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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Saldi saldi saldi!!

30 Giugno 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #moda

Saldi saldi saldi!!

Qui i saldi cominciano ufficialmente il due luglio. Ci sono, però, grandi catene che li praticano l’intero anno, non faccio nomi ma sappiamo tutte quali sono e ne approfittiamo. Anche perché, diciamolo, che senso hanno i saldi? Perché si scontano vestiti estivi quando, in pratica, l’estate non è ancora cominciata? Perché, lo dico da ex commerciante, un negoziante non è libero di deprezzare quando vuole merce che non ha esitato e liberarsi subito di un acquisto sbagliato? Se è permesso dare il prezzo che si desidera a un oggetto, perché non è permesso ribassarlo quando se ne ha necessità? E, comunque, se le cose costassero meno da subito, non ci sarebbe bisogno della manifestazione saldi, che potrebbe essere riservata davvero solo agli ultimissimi scampoli di fine stagione.

Ma veniamo a noi. Un consiglio è quello di acquistare sempre i capi di una taglia in più, starete comode ed eviterete l’effetto salame insaccato. Ed ora la nuova tornata di acquisti, freschi freschi.

Il vestito fantasia marrone passepartout.

La gonnellina effetto denim impalpabile e freschissima, molto comoda per viaggiare.

La canotta blu da abbinarci.

La collana, sempre sull’azzurro. Gli accessori fanno la differenza fra l’essere vestite con la prima cosa che capita e l’essere abbigliate con cura e cognizione ma, mi raccomando, non più di uno per volta. A impreziosire una canottiera o una tshirt, basta un semplice foulard attorno al collo, da tenere sempre in borsa quando si viaggia per proteggersi dall’aria condizionata ed entrare nei luoghi di culto.

I sandali neri, semplici e rasoterra ma con la suola illuminata da un filo d’argento, che si calzano giorno e sera. Di solito mi piace portare le scarpe nel medesimo colore di quello che indosso nella parte inferiore, quindi delle gonne o dei pantaloni, e abbinarci la borsa.

Sì, forse sono rimasta indietro, sono rimasta ancorata alla borsetta in tinta con le scarpe, ma, come sapete, seguo ancora i consigli di mia nonna, che è morta quarantadue anni fa, e anche di sua sorella, la mia prozia. Lei era una sarta così bella, alta e dal portamento talmente regale che le facevano indossare gli abiti per mostrarli alle signore dell’atelier per cui lavorava. (E proprio alla figura della mia prozia si ispira, molto liberamente, l’ultimo romanzo che ho scritto, ancora inedito e attualmente nelle mani del mio editore.)

Saldi saldi saldi!!
Saldi saldi saldi!!
Saldi saldi saldi!!
Saldi saldi saldi!!
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IL SOGNO DEL GIOVANE ZAR di Tolstoj

29 Giugno 2016 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #racconto

IL SOGNO DEL GIOVANE ZAR di Tolstoj

Il sogno del giovane zar è un racconto scritto nel 1894 e accantonato dopo la delusione dell'autore per i primi passi del nuovo zar Nicola II, ancora legato all'autoritarismo.

Il sovrano, protagonista del testo, dopo una dura giornata di lavoro passata con i ministri e i collaboratori, si concede un po' di riposo. Si addormenta e in sogno trova un personaggio che lo conduce in vari luoghi del suo regno. Questo misterioso accompagnatore sembra un Virgilio, ma potrebbe essere lo stesso Dio. Dovunque trovano dolore e iniquità; soldati che devono uccidere, famiglie distrutte dall'alcol dalla cui vendita lo stato guadagna, giudici che condannano a pene severe ad esempio per un furto di poca paglia, giovani strappati alle famiglie per fare i soldati mentre i ricchi rampolli riescono a farsi esentare. Soprattutto vedono tanta corruzione. Il giovane zar è sconcertato; eppure il suo accompagnatore gli ricorda che tutto viene dalle leggi che lui firma.

