"L'Opera " il nuovo libro di Cinzia Diddi
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Cinzia, tu sei una stilista, vesti star del cinema, dello spettacolo. Torniamo indietro negli anni, quando eri bambina e già fantasticavi questo lavoro che poi è diventato la tua grande professione: raccontaci quali erano i sogni di allora e di questi sogni quali sei riuscita davvero a realizzare.
Il sogno era uno: lavorare nel mondo della moda. Non potrei volere di più. Ho realizzato tutto perché faccio il lavoro della mia vita.
Dal sogno al successo, intendendo per successo un concetto personale. Sono ricercata da costumisti importanti per seguire nello stile la scenografia e la sceneggiatura di film, spettacoli teatrali, red carpet. Vesto vip, per programmi televisivi, sfilate, shooting fotografici, trovatee sui giornali le mie creazioni.
Sono stata fortunata perché ho potuto studiare altro mentre inseguivo il mio sogno nell’azienda di mio padre dove sognavo il lusso e l’alta moda .
Nel libro si parla della sua arte?
Si parla di alta moda, il mondo che ho reso mio. La bellissima prefazione è stata scritta da Fabrice Pascal Quagliotti, leader dei Rockets.
Abbiamo avuto notizia che uscirà un altro suo libro libro dal titolo L’opera.
Il libro è autobiografico vuole essere un messaggio chiaro che i sogni si possono realizzare. Ci vogliono impegno, determinazione, costanza, talento, studio, allenamento a far divenire le difficoltà delle occasioni di grande crescita.
Al di là dei sogni, il lavoro sappiamo che è tutta un'altra cosa.
C’è qualche stilista a cui si è ispirata o si ispira?
Sinceramente no, io percorro la mia strada, con il mio senso del gusto, la mia ammirazione per l’equilibrio, il colore, il neoclassicismo, il barocco.
Fra le mie muse e icone di regalità c’è proprio lei, la più splendida principessa di tutti i tempi: Grace Kelly.
Cinzia, lei appartiene ad una famiglia che ha una lunga e stimata tradizione nella sartoria. Quanto questo le è stato d'aiuto e quanto eventualmente le ha pesato, per le aspettative che si vengono inevitabilmente a creare in questi casi, come per tutti i "figli d'arte"?
È stato sempre un grande aiuto, è chiaro: bisogna sapere di essere figli d’arte e stabilire un giusto rapporto con l’esserlo. Ci sarà sempre tuo padre che pretenderà il massimo e dovrai sempre fare i conti con le aspettative dei tuoi spettatori. Ma se tu lavori bene, e con il cuore tutto questo si annulla e anzi sarà d’aiuto per fare anche meglio.
Qual è la tentazione più forte a cui Cinzia Diddi non ha saputo resistere?
Io non resisto al bello, davanti alle cose belle non posso che cadere in tentazione. Ammirandole, studiandole, e facendole mie.
Il libro sarà un impegno di solidarietà?
Sì, il ricavato andrà a Cure2 children un’associazione a tutela dei Bambini.
Io sono nel sociale molto attiva da questo punto di vista, adozioni a distanza e donazioni, non voglio dire molto altro , queste sono azioni che devono venire dal cuore, non mi piace molto pubblicizzarle.
A me piacciono i fatti più delle parole in certi ambiti.
