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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Oggi fue giorno di letizia

31 Gennaio 2018 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #televisione, #come eravamo

 

 

 

D.O.M. Bairo, "l'Uvamaro", è uno storico amaro italiano a base di vino, noto negli anni settanta e ora non più in produzione.

Tra il 72 e il 77 andò in onda uno spot divenuto famoso, ambientato in un convento di fraticelli del 1400, fra i quali spiccava Cimabue, che non ne combinava mai una giusta. Evidentemente non seguiva alla lettera la regola monachorum, o benedettina, dettata da San Benedetto da Norcia attorno al 540 circa.

“Oggi fue giorno di letizia per lo convento e per li frati tutti”, iniziava lo spot… anzi no… la rèclame, e si sentiva subito un inconfondibile scampanio.

Il testo era scritto in versi e in un linguaggio che ricordava l’italiano volgare del medioevo.

"Cimabue, Cimabue fai una cosa ne sbagli due", intonavano 22 fraticelli costernati.

"Ma che cagnara, sbagliando d’impara" si difendeva il povero incapace.

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Sacha Naspini, "Le case del malcontento"

30 Gennaio 2018 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Sacha Naspini

Le case del malcontento

 

Edizioni e/o

Pag. 460

Euro 18,50

 

Parlare di Sacha Naspini è per me facile e complesso, al tempo stesso. Facile perché conosco la sua scrittura da sempre: ero nella giuria di un premio locale quando ho apprezzato uno dei suoi primi racconti e lui non aveva ancora pubblicato niente, sono stato tra i primi a leggere L'ingrato, che ho promosso da editore insieme a I sassi, due delle sue novelle migliori, del respiro adeguato per essere apprezzati in pochi giorni di lettura. Complesso perché in parte considero Naspini una mia scoperta - pure se lui è autorizzato a replicare come Franco Franchi, quando gli chiedevano se l’avesse scoperto Mattòli o Modugno:  “Mi ha scoperto soltanto la levatrice!”. Rischio di non essere obiettivo, quindi, ma penso di riuscire a superare questo empasse facendovi assaggiare un breve passaggio della sua scrittura:

 

La Maremma ha questo di tremendo: all’inizio si presenta con il muso bello, per entrarti nelle grazie. Poi non ti lascia più, mostrandosi per la belva che è. Un giorno ti accorgi che la provincia ti si è ficcata nelle vene e allora tenti subito un passo d’impulso per scrollartela di dosso. Ma ormai ti hanno legato le stringhe. Quel che ne ricavi è solo una botta di bazza sul sasso della chiesina, tanto per cominciare”.

 

Oppure:

 

Ogni angolo di Maremma è fatto così. Ti urla nel corpo, nel brutto e nel bello. La gente di questa regione ha la pelle dura, specie dal didentro, dove a volte si ispessisce come la cotenna delle bestie. Anch’io vengo da quello stampo”.

 

E infine:

 

Casa vostra sa di brodo e legno ammuffito. Ma c’è anche un aroma di fondo che fa pensare al piscio di gatto, eppure in giro non ce n’è mezzo”.

 