Che fare allora? Il sovrano è animato dalle migliori intenzioni e non crede di essere causa di tanto male. Ama il suo popolo, afferma e allora vorrebbe reagire a quanto visto nella desolante ricognizione nel suo regno. Al risveglio si confida con un dignitario e con la zarina.
Riceve dal primo dei consigli rassicuranti e pieni di piaggeria; lo zar è virtuoso e troppo buono. Deve governare come sempre, senza curarsi di eventuali danni che saranno accidentali. Chi è povero è egli stesso responsabile della sua situazione. La zarina, invece, colpita dalla gravità delle preoccupazioni del marito, vuole che condivida il peso delle responsabilità di governo con altri soggetti.
Ma c'è un terzo suggerimento che viene dalla voce di chi l’ha accompagnato nel sogno. Lo zar deve ricordarsi di essere un uomo. Fallibile, precario, simile ai suoi sudditi. Domani potrà essere il suo ultimo giorno. I doveri verso gli altri, gli viene spiegato, sono innanzitutto etici con richiami alla sfera religiosa.

È un racconto molto denso; i riferimenti a fatti reali sono vari e non sempre ben accostati. Si parla anche di deportazioni e persecuzioni verso le minoranze religiose, di una sentenza di morte verso un soldato che aveva colpito un superiore dopo una grave offesa, dei danni della cattiva istruzione pubblica.

Il racconto termina con l’invito ad aspettare un cinquantennio per sapere quale fra le tre strade suggerite sarà fatta propria dal monarca. La prima è quella dell’assolutismo irresponsabile, incapace di emendarsi davanti alle storture della società; la seconda propone riforme costituzionali, parlando di condividere il potere con i rappresentanti del popolo, limitando i poteri del sovrano; la terza è quella potenzialmente rivoluzionaria. Questa consiste nel ricordarsi che il possesso del potere è un momento e che anche chi lo detiene è un momento in quanto essere effimero come tutti. Invece i doveri dell'uomo verso l'uomo sono eterni.

Resta un testo attuale; ogni giovane re, premier, magnate dovrebbe riflettere su quale via seguire prima di mettere una firma in calce a un documento.

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Clelia

28 Giugno 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #storia, #personaggi da conoscere, #miti e leggende

Clelia

Nel 507 a.c., come pegno di pace, il re Porsenna si è fatto consegnare dai romani alcune giovinette.

Una notte, una di queste, chiamata Clelia, alla testa di alcune sue compagne, riesce a fuggire. Le ragazze attraversano a nuoto il Tevere e tornano a Roma. Ma i cittadini romani, invece di accoglierle con gioia, le riaccompagnano al campo etrusco dicendo: “La parola data è sacra.”

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Porsenna

27 Giugno 2016 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #storia, #personaggi da conoscere

Porsenna

Nel 509 a.C., quando l'ultimo re di Roma, Tarquinio detto il Superbo, cacciato dalla città, fuggì verso il nord, chiese asilo a Porsenna, lucumone (alto magistrato) di Chiusi.

Intanto a Roma era stata instaurata la repubblica: convocato un grande comizio centuriato, si era deciso che mai più un re avrebbe disposto del destino di Roma.

Vennero nominati due consoli che, insieme e di comune accordo col senato, avrebbero governato la città. Intanto Tarquinio tramava per tornare sul trono e convinse Porsenna a marciare verso Roma con un grande esercito, d'altronde fino a che la dinastia dei Tarquini aveva governato, Roma,pur avendo rosicchiato territori all'Etruria, non aveva raso al suolo le sue città come era accaduto per Albalonga e molte altre. Porsenna capì che non era il caso di trascurare le vicende romane e giunse alle mura della città, cingendola d'assedio. Porsenna vinse la guerra, dettò condizioni di pace molto severe, impose fra le altre cose il completo disarmo -il ferro si poteva forgiare esclusivamente per costruire attrezzi agricoli - ma non restaurò il trono di Tarquinio il superbo e, per far riconoscere la sottomissione di Roma, si fece regalare un trono d’avorio, una corona d’oro, un manto regale, uno scettro e dei calzari, tutti simboli della regalità etrusca.

Ottenuto il successo, rivolse le sue attenzioni verso il sud, per riconquistare le colonie etrusche della Campania, allo scopo inviò il figlio Arnth contro Ariccia. Pur dotato di forze inferiori, Arnth attaccò con decisione e coraggio e, proprio quando la città latina stava per cadere, sopraggiunse un corpo di spedizione greca e il risultato fu capovolto. Arnth stesso trovò la morte in battaglia e Porsenna, distrutto, si ritirò di nuovo nella sua città. Di lui restano miti e leggende scritte dai romani nei secoli a venire che occultano certamente la verità storica, ma che sono rimaste nella nostra memoria fin dalle scuole elementari, chi non ricorda infatti la storia di Orazio Coclite o di Muzio Scevola?

