside world. The outside world we feel is not ready to know about many things that we have. We can offer them as gifts to them, but they will offer these gifts for destruction. So the American Indians as a whole have in their possessions many things that will aid mankind. But this day, mankind is not ready for them. [4]

 

503 ago your ancestors came. They shot us, but they will not remember us. And today they still follow that way. The day that they show us that they are human beings, the American Indians will give all our secrets. Not today.

 

For our people, we are told stories that we see coming true, and we sit and watch prophecies as they unfold, and we wonder what can we say to the world that can awaken them. And we find ourselves sitting and watching prophecies come to pass without saying anything at all to the world. We find that prophecies have already been set and timetables to be up to us when the end should come. We know the beginning, we know the end. And we know that it is up to man.

 

The Mayan Calendar ends in year 2012; that would appear to be the end of this world. Some might be able to cross over into the other dimension, but most of us would be gone. Chronologically, you tell me: Do you think it is around that time?

 

We were told that in the end the people who have come to this Land will construct paths that mark this Land to resemble a spider web, and that all of these paths that they construct will be only used as for escapement, or that they only do it in preparation for what they know is the end. They say that when they make these paths on this Land, they will make a mark on each path to show you that they are ready for war, that they are ready for the end. And this path will be marked as a way to escape that. In 1994 the American Indians, the Miccosukee, travel this Land and we see just about every paved path that the Americans build marked with a blue sign that says ‘Evacuation Path’. We are told that the end would be near.

 

The sign you will look for beside that is that the Earth will start to heat up. As the Earth starts to heat up, life that you have never seen will start to appear. That life will have a rebirth. And life the way that God created it in the beginning. We will come back full circle.

 

For us, when we sit and listen to these stories, we wonder if the time isn’t here. We see the roads of the American say ‘Evacuation Routes.’ We hear the world speaking of pollution that they have caused to have built over a thin layer of protection from the sun’s radiation—the intense heat; they say that they have broken a hole through it which is allowing deadly heat to come in. They are saying to us that the Earth will become like a green house. We are hearing from the scientific community life that they are creating that never existed before, but they are creating it. We are hearing from the scientists they feel that they are able, with their technology of today, to bring back dinosaurs. And we sit here and we are reminded that life will end in the way that God created it.

 

When he first created life, Earth spoke; trees spoke; animals spoke. And today we are told that around the world people are finding ways to talk with animals and have animals talk back with them. And any day of the week we can turn on a television set and through animation we can see Earth talking; we can see trees talking; and we can see animals talking.

 

But the last sign, we haven’t seen yet. There is one more sign that will come and that will be the last. That one we rarely speak of. We feel that it is better that world does not hear.

 

I respect that.

 

We go to religious ceremonies, and the religious ceremony is very special to my people. In the religious ceremonies, we have medicine bundles. And these medicine bundles tell us of the future. In these medicine bundles we carry spirits that travel from place to place and return back to the bundle. And it is through their travel that we are told what is coming in the year. For our people, more and more we find that the bundles, when traveling, sometimes do not return. And for us that tells us that there is an imbalance—they have always returned. If you were to take a piece of the medicine bundle of the Miccosukee Indians and take it into a room and place it on a table and lock the door with no windows to the room, and you returned another day and opened that room, you would find the idol from the medicine bundle to have vanished, but if you open up the medicine bundle it will be there again. Sometimes they do not return and sometimes that makes us worry.

 

For the Miccosukee Indians, we are very religious people, we believe that the Earth talks; we believe that the trees talk; and we believe that the animals talk. And we believe that we are all that’s left to exist, the ones that have the least to offer—and we have no teaching. And for us we really believe that if we don’t follow the Old Ways, we bring the timetable closer for the end of the Earth.

 

For the Miccosukee Indians you will find that the change you just spoke of (off tape, I had touched upon a burgeoning global environmental awareness) is not a rebirth, but is the shaking of a sick person. Something needs to be done to heal that person. We feel that as a human being we have been called upon as warriors. The American Indian is a warrior. And the warriors have always existed, since the creation of the Second Human Being. But warriors never fought among each other. The reason warriors were created was to continue a fight to keep religion alive. Warriors were not created to fight and kill.

 

We are warriors, but we are warriors to keep the words of God; we are not warriors to kill people. We are still here. The Miccosukee Indians are those warriors that are trying to keep religion alive.

 

The day that the human being forgets the Old Ways is the day that Earth will die. So every day we speak after the Old Ways so that the Earth will stay alive.

 

In the year 2012 my children will be here. And I will teach them that it is their responsibility to keep the Earth alive. As brothers to the animals, the trees—and the Earth is our Mother. We’ll have to be prepared.[5]

 

 

 

 

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FIBER ART ALLA CASA DELLA PACE

17 Giugno 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #arte


 

 

 

 

Amici lettori che, insieme a noi, walk on the wild side, eccomi ritornato a presentarvi una nuova pagina dedicata al mondo dell'arte.

