Incipit e immagini: "L'uomo del sorriso"
Maria di Migdal aveva sentito un'altra voce, proveniente da un altro luogo, da un altro tempo. Aveva visto un bosco di ulivi illuminati dalla luna, un uomo che piangeva, infinitamente solo.
Da "L'uomo del sorriso" di Patrizia Poli
Incipit e immagini: "Il respiro del fiume"
Alle quattro del mattino la luce è già sufficiente a Benares per attraversare la città e raggiungere uno dei cento ghat sul Gange.
Avvolta in un sari scolorito, una figurina sottile, con i capelli annodati, una lunga treccia saltellante e i piedi nudi, sguscia fuori di casa e corre per i vicoli della città vecchia. Non presta attenzione agli escrementi di vacca e al sudiciume che insozza le strade, com’è sua abitudine in giorni più sereni. Passa come il vento in mezzo ai bimbi seminudi, ai lebbrosi, ai mendicati storpi, ai vecchi seduti sul marciapiede che giocano a centrare la sputacchiera.
Da "Il respiro del fiume" di Patrizia Poli
La lunga estate bollente del 2003
L'ombra era una manna dal cielo.
Daurija Campana, "Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato"
Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato
Daurija Campana
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Daurija Campana non è nuova alle patrie lettere. Ha già al suo attivo varie pubblicazioni monografiche di poesia: La casa di paglia (2013), L’ultima campana (2021) e la più recente Sola tra memoria e dolore (2023), con accurato saggio introduttivo di Enzo Concardi.
La presente raccolta rientra in un progetto più articolato di questa Casa Editrice, la collana dedicata al Parallelismo delle Arti: la pittura può risultare poesia muta e la poesia pittura parlante. Per secoli sono prevalsi i principi dell’arte poetica di Orazio e l’assioma di Simonide di Ceo, riferito da Plutarco. Dalla stagione del simbolismo, che non ha ancora cessato oggi di influenzare e sollecitare tanta parte della letteratura e dell’arte contemporanea, il sodalizio tra artisti e poeti si è ripetuto in vari momenti delle “avanguardie” storiche, in cui l’incidenza del messaggio scritto del poeta risultava in parallelo con l’immagine visiva e ne rivelava, nel linguaggio formale, le più profonde significazioni.
Fino a che punto la presenza di un testo poetico può incidere sull’atteggiamento di un artista e viceversa su parallele e concomitanti fonti di ispirazione? Se da una parte ogni artista e poeta rimane fedele a se stesso, dall’altra non si può ignorare quanto la letteratura del passato e contemporanea abbiano sollecitato e illuminato le motivazioni di tanta ispirazione artistica e letteraria. La collana Parallelismo delle Arti nasce con l’intento di accostare per somiglianza un gruppo di poeti – con la scelta dei testi più significativi – attraverso fonti di ispirazioni parallele con un altrettanto gruppo di artisti contemporanei. L’obiettivo è quello di chiarire la condivisione di comuni intenti tra autore e artista, dove le tematiche del poeta sono messe in parallelo alla fonte di ispirazione del pittore: il tema dell’amore, della natura, della memoria, del dolore, della maternità, degli affetti familiari. Già Mario Praz nel suo studio Mnemosine aveva teorizzato il significato del Parallelismo delle Arti e questa collana intende suggerire una chiave di lettura simultanea, affidata alla sensibilità del lettore: «scopo dell’artista è di fare risplendere una forma sulla materia» (Jacques Maritain).
Se poi il poeta e l’artista figurativo coincidono nella stessa persona come nel caso di Daurija Campana, il percorso assume un significato più intrinseco dove i segmenti poetici offrono una dose di suggestione per cui i vari sentimenti si alternano e si mescolano con sapienti pennellate: la nostalgia per il passato, per l’amore finito che non può ripetersi, la presenza impalpabile del padre ormai scomparso ma sempre presente nella sua vita quotidiana, la liricità della natura sentita fortemente nei suoi palpiti atmosferici, quel senso di angoscia ormai stratificata negli abissi della propria coscienza interiorizzata e che trascende il senso della caducità delle cose e dell’umana esistenza. Come osserva Enzo Concardi: «Una poesia che in generale gioca sul contrasto assenza-presenza di chi non c’è più: assenza fisica, corporale ma presenza spirituale e memoriale. È sempre una condizione esistenziale di dolore che non trova vie d’uscita»: «…E venivo con l’angoscia nel cuore:/ piangendo ti parlavo di mio padre,/ e pregavamo insieme che guarisse...» (Il lago).
