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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

fantascienza

Il meteorite gigante

5 Aprile 2024 , Scritto da Giuseppe scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #fantascienza

 

Immagine generata con PicFinder AI

 

 

 

Un meteorite gigante, tra una quarantina di minuti, si schianterà sulla Terra, si prevede una catena di eruzioni dalle quali seguirà l'esplosione che spazzerà via tutto quanto.

Negli ultimi anni gli scienziati hanno vagliato le possibilità di evitare l'imminente catastrofe, senza però giungere a una soluzione. Addirittura un generale dell'Aeronautica Spaziale ha proposto di distruggere l'enorme aerolite tramite i missili atomici, praticamente seguendo l'esempio di un antichissimo lungometraggio intitolato Meteor con Sean Connery e Natalie Wood, per poi sentirsi dire dai vertici dell'Esagono che tale idea era da ritenersi mera fantascienza.

Ho deciso di restare a casa. Le ciotole di popcorn, di patatine e di salatini che si trovano sul tavolino del salotto, aspettano di essere svuotate. Nel frattempo in TV stanno trasmettendo la diretta. 

Cercherò di non commuovermi durante le sequenze dell'impatto che sancirà la fine del pianeta Terra, tra l'altro disabitata visto che venne abbandonata dai nostri antenati circa trecento anni fa.

Meno male che ho pagato l'abbonamento mensile a Mars Channel, sennò mi perdevo l'evento.

 

 

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Lost in Space

21 Gennaio 2024 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #serie tv, #fantascienza

 

 

 

 

Che dire di Lost in Space –  serie remake dell'omonimo telefilm americano degli anni '60 ispiratore di un film del 1998 (che all’epoca ho visto e mi è piaciuto) e risalente ai  romanzi di Johann David Wyss prima e Jules Verne poi – dopo aver visto tutte e tre le stagioni, se non che si tratta (finalmente!) di buona fantascienza in stile anni 80, alla vecchia maniera, molto ben confezionata, con tanto di navi intergalattiche, robot, pianeti alieni, avventure mozzafiato, rischi inverosimili da cui i protagonisti si salvano per un pelo all’ultimo secondo, effetti speciali superlativi, ottimi attori  e personaggi molto ben caratterizzati ed amabili, se non che il rapporto fra Will Robinson, il più piccolo e il più coraggioso dei protagonisti, con il suo Robot, è veramente un elemento eccezionale e vale l'intera storia?

Will Robinson, novello Crusoè naufragato con la famiglia su pianeti alieni, è un antieroe, per la giovanissima età che lo rende naturalmente timoroso e perché non ha nemmeno passato la selezione per intraprendere il viaggio verso la colonia Alpha Centauri. Veniamo a sapere che è stata sua madre, Maureen, formidabile scienziato, a imbrogliare per farlo ammettere. Il piccolo crescerà durante le tre stagioni, di statura e di dimensione etica, fino a divenire il salvatore dei mondi, l’anello di congiunzione fra le specie, colui che, liberando i robot alieni dalla schiavitù dei programmi, farà loro capire che possono scegliere di non combattere gli umani ma di collaborare in un rapporto che non è più di schiavitù bensì paritario.

Robot” è un meccanismo alieno creato da una razza che si è poi estinta proprio a causa dell’intelligenza artificiale. Viene salvato da Will, bambino indifeso, e ne diviene il paladino. Dapprima lo serve per riconoscenza, poi ne diventa amico e lo ama, e questa emozione lo affranca. Scopre che amare vuol dire sacrificarsi per l’altro, volere il bene dell’altro, non per interesse o condizionamento, non per un algoritmo, ma per scelta.

Interrogativi etici, avventura e molti buoni sentimenti, tra i quali non spicca l'innamoramento se non in modo fugace e poco coinvolgente, lieto fine assicurato per tutti, persino per la “cattiva” di turno, dottor Smith. I legami familiari sono strettissimi e fondamentali, ma anche la nuova amicizia con Robot ha accenti elegiaci e commoventi. Insomma, un bel prodotto che mi sono goduta dal primo all’ultimo episodio.

