Il cinico, l'infame, il violento
Erano passati ben tre mesi dall'ultima volta che io e Riccardo, il mio collega, avevamo ricevuto lo stipendio da Mario, il titolare del negozio di ferramenta per il quale lavoravamo. Il boss, quasi quotidianamente, si giustificava adducendo i costi di gestione, le tasse e la merce da pagare ai fornitori, pregandoci dunque di pazientare per gli accrediti.
Riccardo continuava comunque a dare il massimo, sebbene, in più occasioni, tendesse a manifestare segni di preoccupazione e di nervosismo. D'altro canto i suoi risparmi stavano terminando e, avendo a carico la madre e la sorella, la sua situazione non era certamente delle migliori. Per me, al contrario, dal momento che vivevo con i miei genitori ambedue pensionati, le incombenze e i grattacapi risultavano pari a zero. Tuttavia, per una questione di principio, attuai il quiet quitting, che consisteva nel fare il minimo indispensabile, assumendo inoltre un atteggiamento cinico e indisponente. Della serie: no money, no party.
Le settimane volavano e di stipendi nemmeno l'ombra, l'istinto mi suggeriva che il capo ci nascondeva qualcosa. Non mi sbagliai, in quanto la verità venne a galla. Ricordo che un pomeriggio, nell'incamminarmi con un'espressione svogliata in uno dei corridoi del negozio che conduceva al bagno per prendere un secchio pieno d'acqua e un mocio per lavare il pavimento, trovai chiusa la porta del WC. Lo stanzino era occupato dal principale che conversava al cellulare con la moglie, a voce bassa ma chiaramente udibile. La discussione mi sembrò interessante al punto di mettermi a origliare, con la speranza che in quel frangente non entrassero clienti.
Scoprii che Mario aveva raccolto una cospicua somma di denaro destinata all'acquisto di un motocross per il figlio Matteo. Oltre a ciò cedette ad altre sue richieste, tra cui comprargli un abbonamento stagionale in tribuna centrale per assistere il Palermo F.C. e aumentargli la paghetta settimanale di cento euro. Praticamente accontentava i vizi e gli sfizi di quel pelandrone, a discapito di due poveri commessi che sgobbavano otto ore al giorno, dal lunedì a sabato.
All'orario di chiusura, in presenza di Riccardo, sciorinai a Mario quella telefonata incriminante che avevo ascoltato per pura coincidenza. Il suddetto, con un sorrisetto da ebete, provò ad arrampicarsi sugli specchi per poi uscirsene con la seguente frase del cazzo: «Ragazzi, se in futuro avrete dei figli, capirete.»
Riccardo iniziò a urlare furiosamente, per di più tirando un pugno a un espositore di utensili e lanciando in aria una pompa irroratrice. Ci mancò poco che alzasse le mani... su "qualcuno," tanto è vero che dovetti trattenerlo per le braccia per ricondurlo alla ragione.
«Sei uguale al Super Mario dei videogame: basso, tracagnotto e con i baffi. Un Super Mario che si piglia i coins, ma non li sgancia» dissi al titolare con tono sprezzante e ironico, accompagnato da un applauso di sdegno.
Per tutta risposta, Mario si girò di scatto, prese delle banconote dalla cassa e le appoggiò sul bancone. Si trattava di due acconti: trecento euro per me e altrettanti per il mio collega. Li intascammo e, con il grugno stampato in faccia, abbassammo la saracinesca della ferramenta.
La mattina dopo, durante la pausa caffè, Mario ci annunciò che, date le circostanze anche legate al taglio delle spese, riteneva opportuno licenziarci, con l'impegno di saldare sia i nostri arretrati che le nostre liquidazioni, chiedendo un prestito in banca. Mantenne la promessa, difatti con il tempo provvide a canalizzarci fino all'ultimo centesimo nei rispettivi conti corrente.
A distanza di anni, nel rievocare quel confronto tumultuoso e diretto, mi viene naturale associarlo al titolo di un film di genere poliziottesco, ovvero Il cinico, l'infame, il violento.
Perché proprio questo lungometraggio? Per via dei personaggi cardine: il cinico, (io) l'infame, (Mario), il violento (Riccardo)
Poesia 23 - Gennaio/Febbraio
Poesia 23 - Gennaio /Febbraio
Crocetti / Feltrinelli
Pag. 130 - Euro 14
Poesia di Crocetti è diventata una rivista libro ormai da cinque anni, mantenendo la sua caratura internazionale e la volontà di presentare voci meno note della lirica mondiale accanto a poeti più conosciuti, pubblicati in traduzioni originali e fedeli. In questo numero si comincia con la scandalosa poesia di Forugh Farrokhzad (1934 - 1967) che sconvolge l’Iran con immagini intense di erotismo al femminile. Sono poesie degli anni Cinquanta che solo adesso escono per Bompiani grazie a Domenico Ingenito. Poetessa tormentata, una vita costellata da molti tentativi di suicidio, internata in manicomio, osteggiata dalla cultura ufficiale, muore a soli 33 anni in un incidente d’auto. Passiamo a Elena Švarc (Leningrado, 1948 - Pietroburgo, 2010), che si faceva chiamare Schwarz, tradotta da Alessandro Niero e presentata da Marco Sabatini, per rileggere il mito di Pietroburgo e Leningrado. Donna impulsiva e ribelle, interessata a teatro, musica e cinema grazie alla cultura della madre, resta una voce originale e fuori dal coro con la sua poesia provocatoria che trova spazio in patria solo dopo Gorbaciov (1989). Interessante una sua monografia su Gabriele D’Annunzio ma tutto il suo corpus poetico merita una riscoperta per complessità e profondità di temi. Uscito adesso per Bompiani Mattino della seconda neve. La terza poetessa che scopriamo è la russa Marina Cvetaeva (Mosca, 1892 - Elabugo, 1941), pure nel suo caso morte per suicidio. Un itinerario letterario orgogliosamente autonomo, lontano da mode e scuole, caratterizzato da poesia - fiaba tendente al folclore, poemi lirici, tragedie su temi attuali e lirica pura. Paolo Galvagni, che la introduce e traduce, afferma che buona parte della critica contrappone Cvetaeva ad Achmatova per il suo stile inquieto. Silvio Ramat ci fa riscoprire Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871 - 1919), un poeta non molto noto vissuto tra le Alpi Apuane e La Spezia, una gloria delle sue terre (dove spesso è stato ristampato da piccoli editori) che vanno dalla Lunigiana all’Appennino Modenese. “Poeta per intero, anche se non si rese mai conto dei suoi mezzi”, scrive Montale. I suoi temi sono la storia e la natura, soprattutto il racconto della tanto amata Luni, il metro preferito è il sonetto. Blu Temperini, invece, è una giovane poetessa, presentata da Davide Brullo in modo poetico e originale come un’autrice da leggere e scoprire, molto più antica di quanto non dica l’anagrafe e non in perfetta sintonia con il suo tempo. Geoffrey Chaucer è una lieta riscoperta che avrebbe fatto la gioia di Pasolini con i suoi Racconti di Canterbury presentati e tradotti da Massimiliano Morini. Nelle pagine successive apprezziamo - per contrasto - la poesia moderna e simbolista di Valeria Rossella (1953). Molto interessante Delmore Schwartz (tradotto da Angelo Guida) con il suo America! America! che ricorda Walt Whitman, grande poeta di cui ricalca lo stile. Un poeta del fiume Hudson, che si sente americano perché discende da immigrati, in una terra composta da immigrati, un ebreo di origine rumena. Il pezzo forte della rivista è la presentazione di un gioiello come Bei cipresseti, cipressetti miei - Poesie per bambini vecchi e nuovi, a cura di Nicola Crocetti e Vivian Lamarque, un libro prezioso nel quale il lettore potrà ritrovare le poesie amate nell’infanzia e nella giovinezza. La scelta di testi segue la prefazione poetica di Vivian Lamarque che va da parvemi riveder nonna Lucia a l’albero ove tendevi la pargoletta mano, fino a T’amo pio bove e la nebbia agli irti colli, passando per Fiocca la neve lenta lenta lenta. Bellissime le poesie pubblicate, da Il padre di Sbarbaro alle filastrocche di Scialoja, passando per Orfano di Pascoli, Goal di Saba (da sempre la mia preferita), fino a La noia di Cappello e Per lei di Caproni. Un libro da leggere e conservare. La rivista termina con Rudyard Kipling poeta, tradotto e presentato da Davide Brullo, che ammonisce il lettore in procinto di compiere un’esperienza nuova: “Per leggere Kipling bisogna entrare nel fango, camminare a piedi nudi, abbandonare il salotto”. La poesia di Kipling va cercata, individuata e apprezzata, perché si trova sempre nascosta nel racconto e nella fiaba.
