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miti e leggende

Patrizia Poli, "Axis Mundi"

8 Aprile 2022 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #poli patrizia, #recensioni, #miti e leggende, #saggi, #fantasy

 

 

 

 

Il  mito assume aspetti diversi nel tempo a seconda delle culture, dei narratori, del pubblico a cui si rivolge, dell’epoca in cui viene narrato, MA il suo significato profondo, il suo messaggio, resta inalterato perché a quello deve l’eternità, il suo non essere stato dimenticato insieme a tante altre storie. Rimangono le storie più importante per il loro significato profondo e per il modo come sono scritte.

Qual è il significato del mito di Artù e dei suoi cavalieri più famosi, le cui storie si sono aggregate solo in seguito? Tristano e Isotta incarnano l’amore fatale, che travolge le istituzioni, in particolare quella del matrimonio  su cui poggia la costruzione del potere nel medioevo e nei secoli successivi (“Tristano e Isotta è il grande mito lasciato in eredità dal Medioevo all’età moderna" in Romanzi medievali, pag XL); Lancillotto e Ginevra, al contrario, la fedeltà alle istituzioni, aldilà dei propri sentimenti, bisogni e desideri; Parsifal la difficoltà di diventare adulti, Galaad l’innocenza e la perfezione delle anime giovani. 

Le versioni della stessa storia sono infinite: le une riprendono le altre, aggiungono particolari o episodi,  oppure li abbandonano, esaltano comportamenti, li condannano o li negano ecc. Patrizia Poli ha dato una nuova trasformazione e lettura di questi racconti immortali.

Questo è un libro sul potere. Artù è un  re che ha un grande potere ma non lo usa, cioè lo usa per il bene del suo popolo ed è questo che fa di lui un sovrano. Come dice San Francesco, è dando che si riceve, perdonando che si è perdonati e morendo che si resuscita alla vita eterna e in effetti re Artù vive in eterno perché muore da re. Artù è caratterizzato dall'onestà e dalla gentilezza, il che non gli impedisce di essere un guerriero (armatura opera di sangue), ma lui non ama la guerra, è costretto a farla per difendere il regno o i deboli però è un re di pace, un giovane “di cuore”, “da amare”, come lo vede Ginevra  quando si incontrano. Artù perdona le miserie degli altri e le vive in prima persona. Conosce la gioia, il dolore, la paura, l’odio, l’amore, la tristezza, la sconfitta. Insomma è un uomo vero, un uomo normale. Non è un eroe puro come Lancillotto o un eroe amante come Tristano. Loro sono creature “mitiche”, Artù è una persona. Forse anche Morgana lo è, ma lei è anche “magica”, “primitiva”, legata alla grande dea, Artù è umano e basta. E in questo essere umano e restare umano sta la sua grandezza e dalla sua regale grandezza viene il bene del suo popolo e dell’intera natura. La grandezza di Artù sta nel non  usare il suo potere, il potere è solo servizio per il bene del suo popolo, per il bene della comunità, si direbbe oggi. Non esercita potere sulle persone (moglie, amici…) non utilizza mai le loro debolezze e le loro fragilità, non condanna i loro errori nonostante la sofferenza che gli procurano. Lui è tradito nel suo essere marito, fratello, padre, nella fiducia per la moglie, nell’affetto per la sorella, nel legame col figlio. Eppure lui capisce e perdona, senza mai rinnegare la delusione, la gelosia, la frustrazione, il dolore e anche l’orrore che queste persone a lui così profondamente legate gli procurano. Nel vivere con dignità e consapevolezza la sua fragilità sta la sua grandezza di uomo e il suo potere di monarca. Non usando il potere come comunemente si intende, lui lo esercita nel senso più alto. Potere vuol dire che si “può”, cioè si può fare il bene come il male, si può stare sopra o accanto, si può schiacciare o sostenere. Il potere è una vox media, dipende da come si usa e da come si intende, come la fortuna. In Artù, al momento della sua morte, c’è anche il tema della solitudine per l’allontanamento dalle persone care.

Forse la storia più “commovente” è quella di Parsifal, perché è  una storia di iniziazione, quindi attualissima: un ragazzo orfano di padre, con  una madre possessiva  - iperprotettiva diremmo oggi - che lo tiene al riparo - e quindi lontano – dal mondo, che a un certo punto si cimenta con la realtà. Non si può sfuggire al destino di diventare adulti, sembra dire la storia, forse sarebbe bello restare nel mondo ovattato e senza nubi dell’infanzia, protetti dai genitori e dalla famiglia. Ma sarebbe anche senza senso, noioso, alla fine. E comunque non si può: come Siddartha e come il ragazzo delle papere di Boccaccio, la natura, il mondo, la vita esercitano un richiamo irresistibile. Parsifal significa” che si apre un varco” e questo varco  verso la vita reale lui se lo apre con tutte le sue forze. 

La figura di Merlino è molto diversa in "Axis Mundi". Religione e magia si incontrano.