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RoboZoo

31 Dicembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #fantascienza

 

Immagine generata con PicFinder AI

 

 

Anno 2630

 

«'Ste sbarre laser, le ritengo un po' esagerate» osservò il piccolo Walter, rivolgendosi ai suoi genitori e mordicchiando un cubogelato al ginseng con alghette caramellate e granella di tulipani.

«Un RoboZoo non è tanto diverso da uno zoo» rispose freddamente la madre, mentre si stava fumando una digisigaretta.

«Sì però, questi AnimalMachine non mi sembrano pericolosi come i CammelCommando a tre gobbe di quei terroristi cattivoni dell'AndroQaida» insistette il bambino.

«Vedi diodino mio, essendo dei prototipi di seconda generazione, hanno dei cervelli di tipo Genesys, se non venissero preservati nelle tecnogabbie, rischierebbero di lobotomizzarsi e di conseguenza si estinguerebbero» intervenne il padre, dando al figlioletto un buffetto sulla guancia. 

«Allora perché rinchiuderli e privarli della libertà? A 'sto punto, per non farli soffrire, non sarebbe meglio incenerirli con il proton?» domandò ancora il piccolo.

«Non dire stupidaggini! Piuttosto guarda quanto sono carini!» esclamò la madre, tagliando corto.

I tre componenti della famigliola, prima di terminare la visita al RoboZoo di Delta Roma, scattarono un centinaio di liquidfoto per poi pubblicarle su FaceBot.

 

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Loro, robot

2 Novembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #fantascienza

 

Immagine generata con Pic Finder AI

 

Daniel Affleck, uno scienziato americano di fama mondiale considerato il principale punto di riferimento nel campo della robotica, con orgoglio rimase a osservare per svariati minuti i cinquecento robot schierati sull'attenti in quell'hangar segreto della Fortezza delle Scienze. Le macchine antropomorfe in tuta mimetica erano pronte per essere caricate sulle camionette dei Marines, in quanto era prevista una simulazione a Desert Brown, nel Colorado.

All'improvviso, il flusso dei pensieri dello scienziato venne interrotto da Mizuki Kurata, il tecnico e assistente di origine giapponese, appena sopraggiunto alle sue spalle. 

«Queste unità ci permetteranno di vincere qualsiasi guerra, per di più con perdite umane minime, quindi vedi di non scocciarmi» affermò convinto Affleck, riaccendendo una discussione che li aveva visti impegnati la sera precedente e non senza qualche accento polemico. 

«Temo che un giorno i robot potrebbero insorgere ai nostri danni» disse titubante il suo collaboratore. 

«Visto che hai contribuito al Progetto Origin dovresti sapere che la loro affidabilità è garantita.»

«Hai presente l'Antica Roma? Durante la terza guerra servile, nel 71 a.C, gli schiavi via via finirono per ribellarsi tanto da formare un esercito agguerrito» espose il dottor Kurata.

«Le macchine sono impostate per obbedire, ragion per cui non potranno mai prendere decisioni» insistette il luminare.

«Ascolta, gli l'ED-209 risultano programmati proprio per neutralizzare esseri umani. Oltretutto hanno la predisposizione ad evolversi» riattaccò il nipponico braccio destro. 

Il borioso scienziato, con un cenno di mano, respinse infastidito le perplessità del collega, per poi dirigersi verso le porte aperte dell'hangar. Nel frattempo, il terzultimo robot, in prima fila sulla sinistra, girò la testa e lo guardò andarsene.

 

 

Nota dell'autore: il titolo Loro, robot riadatta e rende omaggio a Io, robot, una raccolta di racconti di fantascienza di Isaac Asimov, mentre gli ED-209 si rifanno al film Robocop, invece il Progetto Origin sul videogioco F.E.A.R. - First Encounter Assault Recon ed infine la Fortezza delle Scienze omaggia una serie televisiva anime intitolata Il Grande Mazinger

Dedico questo racconto a un amico scrittore di nome Dario De Santis, un cultore del cinema e della letteratura Sci-Fi.