Gordiano Lupi
www.gordianolupi.it
Zoé Valdés, "Anatomia dello sguardo"
Traduzione di Gordiano Lupi
Ho tradotto quasi tutta l’opera poetica di Zoé Valdés, dalle rime giovanili de La gana sagrada e la prima raccolta consapevole Respuestas para vivir, fino a Tradurre la notte (dal francese, insieme all’amico Patrizio Avella), passando per Todo para una sombra e Breve beso de la espera. Sono un suo lettore assiduo di narrativa, dai tempi in cui Frassinelli e Giunti la pubblicavano in Italia (fine anni Novanta); mi sono innamorato di Cafè nostalgia, Te dí la vida entera e La nada cotidiana, romanzi che raccontavano tutte le contraddizioni di una Cuba post rivoluzionaria. Zoé Valdés è una scrittrice cubana che ha saputo rappresentare il dolore dell’esule e la tristezza dell’abbandono di una patria con gli strumenti della letteratura, traducendolo in poesia. Anatomia de la mirada comincia da José Martí e Juana Borrero, veri simboli poetici, perché (proprio come lei) si sono misurati fino alle estreme conseguenze con amicizia, amore e passione, esperimentando il tradimento, l’abbandono, persino l’esilio. La poesia fluisce languida sul filo del rimpianto per un paese perduto, soffusa di amarezza per una terra dove arrestano i poeti, per un mare lontano, irraggiungibile, per le strade d’una città che sono vive - proprio come il ricordo della madre - soltanto nel sogno. I versi passano da Parigi, con i caffè all’aperto e i locali dove non si incontrano più le persone d’un tempo, al pensiero della sua Avana perduta, luogo dell’anima dove libertà significa sogno, citando Kavafis, ricordando un Malecón illuminato dalle fioche luci della sera e da una luna malinconica. Zoé Valdés non rimpiange niente di Cuba, le restano poche cose: una figlia, un marito, i fratelli nel New Jersey, i suoi libri, i film, le poesie, un cugino all’Avana che sogna con la paura. Le poesie testimoniano il grande amore per la figlia Luna, adolescente irrequieta che sostiene in un dito la primavera, così diversa da lei (ma così simile alla nonna) che non è mai stata a un concerto rock e non possiede il suo accento francese. La raccolta passa senza soluzione di continuità dai toni sentimentali e dolenti, al ricordo per i genitori sepolti in un cimitero lontano, alla dolcezza per una figlia che cresce, al rimpianto per gli amici perduti, per un parco infantile soltanto da immaginare, per sfociare nella rabbia contro una dittatura che ha cambiato un paese, modificando il corso della storia, costringendo intere famiglie a un triste esilio. Amara la consapevolezza che aleggia sull’intera opera di dover morire senza poter tornare a guardare la luna alta nel cielo, gigante giallo, come una notte di tanti anni fa, sulla riva d’un bacio, innamorata e ardente, sul lungomare del suo paese.
Floriano Romboli, "Il fascino e la forza della letteratura" vol 3
Floriano Romboli
Il fascino e la forza della letteratura, vol.3
Saggi su Antonio Fogazzaro, Dante Alighieri, Arturo Graf, Alfred Tennyson, Giosuè Carducci, Luigi Capuana
Guido Miano Editore, 2024
Salutiamo con vivo interesse e dichiarata curiosità la pubblicazione del terzo volume de Il fascino e la forza della letteratura del critico toscano Floriano Romboli, lavoro che esce nella collana Il Cammeo dell’Editore Guido Miano di Milano. Tale riferimento - sebbene già espresso dall’autore nella sua premessa - è importante ribadirlo, poiché la collana si prefigge lo scopo di avvicinare il lettore - cittadino, studente, appassionato - al mondo delle lettere, miniera inesauribile di cultura, conoscenza, storia, stimoli personali e sociali. La divulgazione è opera meritoria, tuttavia non può non rispettare certi canoni di profondità, serietà, competenza, documentazione che Floriano Romboli garantisce fino in fondo, data la sua statura di studioso di livello universitario e oltre, la sua pluriennale militanza teorico-pratica nell’insegnamento e nella ricerca storico-testuale, concretizzata anche dall’abbondanza di pubblicazioni, saggi, esposizioni seminariali: il tutto sorretto da una personale ed autentica passione per la sua materia, nella quale si è specializzato considerando gli autori - poeti, scrittori, saggisti, filosofi - prima di tutto come uomini contestuati nel loro tempo e nella loro cultura, di cui non vanno trascurate le vicende biografiche che possono aver inciso sulla loro visione del mondo, dei quali mette in risalto le luci ma anche le ombre con giudizi pacati ed obiettivi, dettati da un’apertura mentale che si addice ad uno studioso che fa parlare i suoi personaggi.
Infatti, uno dei metodi di analisi del critico consiste nel citare spesso brani originali delle opere oggetto di studio, così che anche il lettore – questo soggetto che non dobbiamo mai dimenticare – può rendersi conto di “ciò che ha veramente detto” il tal poeta o il talaltro narratore. Rientra nello stile analitico di Romboli anche la scrupolosità nel porre in evidenza le fonti delle citazioni – per un rimando ad ulteriori approfondimenti – e quell’altro prezioso humus culturale rappresentato dalla letteratura comparata, ovvero il confronto tra autori simili in alcuni concezioni, ma appartenenti ad alvei ideologici ed epocali diversi, oppure l’accostamento tra autori fra loro contemporanei rilevandone le somiglianze tematiche o stilistiche, piuttosto che le divergenze di pensiero od estetiche. Vengono così alla luce le influenze reciproche, le coniugazioni nazionali filtrate dal retaggio della tradizione, i nuclei tematici e i motivi ispiratori dei singoli autori, ognuno dei quali imprime, anche all’interno di una medesima scuola di pensiero, il proprio marchio personale: basta citare per questo volume l’ultimo saggio dedicato da Romboli a L’arte “impersonale” e l’opera romanzesca di Luigi Capuana nell’ambito di una pubblicazione intorno a Il verismo italiano fra naturalismo francese e cultura europea.
In precedenza, nei primi due tomi, egli aveva trattato le più svariate esperienze letterarie, dimostrando una buona dose di ecletticità nei suoi interessi e nelle sue preferenze: dai classici ai meno frequentati autori dalla critica e dal pubblico; dal Medio Evo alla contemporaneità; dalla poesia alla narrativa alla saggistica filosofica; da scrittori italiani ad altri europei. Merita menzionarle - tali suddette esperienze - in questa prefazione, per verificare ciò e constatare poi la continuità e le novità con il presente volume. Nel libro del 2021 apparivano: Incontri con Dante e la Commedia: la lettura critica di alcuni interpreti di grande autorità culturale; Aspetti del linguaggio poetico del Tasso; Arturo Graf, la scienza positiva, il darwinismo sociale; Zola e Fogazzaro, paragrafi per un confronto; Il personaggio di Ulisse nell’opera poetica di Nazario Pardini. Nella rassegna successiva pubblicata nel 2023, ecco entrare in scena: Fogazzaro e i suoi due “Piccoli Mondi”; L’opera di Dante nelle riflessioni storico-culturali ed etico-religiose di alcuni Papi contemporanei; La prospettiva evoluzionistica e l’avvenire dell’uomo. Alcune note sulla letteratura italiana al passaggio dall’Ottocento al Novecento; La Grande Guerra nelle pagine di scrittori italiani del primo Novecento: Federico De Roberto, Curzio Malaparte, Gabriele D’Annunzio; A proposito di Francesco De Sanctis; Il tema della natura nella narrativa di Bino Sanminiatelli.
Risulta ora agevole constatare la presenza continua, nei tre volumi pubblicati, delle figure di Dante, Fogazzaro, Graf e del personaggio mitologico di Ulisse, mentre le novità di questa terza proposta sono costituite da Tennyson, Carducci, Capuana. Dei saggi che qui il lettore potrà visitare, estraggo quelle che ritengo ‘curiosità interessanti’ per invogliare alla lettura.