La tormentata ricerca interiore di Daurija Campana trova la giusta misura attraverso un intimo richiamo alla poesia ma anche alla pittura, che si anima come fonte di vita. Diventa espressione di un’anima che lotta tra sentimento e ribellione, sofferenza e recuperi di pensiero e spiritualità ai margini del rifiuto, ma anche amore per la vita, nonostante le difficoltà che essa propone come elemento purificativo. C’è il desiderio di trascendere gli elementi stessi dell’esistenza per giungere a dare di questi elementi la parte più intima del loro senso. Si legga la lirica Cade la pioggia: «Il cielo è sereno, cade la pioggia,/ oggi il sorriso è turbato dal pianto,/ il viso riga scendendo la goccia,/ l’animo giace perduto ed affranto…».
Se in alcune liriche le immagini autobiografiche denotano particolari stati d’animo, in altre assumono valori che rivelano una lucidità intellettuale di chi non si scoraggia. Daurija Campana costruisce la sua arte utilizzando tematiche di estrazione classica: l’amore, la morte, l’eterno, la natura, la memoria che però ella arricchisce con la sua sensibilità squisitamente femminile. Così anche i dipinti presi in rassegna in questa monografia assurgono a una maggiore incisività del suo dettato artistico. A titolo di esempio si notino i vari dipinti dove l’autrice sembra prediligere la figura umana femminile: La verità (che poi è anche la copertina del volume Sola tra memoria e dolore) ma anche Sentieri, Autoritratto, Timidezza, La lettura, Primavera, Il broncio. Figure umane nella loro plasticità, colori caldi e pastosi, tratti ben delineati dove la morbidezza e la sensualità di alcune forme rimandano a una realtà liricamente sentita, che trascende la determinazione fisica.
Arte come vita per Daurija Campana, in simbiosi con un atteggiamento e attitudine riflessiva, la quale si traduce spesso in una visione pessimistica ma seppure non frequentemente, lascia aperto lo spiraglio alla via della speranza. Il disegno sicuro e robusto, coagulato nell’impasto cromatico, nella sua stessa intrinseca lucidità intellettuale, che dell’opera sostiene gli equilibri e i rapporti spaziali, riappare nella tensione psicologica dell’immagine, nella sua sintetica espressività. Così la Campana si fa testimone dell’anima delle cose, in una pittura che segue in parallelo l’ispirazione letteraria in un’arte che si rinnova non in maniera esternamente clamorosa, bensì nell’interno: nell’accostarsi cioè con amore all’oggetto, al paesaggio, alla natura, alla persona. E lo fa in modo silenzioso e delicato. Si guardino ad esempio le pitture: Odette, Il lago, Alba sul viale dove la morbidezza delle forme, il caldo luminismo che unisce e fonde le tenui immagini della natura e delle cose rapiscono il lettore.
Emblematica e significativa è la suddivisione in quattro parti della presente monografia come a indicare quattro fasi ben distinte del proprio percorso interiore ma anche artistico: Qualcosa di nuovo, Qualcosa di vecchio, Qualcosa di blu, Qualcosa di prestato, una raccolta di liriche inedite ma anche una miscellanea di testi già pubblicati in precedenza. Dove ad esempio il colore Blu rappresenta lo stato d’animo dell’autrice: «Ti ho scelto tra tutti i colori/ per dipinger la mia anima/ e le ferite del mio cuore/ ancora non cicatrizzate. // Ti ho preferito perché prezioso, / da usar con sobria parsimonia/ pregiato e non sostituibile./…/ Rendi profondo il mare calmo,/ infinito un pezzo di cielo,/ angosciato il mio piccolo mondo» (Blu), come anche tutto in Blu è il quadro Timidezza.