Questa è una nuova, affascinante, moderna lettura di un mito antichissimo che sta alla base della nostra cultura, del nostro immaginario e della nostra anima. Sta a voi scoprire chi sono Artù, Ginevra, Tristano ecc raccontati da Patrizia, quali miti ci narrano, quale veste nuova ha dato l’autrice, se e che cosa continua a toccarci nel profondo. Oppure, semplicemente, potete godervi una storia raccontata come al solito con audacia, maestria e con una nuova, piacevole “morbidezza”. Il piacere del racconto è ciò che ha permesso a quelle di Beroldo, Chretienne ecc, fra le varie e innumerevoli versioni, di arrivare fino a noi. È il piacere del racconto, il MODO come è raccontato, a salvare quella versione di una storia immortale di per sé. Perciò: buona lettura.

 

 

 

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Merlin

3 Aprile 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #serie tv, #televisione, #fantasy, #miti e leggende

 

 

 

 

Forse è un segno del destino che io abbia visto l’ultima puntata della serie televisiva Merlin proprio il giorno dopo l’uscita del mio Axis Mundi. Certo quando ho iniziato a seguire la prima stagione di questa lunga produzione ormai datata - trasmessa da BBC One dal 2008 al 2012 - non avrei mai pensato di spenderci due parole. Invece, vuoi l’affezione ai personaggi, vuoi il mutamento e l’evoluzione di stagione in stagione, ora lascio Arthur e Merlin con dispiacere e con il magone.

La serie parte con un piglio e una allure infantile, sembra una di quelle storie televisive per bambini degli anni 90, per capirci, Fantaghirò. Ma poi cresce, stagione dopo stagione, fino alla quinta che raggiunge uno status epico anche nelle scene corali e di battaglia. Mutano pure i personaggi, persino nel fisico. All’inizio poco più che ragazzi scapestrati, diventano alla fine quello che hanno sempre rappresentato nel mito, figure gigantesche ed eroiche.

Tutto si basa su un bromance, o meglio una storia di “quasi amore” asessuato fra due amici maschi, Arthur e Merlin. Arthur (Bradley James) è bello, nobile e incarna la regalità. Ha un cuore d’oro nascosto sotto modi altezzosi ed è un grande e imbattuto guerriero. Ma la figura centrale è Merlin (Colin Morgan), con il suo viso da elfo, la sua bontà, la sua apparente goffaggine, la sua semplicità e totale umanità. Merlin, però, è anche, di nascosto a tutti, Emrys, il più grande incantatore mai vissuto, l’ultimo signore dei draghi.

Arthur, che è retto ma cieco e offuscato dai pregiudizi e dall’arroganza inculcatagli dal padre, capisce la statura di Merlin solo nel finale. Solo allora comprenderà quanto Merlin gli sia stato vicino, quanto lo abbia aiutato, quante volte gli abbia salvato la pelle, quanta maieutica abbia messo in atto per tirare fuori le sue qualità fino a farne il Grande Re. Persino la famosa estrazione della spada è congegnata da Merlin per aiutare Arthur a credere in se stesso.

Per tutta la vita, Merlin sostiene Arthur, gli è a fianco in ogni avventura, sempre disarmato e un passo indietro, sempre all’apparenza inferiore ai cavalieri del re e tuttavia indispensabile, sempre umile ma capace di indirizzare il sovrano verso le scelte giuste. Lo fa con testardaggine e pazienza, senza mai ricevere un grazie o il dovuto rispetto.

Merlin non può rivelare i propri poteri magici ad Arthur, come a nessun altro, in un regno da cui la magia è bandita pena la morte. Ho sofferto pensando alla forza intrappolata dentro il giovane mago il quale, fino all’ultima puntata, non ha potuto mostrare la propria natura e ha dovuto nascondersi sotto un aspetto dimesso e imbranato, quello che una parte di lui effettivamente è. “Sono sempre la stessa persona” dice ad Arthur morente, dopo che questi ha finalmente scoperto la verità.

Il loro rapporto va oltre la fratellanza scanzonata, è puro destino, è mito. Arthur è nato per essere re e Merlin per aiutarlo nel suo compito, “per amore di Camelot”. Merlin, quindi, non ha quei poteri per se stesso, ma per un compito che è indissolubilmente legato al destino di Arthur e di Albion tutta. Ciò che accade ad Arthur, nel bene ma anche nel male, è dovuto proprio a Merlin, alle sue decisioni, alla sua volontà di contrastare la profezia nefasta che vedrà Arthur cadere a Camlann per mano di Mordred. Le azioni compiute da Merlin metteranno in moto l’inevitabile destino, certe sue scelte compassionevoli risulteranno poi fatali. Quindi Merlin è colui che aiuta Arthur ma anche chi ne decreta involontariamente la fine. Perché è così che deve essere, perché il destino è già stato scritto.

Alcuni rapporti fra personaggi sono molto interessanti. Arthur è devoto al padre Uther Pendragon ma ne è anche succube, non riesce a essere pienamente ciò che è, un re giusto e capace, se non dopo la morte dell’ingombrante e ottuso genitore. Merlin, a sua volta, ha un rapporto tenero e filiale con il medico/mago Gaius, e uno controverso con lo splendido e nobile drago Kilgharrah, bestia sapiente e minacciosa come tutti quelli della sua specie.