S’inizia con: Il commiato di Fogazzaro. Alcune proposte critiche per Leila, pubblicato in “Letteratura e pensiero” (Anno V, ottobre-dicembre 2023, n°18, Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, CT). Romboli parla di ‘commiato’ in quanto Leila, apparso nel 1910, costituisce ‘il canto del cigno’ dello scrittore vicentino (morirà nell’anno successivo), e scritto, secondo la critica più accreditata, per allontanarsi dal tema religioso de Il Santo (1905), nonostante che il protagonista maschile – Massimo Alberti – sia un discepolo del Santo. Egli s’innamora di Leila ma, su questo filone sentimentale, s’innesta il cammino spirituale dei due, nel quale l’Alberti prende gradualmente le distanze dalle dispute teologiche, rientrando nel seno materno della Chiesa, a condizione che questa stia dalla parte dei poveri e degli ultimi e si liberi dalle pesanti strutture formali che imbrigliano la fede. A differenza de Il Santo - libro condannato dal Vaticano - Leila si svolge spesso in chiave di commedia, trovando posto sia il comico che le macchiette di contorno. Tuttavia il Fogazzaro non riesce per nulla nel suo intento riparatorio: la Chiesa mette all’indice pure quest’ultima sua opera, la quale suscita le critiche anche dei modernisti.
Tra le peculiarità romboliane di questo saggio vi sono le antitesi che sottolinea, tra cui: buio-luce, che si proiettano sugli stati d’animo e sul paesaggio; sensualità-religiosità, ovvero la lotta interiore tra bisogni istintuali e ideali spirituali (belle le pagine sulla femminilità di Leila, sull’amore sensuale vissuto con Massimo, la scena del bagno notturno della protagonista che, sola, s’immerge nelle acque… audace per quell’epoca) ed altrettanto significativa la parallela ricerca dei due amanti della autentica testimonianza cristiana… Romboli esemplifica poi con dovizia di citazioni le altre numerose antitesi contenute nel testo riguardanti il linguaggio che, nel contempo, afferma e nega; tradizione-modernismo, dibattito teologico-religioso-ecclesiale che tra fine Ottocento e inizi Novecento ha caratterizzato il cattolicesimo, tra i fautori della conservazione e i sostenitori di una profonda riforma spirituale secondo un Vangelo sine glossa: Fogazzaro dapprima è tra i polemisti anticlericali (famoso il suo invito al Papa ad uscire dal Vaticano) per poi attestarsi sulle posizioni di un modernismo più moderato, in quanto per lui la triade Dio-Uomo-Chiesa restava, in ultima analisi, intoccabile. Infine mi paiono importanti le conclusioni di Romboli sullo spirito di modernità del Fogazzaro, contenente il «... relativismo conoscitivo, la mobilità polipsichica, l’assenza sconsolante di riferimenti paradigmatici per il pensare e per l’agire» e, per rendere ancor più chiari tali concetti, cita un passaggio di Arte e coscienza d’oggi (1893) del fuori campo - nel senso di appartenenza ideologica - Luigi Pirandello: «Ci sentiamo come smarriti, anzi come perduti in un cieco, immenso labirinto, circondato tutt’intorno da un mistero impenetrabile. Di vie ce ne sono tante: quale sarà la vera?...». Sempre attuale.
Si prosegue con il saggio Alle radici storiche dell’opera artistico-culturale di Dante: due recenti biografie, pubblicato nella rivista “La Nuova Tribuna Letteraria” (numero: luglio-settembre, 2021, Venilia Editrice, Lozzo Atestino, PD). I testi ai quali si riferisce il critico sono esattamente: Dante. Il romanzo della sua vita (2012) di Marco Santagata e Dante (2020) di Alessandro Barbero. Alternando le citazioni dell’uno e dell’altro e inserendo proprie considerazioni storico-esegetiche, Romboli fa luce su alcuni aspetti della vita di Dante che possono aver inciso ed influenzato i contenuti delle sue opere. Troviamo dunque la descrizione della Firenze dei tempi di Dante fino al suo esilio (1302); notizie sulle sue modeste condizioni economiche; l’ammissione nella ristretta cerchia dell’aristocrazia di letterati pensatori, tra cui Guido Cavalcanti, «uno dei più altezzosi e violenti» (Barbero); l’opinione di Romboli sul carattere di Dante, a cui attribuisce «... un illimitato senso di sé, … un ego smisurato, … una vivissima auto-stima», probabilmente perché nella Commedia egli si erge a giudice dei suoi contemporanei, dannandoli senza appello o salvandoli senza averne l’autorità. L’impegno civile di Dante viene bollato dal Santagata come se fosse «stato posseduto dal demone della politica», passione che lo condurrà fino alla tragedia dell’esilio. Curiosa la parentesi dedicata al Boccaccio - ammiratore del grande fiorentino - citato per il suo rimprovero a Dante, che avrebbe perso tempo a sposarsi e a metter su famiglia, togliendo così energie al lavoro intellettuale. Mentre Barbero propende per definirlo politicamente un popolano, seppur moderato, gli altri due mettono maggiormente in luce il salto dal municipalismo alle concezioni universali del De Monarchia, basate sulla preminenza dell’Impero. Al termine del saggio Romboli accenna alla concezione della nobiltà d’animo e non di sangue di Dante - comune agli stilnovisti - rivoluzionaria per l’epoca, e si auspica: «... che il grande poeta, dopo la morte, abbia avuto conforto per le pene patite e trovato finalmente quiete al suo tormento immedicabile sulla terra».
Il terzo saggio non è dedicato ad un autore in particolare, ma tratta di una tematica che si sviluppa sempre sulle antitesi che spesso Romboli analizza: Il principio di causalità e i diritti dello spirito, pubblicato in “Letteratura e pensiero” (numero: Anno V, luglio-settembre 2023, n°17, Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia, CT). In apertura egli si avvale del pensiero di Roberto Ardigò, maestro del positivismo italiano, per definire la mentalità scientifica del determinismo, principio che quest’ultimo pone in contrapposizione a «i sogni mendaci dei dogmi religiosi» (La morale dei positivisti, 1879). Viene poi chiamato in causa Pirandello che irride alla cultura scientifica del suo tempo e d’altro canto, dopo aver ridimensionato il «pianetino terra» e l’essere umano ad un nulla, dichiara la vita senza scopo ed in balìa della «legge universale della causalità», attaccando i tentativi di Graf e Fogazzaro di conciliare scienza e religione, ovvero i diritti dello spirito richiamati da loro in opposizione ai limiti dell’atteggiamento «materialistico e scientizzante» (Romboli). In particolare Graf parla delle ragioni del vivere come la ricerca religiosa dell’uomo e Fogazzaro (non discendiamo dai bruti, ma ascendiamo da loro) ipotizza la possibilità - come del resto Graf - di una conciliazione fra materia e spirito, fra evoluzione e religione. Tale problematica è sviluppata da quest’ultimo - verso cui Romboli nutre forti simpatie - anche nel romanzo di idee Il riscatto (1901) che costituisce un graduale avvicinamento alle dimensioni del mistero.