Foto Mariano Marcetti
Model Claudia Licheri
Giorgia Tribuiani, "Guasti"
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Guasti
Giorgia Tribuiani
Voland
Già a pochi minuti di ascolto di questa storia (ne ho usufruito su Storytel) è evidente, per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i discorsi di co-dipendenza affettiva, che Giada, protagonista di questa storia, ne soffra. Tanto che, all'inizio, si resta un po' perplessi: se il lettore ha già capito il problema della protagonista, vista la brevità della narrazione, perché proseguire? Per diversi motivi. Il primo è che la Tribuiani fa capire la personalità di Giada e il suo enorme e avvolgente problema senza far mai dichiarare apertamente una sola goccia di malessere. Lei, in questa grottesca situazione, pare quasi contenta. Ma le sue parole, pronunciate con apparente contentezza, celano ben altro. Il secondo motivo è che, dietro una storia surreale, originale e certamente bizzarra, io ho visto un sottotesto metaforico svolto in maniera molto credibile e che rappresenta la situazione psicologica della protagonista e la terapia per uscirne. Giada infatti da diverso tempo vive per inseguire le mostre in cui viene esibito il corpo plastinato del suo ex compagno, un noto fotografo che, per concedersi un post-mortem simile, doveva essere un discreto narciso. In realtà lei dai tempi della convivenza con lui aveva rinunciato alla sua vita che non era certo importante come quella dell'artista reso ora opera d'arte. Lui continua a permeare la sua vita così come il ricordo e l'immagine di ogni oggetto d'amore non abbandona il co-dipendente affettivo che, se da una parte accetta a stento con dolore l'abbandono, non concepisce minimamente che esso finisca tra le braccia di qualcun altro. Immaginate pure la reazione di Giada quando un riccone decide di comprare l'unica immagine che le è rimasta del suo semidio. Rifugiarsi nell'unica toilette guasta del museo (unico luogo affine per una personalità evidentemente rotta sotto il profilo affettivo) e accettare il timido ma determinato aiuto di un vigilante che la guida nel suo percorso terapeutico. È abbastanza indicativo che Giada, proprio mentre inizia a capire il suo dramma interiore, venga invitata a lasciare la mostra da un direttore che le nega di incontrare il suo amico guardiano perché la donna avrebbe fatto scattare degli allarmi in passato con la sua inopportuna presenza. Perché i nostri problemi sono una bellissima zona confortevole che ci siamo creati negli anni e cercare di uscirne fa davvero scattare le sirene protettive della paura di ciò che è ignoto e ostacola il terapeuta. Ma Giada ha deciso: se un vigilante e una ragazza con le pinze argentate nei capelli, incontrati da poco per caso, le vogliono bene, la capiscono e la guidano verso la salvezza, perché lei non può farlo da sola? Cosa deve fare per ottenere la liberazione? L'unica soluzione immaginabile. E anche qui direi che, se da un punto di vista della verosimiglianza è ridicolo un guardiano che presta il suo consenso al piano di lei, all'interno della metafora ci sta tutto. Perché il vigilante si è sempre preso cura della donna, il compagno è sempre stato un tramite. E Giada, che paradossalmente per tutto il libro si è stizzita a sottolineare che lei non era la moglie (come dire: non ero legata così tanto a lui, ero libera. Certo, come no), ci lascia nelle ultime righe con una risata che emette suoni di libertà. E che gli allarmi suonino, la terapia è finita.
Filomena Ciavarella, "Versi per l'invisibile"
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Versi per l’invisibile di Filomena Ciavarella (Transeuropa Edizioni, 2020) è una raccolta poetica che segue il destino del filamento indelebile dell’anima, il retaggio celebrativo dei sentimenti, nascosti e protetti nell’impercettibile speranza della comprensione umana, dilatati nel limite dell’inclinazione delicata della poetessa che difende la persuasione di vivere oltre la mediazione delle sconfitte e la consapevolezza dell’angoscia. I versi ricompongono laceranti sofferenze, indicano il senso compiuto e puro di ogni confessione emotiva, analizzano le traiettorie primordiali dell’autobiografia, ispirata e conservata nel giudizio del profondo vissuto, trasportano il bagaglio sentimentale della poetessa alla stabilità dei ricordi e percepiscono la resistenza dei rapporti affettivi. La qualità espressiva della poesia è funzione e proprietà esistenziale, estende pagine diffuse nel prolungato e accorato elogio all’amore, nella generosa consistenza della memoria e nell’istintiva intimità di luoghi, di persone amate e di assenze