Oggi parleremo di un evento che si svolgerà a Roma il 22/23 giugno 2019, presso la "casa della pace" di via di Monte Testaccio 22, situata nell'omonimo storico quartiere Romano. Protagoniste saranno un gruppo di artiste facenti parte del movimento "fiber art" che esporanno le loro opere in una speciale location, mostra ideata da Fausta Manno e Stefania Carrano, alla quale parteciperanno: Lydia Predominato, Daniela Costanzo, Laura Sassi, Grazie Santi, Lucia Pagliuca, Stefania Carrano, Anna Bronci.
 

COS'E' LA FIBER ART?
 

La Fiber art è un movimento artistico, tradotto dal nome "arte della fibra", quindi basato maggiormente sull'utilizzo di materiali derivati o prodotti per stoffe e filati, che si è sviluppato negli anni '50. Nasce grazie alla tradizione artigianale, alla straripante, volitiva forza della natura delle donne, per poi compiere dagli anni '60 un salto a divenire arte a prescindere dal sesso di chi la realizza, sarà arte e basta.
La Fiber art è pura essenza di artigianato, una modalità espressiva ancora, tenacemente e con orgoglio, pensata con la testa e fatta a mano, fatta a mano come le fettuccine e la marmellata di nonna, come il suono del pianista che con le mani sfiora i martelletti della tastiera, come lo scultore che plasma l'argilla... come il bambino che mette le dita nel nasino, mani mosse dal cuore e dall'ingegno.

La Fiber art è una tecnica per la quale, il tessuto, la stoffa, le trame di fili intrecciati, battono il ciak all'inizio di un'opera e, per il suo completamento, fanno intervenire anche altri protagonisti, tanti materiali vari di uso quotidiano: carta, plastica, ferro. Ora provate a immaginare un artista che, come un sarto, taglia, cuce, crea, assembla, compone a mano e, con la fantasia, realizza opere manufatte di arte e felicità. Ecco, per me questo materiale lavorato ad arte è la Fiber art, idealmente è come indossare un vestito di tessuto e poter assaporare l'arte provando un senso di felicità, avvertire la sicurezza che la manualità non cesserà mai e, per tutta l'umanità, sarà bello esserne felice, e allora perché non provarlo? Questa mostra alla casa della pace di Testaccio sarà la giusta occasione, gli artisti e le loro opere vi aspettano.
Amici lettori della signoradeifiltri, ci rivedremo a breve per scoprire un nuovo artista e sarà ancora una scommessa dell'arte.

 

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Giuseppe Benassi, "I veggenti"

15 Giugno 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #pittura

 

 

 

 

I veggenti

Giuseppe Benassi

Pendragon, 2019-06-15

 

I veggenti di Giuseppe Benassi, revisione ampliata di Occhi senza pupille, è l’esempio di come una seconda stesura possa essere di molto superiore alla prima.

L’argomento ruota intorno agli stessi elementi, la storia si svolge fra Livorno, Parigi e Volterra, i ritratti senza pupille sono ancora quelli di Modigliani ma lo stile è migliore così come l’impalcatura del romanzo. Quelli di Benassi sono gialli tinti di esoterismo e di suggestioni culturali. Di Modigliani vengono messe in evidenza le simpatie alchemiche, le tre città sono viste nei loro aspetti più fascinosi: il mare di Livorno, i bassifondi intriganti e sordidi della ville lumiere, i sotterranei mistici ed esoterici dell’etrusca Volterra.

L’avvocato Borrani, il protagonista, con gli anni rimane sempre lo stesso cinico e antipatico, un individuo senza filtri che non fa sconti a nessuno, forse solo a se stesso quando, sorta di Dorian Gray, ammanta di estetismo le sue perversioni da vecchio debosciato, fingendo di usare il sesso come mezzo di conoscenza, di coniunctio oppositorum, di superamento delle dualità. Borrani ci mostra in modo implacabile e sprezzante cosa sarebbe il nostro cervello senza freni inibitori.

A riscattare questo romanzo dalla sua improbabilità c’è senz’altro l’ottima scrittura di Benassi, che mescola eleganza e volgarità, pezzi aulici - con qualche parola bella e desueta -  a cadute di stile. E c’è il profumo dell’arte, l'armonia dei quadri di Modigliani, la poesia della sua amante Achmatova e di Gabriele D’Annunzio. La cultura dà accesso a un mondo sotterraneo mistico e magico e a un sopramondo raffinato. Nel mezzo restano i protagonisti, il Borrani e la Messori, frivola e ciarliera lei, indisponente e cattivo lui. Nel mezzo restiamo, di fatto, tutti noi, con le nostre imperfezioni, le nostre bassezze e la nostra sgradevole umanità.