Sarà perché anch'io son di Maremma, ove uccello che ci va perde la penna, sarà perché certi racconti che profumano di Cassola e Bianciardi passando per Tozzi e Cavoli, ma persino per Vergari e Zannoner, mi entusiasmano e mi commuovono, mi fanno riscoprire le mie radici, ma penso davvero che la vera letteratura di Naspini stia proprio da queste parti. Le sue cose migliori hanno il sapore del pane scuro maremmano, soffrono il sudore dei minatori di Ribolla e le lacrime delle madri che attendono i figli  di ritorno dai campi funestati dalla malaria. Ecco perché ritengo, per esempio, Il gran diavolo solo un buon esercizio di artigianato narrativo, ché Naspini è uno sceneggiatore nato, tu gli dai in mano una storia e lui sa scrivere di tutto, mentre Le case del malcontento è letteratura pura. Tutto nasce da L'ingrato (Il Foglio, 2006), con il personaggio del maestro Calamo e la riuscita ambientazione nel paesino immaginario con il coro delle pettegole e delle malelingue, una sorta di breve anteprima del grande romanzo corale prodotto oggi, che contiene tutto l’immaginario narrativo di Naspini. L’autore dà voce alla Maremma ricorrendo a una serie di personaggi che vivono in un paese di fantasia, tra Follonica, Roccastrada, Roselle e Montemassi, insomma un borgo collinare del grossetano, che non esiste ma che potrebbe esistere, visto che rappresenta molti luoghi reali. E i personaggi raccontano in prima persona le loro esistenze, siano il medico, lo scemo del paese, il maestro, la prostituta, una vedova, un contadino... Un esile collante lega le varie storie, ma il protagonista è corale, ogni personaggio è il simbolo di un fallimento, di una sconfitta, di una piaga tutta maremmana. Non ha molta importanza la trama e lo sviluppo finale degli eventi, il colpo di scena - che pure troverete - la parte nera e truce, quel che conta sono le vite narrate, come in una raccolta di racconti maremmani di cassoliana memoria. Un Ferrovia locale contemporaneo, una Vita agra ancor più agra di quella bianciardiana, un podere di Tozzi dipinto a tinte fosche e senza speranza. Naspini va oltre il già detto, s’inventa un linguaggio vero, preso dalla realtà contadina e maremmana, si ispira ai classici ma confeziona un genere nuovo, una novella nera che pesca nell’immaginario delle storie di paese e delle esistenze più grame e derelitte. Ci ha confidato l’autore: “Ho voluto utilizzare il meccanismo narrativo del piccolo che racconta il grande: a Le Case ci sono tante sfumature dell’animale uomo sul pianeta Terra. Le Case è una sorta di istinto collettivo dove sono messe in scena le luci e le ombre dell’essere umano, giocando con tante zone grigie”. Credo che Naspini sia perfettamente riuscito nell'intento, confezionando un romanzo potente e disperato, ricco di personaggi maledetti che ricordano i protagonisti malandati delle canzoni di De André (Non al denaro non all'amore né al cielo) e le lapidi poetiche di Spoon River. Le case del malcontento sono una Spoon River maremmana, un microcosmo complesso di vite e di emozioni, che riassume - superandolo e perfezionandolo - tutto il passato narrativo di Naspini, non solo L’ingrato ma anche I sassi (uno dei personaggi è nato nello stesso paese della protagonista femminile) e I Cariolanti (San Bastiano, il dottore che sega la gamba alla madre…). Le case del malcontento è un romanzo che vedrei bene candidato al Premio Strega, anche per dare un segnale nuovo: tornare a leggere letteratura, che spesso - come il buon vino - è più facile trovare nelle botti dei piccoli e medi editori, ancora profumate di rovere e di sentori boschivi.

 

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

 

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I rimedi di nonna Rosa: come togliere le macchie di unto

29 Gennaio 2018 , Scritto da Nicole Con tag #nicole, #i rimedi di nonna rosa

 

 

 

 

Ciao, sono ancora io, Nicole, anche se è un po' di tempo che non mi faccio viva. Ma ho saputo dalla redazione che il mio post sui cataplasmi ai semi di lino  ha ottenuto uno sbotto di visualizzazioni. Perciò rieccomi a raccomandarvi #irimedidinonnarosa.

Volete sapere come come togliere le macchie senza andare in lavanderia?

Prendete il detersivo per piatti e versatene sulla macchia una piccola quantità, poi procedete col alvaggio.

Eccellente per le macchie untuose.

Da provareeee!

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Neil Gaiman, "Coraline"

28 Gennaio 2018 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #vignette e illustrazioni

 

 

 

 

 

Coraline

Neil Gaiman

 

Adattato e ilustrato da P. Craig Russell

NPE  - Euro 12 – pag. 186

www.edizioninpe.it

 

 