Numerose sono le composizioni dedicate al padre, in generale nella produzione letteraria della nostra autrice e nel dipinto Mio padre, lo raffigura alla guida del suo trattore mentre coltiva la sua terra.
E per lo scrivente prefatore accomunato dallo stesso destino dell’autrice, non può rimanere immune da tanta “elegiaca sofferenza”. Daurija Campana crede nella vita perché crede nella poesia. Per dirla alla Umberto Saba, un autore che credeva nella poesia e nella vita, e credeva nella poesia perché credeva nella vita: «… d’ogni male/ mi guarisce un bel verso…» (U. Saba, Finale).
Michele Miano
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L’AUTRICE
Daurija Campana, nata a Meldola (Forlì), si è laureata con lode in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Bologna. Poetessa e pittrice, vive ed insegna a Cesena. Ha pubblicato le raccolte di poesie La casa di paglia (2013), L’ultima campana (2021), Sola tra memoria e dolore (2023) e il saggio Gli ebrei a Forlì tra il XIV e il XVI secolo (2013).
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Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-41-7, mianoposta@gmail.com.
Franco Colandrea, "A mio figlio Paolo (Dialoghi d'amore)"
Franco Colandrea
A mio figlio Paolo (Dialoghi d’amore)
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Recensione di Maria Elena Mignosi Picone
Un itinerario inconsueto, un viaggio spirituale nella solitudine e nel silenzio, anzi addirittura nell'oscurità della notte, nel sogno nel quale si sviluppano i “dialoghi d'amore” tra il padre, vivente e il figlio dalle dimore dell’eterna Verità. “Caro papà… qui è tutta luce; luce illuminante, luce pervadente, luce generatrice; è luce universale, è beatitudine.” È proprio questa luce che il padre aspira a raggiungere qui sulla terra. È luce interiore, luce spirituale. Il padre, da convinto pensatore empirico e materialista, ignorava la dimensione dello spirito e respingeva la speculazione metafisica. È il dolore, sopraggiunto come un fulmine, che lo scuote e lo avvia per sentieri nuovi; nasce così imperioso in lui l’anelito alla luce spirituale. E si ripiega su se stesso fino allo stadio più alto dello spirito, la coscienza, dove si ode la voce di Dio che è amore e richiama l’uomo all’amore universale.
“A mio figlio Paolo (Dialoghi d’amore)” di Franco Colandrea (Guido Miano Editore, 2024) è un viaggio travagliato, tra alti e bassi, tra tenebre e fulgori fino al traguardo della luce spirituale che lo porterà al disopra dei tormenti terreni fino al raggiungimento della quiete dell’anima. Una sorta di Beatitudine che è il riflesso qui sulla terra della Beatitudine celeste. Ed è possibile. Sicuramente.
E il figlio, nelle varie tappe del sogno, indica al padre la via.
Il primo passo è sfrondare la propria coscienza da tutti i pensieri dolorosi e pensare invece ai momenti belli vissuti insieme. Efficace è la concentrazione del pensiero senza che si faccia deviare.
Sfrondare poi l’animo dai condizionamenti della vita, che alterano e guastano l’essenza della persona. Così ci si alleggerisce della zavorra di cui ci ha appesantito l'esistenza. Questo alleggerimento è lo stadio della purificazione interiore che porterà alla quiete dell’anima.
Analogamente avviene nella malattia quando la forza della mente può modificare il corso letale e portare alla guarigione. Il padre, medico naturopata, tenace assertore della “Vis medicatrix naturae”, cioè della forza medicatrice della natura, così si rivolge al figlio: “…attraverso gli studi sulla naturopatia, ho scoperto e acquisito che con la nutrizione (digestione, circolazione, respirazione e assimilazione) vi è una continua riparazione dei tessuti che consumiamo vivendo. Attraverso essa, se le circostanze lo permettono, l’organismo ammalato guarisce di per sé.” E aggiunge: “Il buon medico dovrebbe lasciare spesso che agisca la natura.” L’animo lieto nella malattia è di fondamentale importanza. Lo raccomandano i medici.