sofferte. La poetessa destina la sua viva maturità nell’evidenza dei valori smarriti in cammino e in pena per l’allontanamento continuo delle voci partecipi, condanna la freddezza del distacco sostenendo la tenerezza, ripercorre la vicinanza ritrovata con rara poesia. La suggestiva ossessione del sentire e della passione guida i pensieri, allinea la spontanea complicità della presenza amorosa, dona l’interiorità e la corposità di ogni intesa sensibile. Una poesia dedicata al raccoglimento nella concentrazione del silenzio e nella benedizione degli avvenimenti privati, dove la parola diventa la forma di comunione assoluta con i legami vitali più duraturi. Il fine universale e sensoriale delle poesie di Filomena Ciavarella rafforza la percezione della libertà creatrice e mantiene la stabilità delle sensazioni nell’azione immanente dell’agire in nome dei desideri per superare gli ostacoli. Versi per l’invisibile trasforma il passaggio transitorio della causalità dei comportamenti umani adeguando l’analisi delle conseguenze nella loro graduale sparizione dalla regione dell’indifferenza. L’invisibile è la dimensione di ogni lieve sguardo sulla inafferrabile lontananza. La poetessa dedica la natura estetica della sua poetica alla conciliazione del senso, all’insieme strutturato degli intenti di esplorazione, incisivi e contenutistici, incoraggiando l’aspetto della conoscenza e la rappresentazione della realtà. Una poesia naturale, un’esigenza quotidiana di bellezza, in cui la materializzazione delle paure e la manifestazione delle visioni interiori permettono di consumare la parola scritta nell’istinto alla ricorrenza della vita. Nella tormentosa incertezza del futuro l’oscillazione inavvertibile del tempo muove la curva della poesia nello spirito rivelato della memoria, sconfinando la distanza di una consuetudine disincantata nella volontà dei versi e nel continuo attraversamento di ogni ombra, nella superficie di ogni coinvolgimento.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Serraglio d’amore
Un lieve serraglio d’amore
mette il laccio al tramonto
come una bella di notte
che nel suo intimo chiude
l’ultimo raggio di luce
E nella sua gemma preziosa
attende,
attende silenziosa
la nascente aurora.
Incerta bellezza
Incerta è la bellezza
È un filo d’erba nella stanza
Non lontana da te
Tenue come piuma al vento
Prima di volare via
Ancor più candida nella memoria
Da quando l’invisibile
l’ha presa con sé
Lettera d’amore
Le voci sonore all’imbrunire
Fanno eco dove si svuota
l’estasi nel lento cadere
della luce
in uno splendido
volo su bianche ali
di cigni nella notte
Si rivelano antiche
danze di tempi andati
nel vento odoroso di menta
sulle scie che primavera
lascia nel suo canto innocente
È la più bella lettera d’amore
che il tramonto consegna
all’oscurità
Il cerchio fra le dita
Tra le dita teniamo
il cerchio
per rendere l’ignoto
al suo arco
Lo accarezziamo,
fino a quando si leverà
in un luogo senza - luogo
e la matassa troverà il filo
come fiore sotto il cielo
E la folgore ardente il senso
sulla vela del sudario
Fu così che si son piantate le viole
Fu così che si son piantate le viole
Sono vive nel deserto della notte
I petali raggiano l’inafferrabile
Sulla soglia tremano
nel giorno
che sempre si smarrisce
Ed è così che si son piantate le viole
negli occhi fermano
la notte
arrivano da un fiume millenario
sulle strane pendici
dell’invisibile
Patrizia Poli, "L'ultima luna"
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Esce "L'isola delle lepri"!
Non capita tutti i giorni di vedersi pubblicare due libri uno dietro l’altro ma a me è successo. Quindi, è con gioia e orgoglio che, a distanza di un mese esatto dall’uscita de “L’ultima luna” vi annuncio la nascita, il prossimo primo marzo, di quest’altro diletto figlio: “L’isola delle lepri”, Literary Romance.
(E per coloro che hanno amato “L’uomo del sorriso”, questo ne è il seguito ideale.)
Margit d’Ungheria è ancora nel grembo materno quando viene votata a Dio.
Monacata a forza si accolla ogni sofferenza e privazione pur di essere gradita all’Altissimo. Rifiuta la proposta di matrimonio dell’aitante re di Boemia Ottocaro, mette pace fra l’amato fratello Stefano e il padre. In realtà, il suo animo triste è preda di una nostalgia feroce e di rancori violenti, il suo cuore è straziato dal desiderio di una vita fuori dalle cupe mura del convento. Accanto a lei, Marcello, il padre provinciale dei domenicani, bruciato da una segreta passione, e Kalima, la fedele cagna. È la storia di una donna singolare, di una giovane vita sprecata, di un animo potente, tormentato, capace di amore, passione e solitudine immensi.