A dimostrazione del feeling intellettuale Romboli-Graf, ecco che il successivo lavoro si sofferma ancora sullo studioso nativo di Atene: Arturo Graf e la morte di Ulisse (Con una nota su Tennyson). Altri episodî nel percorso tematico-letterari, pubblicato in “Soglie. Rivista quadrimestrale di poesia e di critica letteraria” (numero: Anno XII, n°1, aprile 2010, Badia San Savino - Cascina, PI). Dopo l’iniziale sintesi sul mito operativo di Ulisse che ancora oggi agisce sia nella cultura che nell’immaginario collettivo (simboleggiando di volta in volta l’astuzia, il coraggio, l’intelligenza, la sete di sapere, lo spirito d’avventura, la ricerca dell’ignoto) il critico toscano raffronta le varie raffigurazioni del personaggio. C’è l’Ulisse omerico (Iliade, Odissea), quello virgiliano nell’Eneide, quello dantesco nell’Inferno della Commedia. La fortuna letteraria del “Laerziade” prosegue con altre rielaborazioni effettuate, ad esempio, dal Tasso nella Gerusalemme Liberata, da Primo Levi in Se questo è un uomo (un capitolo del libro s’intitola proprio Il canto di Ulisse), da Pascoli e D’Annunzio. Tuttavia l’analisi di Romboli si sofferma più a lungo sul contributo di Arturo Graf, riscontrabile nel poemetto L’ultimo viaggio di Ulisse, parte della raccolta poetica Le Danaidi. Il racconto in versi di Graf va dalla noia di Ulisse per la quotidianità domestica dopo il ritorno ad Itaca, fino alla sua morte a seguito del “folle volo”: ricalca quindi il modello dantesco di un Ulisse pienamente consapevole del ruolo di faro dell’umanità nella ricerca del vero. Nel mezzo Romboli ci mette un accostamento all’Ulysses (1833) di Alfred Tennyson, nel quale riscontra non poche somiglianze con il personaggio grafiano; la narratività del poemetto con annotazioni filologiche: endecasillabi a rima baciata, ripetizione lessicale o sintagmatica in un verso o in gruppi di versi, le indicazioni cronotopiche, l’uso dell’enjambement…; l’emergere nell’essenza umana di due componenti compresenti: l’animale di natura e l’animale di cultura; il carattere di conquista della spedizione dei marinai greci grafiani, i quali sono in numero di 200 e in sette navi (non un unico vascello come quelle dantesco); la presenza della natura come elemento cupo e minaccioso incombente sul destino umano… Il vortice marino che distrugge le navi dell’avventura dell’Ulisse grafiano è un monito all’impeto smisurato insito nell’uomo nel voler sfidare la Natura e la Divinità. Il saggio si conclude con la sottolineatura da parte di Romboli dello sguardo interessato di Graf verso il «programma di rinnovamento teologico-religioso dei modernisti» con l’accoglienza favorevole del romanzo Il Santo di Fogazzaro e, infine, accreditandolo come anticipatore di forme e motivi poetici novecenteschi.
Giunge ora l’interessante indagine su particolari aspetti dell’età giovanile, e delle relative opere, del poeta maremmano: Carducci nell’epistolario e nella poesia, pubblicato in Carducci e il Basso Valdarno alla metà del XIX secolo (Atti del convegno di studi a San Miniato, 26 ottobre 1985. Biblioteca della «Miscellanea Storica della Valdelsa» vol. 8, Società Storica della Valdelsa, Castelfiorentino 1988), indagine che permette di conoscere eventi e scritti assai poco divulgati dalla pubblicistica letteraria. Tra essi sintetizziamo: le difficoltà economiche del giovane Carducci; le aspirazioni sempre nutrite per la gloria letteraria e i sacrifici per arrivare al successo; il doloroso evento del suicidio del fratello Dante e la lettera toccante scritta dal poeta; la venerazione dei contemporanei e la graduale demitizzazione post mortem; l’ispirazione patriottica con l’accusa di nazionalismo solo libresco e l’involuzione monarchica; il suo antiromanticismo dovuto anche al Risorgimento incompiuto; la polemica contro il presente sociale; il suo realismo classico con modelli danteschi, stilnovistici, leopardiani… E Romboli conclude: «... possiamo indicare proprio in certe pagine dell’epistolario le prove più felici e più sicuramente preludenti alla futura, grande arte carducciana».
Il sesto e ultimo saggio è ancora comparativo fra differenziazioni all’interno di una stessa corrente letteraria: L’arte “impersonale” e l’opera romanzesca di Luigi Capuana, pubblicato nel volume AA.VV. Il verismo italiano fra naturalismo francese e cultura europea, a cura di Romano Luperini, Editore Manni, Lecce 2007. Capuana si rifà ai modelli francesi, sposando il romanzo verista come genere tipico della sua epoca: l’arte oggettiva, dimenticando l’artista. Tuttavia, mentre il naturalismo francese è di denuncia sociale e talvolta scandalistico, il verismo di Capuana è liberale-conservatore, scarsamente sensibile ai problemi sociali e raffigura le genti di Sicilia con un occhio etnologico. Per i francesi è una visione del mondo, per Capuana un metodo di analisi: vi è in lui una componente idealistico- hegeliana.
Enzo Concardi
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L’AUTORE
Floriano Romboli (Pontedera, 1949) ha compiuto i suoi studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è stato per tanti anni insegnante di materie letterarie e latino nei licei. Si è interessato alla cultura rinascimentale, studiando soprattutto l’epica del Tasso; è poi passato ad occuparsi della letteratura italiana ed europea fra Otto e Novecento, nonché di narrativa e poesia contemporanee. È stato docente di letteratura italiana presso la Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (SSIS) dell’Università di Pisa. Tra le sue numerose pubblicazioni: Un’ipotesi per D’Annunzio. Note sui romanzi (1986); Le ragioni della natura. Un profilo critico di Bino Sanminiatelli (1991); La letteratura come valore. Scritti su Carducci, D’Annunzio, Fogazzaro (1998); Fogazzaro (2000); Natura e civiltà (2005); L’azzardo e l’amore. La ricerca poetica di Nazario Pardini (2018). Ha curato l’edizione dei Racconti di Fogazzaro (1992) e di opere di Bino Sanminiatelli, di Eugenio Niccolini, di Dino Carlesi, nonché del diario dell’ufficiale pontederese Gualtiero Del Guerra alla prima guerra mondiale. Collabora a riviste specialistiche e a periodici di cultura generale e politica. Ha prefato i volumi di Nazario Pardini: Le voci della sera (1995), Le simulazioni dell’azzurro (2002), Scampoli serali di un venditore di arazzi (2012), I dintorni della vita. Conversazione con Thanatos (2019); ha scritto la postfazione della raccolta Alla volta di Lèucade (1999) prefata da Vittorio Vettori. Con Guido Miano Editore ha pubblicato i libri di saggistica: Il fascino e la forza della letteratura, vol.1 (2021), vol.2 (2023), vol.3 (2024). Nel 2020 ha conseguito il premio “Una penna a Pontedera”, 32a edizione per l’anno 2019.
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Floriano Romboli, Il fascino e la forza della letteratura, vol.3, pref. di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 192, isbn 979-12-81351-26-4, mianoposta@gmail.com.
Gabriele Centorame, "Il Niente" II Parte
IL NIENTE - II Parte
Riflessioni filosofico-scientifiche sull’origine del mondo
Gabriele Centorame
Guido Miano Editore, 2024.
L’autore precisa che quest’opera, Il Niente - II Parte, segue altri due testi: Prolegomeni al Niente (tuttora inedito) e Il Niente - I Parte (pubblicato nel 2016). E così riferisce: «Il tutto in forma di saggio e di cronaca. Prolegomeni abbraccia il periodo dal 4 gennaio 1991 al 15 agosto 1991, Il Niente - I Parte dal 6 gennaio 1992 al 29 gennaio 1998 e Il Niente - II Parte dal 4 febbraio 1998 al 26 aprile 2021. Vengono trattati avvenimenti storici, politici e principalmente filosofici, seguendo un percorso mentale che tende all’affermazione del “Niente” come principio eterno e assoluto, verità completa, fondata e incontestabile».
Non v’è dubbio che si tratti di uno scritto alquanto originale, sia dal punto di vista formale che da quello contenutistico. La struttura letteraria scelta è quella di un diario nel quale, tuttavia, vi sono pochissime narrazioni autobiografiche, mentre sono preponderanti le dissertazioni filosofiche e scientifiche sulle origini del mondo, soprattutto dovute al superamento della fisica classica da parte della fisica quantistica.
Per rendere la prosa relativa ad argomenti così concettuosi, scorrevole e divulgativa, i suoi ragionamenti sono concisi e sufficientemente leggibili dai molti, e quindi quasi didattica. Infatti egli si avvale anche spesso di una scrittura tautologica, in modo che il lettore possa interiorizzare e memorizzare i tanti principi teorici contenuti nel libro. In altre parole egli accompagna l’interlocutore alla scoperta dell’affascinate mondo delle ipotesi e teorie elaborate da filosofi, pensatori e scienziati circa i misteri della vita e dell’universo. Tutto ciò assomiglierebbe quasi al metodo espositivo galileiano se avesse utilizzato anche forme dialogiche.