Avevamo già visto il film Coraline e la porta magica (2009) di Henry Selick, candidato all’Oscar come miglior pellicola di animazione, basato sul romanzo di Neil Gaiman, quindi conoscevamo la storia che in parte si discostava dal testo narrativo, arricchendolo di personaggi e situazioni. La versione a fumetti non aggiunge novità sensibili, toglie il bambino amico e conserva il gatto nero, ma la vicenda è identica, con una ragazzina intraprendente e sognatrice come Coraline, costretta a vivere in una villa solitaria, soprattutto a fare i conti con i demoni della sua mente - reali o immaginari non è dato sapere - e con genitori alternativi che vivono in una dimensione parallela, oltre una porta magica. Una storia fantastica, a tinte horror, una fiaba nera dove la strega della situazione sfoggia bottoni al posto degli occhi e chi viene catturato si trova a subire identica terribile operazione oculistica. Un fumetto (un film, un romanzo) strano, bizzarro, spaventoso, ma forse il linguaggio del graphic novel stempera la parte horror che nel cartone animato in 3 D era più evidente. I disegni di Craig Russell sono molto classici, come sono classiche sceneggiatura e suddivisione in vignette; suggestivo il colore di Lovern Kindzierski, con un sottofondo rosso porpora dal taglio horror. Storia ben tradotta per NPE da Annunziata Ugas e Smoky Man. Edizione in carta lucida, formato libretto tascabile, molto curata, prezzo economico, considerato che il pocket è tutto a colori, inoltre va pagato un traduttore e i diritti di acquisizione non devono essere stati uno scherzo. NPE è un piccolo grande editore che sta facendo cose buone nel campo del fumetto, tra ben ponderate ristampe di classici italiani e azzeccate novità internazionali. Forse un recupero fumettistico manca all’appello nel quadro editoriale: la produzione Bianconi degli anni Sessanta, primo tra tutti il Braccio di Ferro di Sangalli, un tempo tradotto in tutta Europa. Noi la buttiamo lì come idea. Hai visto mai?

 

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L'orologio

27 Gennaio 2018 , Scritto da Luca Lapi Con tag #luca lapi, #le riflessioni di luca

 
 

 

 
 
 
L'orologio: la mia ossessione, quando ero piccolo.
     Aveva le lancette, a quel tempo: non riuscivo ad imparare a leggerlo.
     Non mi sforzavo.
     Era come una nuova materia, da studiare, insieme alle altre scolastiche e, per questo motivo, non volevo applicarmici.
     Si trattava di numeri e l'aritmetica (fino alla geometria analitica, al Liceo) è stata la mia "bestia nera", sempre.
     Imparai, poi,  e la puntualità divenne l'ossessione conseguente.
     Ero puntuale o in anticipo con amiche e con amici ed esigevo puntualità da ciascuno di loro.
     Li aspettavo, guardando l'orologio.
     Mi preoccupavo dei loro ritardi e m'inquietavo (dentro di me) quando, telefonandomi, mi dicevano di non potere venire.
     Non potevo sapere se mi dicessero una bugia o la verità.
 
          Luca Lapi luca.lapi@alice.it

 

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Southpaw, L’ultima sfida: l’amore, il dolore, la morte in un film strappalacrime

26 Gennaio 2018 , Scritto da Federica Cabras Con tag #federica cabras, #cinema

 

 

 

 

Southpaw, l'ultima sfida

Antoine Fuqua

2015 

 

Billy Hope è un campione della boxe. Batte tutti, vince sempre. Certo, torna sempre a casa con il viso malconcio, tumefatto, con i begli occhi chiari circondati dal viola del livido; tuttavia, gli piace quella vita.

È cresciuto in un orfanotrofio, ora ha una grande casa con una piscina dall’acqua limpida. E con grandi stanze eleganti. E un giardino enorme.

La prima cosa che salta agli occhi è l’amore che nutre per sua moglie.

Maureen, che lui ha incontrato quando erano poco più che bambini in orfanotrofio, gli è stata vicina sempre, anche quando le acque delle loro vite erano torbide e un po’ tumultuose. Adesso, si gode l’agiatezza con lui. Il loro è un amore forte, travolgente, senza confini. Si nutrono l’uno degli occhi dell’altra. È preoccupata, la vista del viso gonfio e dolorante dell’uomo che ama le spezza il cuore.

Leila, la loro bambina, è un bocciolo d’amore, l’orgoglio dei due genitori.

Billy non si è dimenticato nemmeno dei suoi amici, gli amici che resero la sua permanenza all’Istituto meno dura. È circondato dagli amici di una volta, gli stessi che lo amano e che gli stanno vicini per orgoglio e per affetto.

Un giorno, però, il destino di Billy complotta alle sue spalle, lo butta al tappeto.

Durante un party per beneficenza, Escobar – astro nascente della boxe – lo provoca. Vorrebbe un incontro, non perde occasione per dirglielo. Questa volta, esagera.