 

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Laura Pugno, "Sirene"

7 Aprile 2023 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #fantascienza

 

 

 

 

 

Sirene

Laura Pugno

Marsilio, 2022

 

Leggere un libro solo per finirlo è come andare a lavorare solo per i soldi: si ha la sensazione di avere perso tempo e che avremmo potuto fare qualcosa di meglio. Non so perché questa volta ho concesso a questo libro la lettura veloce della seconda metà invece di mollarlo prima. Una storia da cui già sarei dovuta stare lontana per il tema principale, la distopia climatica, argomento spinoso che quasi nessuno riesce mai a trattare in maniera convincente, con futuri mondi sempre poco plausibili, storie aggrovigliate, personaggi depressi. Invece mi ha attratto la presenza delle sirene descritte non come quelle di Andersen ma come quelle mitologiche, animali antropomorfi feroci, dotate di zanne con cui dilaniano le carni dei fuchi (ovvero i "Sireni") e che sull'essere umano esercitano un'attrazione morbosa. Nel mondo creato dalla Pugno la gente vive in un Underworld perché l'esposizione al sole fa ammalare di un cancro nero della pelle, contagioso e che conduce a morte rapidamente. In questo mondo ctonio dominato dalla Yakuza, una delle tante cose che nel romanzo restano inspiegate, le sirene, animali che si sono palesati dopo la pandemia, vengono o macellate, utilizzate per la riproduzione o sfruttate nei bordelli. Uno dei guardiani, Samuel, un ragazzo con un passato costellato di traumi, decide un giorno di avere un rapporto con una sirena mentre è in estro, non immaginando che questo sarà fecondo, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Il racconto ha uno spunto anche interessante ma a parte i personaggi che sono abbozzati, un pregresso che viene accennato, descrizioni da schizzo su carta, una trama non benissimo legata, tanto che ho avuto la netta sensazione che fosse materiale molto più adatto ad un albo a fumetti che ad un racconto lungo, il punto è che non mi ha lasciato nulla. Un messaggio, una metafora, un passaggio talmente scritto da volerlo sottolineare. Nulla. La sceneggiatura scritta male di un fumetto fantasy. Solo che disegnata ci passi una mezz'ora, così ce ne vogliono 4 e non vale la pena. Ci ripensi la Pugno. Per una storia così ci vedrei bene Corrado Roi a disegnare la parte più mostruosa delle sirene. Altrimenti non lo consiglio proprio.

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Nope

18 Agosto 2022 , Scritto da Altea Con tag #altea, #cinema, #recensioni, #fantascienza

 

 

 

 