Certo ci sono delle incongruenze nella trama, ci si chiede come mai tutto ciò per cui Arthur e Merlin lottano sia un regno di pace, prosperità e giustizia che dura solo tre anni. Ciò avviene perché non si vuole invecchiare i protagonisti, perché Arthur e Merlin devono restare quelli che erano all’inizio: due ragazzi. Però si lascia intendere che Arthur tornerà, come è nella effettiva profezia del ciclo arturiano. Quando la Britannia ne avrà bisogno, il re dormiente ricomparirà e perciò, nell’ultima scena, si vede un Merlin invecchiato che percorre una strada ai giorni nostri. Sta aspettando, crediamo, il ritorno del re che lui, ancora una volta, fedelmente servirà.

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Axis Mundi

26 Marzo 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #amore, #eros, #fantasy, #miti e leggende

 

 

 

 

Con grande piacere e orgoglio vi presento il mio nuovo libro, al quale sono particolarmente affezionata. Scritto nel 2020, durante i mesi bui del lockdown duro, mi ha tenuto a galla e aiutato a evadere in un mondo fantastico popolato da cavalieri dall’armatura luccicante, dame belle e appassionate, re che maneggiano prodigiose spade del potere.

A distanza di quaranta anni da Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley e, soprattutto, dal meraviglioso film Excalibur di John Boorman, ho scritto il libro che ho sempre avuto in animo di scrivere: Axis mundi, compiendo un’operazione a ritroso, di recupero delle origini. Sono tornata indietro, alla fiaba, a un Artù molto meno storico e molto più mitico.

Con questo romanzo si conclude la mia ideale “Trilogia della dea”, iniziata con Signora dei filtri e continuata con L’uomo del sorriso. Tre figure femminili forti, che incarnano una religiosità tellurica e matriarcale: dopo Medea di Colchide e Maria Maddalena ecco adesso a voi Morgana di Cornovaglia.

Nato, come dicevo, in un periodo nero per tutti noi, “Axis Mundi” esce in un momento storico altrettanto terribile. Con la speranza che vi aiuti a passare qualche ora serena.

 

In una notte tempestosa Igraine di Cornovaglia concepisce un figlio con il suo amante, re Uther Pendragon. A spiarli, Morgaine, figlia del marito di Igraine, il duca Gorlois che, proprio quella notte, muore in circostanze misteriose. Subito dopo il funerale del marito, Igraine sposa Uther.
Morgaine cresce sotto l’egida di Myrdiin (Merlino), il druido nato all’ombra del cerchio di pietre, che prepara il fratello Arthur per il suo destino. Il ragazzo dovrà estrarre la spada Excalibur dalla roccia, diventare l’Axis mundi, l’incarnazione stessa della regalità, il Grande Re, il quale sarà tutt’uno con la sua terra che unirà proteggendola dalle invasioni dei Sassoni.
Attorno a Morgaine e a Arthur i cavalieri della tavola rotonda e le loro dame, le battaglie, le rivalità, la ricerca del Graal, l’amore declinato in tutte le incarnazioni: l’amore passione fra Uther e Igraine, quello coniugale fra Arthur e Gwenhwyfar (Ginevra), quello cortese, angelicato e irrefrenabile fra Gwenhwyfar e Lance, quello fatale e predestinato fra Tristan e Yseult (Isotta). Ma, soprattutto, l’amore proibito, tellurico e ancestrale, fra Morgaine e suo fratello, fra la sacerdotessa della dea e il grande Re cervo, che è anche, però, un re cristiano.
Attraverso sensi di colpa abissali, tradimenti e lussuria, si dipanano le vicende di una storia corale, fatta di fili che s’intrecciano come in un ordito e una trama, mentre i vessilli garriscono al vento sui contrafforti della gloriosa Camelot, faro di civiltà per la Britannia tutta.
 
IN USCITA IL 1 APRILE!
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Laura Nuti, "Storia di Melusina"

12 Marzo 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #laura nuti, #recensioni, #fantasy, #miti e leggende

 

 

 

 

Storia di Melusina

Laura Nuti

Marchetti Editore, 2022

pp 63

10,00

 

 

La leggenda di Melusina, metà donna e metà serpente (o forse sirena), risale ad antichi miti celtici ed è giunta a noi in versioni diverse, tutte volte a esaltare remoti casati europei, soprattutto quello dei Lusignano. La sua figura è presente principalmente nel folklore francese, nella versione scritta da Jean D’Arras e in quella successiva di Coudrette, ma viene poi ripresa da molti autori moderni, fra i quali spicca Goethe.