La bella Maureen rimane vittima di uno sparo. Il sangue è dappertutto, la donna prova a parlare ma è grave, troppo grave. Chiede all’uomo, stravolta dal dolore e dalla paura, di essere portata a casa. Lui la esorta a tenere gli occhi aperti. La ama, le lacrime che scendono sono solo il preludio di un futuro senza di lei. Di un futuro senza la sua luce. Di un futuro cupo e buio senza l’amore della sua vita.

Poi Maureen – prima che Billy sia pronto a dirle addio – chiude gli occhi. Si abbandona alla morte che, inesorabile, la sta strappando a quella vita finalmente buona, finalmente ricca, finalmente giusta.

E a Billy non rimane altro che rimettere a posto i cocci. Nel giro di poco tempo, devastato dal dolore, si lascia andare alla depressione e inizia un percorso fatto di alcol, di droga, di armi. Perde tutti i suoi averi, compresa la casa. Inoltre, in poco tempo Leila viene portata via dai servizi sociali.

Ora non rimane che riprendere in mano la propria vita. C’è solo un modo: battere Escobar, la causa di tutti i suoi mali.

Un film che si guarda con le lacrime agli occhi. Che fa pensare. Che fa commuovere.

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Lexy Mako, "Eight 89 Nine"

25 Gennaio 2018 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #vignette e illustrazioni

 

 

 

 

Lexy Mako
Eight 89 Nine

Kasaobake – Pag. 150 - Euro 7,90
www.kasaobake.itinfo@kasaaobake.it

 

La cultura giapponese e manga ha conquistato a tal punto l’immaginario dei nostri giovani che promettenti disegnatori s’inventano serial manga ambientati in Giappone, così ben disegnati - a imitazione degli originali - da sembrare veri fumetti del Sol Levante. Tsuburaya e Toriyama si prendono per mano, guardando Tanizaki e Shinka, in questo fumetto scritto e disegnato da una fantasiosa artista italiana che si firma con il nickname made in japan di Lexy Mako. Il fumetto racconta la storia di un disegno che prende vita grazie a un personaggio chiamato Il Disegnatore, un folle individuo che non vuole conquistare il mondo come i cattivi di una volta, il suo scopo è molto più limitato: diventare famoso disegnando fumetti sempre più coinvolgenti e affascinanti. Per far questo ha bisogno di Eight Nine, futura mascotte del sito internet che pubblicherà i disegni, ma deus ex machina di una storia che si sviluppa secondo la miglior tradizione dei manga e degli anime, tra misteriose apparizioni, fantastiche presenze orrorifiche e un inquietante passato dei personaggi. Non siamo che al primo volume di una serie che si presenta abbastanza complessa e che non mancherà di fornire colpi di scena. Lo stile è classico - per quanto può esserlo un manga - disposizione delle vignette stile Marvel anni Settanta con la tavola divisa in 6 - 7 riquadri, a volte persino 9, con rare splash pages (paginoni giganti, iniziali). Bianco e nero con chiari scuri, figure femminili molto ben tratteggiate, personaggi curati e ben delineati nel carattere. Per quanto posso intendermi di fumetto (soprattutto manga) apprezzo una storia avvincente, ricca di colpi di scena che fa venire voglia di proseguire nella lettura. Editore piccolo, ma specializzato nel genere - www.kasaobake.it - che crede nelle giovani promesse del fumetto italiano. Ordinatelo in fumetteria, o sul sito della casa editrice, dotato di un magazzino telematico molto ben fornito. Ne vale la pena.

 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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"Lo Zahir" di Paulo Coelho

24 Gennaio 2018 , Scritto da Serena Pisaneschi Con tag #serena pisaneschi, #recensioni

 

 

 

 

 

Lo Zahir

Paulo Coelho

Bompiani, 2015 

 

 

Chi ha letto anche solo un libro di Paulo Coelho conosce lo stile dell'autore: molto spirituale, molto filosofico, molto contemplativo. Io ne ho letti solo alcuni, però l'ultimo che ho avuto tra le mani, ovvero Lo Zahir, è capitato proprio nel momento perfetto. Lo stesso mi è successo con Veronika decide di morire ed ancora di più con L'Alchimista, e giuro che quando accade, quando il libro giusto arriva al momento giusto, è come una magia.

