rita bompadre
Filomena Ciavarella, "Versi per l'invisibile"
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Versi per l’invisibile di Filomena Ciavarella (Transeuropa Edizioni, 2020) è una raccolta poetica che segue il destino del filamento indelebile dell’anima, il retaggio celebrativo dei sentimenti, nascosti e protetti nell’impercettibile speranza della comprensione umana, dilatati nel limite dell’inclinazione delicata della poetessa che difende la persuasione di vivere oltre la mediazione delle sconfitte e la consapevolezza dell’angoscia. I versi ricompongono laceranti sofferenze, indicano il senso compiuto e puro di ogni confessione emotiva, analizzano le traiettorie primordiali dell’autobiografia, ispirata e conservata nel giudizio del profondo vissuto, trasportano il bagaglio sentimentale della poetessa alla stabilità dei ricordi e percepiscono la resistenza dei rapporti affettivi. La qualità espressiva della poesia è funzione e proprietà esistenziale, estende pagine diffuse nel prolungato e accorato elogio all’amore, nella generosa consistenza della memoria e nell’istintiva intimità di luoghi, di persone amate e di assenze sofferte. La poetessa destina la sua viva maturità nell’evidenza dei valori smarriti in cammino e in pena per l’allontanamento continuo delle voci partecipi, condanna la freddezza del distacco sostenendo la tenerezza, ripercorre la vicinanza ritrovata con rara poesia. La suggestiva ossessione del sentire e della passione guida i pensieri, allinea la spontanea complicità della presenza amorosa, dona l’interiorità e la corposità di ogni intesa sensibile. Una poesia dedicata al raccoglimento nella concentrazione del silenzio e nella benedizione degli avvenimenti privati, dove la parola diventa la forma di comunione assoluta con i legami vitali più duraturi. Il fine universale e sensoriale delle poesie di Filomena Ciavarella rafforza la percezione della libertà creatrice e mantiene la stabilità delle sensazioni nell’azione immanente dell’agire in nome dei desideri per superare gli ostacoli. Versi per l’invisibile trasforma il passaggio transitorio della causalità dei comportamenti umani adeguando l’analisi delle conseguenze nella loro graduale sparizione dalla regione dell’indifferenza. L’invisibile è la dimensione di ogni lieve sguardo sulla inafferrabile lontananza. La poetessa dedica la natura estetica della sua poetica alla conciliazione del senso, all’insieme strutturato degli intenti di esplorazione, incisivi e contenutistici, incoraggiando l’aspetto della conoscenza e la rappresentazione della realtà. Una poesia naturale, un’esigenza quotidiana di bellezza, in cui la materializzazione delle paure e la manifestazione delle visioni interiori permettono di consumare la parola scritta nell’istinto alla ricorrenza della vita. Nella tormentosa incertezza del futuro l’oscillazione inavvertibile del tempo muove la curva della poesia nello spirito rivelato della memoria, sconfinando la distanza di una consuetudine disincantata nella volontà dei versi e nel continuo attraversamento di ogni ombra, nella superficie di ogni coinvolgimento.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Serraglio d’amore
Un lieve serraglio d’amore
mette il laccio al tramonto
come una bella di notte
che nel suo intimo chiude
l’ultimo raggio di luce
E nella sua gemma preziosa
attende,
attende silenziosa
la nascente aurora.
Incerta bellezza
Incerta è la bellezza
È un filo d’erba nella stanza
Non lontana da te
Tenue come piuma al vento
Prima di volare via
Ancor più candida nella memoria
Da quando l’invisibile
l’ha presa con sé
Lettera d’amore
Le voci sonore all’imbrunire
Fanno eco dove si svuota
l’estasi nel lento cadere
della luce
in uno splendido
volo su bianche ali
di cigni nella notte
Si rivelano antiche
danze di tempi andati
nel vento odoroso di menta
sulle scie che primavera
lascia nel suo canto innocente
È la più bella lettera d’amore
che il tramonto consegna
all’oscurità
Il cerchio fra le dita
Tra le dita teniamo
il cerchio
per rendere l’ignoto
al suo arco
Lo accarezziamo,
fino a quando si leverà
in un luogo senza - luogo
e la matassa troverà il filo
come fiore sotto il cielo
E la folgore ardente il senso
sulla vela del sudario
Fu così che si son piantate le viole
Fu così che si son piantate le viole
Sono vive nel deserto della notte
I petali raggiano l’inafferrabile
Sulla soglia tremano
nel giorno
che sempre si smarrisce
Ed è così che si son piantate le viole
negli occhi fermano
la notte
arrivano da un fiume millenario
sulle strane pendici
dell’invisibile
Milena Tagliavini, "Ricognizioni"
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Ricognizioni di Milena Tagliavini (Giuliano Ladolfi Editore, 2020) è una conferma introspettiva all’analisi autonoma della forza poetica, all’indagine inconscia dell’esistenza. Milena Tagliavini prende atto della coscienza osservando la confidenza finalizzata al riconoscimento del proprio mondo, esaminando la propria interiorità interpretata da idee, intenzioni ed esortazioni che generano l’essenza dell’identità della poetessa. I versi, estendono la percezione interna all’attività riflessiva del pensiero, esprimono la voce dialogante con l’anima, dispongono l’intesa della comprensione con il trascorrere dell’autenticità del tempo, dilungando la veridicità degli stati d’animo. L’autrice attinge le sensazioni, raccoglie il riscontro dei sentimenti attraverso ogni manifestazione esplorativa, identifica il percorso esistenziale con l’itinerario della sensibilità, rileva gli accertamenti dell’ispirazione. Il privilegio e la grazia di concedersi una mediazione nella comunicazione elegiaca, permette di verificare la qualità medianica degli avvertimenti sensibili, di descrivere l’evocazione delle convinzioni, la persuasione dell’esperienza. Lo spirito che riflette la luce delle intonazioni umane, irradia una telepatia di emozioni, scorge sempre un significato ultimo da attribuire alla vita, al senso di ogni valore, alla direzione da intraprendere, al messaggio di speranza da divulgare. Il coinvolgimento psicologico ed antropologico della poetessa valuta reazioni profonde ai propri interrogativi sull’abilità del vivere, inseguendo la continua evoluzione dell’inconoscibile, insondabile mistero dei tentativi, cercando di confermare l’universalità della comprensione. Dimostrare la disponibilità dei fenomeni umani, fornire il requisito della saggezza è lo spunto di riflessione per manifestare la presenza oltre l’invisibile linea di confine dello spirito, per invocare la libertà e la volontà delle contraddizioni terrene, per restituire la fermezza del giudizio e della ragione nell’ambito dell’emozionalità, dell’atteggiamento agnostico sui dissidi esistenziali. La poesia di Milena Tagliavini amplifica i quesiti umani universali, propone domande sull’uomo e sull’origine della bellezza, offre la resistenza all’insicurezza, cercando di colmare il vuoto della provvisorietà, superando il tragitto dell’inquietudine, placando la diffidenza oltre ogni apparenza. La poesia, consumata dal tormento doloroso dei conflitti irrisolti o irrisolvibili, strappa con dolore vivo ogni nuova lacerazione, intervallando il ritmo persistente del tempo che scorre, sussurrando la suggestione dei versi adagiati sulla pagina, con la lieve e consapevole consuetudine alla malinconia, ricostruendo dall’indifferenza la sostanza della luce anche attraverso le ombre degli ostacoli. Il monito delle oscure difficoltà permette l’adattabilità dello sguardo a vedere oltre, rischiarando la luminosità del raggio visivo nel riscatto dei versi. Ricognizioni accoglie la necessità della speranza ed evidenzia il disincanto, alternando rumore e silenzio, affermando l’intimità della poesia che risolve le ostilità, travalicando le siepi. Nella costante ricerca stilistica la generosità emotiva perlustra il presentimento del sentiero vitale attraverso percorsi obliqui, trattiene la fragilità con l’intento di aggirare il richiamo incisivo del monologo interiore, abita lo spazio della nostalgia, coniugando la resilienza poetica alla ricostruzione delle opportunità positive, nell’arricchimento del cambiamento e della trasformazione nelle piccole dichiarazioni impalpabili dell’amore.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
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NUOVOMONDO – LA NAVE
Visto dall’alto è un canale
D’acqua salata con gli argini fondi,
qua di cemento e là di lamiera.