Il figlio così conclude: “Ti puoi ritenere un essere illuminato dalla luce del tuo sé più profondo e questo ti darà l’opportunità di esplorare gli stadi superiori della tua mente, così riuscirai a dare ancora più luce alla tua intelligenza… e solo così potrai dare pace alla mente.”
La quiete però non è da intendere come imperturbabilità. Tutt’altro. La luce cos’è se non il riverbero dell’amore? Nell’aldilà tutto è luce perché risplende l’Amore di Dio. Luce e amore sono un tutt’uno. Altro allora che imperturbabilità! Le anime stesse del Paradiso seguono i loro cari in terra. Esempio appunto questi dialoghi d’amore tra padre e figlio, tra cielo e terra. È il figlio che conduce il padre alla quiete dell’anima.
Ma cos’è allora questa quiete?
È più che quiete! È felicità. È Beatitudine. Proprio qui. Sulla terra. E questo succede quando, coltivando la vita interiore, nel profondo della coscienza sentiamo la voce di Dio, l’uomo entra in dialogo con Dio e nell’Amore, succede il prodigio che l’essenza umana si fonde con l’Essenza divina. E in questa fusione sta la Felicità. La Beatitudine qui in terra.
Maria Elena Mignosi Picone
Franco Colandrea, A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-40-0, mianoposta@gmail.com.
Gnocchi alla romana
Pietanza divisa in due. Conto separato.
L'amore e la paura
«Dammi retta, arrenditi!» suggerì la Paura all'Amore con voce lagnosa.
Quest'ultimo avanzava imperterrito, impugnando una lanterna in cui era racchiusa una fiammella blu, capace d'illuminare appena sufficientemente il condotto tenebroso.
«Sta' zitto, lasciami fare il mio lavoro!» reagì infastidito l’Amore, ricominciando a palpare le pareti di pietra ruvida, come alla ricerca di qualcosa.
«E tu lasciami fare il mio!» esclamò imbufalita la Paura.
I due, per l'ennesima volta, finirono per litigare e prendersi a botte, finché non ripresero il cammino attraversando la cavità destra, rassegnati sull'impossibilità di dividersi.
Di certo, l’Amore rappresentava il più risoluto della coppia, del resto era fortemente convinto di trovare il tasto che avrebbe risanato il Cuore indurito e avvolto nell'oscurità.
***
Alessandro, dal computer, avviò una playlist di canzoni di Marco Masini, per poi sdraiarsi sul letto guardando il soffitto con un'aria tra il sognante e il malinconico.
Da settimane usciva con Lavinia, una ragazza molto carina e dalla trascinante simpatia, conosciuta all'università.
Il giovane, seppur decisamente attratto da lei, tra l'altro ricambiato, teneva il cosiddetto "freno a mano tirato" a causa di una recente delusione amorosa.
A un tratto gli arrivò un messaggio sul cellulare proprio da parte di Lavinia, che lui lesse immediatamente.
«Salve salvino Mister Freeze. Visto che siamo in inverno, immagino che io debba aspettare l'estate affinché tu ti sciolga.
Colgo l'occasione per dirti che vali assai. A mio avviso, lo sai anche tu. Non reprimere questa consapevolezza perché ti aiuterà a dissipare quella sfiducia che ti perseguita.
Sicuramente hai presente la tecnica del Kintugi, perciò ti chiedo: posso essere il tuo oro per riparare le tue fratture?»
***
«Toh, eccolo!» esultò l’Amore nel premere il tanto agognato pulsante.
In un attimo un bagliore accecante rischiarò il buio, ne seguì un fortissimo terremoto che distrusse interamente le pareti pietrose. Tutte le zone cavernose si tramutarono in incantevoli giardini che si estendevano lungo il Cuore rinvigorito.
«Bravo, ci sei riuscito. Addio, o forse, chissà, arrivederci» disse la Paura, scomparendo gradualmente in una nuvola di fumo. Nel mentre, la lanterna si ruppe in mille pezzi, dalla fiammella blu si materializzò la Fiducia che, insieme all'Amore, corse verso la porta spalancata di quel Cuore d'un fulgido rosso abitato da bei sentimenti.
***
Ad Alessandro iniziò a battere il cuore all'impazzata, accorgendosi così che le catene della diffidenza si erano spezzate.