Melusina ha origini fatate, è bella in modo sovrannaturale, con un corpo flessuoso e occhi cangianti. Incontra Reymund nella foresta e i due si piacciono. Solo lei è in grado di consolarlo dalla sua disperazione. Decidono di sposarsi, lui, però, non dovrà mai cercarla di sabato, pena la fine del loro matrimonio. Accetta perché da subito ne è soggiogato, Melusina si rivela affascinante, competente, splendida. Gli partorisce molti figli, solo due dei quali sono normali, gli altri hanno qualche sembianza animalesca: artigli, zanne, musi pelosi, occhi da ciclope. Ma sono comunque giovani forti, ardimentosi, prestanti. La stranezza della prole non diminuisce l’amore e l’affiatamento della famiglia. Melusina e Reymund si amano, lei, intelligente e saggia, aiuta il marito a condurre in porto imprese brillanti, a governare con giustizia. Insieme allevano i figli nel segno della dedizione e dell’amore.

Nella versione di Laura Nuti, Melusina rappresenta un femminino erotico, fertile e materno insieme, che spaventa l’uomo non in grado di comprenderlo e accettarlo. Melusina è la divinità antica che si fonde col nuovo concetto medievale cristiano, dove la donna è legata alla stregoneria e discende dalla prima peccatrice. E Reymund è combattuto fra questa mentalità medievale e il proprio istinto che gli dice di fidarsi della moglie, di amarla senza riserve, sospetti o timori. Ma gli altri si mettono in mezzo, la coppia deve per forza uscire dalla bolla incantata in cui vive e scontrarsi con la cattiveria e i pregiudizi del mondo esterno.  La bolla scoppia, il matrimonio finisce, sopravvive solo l’istinto materno, l’ultimo a morire, l’unico accettato dalla società. Eppure, siamo consapevoli che il sentimento dei coniugi, così profondo e tenace, sarà comunque capace di sfidare la lontananza e la divisione. Reymund e Melusina continueranno ad amarsi, a distanza, oltre ogni tempo, ogni luogo e ogni diversità.

Con questa bella narrazione, Laura Nuti si conferma esperta studiosa di mitologia e fiabe ma anche e soprattutto brava narratrice. Leggendola, mi vengono in mente le atmosfere di Gianbattista Basile. Ci riracconta la storia con un’affabulazione che scorre come acqua di fonte. Le sue parole scivolano facili e felici e hanno il sapore delle antiche narrazioni, quelle del Cantafiabe ne “Le fiabe sonore” dei fratelli Fabbri, quelle dei libri ingialliti nelle soffitte, appartenuti a chissà quale antico bambino. Questa leggerezza, questa capacità affabulatoria, è frutto di uno sforzo certosino di lima, di un lavoro di riduzione all’osso, a un essenziale mai scevro di romanticismo e arcano mistero.

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Il geco

7 Maggio 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

- Hai risposto degnamente alla tua empia rivale: grande fu il pericolo per gli dèi dell'Olimpo, ma altrettanto grande la loro vittoria! - esclamò Minerva rivolta a Calliope - Ed ora, ti prego, parlami di Cererei desidero molto conoscere la sua storia! -

Allora Calliope cantò, accompagnandosi con la cetra.

«In Sicilia, non lontano dalle mura di Enna, c’è un lago chiamato Pergo: i cigni cantano su quelle acque profonde, un bosco fitto lo circonda e lo ripara dal sole, il terreno umido fa nascere fiori bellissimi. In questo luogo felice è sempre primavera ...

Un giorno Proserpina, la figlia di Cerere, dea del grano, si divertiva a cogliere gigli e viole sulle sponde del lago; riempiva di fiori il cesto e la veste sottile, gareggiando con le compagne a chi ne prendeva di più.

Plutone, dio dei morti, la vide, se ne innamorò e la rapi! Tutto accadde in un attimo: un nero cocchio, trainato da neri cavalli apparve all’improvviso in mezzo al lago; volava sull’acqua, fra vapori di zolfo ... Alla guida stava il terribile dio, con in pugno lo scettro di re: i capelli arruffati si agitavano intorno alla sua testa, come una nuvola minacciosa; il volto, che non conosce sorriso, era incorniciato da un’ispida barba. Subito fu nel prato, vicino a Proserpina.

- Salvami madre, salvami! - invocò la fanciulla, e cercò scampo nel bosco.

Ma la sua fuga fu breve: una grande mano scura si protese verso di lei, l’afferrò e la trascinò sul cocchio ... La veste leggera si ruppe e i fiori si sparsero per terra. Il dio incitò i cavalli, scosse le briglie scure sulle scure criniere e scagliò lo scettro in fondo al lago: subito la terra si aprì, il cocchio sprofondò nella voragine e scomparve!

Quando Cerere non vide tornare Proserpina, si mise a cercarla per terra e per mare, senza darsi pace né riposo. Era la sua unica figlia e aveva per lei un amore sconfinato. Accese due torce alle fiamme dell’Etna e facendosi luce con quelle, vagò nella notte scura ...

Al mattino, cercava ancora la sua bambina. La dea del grano era sfinita e aveva sete; vide una capanna dal tetto di paglia e bussò. Venne ad aprire una vecchia.

-  Datemi da bere e da mangiare, vi prego, in. nome degli dèi! - chiese umilmente Cerere.