Si spacca la folla in diagonale,
una faglia slitta via.
E tutto crolla,
ma solo dentro.
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IL ROSA DELLA NEVE
Incorniciata dalla guarnizione
del parabrezza tra il ponte e le strade
l’aureola appare come altro a sé.
Sarebbe una voce capace di tagliare
il nastro della ragione che ci lega qui
se con la pazienza di un docente
non ci dimostrassimo ciechi
di fede ogni giorno il teorema.
Così la fila avanza e lascia
una curva in discesa ai lati
della labbra mentre le dita
dei monti affrescano l’impossibilità
di catturare il rosa della neve.
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LA TRAPPOLA
Con pazienza ho infilato per ore
i punti dell’ago come se la danza
delle dita fosse un rituale,
la pozione per ignorare il tempo.
Nell’urgenza del respiro
non avevo che questa azione inutile,
che restare sola senza parlare
dentro i muri.
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MANI
Proprio oggi ho visto le tue mani
scolpite nelle sue. Mi ricompari
a tratti, a pezzi, ancora viva.
Sono carne di nostalgia le dita
di marmo molle senza rughe
e con lo smalto scuro. Sguardo
che richiama di fianco la tua assenza,
corpo invisibile tra noi.
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TRA DUE MURI
Mi volti le spalle e vai tra due muri
di fiori, hai le redini
di ciò che è stato. Il piede alzato
per il passo e la sensualità
del vento in una curva sui capelli
non si perderanno. La carta
e gli occhi scambieranno
per anni le interpretazioni.
Oggi il non visto ha un senso
D’arresto che si prolunga,
di sospensione del fiato mentre
la palla sta alta sulla rete.
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UNA SVOLTA
È una svolta che forse non c'è
questo giorno colmo di pensieri.
Sei un uomo con le valigie piene
D’aria. Ogni volta che le aprirai
darai pane ad altri respiri.
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CREAZIONE
Ho creato una breccia fra le mura,
un’evasione di note.
Una preghiera materiale
del corpo vivo.
È carne e terra e cielo.
Ha il sapere, oltre le regole
dei soprusi della ragione.
Gianni Venturi, "21 grammi di solitudine"
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21 grammi di solitudine di Gianni Venturi (Giuliano Ladolfi Editore, 2020) è il peso poetico di un respiro, il soffio intimo, l’impalpabile essenza del dolore umano, l’evanescenza di sentimenti puri e autentici. Il poeta, attraverso la fermezza descrittiva, essenziale e distensiva nelle immagini, fende il terreno emotivo tracciando la superficie dei solchi interiori, imprimendo la traccia profondamente radicata delle espressioni viscerali, del mondo sensibile, del patrimonio familiare delle origini e della terra sopra il tempo della vita indifesa e fragile. Si narra che 21 grammi sia il peso dell’anima, pochi granelli inconsistenti sul peso di un destino che ognuno di noi riconosce nella fatalità prestabilita ed imperscrutabile degli eventi. La poesia di Gianni Venturi si inoltra lungo le condizioni e i sentimenti umani sradicando ogni passaggio spazio - temporale della memoria, frequenta le lacerazioni impulsive e la resistenza nelle intuizioni drammatiche e nostalgiche, nei frammenti di una disperazione in cui la solitudine è al centro di tutto. Il tragitto privilegiato della poesia verso la personale testimonianza dell’autore è presenza illuminata, eco deformata dell’anamnesi, rifugio ancestrale, richiamo ad una trama remota che si svolge oltre i limiti consueti della conoscenza, solitaria e sofferente, dell’umanità. I versi, affatturati all’efficacia espressiva degli abbandoni, suggeriscono un altrove quieto, un nascondiglio protettivo, dove custodire l’incondizionata immutabilità dell’assenza, nell’ostentato distacco di ogni atteggiamento intellettivo e carnale. L’estrema limitatezza della coscienza umana circoscrive l’evocazione del passato e domina il segno del presente. L’intensità accentuata ad ogni mutamento individuale è luogo di transito e di sosta della creatività, materializza la rappresentazione esplicita e cruda della infranta condizione umana. Il poeta è nel disamore della malinconia, nella perdizione del recupero di un passato che non muore ma che dilata una sconfitta insofferente e vagabonda e pone lo sguardo sulle essenze illusorie dell’uomo, accenna ai turbamenti e ai disorientamenti emotivi, è l’ombra cupa di ogni tormento. 21 grammi di solitudine approda ad un’introspettiva identità, assapora l’incanto suggestivo dei colori e delle forme delle possibilità, assorbe il sollievo dei cambiamenti, prolungando la corposità e la generosità dei ricordi. La dissolvenza rarefatta delle stagioni vitali congiunge la volontà di estendere l’accogliente risposta alla propria natura, alle radici, alle fondamenta che trattengono l’inclinazione di ogni qualità emotiva, in ogni alchimia delle proprie tensioni, confessando la consistenza rivelata dalle percezioni. I versi maturi sono consumati in una misurata e toccante lacerazione spirituale nella lontananza dell’isolamento. Nella semplicità e nella determinazione dei frammenti di un’esistenza svuotata, il poeta delinea scaglie di vita consumata, alla deriva nella nebbia esistenziale dell’uomo, segue la direzione della speranza e della rassegnazione, del coraggio e della paura, donando al valore della coscienza, il riscatto e l’accordo alla salvezza. Il peso sostenuto da chi sopravvive, libero di trasmigrare in altri luoghi del cuore è l’ispirazione per la più dolce elegia.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
abitavo un paese gentile dall’aia fiorita
e danze di fisarmoniche sussurranti
odoravo le campagne di settembre con sorrisi
la canapa era dura come il tempo
in quest’ora d’abbondanza infelice
sorseggio un’acqua fetida non più di fonte
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la terra ha brividi
che scuotono
paludi
come la nebbia errante
che di casa in casa si raggruma
un sole amorfo si raggomitola
tra monti di cenere
all’orizzonte
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le pietre parlano
la lingua sconosciuta dell’ontano