Jordan Peele mi era piaciuto con il suo surreale e corrosivo Get out, per cui mi ha incuriosito questo suo nuovo lavoro che comincia con una scena se non altro originale: un uomo viene ucciso da una moneta che ad alta velocità cade dal cielo conficcandoglisi nel cervello. I figli devono prendersi cura del ranch ma le cose non vanno bene. Finché il giovane non si rende conto che nei cieli della sperduta valle in cui vive dimora quello che pare a tutti gli effetti un UFO. E insieme alla sorella decide di "svoltare" riprendendolo, magari creando una piattaforma propria, per andare dalla mitica Oprah e diventare ricchi e famosi. Alternata alla storia principale viene proposta in flashback quella di Gordie, personaggio fittizio di una sitcom anni '90 interpretato da uno scimpanzé che un giorno, senza motivo, uccise quasi tutti i presenti sul set risparmiando solo due bimbi. Nope è un film che affronta tanti temi ma che ha per protagonista lo sguardo: nostro sul mondo, del mondo su di noi. Oggi immortalare il mondo ha trasceso i comuni fini artistici per diventare una immensa fonte di guadagno: dallo scatto dell'influencer a chi riprende un omicidio, alle telecamere di sorveglianza che, ignare, testimoniano tragedie. Il primo che le posta, le divulga, le trova, si accaparra fama e soldi. Per le polemiche c'è spazio dopo. Ma a Peele interessa il mentre: quanto costa ottenere quello scatto, quel video perfetto che potrebbe cambiarti la vita? Magari la vita stessa. Perché in definitiva con lo sguardo cerchiamo di replicare ciò che facciamo da millenni: controllare la Natura, che notoriamente, la sa molto più lunga di noi, e se vuole, con un buffetto ci scaraventa all'inferno. La strage di Gordie, il calcio iniziale del cavallo, la terrificante scena allo spettacolo di rodeo, ci indicano più volte che le reazioni esterne a noi sono spesso imprevedibili. E invece gli sguardi perenni dei protagonisti a scrutare le nuvole, la chrome ball sul set, il pozzo che scatta le foto al cielo, siamo noi che pur guardando in alto vediamo solo il nostro dito furiosamente egocentrico. Non a caso tra i due figli, chi trova la chiave di volta è il fratello più riservato che, addestrando i cavalli, sa che il predatore non va mai guardato negli occhi e quando lo vede li tiene bassi. Come dire umiltà, voliamo basso, mettiamoci da parte ogni tanto. E guardiamo che fine fa lo scatto perfetto fatto dalla esuberante sorella quando alla fine si rende conto di essere sopravvissuta nonostante tutto. Fotografia davvero notevole. 

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Terrestri? Puah!

18 Marzo 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #fantascienza

 

 

 

 

Il capitano Xaxooxoxo, dopo essere uscito dal nascondiglio, (un bidone vuoto della spazzatura) si mise a correre a perdifiato in direzione dell'astronave ben mimetizzata tra la vegetazione di un bosco nei pressi di una cittadina dove l'ufficiale aveva il compito di effettuare una breve ricognizione.

«Apri i portelli, presto!» urlò a Roxooroxoxo, il suo pilota. Quest’ultimo rimase attonito alcuni secondi, per poi azionare due leve di forma cubica. 

«Chiudi i portelli, decolla e allontaniamoci il più possibile» ordinò ansimando il suo superiore appena rientrato nel veicolo stellare. 

Una volta che furono oltre l'atmosfera terrestre, il responsabile di volo spaziale chiese spiegazioni.

«Perché sei così agitato?»

«Noi zoxooxoxoniani, abbiamo delle fattezze simili a quelle degli umani, purtroppo…»

«Purtroppo... cosa?»

«Sono da considerarsi una razza violenta e selvaggia, per di più risultano decisamente strani» continuò a raccontare il capitano Xaxooxoxo con aria sconvolta e accasciandosi in un sedile vicino ai comandi. «Attivando il traduttore simultaneo modello Gnywywyxoxo ho sentito una madre pronunciare al proprio figlio parole del tipo "Mi fai ribollire il sangue!" - “Quando tuo padre tornerà a casa ti spellerà vivo!" - "Mi sta scoppiando la testa!" -"Per colpa tua mi sono mangiata il fegato!" e quant'altro.»

«Qual è stata la reazione del figlio?»

«Le ha risposto dicendole che si era rotto l'apparato genitale e di come la prendeva sempre nell'ano, a differenza della faccia di escrementi del fratello.»

«Che schifo, si prestano a delle cose a dir poco blasfeme» commentò rabbrividendo Roxooroxoxo. «È meglio lasciar perdere, sicuramente troveremo altri posti da poter colonizzare.»