Il primo, Publio Orazio detto Coclite perché privo di un occhio, difese Roma quando gli Etruschi stavano per occupare il Gianicolo, egli riuscì da solo a fermare l'avanzata, mentre i romani distruggevano il ponte alle sue spalle, impedendo in tal modo all'invasore l'ingresso in città. Temerariamente, con la spada urlando, li affrontò uno a uno senza che i loro giavellotti riuscissero a colpirlo. Quando il ponte fu distrutto egli si tuffò nel Tevere e si mise in salvo.

L'altro episodio avvenne, sempre secondo la leggenda, durante l'assedio di Porsenna quando Muzio Cordo, propose al Senato un piano per intrufolarsi nell'accampamento etrusco e uccidere il lucumone. Egli osservò il suo nemico e il segretario che distribuivano le paghe ai soldati e, quando riuscì ad avvicinarli, per un tragico scambio di persona uccise il segretario e non Porsenna. Fu catturato e portato al cospetto del re, dove, senza il minimo tentennamento, mise la sua mano destra sul braciere e ve la lasciò finché non fu completamente bruciata dicendo: ”Ero qui per uccidere te. Sono romano e il mio intento era quello di liberare la mia patria, ma ho fallito e quindi punisco quella parte del mio corpo resasi colpevole di questo imperdonabile errore”.

Da quel giorno e per l'eternità fu chiamato Muzio Scevola (il Mancino)

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Tarquinio il Superbo

25 Giugno 2016 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #storia, #personaggi da conoscere

Alla morte di Servio Tullio i senatori trassero un sospiro di sollievo credendo che Lucio Tarquinio, con cui si erano accordati, rispettasse i patti, ma egli si sedette sul trono ancora caldo del suo predecessore senza chiedere il loro permesso. Appena preso il potere, si mostrò un vero tiranno e per questo fu soprannominato “il superbo”, proprio per distinguerlo dal primo Tarquinio della sua dinastia.

Era un uomo violento e aggressivo, negò la sepoltura di Servio Tullio, perseguitò i senatori, oppresse il popolo e con la forza mantenne il controllo della città durante il suo regno. Creò un regime autoritario e fu despota a tal punto da unire, per la prima volta, nell'odio verso la sua figura, patrizi e plebei.

La maggior parte del suo tempo la trascorse a fare guerre, avvalendosi di un esercito ormai molto numeroso, composto da qualche decina di migliaia di uomini, soggiogò tutta l'Etruria e le sue colonie meridionali fino a Gaeta. Roma aveva conquistato tutto il versante tirrenico della penisola, mantenne il primato sugli Etruschi e sugli Equi, e, sotto il regno del Superbo, fu terminata la costruzione del tempio di Giove Capitolino.

Il suo regno ebbe termine in seguito all'offesa arrecata da suo figlio Sesto a Lucrezia, moglie di Lucio Tarquinio Collatino. La leggenda narra che il figlio del re volle conquistare la moglie di Collatino per una sorta di scommessa tra i due a chi avesse la moglie più fedele. Un'altra versione vuole che, invece, vedendola così pudica e riservata a tessere la tela in attesa del marito, fosse preso dal desiderio di possederla e la violentò. In entrambi i casi la storia termina con Lucrezia che si trafigge il cuore con un pugnale dopo aver raccontato il fatto. Narra allora Tito Livio che Lucio Giunio Bruto, nipote del re, estratto il pugnale dalle sue carni, esclamò: «Per questo sangue, purissimo prima del regio oltraggio, giuro, e vi chiamo come testimoni, che perseguiterò Lucio Tarquinio Superbo, la sua scellerata sposa e tutta la stirpe dei suoi figli con ferro, fuoco e con qualunque forza possibile, né a loro né ad altri consentirò di regnare a Roma» (I 59). Poi, esortò il senato ad abbattere la monarchia. È evidente che la leggenda di Lucrezia che tesse la tela richiama quella di Penelope che aspettava Ulisse, però la storia dice che per un motivo o per un altro fu proprio Giunio Bruto l’artefice della rivolta che portò alla nascita del regime di libertà (libertas) e del consolato (consolatus). In un primo momento, Tarquinio il Superbo si precipitò a Roma, deciso a difendere il potere, ma alla fine fu costretto a fuggire in esilio.

Rifugiatosi per qualche tempo a Tuscolo, morì a Cuma nel 495.