Un altro punto positivo di tale scrittura riguarda la suddivisione in brevi capitoletti, che sono quasi tutti leggibili in modo autonomo, poiché si tratta di dissertazioni concluse in sé: anche aprendo le pagine a caso è possibile trovare materia per riflessioni profonde sulla condizione umana, senza dover scorrere avanti o indietro per cercare nessi logici. Frammiste all’assidua ricerca per la dimostrazione del Niente - un niente per l’autore assoluto, filosofico, cosmico, fatto di materia e antimateria e che non ha nulla a che vedere con il nihilismo niciano e che non implica una negazione di Dio - vi sono pagine che parlano dell’assurdità delle guerre, della nostalgia di paesi esotici dei paradisi caraibici; che contengono osservazioni naturalistiche, previsioni sul futuro dell’umanità, pillole di saggezza per il vivere bene, commenti sulla situazione politica ed economica italiana e mondiale; che trattano fenomeni come le migrazioni, le disuguaglianze sociali, la corruzione e il declino della società italiana, capitalismo e comunismo, il terrorismo distruttore… Penso che si possa quindi anche considerare tale tipo di letteratura una sorta di Zibaldone sul modello leopardiano, visto anche che Centorame colloca il Leopardi tra i sui autori preferiti.
Nonostante l’affermazione dogmatica iniziale, ad una attenta lettura del libro, si può affermare che l’impostazione ideologica di Centorame non sia da considerarsi solo razionalistica, ma anche umanistica: si riscontra una tensione ad unire ragione e valori umani, scienza e coscienza, sapere e bellezza, spiritualità e laicità. Infatti accanto agli scienziati e al loro pensiero (Pierre e Marie Curie, Charles Darwin, Paul Dirac, Albert Einstein, Benjamin Franklin, Isaac Newton, Max Planck, Carlo Rubbia, Emilio Segrè, Antonino Zichichi… tanto per citarne solo alcuni tra i più noti al grande pubblico) egli cita spesso poeti, scrittori, teologi cristiani, santi, pensatori antichi, verso i quali nutre stima, considerazione e spesso condivisione di idee: ci parla delle illusioni leopardiane come uniche realtà del mondo; della grandezza di Dante e dell’Infinito finito; della rivoluzione cristiana dell’amore, volàno per il miglioramento dell’uomo; del pregio della regola benedettina ora et labora; dello spessore di Sant’Agostino; di “Eros e Thanatos” in Freud; dell’influenza di Santa Caterina da Siena nella sua epoca; dei sempre indispensabili Socrate, Aristotele, Platone, Eraclito, Pitagora, … E, in un passaggio del capitoletto Super Stringhe, argomenta: «... Nel prologo del Vangelo secondo Giovanni è scritto all’inizio: “Nel principio era la parola, la parola era con Dio, e la parola era Dio”… L’origine è un suono, una vibrazione nel mare del Niente. La vibrazione primordiale creatrice è presente nelle culture antiche e nelle religioni, ed oggi affiora in modo meraviglioso nella scienza moderna, con la teoria delle stringhe, vibranti all’origine della materia». Sembra quindi non esserci nessuna contraddizione tra Nuovo Testamento e scoperte scientifiche attuali.
L’autore trae poi le sue conclusioni derivanti dalla rivoluzione scientifica moderna, che sottopongo all’attenzione del lettore nell’intento di invogliarlo a leggere Il Niente, che, per paradosso, contiene il Tutto: «Porre al centro d’interesse filosofico le relazioni anziché le individualità implica un cambiamento anche in campo etico. Al posto dell’individualità accesa e dell’auto referenzialità poniamo le relazioni umane e l’armonia tra le parti. Gli obiettivi da perseguire sotto tale nuovo aspetto sono: 1) uguaglianza economica tra i cittadini; 2) eliminare le guerre, magari costituendo un unico esercito su tutto il globo terrestre; 3) nei limiti del possibile cambiamenti positivi in campo ecologico e per finire 4) eliminare le centrali nucleari del pianeta.
Nel momento in cui perseguiamo con convinzione ed onestà tali obiettivi, finalmente siamo degni di rispondere in modo credibile alle fatidiche tre domande tradizionali della filosofia. A) Chi siamo? Un insieme di relazioni. B) Che dobbiamo fare? Agire per il bene comune, che è pure il nostro bene; e in riferimento alla domanda finale... C) Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro? Un mondo migliore, il contrario di quello che sta accadendo dal 24 febbraio 2022 con la guerra in Ucraina”.
Enzo Concardi
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L’AUTORE
Gabriele Centorame è nato nel 1950 a Città S. Angelo (Pe) dove attualmente risiede. Laureato nel 1972 in Lettere e Filosofia, ha insegnato Storia e Filosofia nei Licei delle province di Teramo e di Pescara, e materie letterarie nell’Università della Terza Età. Ha conseguito il Diploma di Micologo e attualmente insegna micologia al fine di preparare i cercatori di funghi e di evitare eventuali intossicazioni. Ha pubblicato varie raccolte poetiche tra cui Briciole (1997), Polline in volo (2000), Luce nella notte (2005), Il sentimento della Natura (2022). È inoltre autore di numerosi saggi filosofici pubblicati su riviste specializzate. Da molti anni è Presidente del “Premio D’Annunzio”, poesia e narrativa, a Pescara e a Città Sant’Angelo (Pe).
Gabriele Centorame, “Il Niente” - II Parte (Riflessioni filosofico-scientifiche sull’origine del mondo), premessa di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 180, isbn 979-12-81351-23-3, mianoposta@gmail.com.
Allo Château Mignotteaux
Oggi, 14 febbraio, giorno di San Valerio, emh, San Valentino, mi è venuta la brillante idea di portare Francesca, la mia fidanzata, a cena fuori allo Châteaux Mignotteaux, considerato il miglior ristorante francese di Genova. Il bello è che in un primo momento quel "Mignotteaux" trovato su Google, mi aveva fatto pensare a un puttanaio.
A ogni modo, sui piatti francesi i pareri risultano discordanti, quel che è certo è che la cucina transalpina si discosta da quella alpina. Proviamo, dai.
Nonostante le difficoltà di beccare un parcheggio a Porto Antico, giungiamo davanti al locale in perfetto orario, cioè alle 21:00 precise.
Ad accoglierci, un cameriere vestito di nero e dal gilet in tessuto laminato color oro che, gesticolando come un karateka, inizia a parlare in francese. In italiano, no, eh? Mi accontenterei persino del ligure stretto. Da segnalare che di "cugino" non ha un kaiser dacché ha un aspetto orientale. Col mento ci indirizza verso un tavolo libero. Umh, è questo il famoso galateo d'oltralpe? Pardon, il tizio ricomincia ad articolare parole in baguettaro con i suoi purquà, sivuplè, assiet…
E ci assettiamo! Il serveur si allontana e se ne avvicina un altro. Stavolta si tratta di un caucasico e, forse forse, è un franco originale. È alto, magro, bruno, dalla pelle chiara, sguardo da duro e dal completo in blu. Manco fosse un gendarme, assume la posizione di attenti, tenendo il menù sotto il braccio.
«Maresciallo!» esclamo eseguendo uno scherzoso saluto militare. Nel frattempo, Francesca, sogghignando, mi sgancia un colpetto con il piede alla gamba.
Il "milite," a differenza del precedente collega, non parla e si limita unicamente a consegnarci il menù. Merd, è stilato in francioso!
Si potrebbe usare internet per orientarci sulla scelta, ma, ahimè, non è possibile. Francesca ha dimenticato il cellulare in macchina, mentre quello del sottoscritto ha la batteria completamente scarica. E ora che si fa? Visto che l'asiatico si esprime in gallico e la "sentinella" è muta come un escargot, non ci rimane che cavarcela da soli. Leggendo e rileggendo ci accorgiamo che in uno dei primi c'è scritto Pastas And Furious con l’aggiunta del lemma CONSEILLÉ a caratteri cubitali facilmente traducibile. Roba da pazzi: titolare un piatto françois in inglese “maccheronico." Optiamo per quello che sembra essere un qualcosa di non sofisticato. Urca, venticinque euro a porzione! Speriamo che sia abbondante.
Chiamo il simpatico Bruce Lee dalla Francia con furore e indico con il dito sul menù. Senza attendere più del dovuto arrivano le nostre ordinazioni assieme a due calici di vino rosso Bordellò, o Bordó o che cavolo ne so, e una bottiglia di acqua Perrier, la più gasata del mondo.
Ci vengono dati anche dei panini bianchi, due piattini di insalata e un vassoietto di mini formaggi molli di forma triangolare tant'e vero che li associo a quei formaggini con i quali spesso da piccino picció facevo merenda spalmandoli sulle fette di pancarré.