«Principessa, vediamoci a Parco Corona, in una delle panchine vicino la Fontana Clementana, dove ieri abbiamo ripassato fisica e geometria. Ma stavolta senza libri. Le tue parole mi hanno permesso di riacquisire quella fiducia che, unita alla tua, sarà il perno sul quale fonderemo la nostra storia, la nostra favola» le scrisse, abbandonandosi a un pianto liberatorio.
Per tutta risposta, nel display del suo dispositivo ricevette una miriade di emoji di natura romantica.
Un'ora dopo entrambi si presentarono all'appuntamento emozionati come non mai.
«Non mi sembra vero» sussurrò Lavinia ad Alessandro perdendosi nei suoi occhi.
E tra baci, carezze ed abbracci, un meraviglioso tramonto fece da cornice al loro amore finalmente sbocciato.
Franco Colandrea, "A mio figlio Paolo"
Franco Colandrea
A mio figlio Paolo (Dialoghi d’amore)
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede si può definire come il diario di un’anima, di un padre che ha perduto prematuramente un figlio, e così la morte del figlio Paolo diviene per Franco Colandrea occasione di uno scritto che virtualmente è indirizzato al figlio stesso; non un monologo, ma Dialoghi d’amore, come suggerisce il sottotitolo del volume.
Il tema della morte di un figlio è stato già oggetto di opere letterarie come per esempio il libro di poesia Il dolore di Giuseppe Ungaretti e la letteratura diviene così strumento per la rielaborazione del lutto e del resto scrivere è sempre qualcosa di salvifico.
Il libro presenta una prefazione esauriente e ricca di acribia di Floriano Romboli intitolata L’intensità di un amore senza confini.
A livello strutturale il testo è costituito da una sequenza di brevi frammenti tutti forniti di titolo e il linguaggio usato da Colandrea è chiaro e icastico.
Ricorre il tema del ricordo del sorriso di Paolo e il padre rievoca momenti felici a contatto con la natura passati insieme.
L’interlocutore dell’io-narrante è Paolo al quale Franco si rivolge come se gli mandasse lettere o messaggi in bottiglia, come se fosse una presenza-assenza e Colandrea, con queste missive destinate al figlio scomparso, ne riattualizza il ricordo attraverso la memoria involontaria in modo positivo e costruttivo per rivivere nello scatto e scarto memoriale i momenti belli passati con lui.
Si può considerare architettonicamente questo volume come una serie di flash che descrivono situazioni profonde a livello affettivo tra un padre e un figlio molto legati tra loro e le situazioni descritte sono ambientate soprattutto nel tempo dell’infanzia di Paolo, anima in formazione sensibile e felice, anche perché ha la fortuna di avere un padre lungimirante, buono e intelligente che gli vuole veramente bene, e credo che ogni lettore-genitore può identificarsi tout-court con l’io narrante.
Una natura idilliaca fa spesso da sfondo, da cornice al binomio padre-figlio e anche il sogno e il sogno ad occhi aperti fanno parte delle tematiche espresse dall’autore.
Molto suggestivo il frammento intitolato Un fiore nella notte dove è presente il tema della metamorfosi quando l’autore dice di vedere gli occhi scuri e profondi di Paolo e l’Io del figlio mostra al padre un fiore nero e Franco gli svela l’enigma dicendo che quel fiore è il fiore della notte, del buio e dell’oblio ed è egli stesso.
Libro intelligente e felice che, pur partendo dal dato incontrovertibile del dolore, tramite l’esercizio di conoscenza e la riattualizzazione di situazioni passate, diviene salvifico e serve a rinnovare la gioia dell’amore nella sua inscindibile relazione proprio con la stessa morte.
Raffaele Piazza
Franco Colandrea, A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-40-0, mianoposta@gmail.com.
Wanda Lombardi, "Tempi inquieti e altre poesie"
Tempi inquieti e altre poesie
Wanda Lombardi
Guido Miano Editore, Milano 2024
Torno a visitare il mondo di Wanda Lombardi, poetessa di Morcone, in provincia di Benevento, che mi sembra di conoscere da sempre. Ho percorso il viaggio a ritroso nel suo lirismo e nella sua esistenza attraverso l’Opera Omnia (2023), e sono consapevole che si tratta di una voce polifonica e di rara purezza, che ruota attraverso l’inquietudine, il misticismo e la natura.