Su di me:
Patrizia Poli è nata a Livorno nel 1961. Laureata in lingua e letteratura inglese, dal 2012 amministra il blog culturale collettivo signoradeifiltri.
Ha pubblicato: L’uomo del sorriso, Marchetti Editore 2015, segnalato al XXVI premio Calvino, Signora dei filtri, Marchetti Editore, 2017, Una casa di vento, Marchetti Editore, 2019, "L'ultima luna", Milena Edizioni, 2021.
Appassionata di letture, cinema, viaggi e animali
Eleonora Fasolino, "Amabile inferno"
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Amabile inferno
Eleonora Fasolino
Milena in love
pp 360
C’è una parola sola per Eleonora Fasolino: brava. Scrive benissimo, con tutti i tempi narrativi giusti, senza dilungarsi e senza aver fretta.
Soprattutto ha saputo creare uno di quei personaggi che restano iconici, che entrano a far parte dell’immaginario collettivo, come Edward Cullen o Christian Grey. Lei ha creato il nostrano Manfredi Vergara, uno che già dal nome ti scatena gli ormoni.
Bello e impossibile. E l’amore impossibile, si sa, è quello più intenso e romantico. Impossibile, Manfredi, lo è tre volte. Per la differenza di età, lui è un uomo fatto e lei solo una ragazzina. Perché lui è un professore e lei la sua studentessa. E perché Manfredi è… un sacerdote.
Siamo in un liceo classico romano, l’anno degli esami di maturità. Manfredi insegna, bello, bravo, intrigante. Melania Santacroce è la sua allieva, intelligente, graziosa, poetica ma niente di speciale. Forse nel cognome ha già scritto il destino di Manfredi. Sarà la sua tentazione, il suo peccato, la sua croce, la sua colpa.
Ma lui decide di vivere questa storia, di assaporarla senza pensare al futuro, di considerarla una parentesi. Per Melania, Manfredi è tutto, è l’amore, è la scoperta del sesso, è l’ingresso nella vita adulta, è un rischio e un conforto insieme.
La vicenda si svolge nel presente ma si riallaccia al passato, a una precedente storia d’amore di Manfredi, al ricordo di una donna alla quale ha dovuto rinunciare. Il romanzo ha dialoghi ben sviluppati e plausibili, scene ben articolate, il sesso è esplicito - fin troppo per la sottoscritta -, senza freni e senza inibizioni. Il romanticismo, però, e il pathos sono entrambi alle stelle.
Amabile inferno è uno di quei romanzi che, col passaparola, è destinato a diventare un caso editoriale.
Piero Paniccia, "La sconfitta"
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La sconfitta
Piero Paniccia
libro autoprodotto
pp 288
Dispiace dirlo ma questo libro non doveva uscire così com’è. Si doveva avere la pazienza di revisionarlo da cima a fondo, a cominciare dalla banale giustificazione del manoscritto sul lato destro, fino ai dialoghi con quel “disse” che comincia, non si sa perché, dopo il punto. Senza contare discorsi iniziati e non finiti, ripetizioni a raffica. E via discorrendo.
Detto questo, anche la storia, sebbene interessante per capire come funzionano certi ambienti corrotti, è pesante e farraginosa, fra incidenti stradali, malaffare, corse in bicicletta e omicidi.
A Roma, l’ex ciclista Fausto Proietti muore, apparentemente per infarto del miocardio, almeno così dice il medico legale, ma, forse, si è trattato di un misterioso incidente avvenuto giorni prima su un autobus. C’è di mezzo un’assicurazione e la famiglia pretende il risarcimento. Il genero Paolo indaga sulla morte del suocero e poi su quella dell’avvocato che segue il processo.
Almeno per tutta la prima parte, la trama non decolla. Il tutto diventa più piacevole solo quando ci si addentra nella vita dello scomparso. Del fu Fausto scopriamo che aveva una passione per le corse ciclistiche e che non andava d’accordo con il proprio padre, Antonio. Era un bravo ragazzo, lavorava e si allenava con successo ma, quando era stato pronto per il salto nel professionismo e per la prova olimpica, una serie di sfortunati contrattempi e una brutta broncopolmonite lo avevano fermato.