Cosa vedono i nostri occhi? Quattro tortiglioni marroni avvolti in foglie di basilico, tre pomodorini Pachino tagliati in due, e un piccolo patè, il tutto servito in due piatti grandissimi come Piazza Navona. Ma allora non è una baggianata che nei ristoranti francesi elargiscono porzioni microscopiche, spacciandole per chic.
Mangiamo, anzi, assaggiamo. Francesca mi accarezza il polso e tale gesto equivale a un'iniezione di conforto. Che dolce il mio tesoro! Ah, il dolce, meglio passare direttamente all'ultima portata.
Mi viene in mente il film Bianca per via di una frase cult del regista e attore Nanni Moretti: «Continuiamo così, facciamoci del male.»
Riprendiamo quel dannato menù. Toh, tra i vari dessert vi è raffigurata una Torre Eiffel di mousse di fragole con delle arachidi ricoperte di cioccolato.
«Secondo me, l'immagine è zoomata, stai sicura che ci serviranno un pasticcino per ciascuno» ironizzo.
La mia fidanzata sorride. Niente, lasciamo perdere. Chiedo il conto al “piantone” che ce lo fa pervenire quasi immediatamente.
Minchia! Settanta euro più cinque euro di mancia, giusto per non fare il pezzente, settantacinque gocce del mio sangue, settantacinque in contanti e con tanti saluti perché qui non ci ritorneremo neanche gratis. A sorpresa, il cameriere ha il dono della parola, difatti ci ringrazia in italiano, abbozzando un inchino.
«Dietro l'angolo, in Via del Campo, c'è La terra dei cachi, una pizzeria/trattoria dai prezzi modici, gestita da un caro amico milanese dove si mangia fino a scoppiare» ci informa, intuendo la nostra delusione.
Ebbene, è proprio lì che si va, un locale come Benedetta Parodi comanda. Appena usciti dallo Châteaux Mignotteaux, la mia amata mi abbraccia.
«Amore» mi sussurra. «Hai speso troppo, torniamo a casa.»
«Uomo affamato, uomo assecondato! Abbiamo fatto settantacinque, facciamo cento!» insisto.
«Sì, però spendere altri soldi per...»
«Sai qual è il problema? Che discutiamo su una cosa di cui ho già deciso» dico interrompendola e dandole un bacio sulle labbra. Lei ride complice, quindi o se famo du spaghi (due per modo di dire) oppure due belle pizze.
Ci incamminiamo mano nella mano e nel brevissimo tragitto fischietto La terra dei cachi, una celebre canzone del gruppo musicale Elio e le Storie Tese, e per di più mi diverto a riadattare alcune note: «Una pizza in compagnia, una pizza e non solo, un totale di due pizze, col dessert et voilà.»
Valeria Masoni-Fontana, "Opera Omnia Volume 2- Prose"
Opera Omnia Volume 2 - Prose
Valeria Masoni-Fontana
Guido Miano Editore, 2024.
Il secondo volume dell’Opera Omnia di Valeria Masoni-Fontana - che segue il primo dedicato alla sua produzione poetica - è la raccolta degli scritti in prosa dell’autrice, di vario argomento e genere, che spazia all’incirca dagli inizi degli anni quaranta fino alla fine degli anni novanta del Novecento, frutto di un lavoro di ricerca paziente, accurata ed amorevole dei familiari dopo la sua dolorosa perdita avvenuta nel 2020. Vi fanno parte gli esiti letterari giovanili per lo più inediti e quelli della maturità, già pubblicati nel 1995 nel libro La mantide nell’ambra, presentato a Chiasso e a Lugano nella primavera dello stesso anno. Importante questo dato ambientale e geografico, poiché contestualizza il territorio - che diviene anche culturale e storico - in cui si svolgono le vicende narrate dalla scrittrice, ovvero il Ticinese ed ancor più in particolare il Mendrisiotto e quindi quella Svizzera di lingua italiana, così vicina a noi lombardi e milanesi, con la quale gli scambi in ogni campo di attività sono sempre stati frequenti e fecondi per entrambe le comunità.
Non siamo di fronte a racconti o romanzi di fantasia, bensì a lavori d’impronta essenzialmente autobiografica, diaristica e memoriale che però sconfinano spesso nella narrazione e descrizione - con relative riflessioni e pertinenti giudizi - di quel che accade intorno alla cerchia domestica e localistica, nel mondo della scuola, nella società, nella gestione politica delle cittadine ticinesi e della patria svizzera. Ne deriva che il mondo interiore dell’autrice si affianca a quello esteriore dei fatti reali, per cui ci troviamo davanti ad un fecondo connubio tra letteratura soggettiva ed oggettiva, tra privato e pubblico, tra storia personale e storia sociopolitica, elementi tutti che costituiscono il vero humus dell’ispirazione di Valeria Masoni-Fontana, nonché la cifra letteraria della sua scrittura. Tali aspetti sono sottolineati anche da commentatori critici molto più vicini a lei. È il caso di Graziano Papa che, nel suo discorso di presentazione del libro La mantide nell’ambra, precisa: «Il libro di Valeria è, a ben vedere, un diario a posteriori. Forse taluno potrebbe pensare ad un favoleggiamento tardivo, a una sorta di biografia romanzata di un’adolescenza. Ma non è così. Tutto è ancorato ad un ricordo puntuale...» (Sala ‘Diego Chiesa’, Chiasso, 21 aprile 1995). Gli fa eco Giancarlo Vigorelli, in occasione dell’uscita dello stesso libro: «A chiusura, direi quasi a sigillo di questo ripristinato lessico familiare - proprio e della sua città - Valeria fa seguire, alcuni, a dir poco, aggiornamenti aggiuntivi dei percorsi della sua vita, come per fare intendere senza equivoci che da quelle nebbie del passato … non ha tardato a venire fuori una vita ardente, intensa, reale appunto...» (Lugano, 11 maggio 1995).
Questa Opera Omnia è suddivisa in sei parti, che rispettano l’ordine cronologico di stesura dei testi e con tale criterio le presenteremo. Nel mare magnum degli scritti si individueranno alcune esemplificazioni significative per rendere al lettore lo spirito e il cipiglio narrativo dell’autrice, nonché per segnalare gli intendimenti ‘manzoniani’ delle sue opere, cioè «il vero per soggetto, l’interessante per mezzo, l’utile per iscopo». Dove il vero è dato dalla sua prosa realistica; l’interessante è riscontrabile dai commenti sulle cronache locali, dalla descrizione di luoghi e personaggi conosciuti anche dai concittadini, suscitando così la loro curiosità; l’utile dal messaggio finale che si evince dalle sue visioni, le quali approdano tutte, in ultima analisi, a valori etici, morali, professionali, sociali e politici professati e vissuti nell’esistenza concreta, con coerenza e passione.
Dunque la prima parte raccoglie gli articoli apparsi sulla rivista Mosaico (1941-1943) del ‘Circolo Studentesco di Lugano’ e porta il medesimo titolo. Si tratta di annotazioni giovanili eterogenee, nelle quali Valeria Masoni-Fontana dimostra già possesso della lingua, verve narrativa, capacità di approfondimento psicologico, interesse per il mondo circostante. Le sue stringenti ed articolate esplorazioni introspettive emergono fin da subito, come nel brano Luci e ombre (anno I, n°1, novembre 1941). Sono quei conflitti interiori che tutti viviamo, per cui coloriamo la nostra anima di chiaro-scuri, tendendo però a far prevalere un certo pessimismo e forse «... non pensiamo che profonda e calma si nasconde in noi sempre un po’ di luce». Il suo spirito di osservazione e il desiderio di scoprire nuove realtà la spingono a girovagare senza meta: A zonzo (anno II, n°2, novembre 1942) e Il villaggio (anno II, n°3, maggio 1943) rispecchiano questo tratto della sua indole, che le permette di ammirare la natura, sognare e fantasticare, ma poi tornare «… sulle strade diritte e più sicure della chiara realtà», o di camminare sino ad un piccolo villaggio per ritrovare pace e serenità d’animo. Ed ancora, nel brano, La scelta della professione (anno II, n° 2, gennaio 1943) si svolge un colloquio con se stessa, in cui l’argomento dibattuto è relativo alle scelte per il futuro: medico, avvocato o giornalista? Aspetterà l’ispirazione.