La presente raccolta poetica ci riconduce alla sua fuga interiore, segno di un’intensa, inesausta vitalità dell’anima, mai paga del quotidiano, tesa a una meta degna dei suoi sforzi e dei suoi ideali, pur consapevole, per dirla con Vincenzo Cardarelli e la lirica Gabbiani, che il suo destino è «vivere balenando in burrasca». La cittadina nella quale l’autrice vive da sempre ha intriso la sua indole di vicoli che cercano spiragli, di scale che vorrebbero arrivare al cielo, ed è divenuta un tutt’uno con la sua intensa spiritualità: «…Il cinguettio di uccelli, / un gorgogliante rio / e da presso i rintocchi lieti / di campane della vicina chiesa / mi scuotono al loro ritmo / si affianca il cuore / in una sorta di condivisione e amore…» (La musica della vita).
Il tessuto artistico della Nostra è cucito alle radici, che rendono melodia i suoi versi; ella trae forza per affrontare le fatiche del vivere dalle atmosfere morbide, variegate del Sannio, territorio campano che raggiunge il litorale del Molise e del basso Abruzzo. Forse la sua stessa scrittura caratterizzata da una molteplicità di suoni trae origine dalla struttura variegata della regione. Il tempo di Wanda Lombardi è stato travagliato, il lirismo ne è calda, superba testimonianza, e mi viene da pensare a un’ulteriore similitudine con l’asprezza e il coraggio atavico dei sanniti, che seppero evitare le sottomissioni ai romani e opporsi ai periodi difficili. Non a caso la poesia Nell’andare recita: «Nei giovanissimi anni / ho camminato con immane dolore / che stretto ho serrato nel cuore / dinanzi a muri di ferro…».
Le sue sofferenze hanno avuto inizio negli anni della giovinezza, quelli in cui tutti abbiamo potuto tenere aperti gli oblò della speranza, perché era considerato un diritto inalienabile. Anche i grandi della nostra Letteratura, ai quali l’Autrice si ispira, descrivono gli anni giovanili in modo lieto e luminoso. Molti critici hanno definito nichilista il versificare della Nostra, e non si può dar loro torto, sebbene io scorga dietro i «muri di ferro» il concetto eracliteo dell’armonia dei contrari, la capacità del suo mondo di reggersi, di rimanere in tensione, di continuare a stupirsi: «…Malgrado gli alti e bassi, / meravigliosa è la vita / ché anche i momenti bui / forza ridanno…» (La collana della vita).
I punti di debolezza si trasformano spesso in risorse, si distilla da essi la forza per affrontare le difficoltà. E l’equilibrio tra gli opposti consente alla Lombardi di calarsi nel sociale con sguardo caldo di pietas, valutando i pericoli del male, schegge di guerra in periodi bui come quello che attraversiamo. Si coglie nei suoi versi l’esortazione a non cadere nella trappola degli oltraggi, dei pregiudizi, delle offese. Il richiamo suadente a creare ponti verso il prossimo è adamantina esplicitazione della fede, che consente all’uomo di sentirsi saldo perché appoggiato a qualcuno molto più forte e giusto di lui. Ella crede nel Dio che ha creato gli uomini, non nell’idea del Signore creata dagli esseri umani: «…Rotte difficili da seguire / e delusa pensa che i segreti / del cielo e del mare / sono solo nella mente di Dio» (Desiderio d’infinito).
In questa nuova, breve raccolta di poesie la Lombardi si sofferma sul tempo che stiamo vivendo, sull’intelligenza artificiale, ovvero l’abilità delle macchine di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento e la creatività. Nella lirica Il tempo della velocità scrive: «…in un’epoca in cui sempre più veloci andiamo, / spesso dimentichiamo la necessità / di pensare, di usare il cervello / che tempi più lenti ha per lavorare…». Ed è evidente che per una poetessa il ricorso ai computer per pensare equivale a un’epidemia di sfiducia verso il futuro. Inoltre la sua lunga carriera di insegnante le ha dato modo di instaurare rapporti empatici con i ragazzi, di capire le loro esigenze, le loro fragilità. Non vuole credere che si potranno trasmettere valori alle nuove generazioni attraverso la robotica, sebbene le evidenze dimostrino che la maggior parte degli studenti faccia ricorso all’intelligenza artificiale.