Fausto lavora, si sposa ma ha un carattere scontroso e una mentalità da campione fallito e disadattato. Una parte di lui è preda della nostalgia di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Ma, dentro, è sicuro che un giorno riuscirà a provvedere al benessere della famiglia, arricchendola in qualche modo.
Sarà così ma lui, defunto, non avrà modo di saperlo e questa sarà la sua “sconfitta”, unita al rancoroso livore della famiglia nei suoi confronti.
Dopo la sua morte la famiglia si accanisce e si disgrega per ottenere l’indennizzo dell’assicurazione, dimenticando lui e la sua memoria. Le complicate vicende processuali, fino a tre gradi di giudizio, sono raccontate con ridondanza ammirevole ma pure stancante. Viene ben ricostruito un ambiente tentacolare malavitoso che ricorda “mafia capitale” e i recenti intrighi criminali romani, e che si ricollega addirittura alla famigerata banda della Magliana. La corruttela avvolge la vicenda, inquina le prove e l’autopsia, si ramifica nella politica, nelle istituzioni e nei servizi segreti deviati, impedendo alla famiglia di Fausto - difesa da un avvocato a sua volta corrotto - di ottenere il giusto risarcimento. La famiglia stessa si disgrega, dilaniata dai litigi interni e sfinita dall’iter processuale.
Ma, alla fine, una fioraia gentile e sprovveduta, capace di un tenero, postumo e sognante amore, rimetterà le cose a posto, in quelle che sono anche le pagine migliori e più poetiche del romanzo.
I party
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Nonostante la rigidità di quei tempi (1972/3/4) facevamo del nostro meglio per goderci la vita, avvicinarci, flirtare.
Una cosa che ci piaceva tantissimo, erano le feste, cioè, i party, questo il nome “ufficiale”, un po' a causa dell'influenza dell'Africa del Sud, a fianco del Mozambico.
Erano poche le persone che abitavano in appartamenti. Tutti i miei amici, e io tra l'altro, abitavamo in villette. E in tutte le villette c'era un garage.
Il giorno del party l'auto era tristemente parcheggiata sulla strada. Nel garage restavamo solo noi, i giovani, pronti al divertimento. Si installava la magnifica tecnologia di quei tempi, l'anziano giradischi, e tutti noi ballavamo, ridevamo, flirtavamo.
Ricordo bene quel calore pomeridiano, quell'allegria, quella sensazione. Ah, la sensazione! Gli ormoni scorrevano tra le coppie aggrappate in una lenta, lentissima danza, lo slow.
È stato veramente un periodo meraviglioso.
Giovanna Strano, "Parlami in silenzio Modì"
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Parlami in silenzio Modì
Giovanna Strano
Aiep Editore, 2020
pp 272
14,00
Un’altra bella biografia romanzata a firma Giovanna Strano. A parlare in silenzio è Amedeo Modigliani, scultore e pittore livornese, ebreo sefardita, artista bohemienne maledetto, morto precocemente dopo una vita di eccessi tutta dedita all’arte, all’affinamento della ricerca, allo studio dei volumi e dei colori. Lasciarsi ritrarre da Modigliani equivaleva a farsi spogliare l’anima, metterla a nudo, ma anche avere uno scambio con il pittore, fondersi con lui persino fisicamente.
Il romanzo ripercorre la sua vita, dalla nascita - nel letto che la partoriente condivideva con gli oggetti ammassati per evitare il pignoramento - alle numerose donne che lo hanno accompagnato e alle quali ha dato amore ma anche tormento. Donne belle, forti, indipendenti, che per un periodo gli hanno fatto da muse ispiratrici e da sostenitrici, per poi arrendersi all’impossibilità di vivere con un alcolista, un drogato, un fedifrago devoto solo alla sua arte, anarchico e libertario nel profondo. Donne che, alla fine, lo hanno abbandonato, tranne la dolce e sfortunata Jeanne, la più giovane, la più innamorata, la più ingenua, di cui tutti conosciamo la tragica fine.
Una vita minata dalla malattia, bruciata in fretta, consapevole della propria brevità, ardente di passione umana e artistica, vissuta in luoghi sordidi ma fervidi di cultura e arte.