Alcuni sostengono che siano i libri a sceglierci, ed io un po' ci credo. Lo Zahir lo avevo comprato usato ad un mercatino poche settimane prima di decidermi a sfogliarlo, mi ricordo che detti la precedenza di lettura ad un altro libro acquistato quello stesso giorno. Adesso non posso fare a meno di chiedermi se, invertendo l'ordine delle letture, avrei colto il messaggio con la stessa intensità. Perché, secondo me, quello che fa Coelho non è lasciar spazio al lettore, non è buttare là una manciata di idee e lasciare l'interpretazione a piacimento di chi legge. No, lui ti dice esattamente cosa devi imparare da ciò che sta leggendo, mette bene in chiaro il messaggio che vuole trasmettere. La cosa bella dei suoi libri, però, è che questa grande verità ce la regala a piccole dosi solo strada facendo, attraverso la continua presa di coscienza del protagonista. Man mano che la storia prosegue, il lettore si trova a percorrere la stessa strada emotiva e, suo malgrado, si troverà a pensare gli stessi pensieri. Certo, questo capita praticamente con ogni libro, specialmente se scritto in prima persona, ma in più, nelle sue opere, c'è veramente una forte immedesimazione. Non solo per le vicende o la trama, quanto per il fatto che, alla fine, quello che sente il protagonista lo sentiremo anche noi. E lo sentiremo perché abbiamo cominciato dall'inizio, magari scettici e mentalmente predisposti in modo diverso. Poi però pagina dopo pagina, esperienza dopo esperienza, eccoci arrivati alla fine ormai persi dentro a nuovi concetti, punti di vista differenti e, se predisposti, anche con qualche consapevolezza in più.

Io ho finito di leggere Lo Zahir i primi giorni di gennaio, l'avevo cominciato a dicembre, un mese che già di per sé mi stava regalando alcune realtà importanti. Erano solo accennate, braci appena accese, poi ho finto il libro ed è divampato l'incendio. Non voglio svelarvi il messaggio, sia perché vorrei avervi incuriosito abbastanza per leggerlo, sia perché, comunque, il viaggio va fatto partendo dall'inizio per arrivare alla meta giusta. E non vi fate scoraggiare da un protagonista un po' antipatico (perché lo è) o da una certa lentezza (perché un po' ce n'è), alla fine varrà la pena aver sopportato tutti e due. Quello che mi sento di dire di Coelho è che il genere e lo stile possono non piacere, fortunatamente ognuno ha i propri gusti, però magari provate a dargli una possibilità, se non a questo titolo nello specifico, all'autore. Ripeto che io ho letto solo tre dei suoi circa trenta titoli, praticamente appena un misero dieci percento, però tutte e tre sono state letture decisamente rivelatrici, e qui la percentuale decuplica.

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I segreti di Brokeback mountain

23 Gennaio 2018 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #cinema

 

 

 

I segreti di Brokeback mountain

Ang Lee

2005

 

Mi è capitato di vedere I segreti di Brokeback mountain, del 2005. Il regista, Ang Lee, è di Taiwan e gli orientali, si sa, trattengono i sentimenti. Ang Lee aveva già dato prova di questa caratteristica in Ragione e sentimento, che mi era piaciuto. Ho trovato I segreti di Brokeback mountain bellissimo e struggente, di quei film che quando vai a letto ci pensi, quando ti svegli ci pensi, e per tutto il giorno successivo alla visione ti resta in mente ogni fotogramma, perché toccano qualcosa dentro di te. Nel caso di questo film ciò avviene senza che capiamo il motivo, senza enfasi né ridondanza. È tutto asciutto, essenziale, scarno e perciò stesso travolgente, è romanticismo allo stato puro.

L’amore dei due cowboy non è bello perché omosessuale ma perché impossibile, e quindi destinato a durare, a rimanere trascendente, a non scontrarsi con l'immanenza, la noia e la meschinità della realtà di tutti i giorni. Vent’anni di sentimento travolgente, consumato solo qualche volta, un legame profondo e sotterraneo che va oltre tutto il resto, che, come il vero amore, non è nemmeno geloso di tutto il resto.