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Orazio Coclite

24 Giugno 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #storia, #personaggi da conoscere, #miti e leggende

Orazio Coclite

L’esercito etrusco si dirige verso il ponte Sublicio, se il re etrusco Lars Porsenna, supremo lucumone di Chiusi, accampato sul Gianicolo, riuscirà a passare il fiume, Roma sarà sua.

All’imbocco del ponte sta un solo soldato romano: Orazio, detto Coclite perché cieco da un occhio. Ha la spada sguainata e imbraccia lo scudo, sbaraglia da solo molti nemici.

Sull’altra riva del fiume alcuni soldati romani abbattono con le scuri i sostegni del ponte. “Tagliate”, grida Orazio, poi si getta nel fiume e raggiunge a nuoto i compagni. (Polibio, però, sostiene che affogò).

Roma è salva ma solo per poco, alla fine si arrende e deve consegnare parte del territorio a Veio.

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Servio Tullio e l'inizio del capitalismo

23 Giugno 2016 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #storia, #personaggi da conoscere

Servio Tullio e l'inizio del capitalismo

Alla morte di Tarquinio Prisco, la moglie Tanaquilla, che non era stata soltanto la sua compagna ma aveva con lui condiviso i problemi di stato, dedicandosi all'amministrazione e alla politica estera, fece credere che il marito fosse soltanto ferito gravemente e, in attesa si riprendesse, lo avrebbe sostituito il figlio Servio. Era una donna colta ed emancipata e, quando riuscì a passare la corona al figlio, questi fu il primo re di Roma non eletto dal popolo. Racconta Tito Livio che “... alla morte di Tarquinio Prisco, grazie agli sforzi della regina (Tanaquil) Servio fu posto sul trono al posto del re, come se fosse una misura non definitiva, ma conservò a lungo il regno conquistato con l'inganno, con tanta abilità che sembrava lo avesse ottenuto in modo legittimo.”

Non è del tutto chiaro se Servio Tullio fosse realmente il figlio, o semplicemente un successore da lei designato, ma fu sicuramente un re illuminato che condusse e portò a termine le più importanti imprese. Prima fra tutte, la nuova cerchia di mura intorno alla città che servì a dar lavoro alla classe meno abbiente, necessitando per la costruzione la manodopera di muratori, piccoli artigiani che videro in lui un benefattore.

Roma era enormemente cresciuta anche come popolazione, il diritto al voto era detenuto solo dalla popolazione iscritta ai Comizi Curiati, come abbiamo detto, inizialmente composti dagli incaricati delle trenta curie che rappresentavano tutta la popolazione romana di trenta-quarantamila persone. Ora il numero dei residenti aveva sicuramente raggiunto almeno i centomila, così, come primo provvedimento, Servio Tullio diede diritto di voto ai libertini, cioè ai figli dei liberti o schiavi liberati, creandosi un forte zoccolo duro di proseliti, pronto ad appoggiarlo in ogni decisione. Come secondo provvedimento, abolì le vecchie curie che rappresentavano le più antiche famiglie di Roma, istituì cinque classi definite non in base alla provenienza, bensì al loro patrimonio. Gli appartenenti alla prima classe dovevano dimostrare di detenere un patrimonio di almeno centomila assi, l'ultima di dodicimilacinquecento.

Il sistema precedente era formato da un esatto numero uguale di centurie con uguale diritto di voto, ora le classi si differenziavano per numero di appartenenti e la più numerosa era proprio la prima classe che da sola deteneva la maggioranza, cosicché, anche se le altre si coalizzavano, non riuscivano a batterla. Diventò quello che oggi definiremmo un regime capitalista e il Senato poteva ben poco: Servio Tullio, pur non essendo stato eletto, aveva l'appoggio incondizionato delle classi abbienti a cui aveva dato nuovo potere e, allo stesso tempo, del popolino cui aveva dato lavoro, salari sicuri e cittadinanza.

Così amato e ammirato poté togliersi anche diversi sfizi personali, fu il primo re a indossare una corona aurea e, seduto sul suo trono d'avorio, reggeva uno scettro sormontato da un'aquila. Onde evitare di fare la fine del suo predecessore, si circondò di una guardia personale armata. Purtroppo però tutto questo non bastò e venne ucciso dal genero Lucio Tarquinio che poteva liberamente circolare nella reggia.