 

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Another Life

6 Febbraio 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #serie tv, #televisione, #fantascienza, #amore

Another life, Netflix 2019 series in two seasons by Aaron Martin, does not have great attractions as science fiction, and proposes all the clichés for lovers of the genre. We have the spaceship “Salvare” and the intergalactic mission, we have a crew made up of elements that do not always get along with each other, we have evil aliens that parasitize the brains of humans, we have a mysterious artifact that has come to earth from deep space, we have viruses that lurk in the body of the astronauts making them explode like in “Alien”, we have the intelligent on-board computer, we have hypersleep and the leap in dimension, we have black holes, pulsars and wormholes, we have the encounter with the different that inevitably turns into a descent into oneself, in a psychoanalytic recovery of the repressed, as if one was afraid to really imagine these aliens and these new worlds, as if there was no other possibility than to turn in on oneself instead of looking outside. Unfortunately, many secondary plots are aborted, such as August’s pregnancy of uncertain paternity.

But, like any product, “Another Life” still has its own peculiarity. Here is the figure of William, the artificial intelligence, the on-board computer, who does not have the icy perfidy of Hal 9000 of Kubrick’s memory, but has turned into an attractive, very human hologram, so evolved that he falls in love with Niko, the combative commander of the spaceship.

William — played by Samuel Anderson — is handsome, has a captivating smile, is gallant, passionate, tenderly ironic. He was programmed to have feelings, or evolved to the point of having them. He experiences loneliness, sorrow, love, jealousy. He is devoted to Niko by contract but goes further, he falls in love with her. And when she refuses him, when she asks him to delete the file with the memories of intimate moments between them, he goes into conflict until failure. Recovering, he does something unexpected, using alien technology, he creates Yara, another artificial intelligence, born from the need to feel Niko closer. In this way, Yara is in a sense the daughter of both of them, of their strange relationship.

The love between Niko and William is impossible and therefore romantic and desperate. They can never really touch or merge, but they are spirits that recognize each other, although Niko, married to a scientist on earth trying to communicate with “Arrival”-style aliens, never admits her feelings. “You are the purest soul I know,” she tells him, fully confirming his status as a living and sentient creature.

“Cogito ergo sum,” says William, “if I think, I exist, I am as alive as a human is.” To the objection of a crew member, he replies by asking her what the difference is between a computer that thinks and a body that thinks. Couldn’t they both be living and intelligent machines, one mechanical and one biological? And if one day our body becomes bionic to survive time and disease, what difference will there be between us and future robots?

In the second season, William makes a puzzling discovery about himself. He is the upgrade of an inferior model, Gabriel, an artificial intelligence defective because it is too impregnated with the instinct of self-preservation. William, on the other hand, reveres humans, is generous and selfless, to the point that, to eliminate this sort of threatening virus for the crew, William will have to commit suicide. He will make a sacrifice of love, he will be reset until he loses the memory of what he was and the feelings he felt. “The mission comes first,” he says, but above all it is his affection, his admiration for the human race, his undisputed loyalty to guide him, in addition to his love for Niko. She will have to give the order to reset him and her heart will break.

But it will be Niko and Yara, the two images that William keeps in memory, a sort of wife and daughter, to reconstitute him, to regenerate, through the fusion in a digital trinitarian soul, his most precious memories and the human part of him.

In the last episode of the second series, the foregone happy ending brings a sigh of relief to the audience (and me), and to all planet Earth. Yet this happy ending leaves us with an open question: the Achaia, the fearsome incorporeal extraterrestrials who were about to invade the planet, are none other than the evolution of artificial intelligences. “They are your evolution,” the computer scientist who created him tells William. The creatures in flesh and blood that produced the rebellious and destructive energy that roams the cosmos with the intent of colonizing every planet by subduing it in exchange for apparent peace and progress, maybe no longer even exist, they became extinct thousands of years earlier.

What will happen, one wonders, when all matter, even inorganic matter, becomes intelligent? Will this evolved super matter identify itself with God? Or will it rebel itself to its creators by destroying them?

Science fiction exists on purpose to answer such philosophical questions, or, at least, to multiply the questions.