Jack Twist ed Ennis del Mar hanno vite personali, hanno mogli e figli ma non rendono l’altro partecipe di queste loro esistenze. Forse neppure si telefonano. Affidano il loro rapporto a dei biglietti che si spediscono poche volte all’anno per darsi appuntamento a Brokeback Mountain, il luogo magico dove si sono incontrati per motivi di lavoro e dove è nata la loro passione senza scampo e senza futuro. Anche il paesaggio rientra nel discorso del sentimento trattenuto: è sottotono come i gesti, come i dialoghi, come la narrazione stessa, è bello ma non spettacolare, più che altro è vero. Jack ed Ennis si amano in montagna, dove fingono di recarsi a pescare, i loro incontri e il luogo che li favorisce sono isolati, staccati da tutto, ma la cattiveria riesce comunque a spiarli e raggiungerli anche lì, a loro insaputa. La montagna è un luogo dell’anima, dove si mangia attorno al fuoco, ci si bagna nei fiumi gelidi, si fanno cameratesche cose da uomini, ma con tenerezza, con un legame indissolubile di corpo e spirito. La montagna rimane immutata, anche quando fuori il mondo cambia e si modernizza ma non fino al punto di accettare la loro relazione. Quando sono a Brokeback, Jack ed Ennis ringiovaniscono anche nell’aspetto, sono gli stessi di quella prima indimenticabile estate del 1963. Mentre sono insieme ricreano il mondo, sono essi stessi il mondo e non c'è posto per nient'altro.

Jack è estroverso, sognatore, immagina un futuro che lo porterà, però, solo alla morte. Ennis è chiuso nel suo dolore, attaccato all’immagine normale che vuol dare di sé, fino a macerarsi e annullarsi in questo inutile sforzo, perché snaturarsi porta alla reificazione e all’alienazione.

Magistrali l’inizio e la fine, entrambi all’insegna del non detto. Al principio c’è un’intera sequenza girata in silenzio, quella in cui i due uomini si vedono per la prima volta, si squadrano senza darlo a vedere, apparentemente non interessati l’uno all’altro. Nel finale, invece, c’è una frase sola, smozzicata: “Jack, io ti giuro”, mentre gli occhi del protagonista fissano la cartolina che raffigura la montagna dell’amore. Il resto è lasciato allo spettatore. “Io ti giuro che sfiderò il mondo per portare lassù le tue ceneri”, pensiamo, “io ti giuro che ti amerò sempre e non ti dimenticherò mai”, "io ti giuro che sarò all’altezza del tuo amore e di ciò che volevi da me”, di quel sentimento nascosto ma  violentissimo che ha spinto Jack a rubare e conservare per sempre i vestiti dell’altro, di una passione proibita che non si estingue mai, va oltre la famiglia, i figli e persino la morte.

In mezzo c’è una storia raccontata in modo asciutto e lineare, senza annoiare ma senza mai lasciarsi andare a eccessi. I due uomini si comportano normalmente, sembrano solo colleghi o amici, ma dietro al non detto c’è un tumulto feroce, un’onda irresistibile che travolge e sconvolge, che lacera il tessuto della normalità, della “non vita” spacciata per vita, e affiora prepotente durante le scene di passione, soprattutto il bacio nel retro della casa, a cui assiste la moglie di Ennis. Anche le mogli partecipano del non detto, del trattenuto, dell’andare avanti facendo finta che la cosa non esista perché conviene, perché parlare spalancherebbe l’abisso. Lo stesso dicasi della morte di Jack.  Anche qui c’è una bugia sottintesa. È Ennis a capire che l’amico è stato ucciso perché omosessuale, sebbene la cosa non sia mai esplicitata da nessuno.

Un film fatto di parole, gesti e cose che vengono nascoste eppure deflagrano; un amore romantico, appassionato e meraviglioso che mi ha fatto piangere e mi ha lasciato dentro qualcosa di dolce, amaro e tristissimo.

I happened to see Brokeback mountain, from 2005. The director, Ang Lee, is from Taiwan and the Orientals, you know, hold back the feelings. Ang Lee had already demonstrated this characteristic in Sense and Sensibility, which I liked. I found Brokeback mountain beautiful and poignant, one of those films that when you go to bed you think about them, when you wake up you think about them, and for the whole day after the vision every frame remains in your mind, because they touch something inside you. In the case of this film, this happens without reason, without emphasis or redundancy. Everything is dry, essential, lean and therefore overwhelming, it is pure romance.

The love of the two cowboys is not beautiful because it is homosexual but because it is impossible, and therefore destined to last, to remain transcendent, not to clash with the immanence, boredom and meanness of everyday reality. Twenty years of overwhelming feeling, consumed only a few times, a deep and underground bond that goes beyond everything else, which, like true love, is not even jealous of everything else.