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E poi ci sono fiere e banchetti

22 Giugno 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #moda

E poi ci sono fiere e banchetti

E poi... ci sono le fiere, i mercati, i banchetti. Chi resiste? Io no, mi butto a pesce anche se non amo molto l'arruffa arruffa, non ho la pazienza di esaminare un capo alla volta, ma qualcosa riesco sempre, comunque, a scovare. Avete notato, ogni oggetto, separato dal mucchio e portato a casa, abbinato nel giusto modo, acquista il suo bravo fascino. Ecco alcuni esempi.

Il camicione che si può portare sui pantaloni oppure da solo per andare al mare.

Un paio di canottiere, ché sono freddolosa e in questa estate tiepida le porto sempre sotto, meglio se hanno un po' di pizzo o qualcosa che spunta dal sopra a rifinirlo. Sapete, a me piace il caldo, anzi, il caldone, sto bene in un range che supera ampiamente i 30 gradi per arrivare tranquillamente ai 36. Solo allora mi sento viva e ho voglia di muovermi, di uscire, di fare.

Ecco la borsetta azzurra, con tante belle taschine utili per viaggiare.

Ecco, infine, la gonna animalier, da mitigare con un top molto semplice per evitare l'effetto panterona-tardona.

E poi ci sono fiere e banchetti
E poi ci sono fiere e banchetti
E poi ci sono fiere e banchetti
E poi ci sono fiere e banchetti
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Tarquinio Prisco e la nascita della plebe

20 Giugno 2016 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #storia, #personaggi da conoscere

Tarquinio Prisco e la nascita della plebe

Con la storia dei Re di Roma arriviamo così intorno all'anno 600 avanti Cristo. Le cose erano parecchio cambiate, Roma non era più una piccola città e con le campagne di guerra erano cresciute le esigenze, si era dato impulso all'industria e al commercio più che all'agricoltura come avveniva in passato. Le botteghe erano piene di garzoni, di apprendisti che, a loro volta, appena imparato il mestiere aprivano attività indipendenti, l'aumento dei salari faceva accorrere gente dalle campagne ma, con l'arrivo dei soldati di ritorno dalle guerre, la città si riempiva anche di schiavi.

Era finita la perfetta democrazia casalinga che Roma aveva istituito e adottato, ora vi era una classe che formava il “plenum” da cui plebe. Fu proprio a questi ultimi che, morto Anco Marzio, si rivolsero le famiglie etrusche che erano, sì in minoranza, ma anche le più ricche, proprio grazie ai commerci e alle attività. Tito Livio nella sua “Ab urbe condita” scrive che tal Lucio Tarquinio fu il primo a cercare l'appoggio di questa nuova classe ignorante e povera e lo fece intrigando in maniera poco corretta. Nessuno si era mai rivolto prima alla plebe, perché la plebe non c'era. Nei comizi curiati erano tutti uguali e non esistevano differenze sociali. Questo Lucio Tarquinio era un giovane di bell'aspetto, proveniva da Tarquinia, era figlio di un greco e si era sposato con una donna etrusca, disponeva di una discreta ricchezza e gli piaceva spenderla in piaceri personali: scialacquone e ambizioso, si metteva in risalto in mezzo a una popolazione dagli austeri costumi. Era colto, sapeva di geografia, filosofia e matematica.

La plebe non aveva diritto di voto ma la massa di cui era composta era disposta a scendere in piazza per appoggiarlo con la speranza che un re straniero avrebbe fatto valere maggiormente i diritti degli stranieri. Forse con una certa ammirazione mista ad invidia, il popolo scelse lui che, una volta eletto, prese il nome di Tarquinio Prisco.

Fu un re autoritario e guerriero, fu il primo re a far costruire una reggia per sé e la famiglia e nella reggia fece innalzare un trono su cui sedere quando prendeva le sue importanti decisioni. Continuò con la politica delle guerre e conquistò tutto il Lazio e poi iniziò a salire verso nord e per fare questo ebbe bisogno di armi, di rifornimenti che le famiglie etrusche provvedevano a procurare ingrassando i loro affari.

Roma sotto il suo regno fece un grosso cambiamento: Tarquinio Prisco fece costruire strade, quartieri ben definiti, case vere e proprie non più capanne, la piazza ove riunirsi, i primi monumenti e, più importante di tutto, la prima fogna cittadina: la cloaca massima. Il radicale cambiamento dello stile di vita portato in città gli procurò il dissenso degli anziani del Senato che erano ancora legati alle vecchie tradizioni, che soffrivano che lui fosse un decisionista e non ascoltasse i loro consigli; lo avrebbero volentieri fatto destituire ma dalla sua parte aveva la plebe, il popolo numeroso e rumoroso disposto a difenderlo con la vita. Così, per liberarsi di lui, per riprendere in mano le redini della loro città, commissionarono il suo omicidio, ma commisero il grave errore di lasciare in vita il figlio e la moglie.