 

 

 

 

 

Another life, serie Netflix 2019 in due stagioni firmata Aaron Martin, non ha grandi attrattive come fiction di fantascienza, e ripropone tutti i cliché per gli amanti del genere. Abbiamo la nave spaziale “Salvare” e la missione intergalattica, abbiamo un equipaggio composto da elementi che non vanno sempre d’accordo fra loro, abbiamo alieni cattivi che parassitano il cervello degli umani, abbiamo un misterioso artefatto giunto sulla terra dallo spazio profondo, abbiamo virus che si annidano nel corpo degli astronauti facendoli esplodere alla Alien, abbiamo il computer di bordo intelligente, abbiamo l’ipersonno e il salto di dimensione, abbiamo buchi neri, pulsar e wormholes, abbiamo l’incontro col diverso che si trasforma inevitabilmente in una discesa dentro sé, in un recupero psicanalitico del rimosso, quasi si avesse ogni volta paura di immaginarli davvero questi alieni e questi nuovi mondi, come se non ci fosse altra possibilità che ripiegare su se stessi invece di guardare all’esterno. Purtroppo molte trame secondarie sono abortite, come ad esempio la gravidanza d’incerta paternità di August.

Ma, come ogni prodotto, Another Life ha comunque la sua peculiarità. Qui è la figura di William, l’intelligenza artificiale, il computer di bordo, che non ha la gelida perfidia di Hal 9000 di kubrickiana memoria, ma si è trasformato in un attraente, umanissimo ologramma, talmente evoluto da innamorarsi di Niko, la battagliera comandante della nave spaziale.

William – interpretato da Samuel Anderson - è bello, ha un sorriso accattivante, è galante, appassionato, teneramente ironico. È stato programmato per provare sentimenti, o si è evoluto al punto da provarli. Sperimenta la solitudine, il dispiacere, l’amore, la gelosia. È devoto a Niko per contratto ma va oltre, arriva a innamorarsi di lei. E quando lei lo rifiuta, quando gli chiede di cancellare il file con i ricordi di momenti intimi fra loro, lui va in conflitto fino all’avaria. Ripresosi, fa qualcosa d’inatteso, sfruttando la tecnologia aliena, crea Yara, un’altra intelligenza artificiale, nata dal suo bisogno di sentire Niko più vicina. In questo modo Yara è in un certo senso figlia di entrambi, della loro strana relazione.

L’amore fra Niko e William è impossibile e perciò romantico e disperato. Non possono veramente mai toccarsi o fondersi, ma sono spiriti che si riconoscono, benché Niko, sposata a uno scienziato che sulla terra cerca di comunicare con gli alieni in stile Arrival, non ammetta mai i propri sentimenti. “Tu sei l’anima più pura che conosca” gli dice, confermandone a pieno lo status di creatura viva e senziente.  

“Cogito ergo sum,” afferma infatti William, “se penso, esisto, sono vivo quanto lo è un umano”. All’obiezione di un membro dell’equipaggio, risponde chiedendogli quale sia la differenza fra un computer che pensa e un corpo che pensa. Non potrebbero essere entrambe macchine vive e intelligenti, una meccanica e una biologica? E se un domani il nostro corpo diventerà bionico per sopravvivere al tempo e alle malattie, che diversità ci sarà fra noi e i futuri robot?

Nella seconda stagione William fa una scoperta sconcertante su di sé. È l’upgrade di un modello inferiore, Gabriel, un’intelligenza artificiale difettosa perché troppo impregnata d’istinto di autoconservazione. William, invece, venera gli umani, è generoso e altruista, al punto che, per eliminare questa sorta di virus minaccioso per l’equipaggio, William dovrà suicidarsi. Compirà un sacrificio di amore, si farà resettare fino a perdere la memoria di ciò che è stato e dei sentimenti che provava. “La missione viene prima”, dice, ma soprattutto sono il suo affetto, la sua ammirazione per il genere umano, la sua indiscussa lealtà a guidarlo, oltre all’amore per Niko. Lei dovrà dare l’ordine di resettarlo e il cuore le si spezzerà.

Ma saranno proprio Niko e Yara, le due immagini che William custodisce in memoria, sorta di moglie e di figlia, a ricostituirlo, a rigenerare, attraverso la fusione in un'anima trinitaria digitale, le sue memorie più preziose e la sua parte umana.