La seconda parte accoglie Altre prose giovanili (1941-1944), testi presumibilmente inediti, tranne l’ultimo (Bulletin della Associaton Suisse des femmes universitaires), edito in francese, che è del 1968. Denotano una sorprendente maturità dell’autrice, sia per lo stile già molto personale e ricco di sapidità, sia per la pregnanza dei temi affrontati che spaziano dagli affetti domestici alla natura, dai brani onirici a quelli dedicati alla Confederazione Elvetica. Molto avvincente e drammatica la vicenda esistenziale di Teresa Silva, a cui erano morti dieci degli undici figli messi al mondo, compreso il prediletto, ed inevitabilmente anche lei alla fine si congedò dal mondo: «…Quella notte, nonna Teresa scivolò in silenzio fuori dall’ansia del tempo». Educative le parole dedicate alle mamme, invitandole a non spaventare i bimbi con ‘l’uomo nero’, ma a prenderli sulle ginocchia sussurrando loro favole belle (La Pagina della donna). Commovente il doloroso canto per le Esili betulle stanche, che le apparvero così perché piegate dal vento. Profondo il Sogno nel quale diviene una Danaide, ma solo nella pena e non nella colpa. Di alti sentimenti civili, democratici e patriottici lo scritto Nel 650° anniversario della fondazione della Confederazione, il cui epilogo riassume la nobiltà del sentire morale e politico di Valeria Masoni-Fontana: «...Nata questa nostra Svizzera da un moto di fierezza montanara, rinsaldato nel corso di sei secoli di lavoro e di fede, nei suoi destini, che essa viva nel tempo, intatta e libera sempre».
Ricordanze (1971-1975) è il titolo della terza parte, che specifica nel sottotitolo: L’amore di figlia, di moglie, di madre nei sogni di Valeria: dialogo coi cari defunti. Vi possiamo leggere lettere immaginarie scritte ai genitori defunti, tutte datate con precisione, dalla prima (18 aprile 1971) all’ultima (25 dicembre 1975). Epistolario che tocca i tasti delicati e profondi del sentimento, della memoria più cara e vissuta, dell’elaborazione del lutto, di quella corrispondenza di amorosi sensi di foscoliana matrice che unisce i vivi ai morti e perpetua quanto vi è di più umano ed autentico nei confronti di chi ci ha dato la vita, ovvero la gratitudine per il dono della vita stessa e per gli insegnamenti e l’amore ricevuti. Emerge il vero senso della famiglia come centro d’affetti, casa del proprio esistere, protezione materiale e spirituale, cellula vitale per camminare anche nel mondo, nascita di progetti e sogni per il futuro. Così tutti i brani diaristici sono commoventi e si crea un’empatia con l’autrice, poiché queste lettere immaginarie possono essere paradigmatiche per capire qualcosa del mistero dei rapporti umani filiali, materni, paterni. Emergono figure genitoriali esemplari e luminose, che una figlia avrà impresse nel cuore per sempre: «Mamma da 10 anni non più con noi, ma in noi» (dall’incipit della scrittura datata 18 dicembre 1975). Il diario s’interruppe quando gli studi per la preparazione dell’esame di Notaia l’assorbirono sempre di più: per la cronaca, ella diventò la prima donna Notaia del Canton Ticino nel 1979.
Vengono poi le Nebbie sul Breggia (1978), raccolta di articoli apparsi a ritmo settimanale o bisettimanale sul quotidiano “Gazzetta Ticinese”: nel capitolo 4 del libro sono riproposti nella loro versione originale, mentre il capitolo 5 è costituito dai testi rivisti dall’autrice e pubblicati nel 1995 nel volume La mantide nell’ambra, che raccoglie scritti nel periodo 1978-81. Il quarto capitolo contiene anche l’articolo Sentire il cimitero del tuo paese, del 31 ottobre 1978, recuperato recentemente. Tali rivisitazioni dell’autrice dei propri testi dopo un certo periodo di tempo rivelano un’acribia autoreferenziale tipica del labor limae oraziano e consistono in ritocchi stilistici come la ricerca di un termine più idoneo, o di un incipit più consono al contesto, o di un certo bisogno di sintesi negli epiloghi. Ottimamente ci illumina, sull’origine di questi scritti, Armando Dadò nell’introduzione al libro La mantide nell’ambra: «La perdita della madre … poi qualche anno dopo del padre… la rivisitazione dei luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza… furono per lei la spinta a ritrovare, come in una nebbia magicamente custode o generatrice di memorie, angoli scomparsi del paese, case, piazze, vie e volti d’amici, di compagni, di conoscenti, figure ricorrenti nel piccolo mondo chiassese (maestri, professori, uomini di cultura, artisti, professionisti, spedizionieri, negozianti, artigiani, operai) o volti appena intravisti a Chiasso, a Mendrisio, perfino a Lugano dove la portava il primo treno del mattino per frequentare il Liceo...». E ne viene fuori un ritratto fedele della vita degli anni quaranta di quei luoghi, spaccato sociale, storico e familiare di una pullulante umanità, operosa e vivace, sulle sponde del fiume Breggia, le cui sorgenti sono al Monte Generoso per sfociare, dopo essere transitato da Chiasso, nel Lario. Così avviene la rivisitazione delle radici, dei posti dove ha giocato durante l’infanzia, il ricordo della casa natale, di via Soave, il ritorno da scuola quando lei incontra - mentre suonano a distesa le campane del mezzogiorno - il direttore scolastico, le maestranze di una ditta, la signora Teresa alla finestra … ma soprattutto la mamma al balcone e l’attesa del papà verso il quale correrà incontro piena di gioia e di emozione.
Si susseguono come in un fiume in piena ricordi di ogni genere tra cui quelli scolastici con la lettura in classe dei Promessi Sposi; il giorno della prima Comunione; la situazione dei fiumi del suo paese, Breggia e Faloppia, un tempo liberi di scorrere ed ora incanalati e intrappolati. Il mosaico è ricco di tanti altri tasselli: dall’apertura di una nuova strada al posto della vecchia carrareccia, senza rispettare la natura e l’ambiente, alle passeggiate con mamma e papà in montagna vicino alla frontiera alpina; a una visita domenicale al camposanto di Breno, alla tradizionale capatina al ‘Caffé Indipendenza’ o al tavolino di una confetteria a gustare i dolci locali, fino a un negozio di sigari e tabacchi in Corso San Gottardo, per acquistare ‘fumo’ a papà che era rimasto senza… E fino ai sindaci della sua vita: Elvezio, Guido (che l’ha unita in matrimonio); e ai segretari comunali Achille, Giulio («pallido, allampanato, dinoccolato») che per tanti lustri hanno accompagnato la vita dei cittadini, prima e dopo la guerra ed oltre.
L’Opera Omnia si chiude con gli scritti della sesta parte: Du côté de chez… rien (già editi in La mantide nell’ambra) in cui Valeria Masoni-Fontana fa rivivere le suggestioni che l’hanno spinta a scrivere e intreccia le vicende delle tre famiglie (quella paterna, i Fontana, quella materna, Felix, e quella dell’ava paterna Teresa Silva, ultima discendente del ramo degli artisti di Morbio). Qualche critico ha pensato di accostare la carrellata dei personaggi del Mendrisiotto a quella di Lee Masters nell’Antologia di Spoon River e qualcun altro ha evocato la Recherche di Marcel Proust in relazione al viaggio nella memoria: accostamenti letterari che certamente forniscono un’idea al lettore del genere di scrittura predominante nei testi dell’autrice; tuttavia, a chiusura di questa analisi critica, vorrei anche ricordare la definizione della sua personalità tratteggiata da Giancarlo Vigorelli, che calza a pennello rispetto alla sua profonda identità pubblica, per essere in possesso di «…una civile educazione di donna di esemplare tradizione elvetica e di comune spirito europeo».