Jack Twist and Ennis del Mar have personal lives, have wives and children but do not make the other share in their lives. Maybe they don't even call. They entrust their relationship to tickets that are sent a few times a year to meet at Brokeback Mountain, the magical place where they met for work and where their passion was born with no escape and no future. Even the landscape is part of the discourse of the sentiment: it is subdued as the gestures, like the dialogues, like the narration itself, it is beautiful but not spectacular, more than anything else it is true. Jack and Ennis love each other in the mountains, where they pretend to go fishing, their encounters and the place that favors them are isolated, detached from everything, but malice still manages to spy on them and reach them even there, without their knowledge. The mountain is a place of the soul, where you can eat around the fire, bathe in the icy rivers, do camaraderie for men, but with tenderness, with an indissoluble bond of body and spirit. The mountain remains unchanged, even when outside the world changes and modernizes but not to the point of accepting their relationship. When they are in Brokeback, Jack and Ennis also rejuvenate their appearance, they are the same as in that first unforgettable summer of 1963. While they are together they recreate the world, they are the world themselves and there is no place for anything else.

Jack is an extrovert, dreamer, he imagines a future that will lead him, however, only to death. Ennis is closed in his pain, attached to the normal image he wants to give himself, to the point of macerating and canceling himself out in this useless effort, because distortion leads to reification and alienation.

The beginning and the end are a masterful, both under the banner of the unsaid. At the beginning there is an entire sequence shot in silence, the one in which the two men see each other for the first time, they watch each other without showing it, apparently not interested. In the finale, however, there is only one broken sentence: "Jack, I swear to you", while the protagonist's eyes stare at the postcard that represents the mountain of love. The rest is left to the viewer. "I swear to you that I will challenge the world to bring your ashes up there", we think, "I swear to you that I will always love you and I will never forget you", "I swear to you that I will live up to your love and what you wanted from me ”, of that hidden but violent feeling that pushed Jack to steal and keep forever the other's clothes, a forbidden passion that never extinguishes, goes beyond family, children and even death.

In the middle there is a story told in a dry and linear way, without boring but without ever letting go of excess. The two men behave normally, they seem only colleagues or friends, but behind the unspoken there is a ferocious turmoil, an irresistible wave that overwhelms and upsets, which tears the fabric of normalcy, of "non-life" passed off for life, and overbearingly emerges during the scenes of passion, especially the kiss in the back of the house, witnessed by Ennis' wife. Wives also participate in the unspoken, withheld, by moving forward pretending that the thing doesn't exist because it is convenient, because talking would open up the abyss. The same applies to Jack's death. Here too there is an underlying lie. It is Ennis who understands that the friend was killed because he was homosexual, although it is never explained by anyone.

 

A film made of words, gestures and things that are hidden yet explode; a romantic, passionate and wonderful love that made me cry and left me with something sweet, bitter and very sad.

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Radioblog: letture da metropolitana

22 Gennaio 2018 , Scritto da Chiara Pugliese Con tag #chiara pugliese, #radioblog, #audioletture, #eva pratesi, #vignette e illustrazioni

 

 

 

 

Ed eccoci giunti alla prima puntata del 2018 di Radio Blog.

Da adesso in poi nessuno potrà dire: “Non ho tempo per leggere!”

Inauguriamo infatti il nuovo anno parlando di LETTURE DA METROPOLITANA, un sito che raccoglie racconti brevi, la cui lettura non supera i 5 minuti di tempo, dunque adatti ad essere letti da una fermata della metropolitana all’altra e comunque ideali per chi va sempre di fretta e non può cimentarsi in letture troppo lunghe e  impegnative.

Parleremo di questo progetto con Serena Pisaneschi, una delle autrici di questa attuale ed originale iniziativa letteraria, nonché amministratrice del blog “Fate Largo ai sognatori”, da poco on line.

Vi lascio dunque all’ascolto di questa puntata, al termine della quale vi leggerò ovviamente una lettura da metropolitana.

L’illustrazione è come sempre a cura della nostra Eva Pratesi.

Buon ascolto!

 

www.letturedametropolitana.it

www.fatelargoaisognatori.wordpress.com


 

Per contattarci: radioblog2017@gmail.com

Il sito di Eva Pratesi è: www.geographicvovel.com

Musica: www.bensound.com 

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