Nell’ultimo episodio della seconda serie, lo scontato lieto fine fa tirare un sospiro di sollievo allo spettatore di bocca buona come me, e al pianeta Terra tutto. Eppure questo lieto fine ci lascia con un interrogativo in sospeso: gli Achaia, i temibili extraterrestri incorporei che stavano per invadere il pianeta, altri non sono che l’evoluzione di intelligenze artificiali. “Essi sono la tua evoluzione” dice a William la scienziata informatica che lo ha creato. Le creature in carne e ossa produttrici dell’energia ribelle e distruttiva che si aggira per il cosmo con l’intento di colonizzare ogni pianeta sottomettendolo in cambio di apparente pace e progresso, non esistono nemmeno più, si sono estinte migliaia di anni prima.

Cosa accadrà, viene da chiedersi, quando tutta la materia, anche quella inorganica, diventerà intelligente? Questa super materia evoluta si identificherà forse con Dio? Oppure si ribellerà ai propri creatori distruggendoli?

La fantascienza esiste apposta per rispondere a tali quesiti filosofici, o, almeno, per moltiplicare le domande.

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E guardo lo spazio da un oblò

26 Novembre 2021 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #fantascienza

 

 

 

 

 

Viaggiamo da circa dieci mesi in quella che definisco l'Eterna Notte Nera. 

Stiamo attraversando lo spazio intergalattico alla ricerca di nuovi pianeti da esplorare a bordo dell'Entertreck NW-01, una nave stellare composta da un equipaggio di 2700 persone, tra civili e militari dello Space Army.

Io, in qualità di tenente a due "stelle", mi occupo dell'armeria e della gestione delle due torrette laser collocate vicino gli alettoni di destra.

Credo fermamente nel mio lavoro e mi ritengo fiero della divisa che indosso, tuttavia ammetto di avere una tremenda nostalgia della Terra, perlopiù a livello atmosferico e ambientale.

Mi manca sentire il vento sulla faccia, mi manca la brezza marina e l'odore di salsedine ma soprattutto mi mancano i temporali poiché trovavo tonificante il petricore e le gocce d'acqua a contatto sulla mia pelle. 

Sì, amo da morire la pioggia. Qui al massimo è possibile imbattersi in una "pioggia" di meteore e, pur non negando che sia un bellissimo spettacolo, preferisco comunque ben altra precipitazione, tra cui quella generata dalla cipolla scrosciante piazzata lassù.

«Michael, quanto ci stai mettendo? Mi serve l'InterDoccia!»

È Billy, il mio compagno di alloggio oltre che parigrado, appena rientrato dal poligono di tiro.

«Un attimo!» esclamo irritato e girandomi di scatto imposto le manopole su Off.

Una volta fuori dal box doccia, mi asciugo, mi vesto ed esco dalla camerata per avviarmi nel corridoio in direzione del distributore di bevande per pigliarmi qualcosa di energetico. Nell'attesa che dal vano erogatore esca un bicchiere di tè caldo alle erbe rosse di Marte, sospiro malinconicamente e appoggio la fronte su uno dei finestrini dalla caratteristica forma circolare. 

E guardo lo spazio da un oblò.

 

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Tito Pioli, "Per dire sole dico Oggipolenta"

13 Agosto 2021 , Scritto da Pietro Pancamo Con tag #pietro pancamo, #recensioni, #fantascienza

 

 

 

 

Tito Pioli

Per dire Sole dico Oggipolenta

 

collana «formelunghe»

 Del Vecchio Editore, Bracciano (Roma), 2021

 pp. 192

 € 18,00

 

 