Come già detto, stride la commistione di alto e basso, di cultura e oscenità, di sublime e infimo. Borrani è un depravato ma anche un intellettuale, la Messori è una donnetta ma anche una studiosa. Gli occhi senza pupille, la metafora della cieca e del finto cieco, mostrano la realtà com’è e pure le correnti di significato sotterraneo che la animano. Pervade tutto il romanzo un senso della morte decadente o, addirittura, seicentesco.

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Metti un artista al cadavere squisito 18: Armando Severini

15 Giugno 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #arte

 

 

Carissimi amici lettori della signoradeifiltri, sabato 8 giugno ho partecipato, in veste di visitatore, al "cadavere squisito 18" l'importante mostra che si svolge alla Tag, la galleria più swing di Roma, in Via di S. Passera, una collettiva, coordinata e allestita dalla giovane curatrice Jasmine Elgamal, brava, poliedrica e inoltre vulcanica organizzatrice.

Fra le tante ottime opere esposte una, più delle altre, ha attirato la mia attenzione, quella dell'artista Armando Severini, dal titolo Cielo mio marito, un'installazione con sviluppo verticale, 1.50 di altezza circa, composta da pochi oggetti di uso quotidiano: un tendaggio, un paio di scarpe e una sottoveste. Rappresentazione in chiave ironica della classica esclamazione boccaccesca che, se da un lato assume un'immagine teatrale e cinematografica, dal punto di vista tecnico l'artista - utilizzando tre oggetti e tre sole relative tonalità, il nero di fondo, il tessuto in bianco, scarpe e intimo femminile color beige - ha creato un'opera equilibrata cromaticamente e comunque dinamica nella forma, dalla quale la comicità di Armando Severini strappa con naturalezza un ampio sorriso all'osservatore.

Generalmente un'opera artistica di qualsiasi tecnica è seria, riflessiva, poetica, drammatica, fantasiosa e chi più ne ha più ne metta, ma raramente un'opera di un artista è "comica". Ora, la battuta storica che riceverò sicuramente sarà "Chi vuole ridere vada al cinema o al teatro", ed è appunto quello che ha fatto Armando Severini, ha voluto, almeno per una volta, dire "basta" all'arte cervellotica e ha proposto una bella opera vestita di ironia, trasportandola in una galleria d'arte come un fotogramma filmico o una scena teatrale. 

Ma non solo, in apertura dicevo che questo suo lavoro mi aveva attirato ecuriosito, e sapete perché? Oltre quanto espressovi, a colpirmi sono stati l'amore e la cura artigianale con la quale Armando Severini ha piegato il drappo in plissè; ho immaginato l'artista nell'atto di lavorare la materia con movimenti lenti e densi di amore, ho visto con la mia fantasia le sue mani assemblare dolcemente il tessuto per lasciarlo cadere delicatamente sulle scarpe, l'ho visto ridere mentre lavorava, felice di far ridere, a loro volta, i visitatori della mostra.

Bene, ora provate a vedere quest'opera esposta nel vostro appartamento, potete immaginarla in bagno, in salotto, nell'ingresso, sono sicuro che, allegramente, sarete tentati, ogni tanto, di cambiare quelle scarpe con altre, di sostituire  o togliere la sottoveste e aggiungere delle mutande, in una contaminazione di complicità con l'autore e, quando uscirete di casa, salendo sul bus o sulla metropolitana, riderete ancora ripensando a quell'opera, ripetendo dentro di voi la battuta "Cielo mio marito", e la sera, quando lo ritroverete (il marito) lo bacerete con passione.

Spero di rivedere presto in una nuova mostra questo artista romano, che sposa in pieno il mio mantra "l'arte è per tutti e non nuoce gravemente alla salute", di sicuro ci riserverà altre sorprese.

Amici lettori del blog che illumina la vostra giornata, ci rivedremo a breve per una nuova avventura artistica, se potete, non cambiate canale, casomai voltate pagina.