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Mirko Tondi, "Nessun cactus da queste parti"

19 Giugno 2016 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #fantascienza

Mirko Tondi, "Nessun cactus da queste parti"

Nessun cactus da queste parti

Mirko Tondi

Edizioni Il Foglio, 2016

pp 144

12,00

Mi disse che aveva per la testa un’idea sensazionale, davvero un portento; a dire il vero non c’entrava molto con Conrad, ma poteva considerala la sua personale risalita del fiume dopo un tuffo nella follia umana: un romanzo noir umoristico ambientato nel futuro. Cosa? Ma che stava tentando di dirmi? Forse che aveva mescolato i generi e dissacrato roba alla Chandler, alla Hammet, alla Spillane per farne un minestrone di risate e veicoli fluttuanti nell’aria?” (pag 110)

Se mai c’è stata, nella metanarrativa, un’autodefinizione della propria opera, questa di Mirko Tondi sul suo romanzo distopico Nessun cactus da queste parti, ne è l’esempio più fulgido. L’opera è esilarante, scritta molto bene, un rompicapo di specchi e rimandi a smontare e rimontare generi letterari, dalla fantascienza al noir.

Il protagonista si chiama Conrad, ma il suo nome arriverà solo alla fine e sarà un nome carico di significati letterari. Di professione fa il detective, proprio quello tradizionale con impermeabile, Borsalino e pistola infilata nel retro dei pantaloni. Vive, però, non nella Chicago degli anni trenta, ma a Porto Rens, ovvero ciò in cui si trasformerà New Orleans nel futuro, una città putrida e derelitta, via di mezzo fra Gotham City e la Los Angeles di Blade Runner. In esattamente cento anni da oggi i mutamenti climatici avranno sommerso le terre, le guerre ridisegnato la geopolitica del pianeta, la droga sarà diventata legale e la malavita avrà preso ufficialmente il posto della politica. L’aria di Porto Rens è sporca, il Mississippi è una fogna a cielo aperto, la gente vive di espedienti, la tecnologia è ritornata a livelli preindustriali.

Tutto è visto con uno sguardo sarcastico e deformante. Il noir e la fantascienza si mescolano: da una parte bassifondi, detective alcolizzati e dark ladies, dall’altra viaggi nel tempo e realtà post tecnologiche.

Il protagonista indaga su un ladro di nomi che si sposta fra presente (cioè futuro) e passato, è innamorato di una donna che lo ha lasciato, non ha amici ed è alcolizzato. Forse la parte più riuscita del libro è proprio la rappresentazione, realistica e ironica insieme, della personalità di un alcolista, del suo amore- odio per la bottiglia, degli effetti dell’alcol sul suo corpo e della lotta per disintossicarsi. Mi viene in mente, a questo proposito, Shantaram di Gregory David Roberts. Oltre ciò, colpisce senz’altro la resa del mondo futuro, tratteggiata con stile divertente ma non scevra di competenze storiche, geografiche, climatiche, musicali e intellettuali.

Oltre alla mescolanza di generi, spicca l’interesse dell’autore per la Letteratura, quella con la Elle maiuscola, in particolare il Bardo, cioè Shakespeare, a riprova dell’importanza fondamentale della parola. Per certe religioni è il nome, il Verbo, a dare sostanza e realtà alle cose, e il ladro inseguito dal drago di Porto Rens è, appunto, un ladro di nomi. Nel futuro, anche la toponomastica subisce una trasformazione che, da vezzo modaiolo, va di pari passo con l’alterazione fisica, con il degrado e l’imbruttimento delle località.

Il libro ha il difetto di avere una trama bislacca e di concludersi in modo affrettato ma siamo sicuri che ciò non faccia parte del gioco di straniamento, spiazzamento e ribaltamento dei cliché? Mirko Tondi è appassionato di narrativa e poesia e sembra da una parte inchinarsi alla letteratura e dall’altra sbeffeggiarla, mescolandola ad altri mezzi, come la musica, il cinema di genere, il fumetto; pratica, questa, molto in voga fra i giovani autori, in una commistione fra alto e basso che personalmente trovo interessante e vicina al mio modo di sentire e d’intendere la cultura

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