lo sciamano alti scopre i canti
alla dea del fiume che ravviva novembre
è il canto del vento tra le foglie
questa terra ha silenzi circolari
memorie granitiche
orari definitivi per la vita
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come gelo le parole dette
tutto appare chiaro
la maestra scuote dolce il viso trema
il parroco intona il verbo scivola
la vita oltre fondamenta fragili
sono uno sputo di luce e arranco
come l’inverno carezze sperse
tutto perduto memoria e dignità
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è tempo di condividere l’assenza
tempo di estrema partenza
c’è un ponte di nebbia che separa le strade
poco battute che conducono ovunque
partecipare condividere aggregare
mi sento la pietra lapidaria
non angolare nel muto dialogare
fuori tempo l’estremo abbandono
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L’archeologo osserva compiaciuto i reperti umani
in divenire noi un chicco di luce persiste
l’universo che ha voce accoglie la stella che implode
entropia o fine del clamore
come altari sulla sabbia
lo scorrere delle ere cancella le cose
e nulla resterà
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vecchi curvi avanzano dimenticati
come roccia che si sgretola
il tempo che scorre e racconta il silenzio
sono querce nel traffico impetuoso
questa distonia dimentica il passato
spaventa il bimbo in corpo di vecchio
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basterebbe un filo di vento qui nella stasi
dove tutto appare bloccato
quasi vuoto il movimento
l’assoluto si tende
Gianni Marcantoni, "Complicazioni di altra natura"
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Complicazioni di altra natura di Gianni Marcantoni (Puntoacapo Editrice - Collezione Letteraria, 2020) è una trasparente diagnosi della poesia contemporanea, una leale interpretazione analitica che osserva e presagisce le contrarietà impreviste della vita, gli ostacoli di ogni esperienza, riconoscendo all’altruistica elaborazione della sincerità l’intuizione emotiva dei valori, dileguati nell’indistinta incertezza del futuro. I versi diramano tortuosità impulsive, nella curva oscura delle immagini inquiete e malinconiche, diffondono contraddizioni interiori che ricadono sul dolore raccolto ed intimo dell’anima e dilatano lacerazioni e crudeli instabilità sentimentali. La parola offre in dono la protezione di ogni percettibile verità interiore e proietta la sensibilità nel dettaglio della nostalgia, sconfinando la cognizione di una poesia disincantata, prolungando il disagio delle illusioni e la condizione complicata di ogni mancanza. Il poeta agevola il significato degli impedimenti influenzando le conseguenze favorevoli della profondità espressiva, incisa nella nitidezza delle idee e nella lucidità della coscienza. La necessità poetica di Gianni Marcantoni è energia generatrice delle sensazioni contemplate ed esaminate, percepite attraverso la mediazione del senso, capaci di trasformare la proprietà empatica della realtà oggettiva. La riflessione intimista sulla natura incerta e provvisoria dell’inconsistenza umana, l’assenza e la solitudine dell’individualità invocano il coraggio dell’analisi sulla contemporaneità, l’essenza ontologica della temporalità, e, nelle poesie, i “correlativi oggettivi” sono l’identificazione di un’evocazione, nel legame tra contenuti profondi e motivazioni esterne. Il poeta dichiara di riconoscere la propria autenticità, intraprendendo l’indagine dell’essere, ridestando alla conoscenza l’abilità di essere nel mondo. La maturità sensibile dell’autore si nutre dell’originaria appartenenza alla propria riservatezza e indica la familiarità con la memoria percepita, compresa e legata al destino di chi scrive. Gli “strumenti umani” sono un’occasione esistenziale e rivelano una confidenza elegiaca svelando la spirituale coerenza del patrimonio affettivo, confermando la comprensione degli eventi e l’esposizione delle situazioni autenticamente trascorse e sofferte. I motivi d’ispirazione e d’idealizzazione poetica vivono del momento presente, scarno e vorace, ma evocano il coraggio di vedere oltre, di accogliere i conflitti, le ossessioni e gli inganni che invitano alla stabile permanenza del rifugio esistenzialista. L’orizzonte della consistenza è svelato dalla solidarietà umana, quando la finitudine della realtà, lucida e scaltra, asseconda ogni espressione in corrispondenza degli istinti e dei sogni che produce. Gianni Marcantoni ritorna lungo i luoghi perduti, i territori che con commozione e resistenza conoscono la parte migliore di ogni destinazione privata delle parole, nella distensione di ogni trasferimento della sofferenza. Il poeta si lascia attraversare dall’indugio alla consapevolezza e assegna lo sguardo disarmante e alieno all’abisso generato da ogni emergenza.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
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Caduta
Il sole trita il mattino davanti al suo corteo
d'ombre, la notte rapiva il sonno della gente
ancora alla ricerca di miserie;
è tempo di ricominciare qualcosa
che abbia un principio,
è tempo di voltarsi e di guardare
oltre queste macerie intossicate nell'oro.
E in mezzo a tutto questo
un pidocchio salta da un marciapiede all'altro
risucchiato dal canto dei clacson ancora vivi,
teme da solo di essere scordato
come l'acqua di uno scarico che scroscia,
che scompare in una macchia buia,
scendendo giù verso la fine,
nell'ultimo spigolo, nell'ultimo rantolo,
come una specie di gomitolo che cade dalle mani.
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Un altro resto
La tua luce si perde in un rifugio,
la notte ci sdoppia
da una membrana rigida come travertino.
Infondo sono poche parole che rimangono,
il vento trastulla il nostro vecchio motivo,
sui picchi dei monti – verso l'alto
il cuore non spinge più contro la parete.
Hai battuto il muso sul petto
(ed è stato solo un attimo),
un silenzio forse troppo complicato
da tradurre in suono. Ma il torchio gira
e ruotando preme l'ultimo
resto di mandibola, il pilastro appuntito
dove il braccio ancora circola.