E la buona donna, impietosita, le offerse una ciotola piena d’acqua e della polenta. Mentre la dea si rifocillava, un fanciullo cominciò a guardarla in modo insolente; poi si mise a ridere e disse, puntando il dito contro di lei:

- Com’è ingorda quella vecchia pezzente! -

Allora Cerere si adira: fissa l’insolente con occhi terribili e gli scaglia addosso la polenta, gridando:

-Maledetti coloro che non rispettano i deboli! Hanno il cuore di ghiaccio, non sono degni di essere uomini! -

Subito il volto del fanciullo si cosparge di chiazze, le braccia si trasformano in zampe, sul corpo spunta una lunga coda, la sua figura rimpicciolisce e si contorce. La buona donna, stordita dal prodigio, cerca di toccarlo, ma egli fugge sotto una pietra! Ormai è divenuto un piccolo rettile, così non può fare del male; è ripugnante alla vista e il sangue che gli scorre nelle vene è gelido, come il suo cuore. Si chiama geco ed è una lucertola che vive sui muri, nascondendosi nelle crepe ...

 

 

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I terremoti della Sicilia

5 Maggio 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Ascoltammo in silenzio questo lungo racconto che scher­niva gli dèi e l’amato padre Giove. Quando la superba princi­pessa tacque, fu la volta di Calliope, la nostra cara sorella: a lei affidammo il compito di gareggiare per tutte.

Calliope raccolse le lunghe chiome in un tralcio d’edera e, con voce melodiosa, intonò questo canto:

Cerere, la dea della terra, fece agli uomini doni straordinari: insegnò loro a usare l'aratro, fece nascere il grano e i dolci frutti, stabili le leggi! Cerere è una dea molto potente e per celebrarla, narrerò come sua figlia divenne regina del­l'Averno: spero che il mio canto sia degno di lei. Prima, però, voglio terminare una storia di cui è stato detto solo l’inizio ...

«C’è una grande isola, la Sicilia. Essa posa sulle spalle del gigante Tifeo, che osò assalire la dimora degli dèi. Ci fu una terribile guerra, ma, infine, Giove, con l’aiuto degli altri immortali, sconfisse quel mostro e lo confinò nelle profondità della Terra.

Egli si agita e vuole alzarsi, ma il monte Peloro posa sulla sua mano destra, il Pachino sulla sinistra, Lilibeo gli compri­me la gamba e l’Etna gli grava sulla testa. Sdraiato sui fondo, Tifeo, inferocito, scaglia sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Spesso cerca di liberarsi dal peso che lo opprime, vuol scrollar­si di dosso le città e le montagne; allora il suolo trema, si squarcia e la luce giunge nel profondo, fino al regno dei morti. Ecco perché i terremoti seminano dolore e rovina nella bella Sicilia ... »

 

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La fontana del cavallo e il dio Ammone

6 Aprile 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Minerva, seduta in mezzo alle nuvole, osservava felice la vittoria del fratello Perseo: ormai il giovane eroe non aveva più bisogno di aiuto...

«Finalmente posso concedermi un po’ di riposo!» pensò la dea.

Si tolse l’armatura e l’elmo, depose a terra la lancia e lo scudo e indossò una semplice tunica; poi, avvolta in una nuvola cava, volò leggera sul monte Elicona, dove vivevano le nove Muse.

Le Muse erano divinità figlie di Giove e proteggevano le arti: Calliope, la poesia epica; Clio, la storia; Erato, la poesia amorosa; Euterpe, la musica; Melpomene, la tragedia; Polimnia, il canto sacro; Talia, la commedia; Tersicore, la danza e Urania, l’astronomia.

-  Benvenuta, cara amica nostra - disse Erato, rivolta a Minerva, che si accomodava la veste scomposta dal rapido volo, - A che cosa dobbiamo la tua gradita visita? -

- Sono venuta qui - rispose la dea dagli occhi azzurri - perché ho saputo che Pegaso, il cavallo alato, colpendo con uno zoccolo la roccia dell'Elicona, ne ha fatto scaturire una fonte –

-  È vero! Ed è una fonte magnifica, sacra alle ninfe! Vuoi vederla? – domandò gentilmente Calliope.

-  Ne sarei felice. Ho visto nascere quel cavallo ... È balzato fuori dal sangue di Medusa: quando mio fratello Perseo ha tagliato la testa del mostro, io gli stavo accanto e guidavo la sua mano! -

Allora Talia condusse la dea vicino alla nuova fonte di acqua azzurra e purissima, che sgorgava in mezzo a una foresta secolare. Minerva si chinò a bere, poi sedette all’ombra di un albero. Si sentiva rinascere: solo le sue nove sorelle sapevano darle quella pace, quella celeste armonia...

- Com’è bello qui, come siete fortunate ... - diceva la dea, guardandosi intorno.

- Anche noi abbiamo le nostre amarezze, cara sorella!  - rispose Clio - Ascolta, voglio raccontarti una storia accaduta poco tempo fa.