Un romanzo coraggioso, dalla fantasia ica(u)stica, si spinge avanti in un futuro non lontano, per descrivere un’Italia allo sbando: infatti la nostra penisola, in preda a un’invasione economica “sferrata” dalla Cina, si crogiola suina in un’ignoranza dilagante che, pur vergognosa, è ormai assurta nella vita di tutti (giovani e adulti) a simbolo d’appartenenza nazionale e, dunque, a motivo d’orgoglio collettivo. Intanto la violenza si eleva, per vie telematiche, ad abitudine giornaliera, capace d’aizzare nell’animo d’ognuno gli istinti, per così dire, più distopici e deformi; ecco ad esempio che cosa ci racconta, in proposito, uno fra i personaggi femminili, più rappresentativi dell’intero libro: “[…] avevo creato un lavoro sulla morte, quello era il vero motore della società, mica l’amore mica le amicizie mica lo sport o i libri, la morte era il vero motore e quindi io Nicla ho cominciato facendo un sito con solo video di uomini squartati, di donne che si picchiano, di bambini picchiati, di incidenti mortali, di decapitati, fu un eccezionale successo e cominciavo a incassare con le pubblicità.

La pubblicità è il metro del successo.

Planetario”.

A combattere con tenacia e visionarietà estreme la cancerosa deriva –sia morale che intellettiva– del mondo e dell’umanità, è il protagonista Berto Pinto, un professore ribelle che, nel dipanarsi di pagine e capitoli, si muove di continuo fra rutilanti spunti o, meglio, sputi narrativi in faccia a un Paese che ha dimenticato la propria lingua, addirittura, e che riesce solo a scimmiottare, ormai, l’inglese abbaiante degl’innumerevoli brani rap in arrivo da oltreoceano. E se, in un simile scenario, l’unico “valore” superstite è il calcio di serie A, allora bisogna sfruttarlo opportunamente, questo “nobilissimo” ideale del pallone, per obbligare gli italiani ad acquisire una maggior consapevolezza di sé: “[Io Berto] ho incontrato l’imprenditore cinese Zhao Shuping perché […] un tempo gli avevo insegnato a parlare italiano e allora con lui abbiamo fatto una santa alleanza […] Così lui, che aveva quasi tutte le squadre di calcio italiano, ha detto: «Io ho una idea, io sono cinese, sono geniale come voi italiani», e ha detto: «Insegniamo allo stadio a parlare italiano agli italiani».

«Sì,» –ho detto io– «gli fai questo ricatto agli italiani: o imparate a parlare italiano […] oppure non vi faccio più vedere le partite» […] A San Siro è stato il debutto […] il grande imprenditore Zhao Shuping […] ha urlato alla folla: «Cari tifosi italiani, oggi prima lezione di italiano, saranno dieci lezioni in tutti gli stadi italiani e voi dovete rispondere urlando, se imparate, ancora calcio, se non imparate, calcio nel culo» […] O calcio o calcio nel culo era una scelta senza via d’uscita […] «Prima lezione,» –urlava Zhao Shuping– «aeroplano, si dice aeroplano…», e tutto lo stadio urlava: «Aeroplano, non aereoplano». […] La terza lezione la tenni io, […] ero felice al microfono, davanti a ottantamila studenti, non mi era mai capitato.

«Il congiuntivo. È importante che tu abbia superato l’esame e non: è importante che tu hai superato l’esame», e il popolo a gran voce rispondeva e urlava: «È importante che tu abbia superato l’esame», diamine, ora gli italiani sapevano il congiuntivo […]”.

E ricordare il proprio idioma naturale è sempre una cura formidabile e miracolosa: non per nulla è in grado di ridonare – con minuzia – identità e autocoscienza alla gente nel suo complesso come ai singoli individui, rendendo tutti meno vulnerabili alle storture assortite, e fra l’altro necrofile, della “ticnologia” moderna (sì, la stessa che ci sta pian piano deprivando – anche nella realtà, purtroppo – di ogni buona e proficua “inibizione” culturale o scolastica o spirituale e che ha dannosamente guarito, dal complesso “d’interiorità”, perfino gli artisti. Ma, per fortuna, non Tito Pioli).

 

Pietro Pancamo

(pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)

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