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Nell'aria
Gesti folli aprono i tuoi occhi,
gesti al buio di un teorema separano le acque,
il mio nome resta traccia di uno spazio che lenisce.
Un varco invisibile conduce alla sola verità necessaria
che sai la mia parola aver taciuto.
Nessun nome il sole può bruciare, dopo aver trascinato
questa vita in un cadavere dalle sembianze inumane.
Ho abitato la terra e il suo stringato lamento
perché il cielo ho smosso con le mani nude d'aria,
e svelato la notte a chi l'aspettava.
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Corone del buio
Le parole incomplete hanno imbrattato
il quadro, ora la cornice sembra più sottile.
Del nulla cosparso osservo
le pinete indurite, che sembrano
un mosaico di ramificazioni allacciate
sopra una intelaiatura. Dell'immane nulla
ammiro la foschia del panorama,
che boccheggia soggiogato davanti alla fessura
aperta della mia safena in emergenza.
Eppure nella materia uno spettro si assembla,
dalle vecchie tubature ardenti
esso sovviene alla mia presenza
con una manciata di briglie in mano,
che aprono alle corone del buio
questo mutilato sipario di tagliole.
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Vissuto
Vi saluto, ma tornerò - tornerò,
da qui nulla è perduto senza un taglio.
Domani è il mio vissuto, il vento era troppo cupo,
la luce troppo solitaria per risorgere da un dirupo.
Nel tempo non c'è sorte a separarci,
qui dove niente può spegnersi tornerò
senza avere avuto cure, saprò cosa dire
alle tue accuse che non più mi riguardano;
le pozze dissetano il branco.
Saprò dove guardare se la quiete
passerà a respirare dalle nostre parti scarne.
Roberto Concu, "Fedeltà del gelso"
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Fedeltà del gelso di Roberto Concu (AnimaMundi Edizioni, 2020) è una raccolta poetica gentile, una risposta saggia alla vita, nella costante corrispondenza alla fiducia e all’origine delle parole, il bagaglio sentimentale trasportato dalle stagioni e da ogni benevola esperienza. I versi ricompongono nello spazio metafisico i richiami profondi ed istintivi della terra, nella fantastica distrazione che è l’eredità di un incanto e il premuroso legame con la realtà, l’eterna sospensione che dilata la nobile consistenza del tempo ed occupa l’educata e naturale familiarità ai luoghi e alle persone, con l’immediatezza dei sentimenti e la spontanea armonia con la natura. Il poeta intrattiene miracolose sensazioni, assolute ed improvvise circostanze poetiche che ispirano la trasposizione simbolica del gelso, osservato in tutti i suoi mutamenti e trasferisce le similitudini originarie arricchendo significati alla vita. Roberto Concu si descrive fedelmente nell’accoglienza riservata ai suoi versi, teneri, candidi e immaginifici, dove gli accadimenti umani si identificano con la sorprendente e determinante urgenza della vita, nell’impeto entusiastico di creare un componimento poetico dell’anima che trae la sua forza dalle suggestioni dei pensieri e delle immagini. Il libro intreccia l’autentica manifestazione della verità poetica, il sentimento delle cose, il senso di stupore e meraviglia nei toni semplici e rapidi dello spirito libero, un intimismo espressivo e crepuscolare, l’attimo presente oltre le stagioni che aprono l’anno naturale, i luoghi del cuore esposti allo scorrere inesorabile del tempo, in una cortina di ombre e luce, di gioia e di tristezza. Una letteraria e nostalgica bellezza degli spazi, il compimento di un’alleanza emotiva, il valore estetico dell’illuminazione che non consuma e non inganna la memoria di ogni vissuto. L’autore assapora la grazia degli incantesimi e la naturale abitudine della realtà quotidiana, rifugiandosi negli interni del silenzio, ritrovando la confidenza diffusa delle atmosfere e dedicando il tempo ai sogni, proteggendoli e coltivandoli al di là dell’indifferenza dei tempi. Spirito romantico, nel caldo e ammantato colore della speranza, lo spirito poetico giunge ad una meta riservata, privata, lontana dai clamori del mondo, adagiando l’atemporaneità dei valori affettivi, proiettando nel cuore di un destino che pulsa e batte gli attimi della vita, scandita dal torpore e dalla compiacente indolenza assopita di chi sa vivere altrove, altre vie, altri destini. L’energia espressiva ed ospitale delle parole accompagna la delicatezza dell’appartenenza, con la generosità della contemplazione per i frutti che la poesia dona, cinge il legame con l’evocazione dei sentimenti, stringendo l’alleanza con la bellezza di ogni destinazione umana.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
Mattino.
Nella sacralità del silenzio
odo il canto
della figlia del giardiniere
un'onda di mistero
mi commuove.
O dolce, ridente Saffo
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Nuovo gennaio.