Metti un artista al cadavere squisito 18:  Armando Severini
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Iago, "Multiverso"

14 Giugno 2019 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Iago
Multiverso
Etabeta Poesia – pag. 110 – euro 12

 

Multiverso è una raccolta composita che si pone come obiettivo la dimostrazione dell’utilità di scrivere ancora poesia come forma letteraria contemporanea e soprattutto che si possa partire dal quotidiano, da ogni piccolo particolare, usando la giusta sensibilità. Si comincia alla grande con la citazione di Beppe Costa (Che sia l’alba l’unica assassina/ della mia notte insonne) e si comincia con la serie dei multiversiprogettuali, raccolti in tre sezioni: Percorsi ContrariParole Scorticate ed Esplorando

Percorsi Contrari contiene al suo interno un’ampia sezione dedicata al poeta per eccellenza del cinema italiano, quel Pupi Avati pascoliano cantore delle piccole cose e proustiano ricercatore delle radici e del tempo perduto. Suggestioni poetiche che provengono da visioni filmiche (La casa dalle finestre che ridonoL’arcano incantatoreL’amico d’infanziaFestival…), un esperimento insolito e originale, soprattutto riuscito. Il successo non chiede/ cosa pensa un cuore./ Arriva rapido e mischia le priorità/ l’onore presta emozioni alla vergogna/ e pretende un interesse elevato./ Si elemosina con dignità/ anche se il ruolo richiede impegni d’artista/ e l’amicizia muore strangolata./ Una notte cinematografica/ porta alla deriva speranze di creta/ altrove si festeggia/ gli applausi parlano/ a luci che non riflettono./ Il successo non chiede/ come muore il cuore. (Festival, pagina 10).

La sezione Regia d’Autore lascia il posto a Versi Derivati, ispirata dalla musica e dall’ascolto di Beethoven e Mozart, ma anche dalla visione di dipinti di Chagall, Van Gogh e Kahlo, come una sorta di imput romantico per innescare il detonatore poetico. 

Parole Scorticate (il titolo ricorda un libro minore di Morozzi: Storie da una terra scorticata, Edizioni Il Foglio) si compone di AmbiguazioneResilenzaContra AcademicosDio e(d) io. Brandelli di pura poesia anche in queste sezioni - quasi sillogi autonome  - come Sono vecchio/ ho voglia di parlare./ Sono stanco/ ho voglia di dormire. Ma anche: Siamo alle solite/ continuo a salvare i ricordi/ per evitare l’esilio/ su quest’isola chiamata terra,/ scasso il cranio/ scelgo lacrime da togliere/ così prevengo l’alluvione d’amore/ che non potrei contenere.

Chiude l’opera Esplorando che contiene Versi selvaggi, resoconto di viaggi in ambienti naturali, compreso tra due liriche scritte in corsivo. Pure qui intuizioni felici: L’amore ha l’aspetto di un bruco/ si insinua fra le consuetudini/ e le stravolge. Poesia vera e matura quella di Iago, che afferma: “Pratico la scrittura poetica dal vivo, in presa diretta, in ogni dove e ovunque ci sia posto per il mio strano progetto”. Portare la poesia tra la gente, è il suo progetto, che condividiamo, in giorni cupi come i nostri vale per ogni proposta culturale, purtroppo. Ma non disperiamo, forse è la nostra fortuna, perché noi piccoli cantori della realtà quotidiana non viviamo nelle torri eburnee dei grandi letterati, ma – come Iago – lottiamo, giorno dopo giorno, lungo le strade della nostra esistenza.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

 

 

 

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Loredana Galiano, "Astroprofili zodiacali"

13 Giugno 2019 , Scritto da Loredana Galiano Con tag #loredana galiano, #astrologia

 

 

 

 

Il libro racconta i piaceri e le abitudini di ogni segno zodiacale e, con il titolo “Astroprofili Zodiacali”, spiega come ogni segno ama prendersi cura di sé in modo giocoso e ironico, quale bibita preferisce, quale romanzo sceglie, quale profumo predilige e quale film adora.

Il tutto in modalità free, giocosa, leggera e anche molto pratica. Questo libro manuale è un eccellente aiuto per chi volesse intraprendere un nuovo percorso di conoscenza e approfondimento della materia.

Spiegato con metodo semplice e fruibile, è uno dei miei scritti più richiesti da chi mi conosce da tempo.

Leggendo questo manuale potreste incuriosirvi e chiedere maggiori informazioni sul perché il nativo dell’Ariete è molto passionale, mentre un nativo del Cancro è molto suscettibile; perché il nativo della Vergine è molto attento ai dettagli mentre il nativo del Capricorno è molto ambizioso.

E’ un libro di facile consultazione anche per chi è completamente a digiuno della materia. Richiede poco tempo e poco impegno.

Viene voglia di acquistarlo e condividerlo con gli altri. E’ un pratico vademecum da leggere in qualsiasi momento della giornata. E’ ricco di spunti, di idee e suggerimenti. Un ottimo acquisto ed anche un originale idea regalo per avvicinare un amico all’astrologia.

Potete acquistarlo in formato ebook su Amazon.

In formato cartaceo, basta una semplice mail a: loredanagaliano@libero.it o info WhatsApp 3391189260. Le spese di spedizioni sono gratuite con raccomandata e numero di tracciabilità.

Loredana Galiano, "Astroprofili zodiacali"Loredana Galiano, "Astroprofili zodiacali"
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