«Non lontano da questi sacri luoghi, abitavano nove fanciulle, figlie di re. Erano molto ricche e belle: vestivano abiti neri e bianchi, adorni di lunghi strascichi, che mettevano in risalto la loro snella figura. Però erano anche molto sciocche e orgogliose, per questo osarono sfidarci:

-  Gareggiate con noi, o Muse, se ne avete il coraggio! Abbiamo una voce bellissima, conosciamo tutte le arti e siamo nove, come voi. Le ninfe dei fiumi saranno i giudici della gara: se vinciamo, voi ci lascerete la sacra fonte creata da Pegaso, altrimenti noi vi daremo le più belle terre del nostro regno! -

Accettammo la sfida e la gara incominciò. Le ninfe giurarono di essere arbitri imparziali e si accomodarono su sedili di pietra. Allora una delle sfidanti si staccò dalle altre, acconciò la bella veste bianca e nera, dispose armoniosamente il lungo strascico e, accompagnandosi con la cetra, iniziò a cantare così:

Tifeo era il capo dei Giganti, tremende creature con lunghe code di serpente al posto dei piedi. Aveva grandi ali e cento teste; dalle sue cento bocche uscivano grida spaventose! Voleva prendere il posto di Giove, perciò decise di scalare l’Olimpo ...

Gli immortali, alla sua vista, fuggirono in preda al terrore; arrestarono la loro corsa solo quando giunsero in Egitto! Ma Tifeo li raggiunse anche in quei luoghi lontani ed essi, per nascondersi, si trasformarono in animali: Giove prese l'aspetto di un ariete, il capo del gregge (per questo Ammone, il grande dio di Tebe, ha la testa adorna di corna ricurve!); Apollo divenne un corvo, Diana un gatto, Giunone una bianca giovenca, Venere un pesce, Apollo un ibis dalle grandi ali ... Tifeo, furioso, dava loro la caccia ed essi, tremando, cercavano rifugio in grotte profonde!

 

 

 

 

 

 

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I coralli

8 Marzo 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Perseo, dopo la trasformazione di Atlante, si rimise ai piedi i sandali alati, appese al fianco la spada con la quale aveva tagliato la testa di Medusa e volò di nuovo nell’aria limpida. Vedeva passare sotto di sé popoli, città, foreste, deserti ... Il mondo era bellissimo, visto dall’alto!

Infine giunse nella terra degli Etiopi; lì Nettuno, dio di tutte le acque, aveva ordinato che Andromeda, la figlia del re, pagasse con la vita l’oltraggio fatto da sua madre alle Nereidi, le belle ninfe del mare.

Perseo, dall’alto, vide la misera fanciulla legata nuda alla roccia, in riva al mare: il vento le agitava i capelli e i suoi grandi occhi erano pieni di lacrime.

Il giovane eroe ne rimase incantato e, per un attimo, si dimenticò di battere le ali che lo tenevano sospeso nel cielo: sbandò, annaspò nell’aria e alla fine si posò su una roccia, vicino alla bella prigioniera.

-  Come ti chiami? - le chiese - Come si chiama questa terra? Perché sei legata così? -

Andromeda taceva: avrebbe voluto coprirsi il volto con le mani; ma era legata, perciò poteva solo piangere e arrossire ... Perseo insisteva con le domande e la fanciulla non voleva che quel giovane dai sandali alati la credesse colpevole di qualche orrendo delitto; perciò, con un filo di voce, gli disse il suo nome e quello della sua terra. Poi cominciò a raccontare:

-  Fu l’amore di mia madre a condurmi alla rovinai Io, per lei, ero la fanciulla più bella del mondo, più bella anche delle ninfe del mare; così andava in giro vantandosi.

 Le Nereidi si offesero terribilmente e pregarono Nettuno di vendicarle … Un drago gigantesco cominciò a seminare morte e distruzione nel nostro regno. Mio padre, disperato, chiese consiglio agli indovini e da tutti ottenne la stessa risposta: l’orribile creatura sarebbe tornata negli abissi del mare, solo dopo avermi divorata! -

-  Ma allora … tu stai aspettando il mostro! E i tuoi genitori dove sono?  - gridò Perseo, incredulo.

La risposta si gela sulle labbra di Andromeda: le onde hanno cominciato a ribollire e in mezzo al mare è apparso il drago, orrendo e minaccioso. Il suo petto copre un gran tratto di acque e si dirige velocemente verso la riva. Andromeda ha ritrovato la voce e ora grida, spaventata.

Ed ecco il giovane dai sandali alati, dirle:

- Non è tempo di piangere! Io sono Perseo, figlio di Giove e di Danae. Ho vinto la Gorgone Medusa e posso volare nel cielo: qualunque fanciulla sarebbe orgogliosa di avermi per marito! Ora, con l'aiuto degli dèi, compirò una nuova, grande impresa, però a un patto: che tu sia mia sposa, se riesco a salvarti! -

Intanto il mostro, facendosi largo fra le onde con l'enorme petto, sta per giungere allo scoglio ... Allora Perseo lega alla cintura la bisaccia che contiene la testa di Medusa; poi, con uno slancio, vola in alto fra le nubi. La sua ombra si disegna sulla superficie del mare e il drago, inferocito, si avventa contro l’immaginario nemico …

È il momento giusto: il giovane eroe piomba dall’alto sulla belva e le trafigge il collo con la lunga spada!  Il mostro vomita sangue, mentre Perseo lo ferisce sul dorso incrostato di conchiglie, sulla testa coperta di squame, sulla coda appuntita ... Infine, un colpo netto, preciso, e la spada micidiale affonda nel cuore della belva!