Spoglio il gelso -
monaco fedele al voto -
la verità oltre la parola
esige il medesimo linguaggio
spoglio
Foglie parole
ammucchiate
agli angoli del cortile
Come transita in fretta
la luce nell'ombra
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Parola è il volto
presenza che si auto-nega
sino a non mostrarsi più
e spingerci
laddove il dolore
è conoscenza
la voce un passo
tra possibile e impossibile
Mostrare il volto
le cose
il loro -
osceno
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L'inizio della pioggia
accorda il giorno
con la pelle tesa delle foglie
Rifuggono i merli e i
passeri venuti a beccare
le briciole sul balcone
Matura la luce
allo stesso ritmo secolare
della pioggia
tutto è pace e desiderio
prima che il mondo si risvegli
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Un nuovo alfabeto
oltre l'egoismo
l'oscuramento
la corruzione -
Aleph e Ghimel -
fedeltà e primavera
una nuova voce
con cui
manomettere
il nome d'ogni cosa
riconoscere
la sacralità del silenzio
davanti al muro del Mistero
Attilio e Ninetta Bertolucci, "Il nostro desiderio di diventare rondini"
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Il nostro desiderio di diventare rondini- Poesie e lettere di Attilio e Ninetta Bertolucci, a cura di Gabriella Palli Baroni (Garzanti Editore, 2020) racconta l’incanto intimista della dimensione sentimentale senza confini, in ogni gentile e tenue sfumatura, attraverso la rappresentazione lirica di luoghi, ambienti e ricordi abituali e la descrizione spontanea di un’elegia degli interni intorno a domestiche e familiari rivisitazioni romantiche. I testi, composti dalle poesie e dalle lettere che hanno congiunto costantemente l’alleanza emotiva dei protagonisti nel miracolo dell’amore e nella solennità della poesia, manifestano la partecipazione appassionata alla bellezza, leggera e sensuale delle dichiarazioni d’amore. La consapevole riconoscenza di un’infinita confidenza di complicità, celebra la lealtà della memoria nell’esperienza sensibile della tenerezza. Le parole, patrimonio dell’anima, concedono la percezione di un tempo ulteriore nell’esistenza, evocano l’idea di una vita prolungata, nella compiacenza felice di narrarsi il mondo interiore con l’intento comune di divulgare l’eternità. Il libro promuove gelosamente il consenso a custodire la sorgente degli affetti e a proteggere la relazione con la realtà. Le poesie di Attilio Bertolucci dischiudono i periferici collegamenti degli orizzonti e sconfinano nell’armonia medianica della voce interpretativa e dello sguardo narrativo. Il riassunto artistico, dolce e temerario della vita si intreccia al vincolo del possesso biografico accompagnando la fiduciosa empatia del filo di continuità, la somma amplificata di ogni eloquente promessa sostenuta da impronte invisibili nelle emozioni d’amore, nella generosità del desiderio. L’affabilità amorosa che unisce Attilio e Ninetta Bertolucci nelle lettere, congiunge l’elemento distintivo della stabilità, scrivendo e fermando su carta la sintonia emotiva, con un’accordo d’intesa verso un tragitto privato di crescita umana e spirituale, un’unione solida e resistente in cui la conoscenza reciproca del rispetto sostiene sempre la pienezza esistenziale e mantiene la sensibile espressione dell’accoglienza e della presenza benevola della quotidianità. Il libro è un ideale tangibile di donazione alla soave amorevolezza, nella virtù necessaria ad esaltare la dedizione di chi amiamo e a riconoscere la solidarietà. La speranza nutre la grazie reciproca di ogni comunicazione leggendo, nella prospettiva dei sogni e nella gioia di vivere, la tendenza della volontà ad aggiungere forza comprensiva nella storia e a raggiungere il privilegio naturale di condividere il tempo, sostenendolo a vicenda. La disponibilità alla progettualità nell’unione è l’esortazione principale del libro ed invita ad un impegno verso l’essenziale, dolce e magica percezione del mondo affettivo. Il titolo del libro Il nostro desiderio di diventare rondini, preso da una lettera scritta da Attilio a Ninetta, è metafora e simbolo dell’amore coniugale, un aspetto segreto della semplicità e della saggezza, strettamente legato alla predilezione per un atteggiamento capace di riconoscere la purezza del corteggiamento. Il rinnovamento dello spirito libero che incrocia l’anima incoraggiando l’impulso al viaggio da compiere insieme abbracciando l’unicità di volersi bene.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
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Amore a me...
Amore a me vicino
di tua crudeltà mi consola,
fuori è notte e cade
una dolce pioggia improvvisa.
La famigliare lampada rivela
le intime e care cose,
amore parla e parla di te
sommesso, come acqua fra erbe alte.
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Madrigale
Sì: ho colto i garofani alteri
delle tue guance,
e avevano corolle sì rance
con sì bizzarri screzi neri...
Ma sotto i tuoi occhi
son cresciute viole,
come di marzo al primo sole,
sulle rive dei fossi.
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La rosa bianca
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
È un ritratto di te a trent’anni,
un po’ smemorata, come tu sarai allora.
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Questa sera il sole...
Questa sera il sole tramonta nei tuoi occhi
l’inverno vi si spegne, lenta brace tranquilla.
Così la gente indugia per le strade che l’ombra
non ha toccato ancora, ma il fumo appena
da umili camini intimamente annuvola.
Tu lascia che ristagni sulle case ed offuschi
i lontani del cielo che scolora.
Finché un’altra pena
porti la notte, vigilia della primavera.
L’amore coniugale
Ma se la pioggia cade
la camera s’oscura...
L’amore ancora dura
che le gocce più rade
la finestra più chiara
i tuoi occhi più neri
e oggi come ieri
come domani. Amara
sui tetti umidi brilla
la giornata nel sole
che si volge sulle viole
risorte stilla a stilla.
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Non
Non mi lasciare solo se io
ti lascio sola
e intorno a te la luce
è quella che fa piangere
dei giorni ordinari,
non allontanarti con passo
fiducioso in direzione
dell’estate e non
considerare rassegnata
la fatalità delle averse e del sole,
non acquistare viole in prossimità della casa.
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I nostri corpi
I nostri corpi, cara, in questo letto
famigliare nell’aria ferma dell’amore
mentre al di là delle finestre chiuse
le stagioni piangendo se ne vanno.
Ma il ritorno dei cieli nuvolosi
e fioriti della tarda primavera
ombrerà i muri la luna errando
sperse lucciole sulle nostre salme.
Achille Lauro, "16 Marzo"
16 Marzo di Achille Lauro (Rizzoli Editore, 2020) è un'attesa di adorazione pagana, un'aspettativa di ritorno nell'intermezzo romantico che esalta la dichiarazione ostentata dei sentimenti. Una fastosa attrazione su inclinazioni impulsive, una trappola estetica in cui tutti le sensazioni umane sono mescolate, confuse, disorientate e trascinate dall'amore all'odio, nella verità estrema di ogni esperienza di vita spinta al di là da ogni distinzione della bellezza. Un delirio allegorico, un effetto appassionato di sorpresa, di straniamento e di sospensione, è questo lo scenario adatto che l'artista allestisce per il suo immaginario attraverso segni visivi e immagini simboliche. I testi, poeticamente esposti al verso libero, ispirati al carattere istintivo e puro della creazione artistica, racchiudono il disincanto passionale e teatrale della vita, nelle atmosfere fumose e decadenti delle illusioni e dei desideri. La libertà lunatica dell'autore, svincolata da regole convenzionali, guida la ricerca degli affetti, il bisogno vivo e universale dei rapporti reciproci ed esclusivi e si nutre di tutte le sue ossessioni biografiche, contamina l'irrinunciabile, viziosa, sincera voglia di perdersi in inferni meravigliosi, in esaltazioni ed infatuazioni per la commedia umana, nella vertigine delle percezioni. Lo specchio profondo della miseria e dello sconforto è il riflesso dell'altra parte di sé, l'eterna maschera di chi, equilibrista dell'anima, si affida ad una disillusa ma quanto mai solenne recita, incline alle suggestioni dell'ambizione e della speranza, struggente e malinconicamente sognante. La lente deformante attraverso la quale Achille Lauro guarda alle colpe, agli errori e alle trasgressioni degli uomini intensifica la consapevolezza illimitata degli inganni, del disamore, della