Più che un resoconto di fatti, il romanzo della Strano è due cose: una splendida ricostruzione d’ambiente - la belle époque, Parigi, i quartieri di Montmartre e Montparnasse, il crogiolo di avanguardie letterarie e fermento artistico all’ombra della prima guerra mondiale - e una carrellata di dipinti e sculture, studiati nella loro plasticità ma soprattutto nel loro significato filosofico e umano, perché fra modello e pittore s’intuisce una corrente di comprensione e di scandaglio che va oltre il rapporto artistico. Ogni figura è interpretata nell’animo ma anche riportata alla sua essenza storica, alle sue origini culturali.
Il testo mi ha ricordato il film I colori dell’anima di Mick Davis, perché anche qui una vicenda che potrebbe essere carica di pathos viene invece vivisezionata nel suo contenuto intellettuale, di riflessione sull’arte, e questo si rispecchia nei dialoghi viziati da un didascalismo che li fredda, ma che trova il suo riscatto nella commovente e bellissima analisi finale dell’autoritratto di Modì. Uomo, artista, donnaiolo, bevitore, bruciato dalla passione, mangiato dalla tubercolosi, ma immortale, per noi, per tutti, per l’eternità.
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Cinzia Diddi lancia il microcardigan
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Quest'anno il cardigan si trasforma in una nuova versione mini e super sexy. Come indossarlo? Ve lo svela la stilista delle star tra look di sfilata e scatti street style, indossato dalla bellissima Modella Michela Triulzi.
La maglieria si evolve, si rinnova e torna a essere protagonista della Primavera/ Estate del 2021. Dopo il ritorno del pullover taglio boyfriend e del classico maglioncino bon ton, e del gilet già visto e presentato nelle precedenti sue collezioni adesso è finalmente arrivato il momento del micro cardigan.
Oggi il micro cardigan è un prodotto da passerella e senza esitazione Cinzia Diddi lo propone e la modella Michela Triulzi lo presenta con una tale disinvoltura da farlo sembrare un capo quasi quotidiano.
Qui lo vediamo nello stile più tranquillo, in tessuto bronzato e più estremo quasi dark abbinato e alleggerito da un pantalone nero svasato.
Cosa le piace mettere in evidenza di questo capo?
Ho voluto realizzare e rispolverare qualcosa che era ormai quasi dimenticato. Ho scelto Michela, la modella, la sua disinvoltura e il suo atteggiamento sono importanti quanto il capo, è un mix vivente, ne esce come risultato la valorizzazione di entrambi.
Queste sono virtù che Michela possiede e, insieme al fotografo Thomas Capasso, abbiamo voluto giocare anche con i colori.
Perché questo trucco?
Sapevamo di correre il rischio che un trucco particolarmente eccentrico potesse distogliere l’attenzione dal capo che la modella sta indossando, ma ci è piaciuto proporlo.
E la scelta dei colori?
Esatto mi ha anticipato! Il trucco scelto propone esattamente i colori cult di questa primavera/estate 2021, l’azzurro/turchese e il rosa shocking. Così col trucco abbiamo dato indicazioni sui colori tendenza.
Ormai il suo marchio è molto conosciuto e diffuso un po’ in tutto il mondo?
Di strada da percorrere ce n’è molta, come stilista sono soddisfatta; io però sono anche un’imprenditrice e questo periodo di pandemia ha messo tutti a dura prova a livello economico.
Come mai ha scelto Michela Triulzi?
Poche parole ma importanti per descriverla: professionale, instancabile, particolare e intrigante ma non lontana, non irraggiungibile, quindi ogni donna può rivedersi in lei.
A cosa sta lavorando? Quale progetto sta portando avanti? Lei è sempre piena di cose da fare ed è difficile riuscire anche ad intervistarla?!
Sì, oltre ad essere una stilista sono un’imprenditrice, ho poco tempo a disposizione e capita spesso di portare avanti un’intervista mentre contemporaneamente parlo con i miei collaboratori e la mia segretaria mi ricorda le cose da fare. A volte mi sento un po’ un robot.
Voglio ringraziare il fotografo Thomas Capasso e la Modella Michela Triulzi che ha saputo dar vita alla collezione.
Model Michela Triulzi
Ph Thomas Capasso