Perseo guarda le sue mani sporche di sangue e, per lavarle, poggia la testa di Medusa su uno strato di morbidi ramoscelli che coprono la sabbia.

Ed ecco quegli arbusti, ancora freschi e vivi, si induriscono e si tingono di un rosso intenso: sono diventati coralli!

 

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Il monte Atlante

6 Marzo 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Dopo la trasformazione delle figlie di re Minia, tutti gli abitanti della Grecia temevano e veneravano il dio del vino; solo Acrisio, re di Argo, sosteneva che né Bacco, né Perseo, suo nipote, erano figli di Giove.

Acrisio aveva una grande opinione di sé: si era conquista­to da solo il trono e riteneva di essere il più forte e il più astuto fra tutti i re della Grecia; che bisogno aveva degli dèi?

«Forse gli dèi non esistono...» pensava.

Perciò non credeva che sua figlia Danae avesse avuto Per­seo proprio dal re dell’Olimpo. Perseo, quel bambino tanto pericoloso, che non doveva nascere.

Infatti un oracolo aveva predetto ad Acrisio che sarebbe stato ucciso da un nipote e il re, per sfuggire al suo destino, aveva fatto rinchiudere la figlia dentro una torre inaccessibi­le. Ma Giove, innamorato della fanciulla, si trasformò in una pioggia dorata, passò attraverso una fessura aperta nel muro e riuscì ugualmente a raggiungerla ... Così nacque Perseo.

Quando Acrisio seppe dell’accaduto, non ebbe un attimo di esitazione:

 

- Chiudete la madre e il figlio in una cassa e gettateli in mare! -  ordinò.

Ma Giove vegliava sui due naufraghi e, sospinta da un vento leggero, la cassa approdò nell'isola di Serifo. Polidecte, re dell'isola, salvò Danae e Perseo e li accolse nella sua reggia.

Il tempo passò e Perseo divenne un giovane forte e intelligente, Danae una donna bellissima. Polidecte era innamorato di lei e voleva sposarla, ma Danae, che viveva solo per il figlio, lo respingeva.

 

- Perseo è un ostacolo alla mia felicità, – pensava il re – devo liberarmi di lui!

 

Infine ebbe un’idea …

Come tutti i giovani, il figlio di Danae amava l’avventura e desiderava dar prova del suo coraggio, perciò un giorno Polidecte gli disse:

 

- So che non hai paura di nulla, ma certamente non ose­resti affrontare la Gorgone Medusa!-

 

- Se la tua è una sfida, o re - rispose Perseo - l’accetto senza esitare! Prima, però, dimmi: chi è questa donna che do­vrebbe farmi tanta paura?-

 

- Medusa non è più una donna, ma un tempo era una fanciulla bellissima, così bella che Nettuno, dio del mare, si inna­morò di lei e subito fu ricambiato con grande passione. I due innamorati, però, scelsero per incontrarsi il tempio di Miner­va, che sorgeva in una valle isolata e silenziosa ... Una notte la dea, scrutando la Terra dall’alto dell’Olimpo, si accorse che il suo tempio era stato profanato! Sdegnata, decise di vendicar­si dell'oltraggio subito ... Ma Nettuno era un dio, e lei non po­teva punirlo; allora rivolse tutta la sua ira contro Medusa e la trasformò in un terribile mostro, con la lingua penzolante, le zanne enormi, i serpenti al posto dei capelli, gli occhi di fuoco. Chiunque l'avesse guardata, sarebbe diventato di pietra! –

 

- Anche ora Medusa ha questo potere? - chiese Perseo, affascinato dalla storia - Certo! La sua casa è circondata da statue di roccia, che un tempo furono uomini e animali - esclamò Polidecte. Vuoi forse rinunciare alla sfida? Sapevo che la verità ti avreb­be sconvolto...

 

- Niente affatto! - rispose il giovane, senza esitare - Voglio partire subito! Non ho paura, anzi: ben presto ti porte­rò la testa di Medusa!-

 

Polidecte aveva raggiunto lo scopo: finalmente avrebbe sposato Danae! Quel presuntuoso non sarebbe certo tornato dalla sua folle impresa: nessuno poteva vincere Medusa.

Invece Perseo, con l’aiuto di Mercurio e Minerva, i suoi fratelli divini, realizzò il progetto straordinario e decapitò la Gorgone.

Ma anche recisa, l’orribile testa conservò il potere di pie­trificare chi la guardasse e i serpenti continuarono a sibilare e a sputare nero veleno.

Dal collo di quel mostro, però, insieme al sangue, uscì uno splendido cavallo alato: il giovane eroe lo chiamò Pegaso.

Ora, dopo la vittoria su Medusa, Perseo, felice e pieno di orgoglio, tornava a Serifo, volava leggero nell’aria, grazie ai sandali alati che gli aveva donato suo fratello Mercurio, e stringeva fra le mani una bisaccia, che racchiudeva la testa della terribile creatura.