resa incondizionata all'idealizzazione della persona amata, che esiste solo come creazione nell'immaginazione, una trasposizione inconsapevole della presenza che stordisce e divora l'innocenza dell'anima. Achille Lauro padroneggia il mondo che attraversa con un'aspirazione inconfessata all'amore, alla disperata relazione con la felicità. Il libro “16 marzo” è uno sregolamento in stile biblico, un'intossicazione da troppa nostalgia, nella sacralità laica di risposte ultime ed indecifrabili. Un'ultima destinazione di un viaggio poetico che accompagna l'avventura di un eterno sopravvissuto, lucidamente abbandonato all'inevitabile spettacolo dei sensi. Le atmosfere surreali dei tormenti e i patimenti rivisitati dell'apocalisse si contendono il primato dell'interpretazione visionaria in cui il supplizio della carne e la leggerezza del cielo sono le espressioni diaboliche ed angeliche della stessa insistenza amorosa. L'artista seduce l'ordine di un culto estetico, è la presenza rarefatta nella composizione visiva ed artistica dell'immateriale, sa flirtare amabilmente con la malìa delle imprevedibilità e le contradditorietà delle invocazioni interiori, defunte preghiere mistiche ed infedeli incise sul fatalismo misterioso dell'equilibrio emotivo. Achille Lauro celebra e dimentica l'amore nell'eleganza del disprezzo, sostiene la sua icona alterando la creatura tra il talento e l'abisso nascosto nelle sue “letterarie” inquietudini e conquista il seguente omaggio poetico:
“L'inverno, noi andremo in un vagone rosa/con azzurri cuscini./Staremo bene. Dentro quei soffici cantucci/Ci son nidi di baci./Chiuderai gli occhi allora, per non vedere, fuori,/Torcersi le ombre oscure,/Arcigne e mostruose, nera plebe serale/Di lupi e di demoni./Ti sentirai sfiorare lievemente la guancia.../Un lieve bacio, simile a un ragno forsennato,/Ti correrà sul collo...Mi dirai: “Cerca qui!” chinando un poco il capo, - Ma ci vorrà del tempo per scovare la bestia/ Che viaggia senza posa....” (Sogno d'inverno - Arthur Rimbaud)
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Amore mio,
amore mio che non conosco,
odiami,
perché è meglio il tuo veleno del tuo niente.
Odiami e fammi del male,
fallo prima che inizi io.
Io che morirò per te, ed è così che ti ucciderò.
Il Paradiso è davanti a noi
ma io ti mentirò di nuovo;
come se non fossi tu,
come se questo amore fosse nulla.
Ti mentirò di nuovo
come se di nuovo questo non fosse amore.
Come se non esistesse niente,
come se fossi sicuro che l'amore non muoia mai,
neanche davanti alle menzogne.
O, come se fossi certo che quel poco che ho da dare,
ti basterà.
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Siamo in un labirinto di siepe,
un labirinto a matita disegnato da te.
Tu sei la ragazza che si perde nel suo stesso labirinto,
ti pungerai con delle rose,
mangerai la mela del peccato,
farfalle ti aiuteranno a uscirne,
ma non basteranno.
Questa fiaba racconta di te che seguirai un gomitolo,
nessuno sa se esista davvero.......
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La testa cade libera da qualunque legame terrestre,
un miscuglio di leggerezza e fervore.
Il taglio geometrico oggi lo trovo troppo simmetrico.
Tu daresti una sforbiciata dritta, sinistra,
fermissima sopra l'orecchio destro.
La tua frangia divide perfettamente la fronte a metà:
una coordinata spaziale indispensabile per me,
la discriminante tra materiale e immateriale.
Mi hai chiesto tu di venire oggi stesso
ma io ancora non so come.
Quanto siamo diventati bravi con la finzione.
Acqua, fuoco,
voglio fare con te questo gioco.
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La paura di sbagliare.
Poi i nervi si consumano e diventi cattivo
e ti devi fare di sogni sintetici
ma è la dimensione ascetica della disciplina
ad affascinarmi
più dell'aspetto etico.
Sentire il punto in cui l'anima
è incollata al corpo.
Sentire che cede,
un leggero strappo,
stare lì con la mente in estasi
in quella zona di lacerazione.
Provo spesso questa sensazione:
febbrile, ma profondamente lucido,
fertile,
motivato.......
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….Sotto un tessuto di velluto blu notte,
il tuo colore preferito,
l'ineffabile parola,
la perfetta coincidenza di suono e segno.
Il primo verso inarticolato emesso da Dio.
Per me sarai sempre una poesia occasionale,
la storia cominciata dalla fine.....
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Faccio strani sogni di notte.
Sogno che il mondo è mio.
Sogno di poter arrivare dove voglio.
E' come se quella notte
fosse l'ultima che mi resta da vivere.
Amami, amore, perché
quella notte tutto sarà possibile.
Alberto Simone, "L'arte di volerti bene"

L'arte di volerti bene di Alberto Simone (Tea Edizioni, 2020) è un invito purificatore all'arte della cura, una saggia priorità esistenziale, in cui la necessità e l'urgenza del monito individuale a coltivare il bene, a riconoscere il valore potenziale della nostra anima e l’accettazione delle nostre finitezze umane, meritano la possibilità intensa dell'arricchimento emotivo. L'autore offre il sostegno efficace dell'autostima, analizzando ogni valutazione positiva delle proprie capacità, dedicando l'attenzione alla preziosa abitudine alla disponibilità umana, a custodire il corpo e la mente, in un equilibrio meraviglioso sulla soglia dell'espressione. Il libro è un dono propizio strategicamente sostenuto nel linguaggio brillante e costruttivo e nel degno senso di amore e di comprensione, facoltà comunicative utili affinché possano crescere e progredire i nostri aspetti migliori. Attraverso il coraggio percettivo di cambiare le cose, l'autore consegna un favorevole apprendimento, una beata opportunità per imparare a vivere di nuovo, anche attraverso gli errori, ed estrarre l'insegnamento nascosto dietro alle colpe. La serena lezione di Alberto Simone è una compiuta scommessa alla benevolenza, sui luoghi, sulle relazioni, sulle attività e sui pensieri che nutrono la gioia di vivere, la pace e la piacevolezza. Un'energia necessaria per affrontare lo stress della vita quotidiana e un incoraggiamento incondizionato ad apprezzare la possibilità infinita della spontanea dedizione di ogni disposizione d'animo. I testi descrivono l'abilità essenziale della salute emozionale, costituiscono la base per valorizzare il nostro cammino e costruire una vita appagante, prendendoci premura del nostro benessere. Un'occasione adatta per riconoscere il giusto valore del tempo, per privilegiare la sintonia, l'intesa e la complicità con il mondo, identificando pensieri e gesti in un atteggiamento cosciente. Ogni motivazione dell'anima è un ascolto intimo, un miracolo emotivo che sprigiona forza poetica dalla sua materia, raccontando attraverso una lettura privata e strettamente privilegiata la raffinata sensibilità, amplificando con le facoltà sensoriali tutta la sincerità sentimentale dell'autore. Alberto Simone si rivolge sempre al lettore, con le sue infinite evocazioni, antiche corrispondenze di buon senso tra sensazioni sorprendenti e meraviglie ancestrali che si assestano nel riflesso della consapevolezza e hanno sempre vita e luce propria. La realtà abbraccia l'esigenza eloquente del valore morale come un contenuto di profonda ed autentica originalità. Il tema trattato alterna spazi e tempi assoluti, si svolge tra dolore e ironia, precarietà e perfetta lucidità nella fedele, costante ed inalterabile fiducia nell'uomo. Le vicissitudini umane, che toccano ognuno di noi, rintracciano e ritracciano la memoria dell'autore, capace di restituire in dono i sapori, gli odori, i colori della vita. Giochi di specchi, sovrimpressioni, rifrazioni generano disorientamenti inattesi negli ostacoli, ma graditi e felici compiacimenti nelle “resistenze interiori”. Le parole non sono mai in fuga, hanno la complicità dell'ascolto, elemento fondamentale nella comprensione umanissima e carnale. L'ebbrezza di ogni nuova gratificazione convince e persuade il passaggio di ogni piccola rinascita emotiva, meditata per evolvere il desiderio di essere felici.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
“La buona notizia è che puoi sottrarti in ogni momento a un'esistenza guidata dal passato o dagli automatismi mentali in cui ti sei ritrovato incastrato. Concediti la possibilità di praticare l'ascolto consapevole: vedrai la mente svuotarsi un po' alla volta di tanti pensieri inutili e tornerai a essere presente con la rinnovata spontaneità di un bambino.”