Enzo Concardi
Valeria Masoni-Fontana (Chiasso, 1925 - Lugano, 2020) è stata avvocatessa, scrittrice e poetessa. I suoi genitori erano Cornelio Fontana e Paola Felix; il padre, da molti anni, Vicesindaco liberale-radicale di Chiasso, quando la forte colonia italiana pareva in procinto di superare, per numero, i cittadini svizzeri e indulgere al fascismo e a qualche suo atteggiamento prepotente, aveva tenuto un discorso fortemente antifascista a sostegno della nostra democrazia. Ha frequentato il Ginnasio Cantonale a Mendrisio, il Liceo Cantonale a Lugano e ha studiato legge a Zurigo e a Losanna. Ha esercitato l’avvocatura dal 1956 e dal 1969 (prima donna ammessavi nel Canton Ticino) il notariato. Ha condotto con il marito Franco Masoni uno studio legale e notarile a Lugano, cui si sono unite poi le figlie Marina, Giovanna, Paola. Da giovane ha pubblicato prose e poesie in giornali e riviste studentesche del ginnasio e della Federazione Goliardica Ticinese, tra cui In bilico e Mosaico (rivista del Circolo Studentesco di Lugano). Nel 1957 ha pubblicato la raccolta di poesie Per quel che non muta nella Collana di Lugano diretta da Pino Bernasconi (per i tipi della SA Successori a Natale Mazzuconi); tre poesie di questa raccolta sono poi apparse nel volume Scrittori Italiani del II Dopoguerra, La poesia contemporanea, con prefazione di Bruno Maier (Guido Miano Editore, Milano 1982); qualche suo verso è richiamato nella raccolta di Franca Cleis, Ermiza e le altre (Roosenberg & Sellier, Torino 1993). Dal 1978 al 1981 ha pubblicato prose letterarie (ricordi d’infanzia e familiari) a ritmo quasi settimanale nella “Gazzetta Ticinese”, a firma vmf, con il titolo Nebbie sul Breggia. Le stesse prose sono state poi raccolte nel volume La mantide nell’ambra (Dadò Editore, Locarno 1995) insieme ad una nuova sezione di testi (ricordi precedenti e recenti) chiamata Du côté de chez… rien (il titolo è d’ispirazione proustiana perché Marcel Proust era per Lei l’Autore preferito).
Valeria Masoni-Fontana, Opera Omnia Volume 2 - Prose, premessa di Guido Miano, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 504, isbn 978-88-31497-80-0, mianoposta@gmail.com.
Valentina Marzulli, "Divenire"
Divenire di Valentina Marzulli (Eretica Edizioni, 2023 pp. 60 € 15.00) cattura l'energia ispiratrice dello svolgimento del tempo intorno al passaggio esistenziale del mutamento. La poetessa intuisce nel divenire qualcosa che diviene, nel movimento interpretativo della realtà, che si manifesta e si dissolve nelle contraddizioni emotive, non disperde l'essenza originaria dell'evoluzione passionale ma la rinnova. La visione ontologica di Valentina Marzulli accoglie la molteplicità della vita, dilata il contenuto incondizionato dell'amore, include la progressiva conversione attraverso l'illusoria provenienza delle aspettative e la concreta destinazione dell'assenza, realizza l'incessante necessità di presagire le espressioni del desiderio e la sospensione del sentimento, di riconoscere, nelle relazioni, l'intensità del coinvolgimento e di dare un significato profondo al qualcos'altro che anima la percezione sensuale della carnalità e la coscienza sincera della spiritualità. Valentina Marzulli concretizza il simbolico richiamo del passato nella concezione dialettica delle vibrazioni evocative del cuore, alterna l'indeterminatezza del silenzio con la risolutezza delle parole, scrive versi incisi nel carattere coraggioso ed efficace di una poetica che adotta il sentire in tutte le sue carismatiche declinazioni. Divulga la sconfinata estensione di ogni orizzonte sensitivo attraverso la viscerale, impulsiva e ineluttabile prospettiva dei ricordi, distende la deviazione impetuosa degli affetti nei provocanti intrecci lirici e romantici dell'anima, assapora l'inquieto profumo della malinconia, esplora l'intonazione suggestiva delle divagazioni autobiografiche, affianca alla riflessione sul cambiamento la conservazione autentica della speranza. Divenire svolge il suo insegnamento poetico intorno alla discordanza irrequieta degli interrogativi, evidenzia lo stridore dei contrasti, mostra il turbamento della fragilità, pone l'accento sui discorsi interrotti e sospesi, consuma la dolcezza dei baci e il fascino ineluttabile degli incontri, l'impronta infinita e imprevista del destino, oppone all'oscurità del vuoto la limpidezza dei giorni, mantiene la lacerazione delle ferite interiori, trattiene l'equilibrio della verità per lenire il dolore e saldare i margini di ogni guarigione. “Divenire” è tramutare le sensazioni provate e vissute lungo lo spostamento introspettivo del pensiero, è il valico che collega la prospettiva dinamica della trasformazione alla libertà di affidarsi alla vita e al suo sincero entusiasmo, sostiene la proiezione della consapevolezza. Valentina Marzulli invita il lettore a prestare attenzione e cura alle occasioni e a credere alla straordinaria forza delle corrispondenze, a imparare a sorprendersi e a svincolarsi serenamente da tutto ciò che non è più un giovamento e limita il nostro essere, a seguire l'indicazione positiva delle decisioni, a ricevere tutto ciò che accade e allontanare tutto ciò che vaga. La poesia di Valentina Marzulli approccia la metamorfosi dell'anima, fa spazio all'inarrestabile ribaltamento delle situazioni, nella dimensione seducente e sconosciuta del diventare altro, fluisce naturalmente nel luogo simbolico del riscatto e della serenità che protegge l'identità sacra dell'amore, culla l'immutabilità del bene e tutto quello che resta.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
IL SUO VUOTO
Il suo vuoto
aveva il colore
di tutti gli occhi malati,
delle mani sgarbate,
del suo corpo
per sempre marchiato.
Il suo vuoto
era pieno di sale,
e di terra,
e di strappi,
e di piccoli pezzi di cuore.
STATO DI NATURA
Come acqua scorro,
turbolenta, tra i miei pensieri.
Come un sasso affondo,
tutta intera, tra le mie voglie.
Come un naufrago mi abbandono,
miserabile, ai miei tormenti.
CONTRASTI
Bianco.
L'orlo
del vestito
sul ginocchio.
Il seme
che si sparge
e cola piano.
Il cielo
che risplende
e, anche oggi,
scorre invano.
È nero.
AUT AUT
Vedere, non guardare.
Volere, non toccare.
Sentire, non pensare.
Capire, non parlare.
Amare.
UTOPIE
E domani amore,
domani tu incontrami.
Lasciamo una volta,
che la vita poi scorra,
che la Luna rinasca,
che il destino si compia,
che nei tuoi baci io muoia.
LE STELLE POI CADRANNO
Verranno giorni limpidi,
le nubi passeranno.
Al mare in pieno Agosto,
le stelle poi cadranno.
12 LUGLIO
Io non lo so
dove poi ce ne andiamo
quando smettiamo di esserci.
Dove finisce
tutto il nostro incessante pensare?
E tutti quei sogni, l'anima, i baci?
So di certo,
che quel mattino d'estate,
quando mi hanno chiamato,
io nel mio corpo esistevo
tanto quanto tu,
forse, dal tuo già te ne andavi.
Ed è stato un bene
che poi tu sia restato,
come avremmo saputo altrimenti,
in tanta confusione, dove ritrovarci?
La vita, come la morte,
è solo un passaggio,
così mi hai insegnato.
La prossima volta,
allora, ricordati di lasciarmi
il tuo nuovo recapito.
Messaggio in bottiglietta
Ho appena finito di scrivere su un foglietto di carta. Non l'ho piegato accuratamente, ma vabbè, infilo lo stesso il messaggio dentro questa bottiglietta bassa e tozza che mi appresto a sigillare con un tappo di sughero.
Mi trovo in riva e alla deriva, nell'eventualità in cui l'SOS dovesse essere raccolto da un'anima pia, magari potrebbe trarmi in salvo.
Un gabbiano volteggia libero e spensierato, sembra prendermi per il culo per via del suo continuo garrire. Volgo lo sguardo verso il mare e, ringhiando rabbiosamente, scaglio la bottiglietta quadrata il più lontano possibile. Merda! Ho fatto fiasco col fiaschetto in quanto si è schiantato contro uno scoglio.
Faccio spallucce e, barcollando un po', mi avvio verso casa, giungendo inoltre alla seguente conclusione: se il lancio fosse andato a buon fine, chi avrebbe “pescato” quella bottiglietta di whisky, probabilmente non sarebbe stato in grado di comprendere la nota, infatti, ubriaco come sono, chissà cosa minchia avevo scribacchiato.