Portato dal vento, Perseo vagò nel cielo immenso e, quan­do giunse il tramonto, si fermò nella regione dell'Esperia: era troppo pericoloso volare di notte, anche per un giovane eroe!

L’Espero era il regno di Atlante, un uomo gigantesco: ave­va mille greggi e sulla sua terra nascevano alberi lucenti, che davano frutti d’oro.

- O re - gli disse Perseo, quando fu davanti a lui - Io sono figlio di Giove e ho compiuto grandi imprese: se onori gli dei e apprezzi il coraggio, ti prego, fammi riposare nella tua casa!

 

Atlante lo guardò pieno di sospetto e subito la sua mente corse a un’antica profezia, che ammoniva:

«Un giorno giungerà nella terra dell'Espero uno dei figli di Giove e allora il tuo regno avrà fine ... Egli

ti toglierà i frutti degli alberi d'oro, e la vita!»

Per questo il potente re si rifiutò di ospitare Perseo. Ma il giovane, senza esitare, infilò la mano nella bisaccia e trasse fuori la terribile testa di Medusa ...

Ecco, allora, Atlante diventare un’enorme montagna: la barba e i capelli si trasformano in folti boschi, le spalle e le ma­ni sono rupi scoscese, la testa è la cima più alta, le ossa diven­gono massi.

Ora, ai confini del mondo, non esiste più il gigante padro­ne di mille greggi: al suo posto c’è una catena di monti, che ne conserva il nome e continua a sbarrare la strada a chi vuol av­venturarsi nella terra dove crescono i frutti d'oro...

 

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Laura Nuti, "Come le ciliegie"

19 Febbraio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Come le ciliegie

Laura Nuti

Marchetti Editore, 2018

 

Il delizioso Come le ciliegie, di Laura Nuti, edito da Marchetti e ben illustrato da Roberta Malasomma, mi ha riportato indietro nel tempo, mi sono rivista bambina, leggere con foga e meraviglia adattamenti di classici e riduzioni di opere immortali: il Kalevala, il Peer Gynt, le storie di Carlomagno e Berta dal grande piede, la Divina Commedia spiegata ai ragazzi, la mitologia greca. Questo libro ha il sapore (inimitabile) di ciò che leggevamo allora, con un piglio, però, moderno. Che cosa sono le fiabe se non miti e leggende rielaborati, che cosa c’è nella fiaba se non la struttura stessa di un singolo grande mito (come ci insegnano Propp e Joseph Campbell)? E non era forse un’operazione simile quella compiuta negli anni sessanta con le fiabe sonore e con le riduzioni dei classici per bambini?  

Sonnolenti pomeriggi d’estate, un giardino afoso, una nonna che culla una piccina mentre racconta – o meglio, fa raccontare dall’immaginario cane Argo -  alla sorellina più grande le meravigliose vicende degli eroi omerici, prima, durante e dopo la guerra di Troia, adattate a un palato infantile e odierno ma appetibili per tutti, perché le storie, si sa, quando sono belle, sono godibili a ogni età.

Storie come ciliegie, una tira l’altra. Storie succose, colorate, multiformi, tutte diverse ma concatenate. Storie di mostri chimere (ovvero puzzle), di cavalli alati, di guerrieri belli e coraggiosi, (ovvero fighi), di principesse affascinanti, ma anche di dei che più umani di così non si può, con tutti i nostri difetti: l’infedeltà, l’invidia, la gelosia, la rabbia.

Come afferma la stessa autrice nel saggio Narrare e leggere belle storie:

I “ racconti tradizionali, cioè le fiabe, le favole, i miti, le saghe e le leggende epiche, devono avere un ruolo fondamentale. Perché? Perché sono storie che “hanno una storia”, che vengono da lontano, che “hanno viaggiato attraverso il mondo e si sono colorate qua e là di sfumatureriferimenti, chiaroscuri attinti cammin facendo”; sono storie nate dalla narrazione, dalla tradizione orale (perciò si prestano ad essere narrate, raccontate) e sono divenute poi letteratura (perciò si prestano ad essere lette, indagate nella loro struttura, “ricalcate” per dar vita ad altre storie). (Laura Nuti)

Ecco il valore di questo “ri-raccontare” miti e saghe conosciute, ecco il valore degli adattamenti e delle rivisitazioni. E l’immagine della nonna è la più azzeccata. Spetta alle generazioni più anziane, infatti, il compito di tramandare, di trasmettere la cultura, cioè il patrimonio comune delle conoscenze e delle storie, arricchendole di valori contemporanei, di novelli spunti, d’immagini  consone alla nuova epoca.

Ben vengano operazioni culturali così fresche e piacevoli. Se in libreria ci fossero meno Peppa Pig, meno Pija Masks, e più libri deliziosi come questo, resterebbe la speranza che il mondo, pur evolvendosi, mantenesse quelle conoscenze che fanno di noi ciò che siamo e che vorremmo continuare a essere in futuro.

 

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