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“La nostra essenza più autentica è la sola che si trasmette e si propaga intorno a noi. Ancora una volta la corrispondenza tra la dimensione interiore e la realtà si rivela determinante se la comprendiamo e cominciamo a vivere rispettando questa verità. Prenditi dunque cura del tuo giardino interiore con la fiducia che questo e null'altro cambierà la realtà intorno a te.”
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“Accettare significa smettere di creare separazione tra te e il mondo, e soprattutto cercare di aggiustarlo perché corrisponda alle tue aspettative anche quando non ce n'è alcun bisogno.”
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“Dunque quello che pensi può farti ammalare o può guarire le tue stesse malattie. E siccome sei tu e nessun altro “il pensatore”, osserva bene quello che pensi e decidi la tua terapia.”
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“Ed è dalla comprensione di cosa proviamo, di come ci sentiamo, che ricaviamo il principale orientamento e siamo in grado di valutare la convenienza, la bontà e l'utilità delle nostre decisioni. Guardare dentro noi stessi è la strada migliore per creare il mondo che vogliamo.”
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“Una mente calma è la condizione preliminare per raggiungere qualsiasi cosa e realizzare qualsiasi obiettivo, ma, più di ogni altra qualità, una mente calma è una mente riparativa, che può curare qualunque distorsione o squilibrio in te e nella realtà che ti circonda. Prenditi cura della tua mente e ti prenderai cura del mondo intero.”
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“Essere consapevole del valore energetico di quello che vive dentro e fuori di te ti permetterà di fare le tue scelte, evitando ciò che ti indebolisce a favore di ciò che ti rende più resiliente, una visione che ti aiuterà a orientarti tra le emozioni, i pensieri, le relazioni con quello che ti circonda e presto manifesterà i suoi benefici in ogni aspetto della tua vita.”
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“L'arte di volersi bene può nascere da una decisione istantanea, da un'illuminazione o da un lampo improvviso di consapevolezza. Oppure da un percorso che ha già le sue aree di sosta e di progressiva riparazione....”
Glen Sorestad, "Betulle danzanti"

Betulle danzanti - Poesie scelte di Glen Sorestad - traduzione di Angela D'Ambra (Impremix Edizioni, 2020) è un riconoscimento all'esemplarità del mondo naturale, una cartolina d'autore in cui ogni paesaggio dell'anima è una rappresentazione pittorica dipinta sulla carta, un'istantanea immanente della forza generatrice e della realtà sensibile. I versi, mescolati ai colori raffigurati, lusingano la bellezza assoluta della natura, le immagini la raccontano come una passeggiata letteraria intorno ai luoghi amati e vissuti dal poeta in Canada. Il poeta frequenta il misticismo poetico con la prosa simbolica del verso libero, allungato, sa assorbire le sensazioni esterne e coinvolgere l'intimità dell'ispirazione, includendo lo spazio esteso di ogni inclinazione per la partecipazione profonda e solidale alla vita. Leggere Glen Sorestad è immergersi nel romanticismo dell'universo, ad equilibrio e valutazione di tutti gli eventi e delle reazioni emotive dell'uomo e del suo peregrinare. Il poeta riceve accoglienza dagli scenari circostanti, respira la gentilezza di ogni alito di vento, ristabilisce i cambiamenti delle stagioni, nutre il mantenimento dei ricordi. Il vincolo vitale, l'affinità simbiotica con lo spirito comunitario sono i legami enfatizzati nella sua poesia, nell'atmosfera comune e popolare di ogni libera condivisione. Un'efficace interpretazione dello spirito e della materia in relazione ai principi perenni che abitiamo e rispettiamo. Il poeta osserva i dettagli del mondo, nell'identità delle sue esperienze di vita, è profeta alla ricerca di risposte sensibili. L'estatica armonia con l'essenza fenomenica accorda un'autobiografia interiore, diffonde una visione sconfinata di infinite prospettive, una poetica panteistica dell'energia vitale. La capacità estetica dell'autore è la premurosa intuizione dello stupore, l'incantevole fiducia nell'evocare territori suggestivi, attraverso la mediazione illuminata della comprensione. Glen Sorestad è un autore contemplativo, assorto nella “danzante” volontà di vivere e nella disponibilità nobile della percezione emotiva. Il poeta esplora, ascolta e analizza per ospitare e comunicare ogni riflessione sostenendo il personale sollievo rigenerante, destinandolo all'esuberanza dell'umanità. La conservazione cortese dell'elegia, sussurrata ed indulgente, rivela nuovi orizzonti linguistici, esprime la commozione necessaria nella descrizione delicata di ogni piccola cosa, di un pensiero, di un gesto, di un'istante che meritano di comporre il miracolo della poesia. Ne è esatta coincidenza l'omaggio lirico al poeta Walt Whitman che scriveva: “...la domanda, ahimè, la domanda così triste che ricorre – Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita? Risposta: Che tu sei qui – che esiste la vita e l’individuo, che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un tuo verso.”
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Aide memoire
Il mondo ha inizio e fine nel ricordo:
ciò ch'io ricordo è ciò che sono.
Quel filo d'erba che, ragazzo, io
strappai sì che al soffio mio vibrasse
davvero l'aria sgretolò col suo stridore?
Un mondo ricordato ha in sé verità
e realtà assai più chiare d'echi.
Nelle mani a coppa del ricordo
la verde, fine festuca di ciò che siamo
freme d'un suono così raro.
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Notturno
1.
La notte non è mai abbastanza scura per qualcuno.
Sempre ci saranno cose da celare.
Il freddo parla la sua propria lingua. Ascolta.
L'orecchio più sordo udrà qualcosa.
Paura non avere di notte, freddo, buio.
E' di noi stessi che dobbiamo aver paura.
2.
Un cuore aperto sentirà sempre il male.
Chiudilo, se devi. Tutti i cuori muoiono.
I cuori aperti sanno la gioia del sì.
I cuori chiusi solo la pena del no.
Solo un folle tenta di fermare il vento.
Lo stesso folle tenta di fermare il male.
La mano aperta è soddisfatta di sé.
La mano chiusa sempre si chiede perché.
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Clessidra
Le prove sono ovunque. Granelli di sabbia.
I nostri giorni vanno persi in banalità: riunioni,
appuntamenti, liste di commissioni, note su post-it
incollati ad ante di credenze perché non ci sfuggano,
fissati da magneti al frigo come comandamenti,
o affissi come strazianti appelli per micetti smarriti,
tersi promemoria delle nostre vite divenute
una colonna sonora di arrivi e partenze,
il suono e la voce di calendari e diari.
Ignoriamo l'immagine – la sua metà inferiore,
con la sabbia in aumento. E' il ritmo crescente
dei funerali cui assistiamo che ci fa pausare,
che ci fa sentire la misura, l'urgenza,
il rullo premonitore del tamburo.
Colpo dopo colpo, grano dopo grano.
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La bellezza è dove la trovi
Perché negare che Bellezza
può illuminare un giorno di gennaio
quando il vento fa una sosta
e l'aria è un silenzio,
una coltre d'attesa?
Persino quel misero sole,
quella volpe furtiva
che striscia sempre a sud,
fa balzare brillanti sfaccettature di diamante
sulla neve scolpita,
malva d'ombra.
Questa cartolina invernale
m'appaga,
non mi soffermi a lungo
ad ammirare l'algido prodigio
dei luccichii della neve, preso
tra contraddizioni -
bellezza o tepore.
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Suoni
Ecco. Quello è il suono
che m'è mancato – il suono
che m'infiamma i sogni,
che nella notte viene e va:
un tiptap di strascico di vento
in moto fra betulla e pioppo,
che struscia i fianchi
su punte di peccio e pino.
Bentornato, dice.
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Betulle danzanti
Betulle, sull'isola,
pallide danzatrici invernali,
braccia protese verso l'alto,
a invitare il sole,
eseguono la loro lenta danza,
facendo fluttuare le foglie nuove
con l'arte delle geishe.
Teresa Valentina Caiati, "Frange d'interferenza"

Frange di interferenza di Teresa Valentina Caiati (Quaderni di Poesia Eretica Edizioni, 2019) è una pregiata cornice di ricerca poetica, una fusione musicale in uno sfondo sensoriale, metafora di desiderio e di nostalgia, associata al senso di vaga ed indefinita malinconia, contenuta nell'indugio compiacente di sentimenti e passioni comuni, resti emotivi corrispondenti alle tracce lasciate e alle relazioni salvate dal deterioramento interiore. I versi accordano la sovrapposizione di rumore e silenzio, l'incrocio invadente di verità e illusione, misurano l'intonazione delle attitudini umane, l'intensità e l'ampiezza del linguaggio nel suono articolato della poesia. La superficie dell'anima è la memoria decifrata dalla traiettoria esistenziale dello spazio e rivela la sua presenza, nella direzione del tempo e scorre arredando i margini del conflitto intimo. La poetessa rende visibile il principio luminoso del suo percorso aggirando gli ostacoli nella propria esperienza quotidiana, celando il profilo netto dell'ombra che delinea il suo cammino. La percezione profonda di essenze reali distinte, l'osservazione cromatica degli accidenti e delle note, rivelano l'interferenza delle emozioni e la fenditura dei confini in chiaro-scuro della sensibilità. Teresa Valentina Caiati assiste il mutevole ed inaspettato coinvolgimento della realtà elevando l'approfondimento periferico degli eventi con la spontanea ed istintiva melodia della sua centrale interpretazione e avvolgendo la singolare e delicata bellezza dei destinatari che cingono la seduzione gotica ed oscura delle vicende, dei luoghi e delle immagini. La poetessa affronta il destino di una solitudine che è al centro di tutto e attraversa l'impenetrabile cupezza, girovaga ed inquieta, di ogni inesprimibile relazione umana contro l'ineluttabile fissità del cuore smarrito e confuso. La curva impercettibile delle parole oscilla nella volontà intelligente e condiziona le scelte, fa da scudo alle sensazioni. Assorta nella quiete dell'assenza, la visibilità del ricordo non si dissolve ma dilata le intuizioni emotive, come se custodisse il segreto della consistenza e della necessità della vita. La testimonianza umanistica della poetessa è un patrimonio potente e fedele allo stupore, sostenuto da quella brezza, misteriosa ma espressiva, che soffia sull'esasperata consuetudine di ogni esulante condizione, pena che non allontana il perpetuo e spontaneo corso del tempo e destina al richiamo solitario la coscienza reduce. La direzione esclusiva ed imperturbabile dei pensieri sosta su una piccola nicchia sospesa, affatturata nel segreto delle discordanze che regolano la tensione esatta di quanto è trascorso o di quanto è lontano.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Il talento
Il talento
è l'aggettivo superlativo
posto dinnanzi ad un nome.
Tutt'intorno fa stragi e razzie
e senza termini di paragone,
governa, assolato e indisturbato,
nell'impero grammaticale dei sogni.
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Error Invalid Function
Noi altri
abbiamo insenature
e promontori sulla schiena
simili alla gobba di Leopardi
per il peso crescente
cui la natura sottopone.
Incompatibilità di sistema.
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La bellezza
Riconosco la bellezza
quando l'orizzonte s'allontana
e un pensiero gli va in soccorso.
In un istante
sono lì
dove ancora non sono.
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Il destino
Ogni volta che mi fermo
contemplo il destino
scorrere, imperterrito,
su quella strada parallela
al mio incedere lento.
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Le occasioni
Le occasioni
sono loculi sempre aperti
in cui dimora
da lontano
l'ansia esitante
di non avere fine.
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D'un tratto
D'un tratto capii
che solo il ritmo genera l'amore,
così presi a pensarti con la stessa frequenza.