La Lombardi sa dove rifugiarsi per rigenerare la mente e il corpo: tra i miracoli di madre natura. Albert Einstein asseriva che «Ogni cosa che si può immaginare, la natura l’ha già creata», e potremmo aggiungere che l’universo infinito del creato non rappresenta un luogo da visitare, è casa nostra. Purtroppo non siamo stati bravi nel rispettare un simile dono, lo abbiamo offeso, tradito, inquinato. L’Autrice dinanzi a un prato verde, a una vetta, ai fiori, al cinguettare degli uccelli si apre alla chiarezza, alla semplicità, cancella gli egoismi e pratica il rispetto. Nutre la consapevolezza che l’individuo diventa ciò che si lascia costruire attorno e che destrutturarsi equivale a restare se stessi: «Nella solitudine che deprime / amo percorrere sentieri / che non s’impongono; / essi ti ascoltano con pacatezza, / a fidarti ti invitano e a riflettere…» (Sentieri).
Struggenti i ricordi degli amori volati in cielo; l’assenza, già compagna di vita dell’Autrice, si materializza di fronte alle perdite, ma subentra il suo senso eracliteo laddove recita che la sofferenza degli addii è compensata dalla gioia di aver potuto vivere gli amori. La memoria li rende immortali. In A mio fratello Ubaldo si leva il canto più straziante: «Tenero germoglio / maldestramente strappato, / piccola goccia d’acqua / nell’aere dispersa / tu, Ubaldo, che della mamma il volto avevi e il cuore…».
Alla silloge Tempi inquieti fa seguito una breve raccolta dal titolo indicativo: Perché nulla vada perduto, quattordici componimenti estratti da opere precedenti al fine di rendere esaustiva la sua melodia. La poesia che spalanca le isole del passato la conosco bene e la reputo un gioiello a livello contenutistico e formale: «Eri venuto da lontano / a portare il tuo messaggio di speranza, / a ravvivare la nostra fede spenta…» (A Papa Wojtyla). In questi versi la Lombardi dimostra che colui che ha fede avverte l’esigenza di incontrare una persona illuminata, di sperimentare la gioia di essere di fronte a qualcuno che permetta di vibrare sullo stesso registro.
Il percorso verso la spiritualità è un cammino di crescita e di apprendimento permanenti. Il misticismo rivela un modo per avere conoscenza. Si può considerare vicino alla filosofia, tranne per il fatto che in quest’ultima il metodo di indagine è orizzontale, mentre nel misticismo è verticale. Ho già avuto modo di soffermarmi sulle concezioni religiose della meravigliosa poetessa sannita, mettendo in rilievo che i mistici non sono pensatori, ma artisti segreti: poeti senza versi; pittori senza pennello, musicisti senza note. Lei possiede la forza granitica dei versi e sa distillarla anche per la scrittura in prosa.
La cifra stilistica di Wanda Lombardi è priva di ogni figura retorica, eccezion fatta per le similitudini. Ricorre in alcune occasioni all’adozione di splendidi endecasillabi, che dimostrano la sua conoscenza delle basi della poesia. La musicalità è assordante. Stordisce i sensi, li addestra a nuovi tipi di ascolto. Il merito è soprattutto del ritmo, dato dalla posizione degli accenti tonici sulle vocali più evidenziate nella pronuncia. Nel suo caso il ritmo è naturale, i suoni sono aperti, tremano, aumentano la tensione emotiva. Si può senza dubbio parlare di un’artista ispirata. E il pensiero va ai greci che ritenevano il poeta ispirato quando cadeva in estasi e veniva trasportato vicino ai pensieri di Dio.
Pur non potendo parlare di condizione estatica, credo sia evidente che la Lombardi possieda la funzione mentale che consente di percepire le cose materiali e spirituali senza passare attraverso la logica. Non concepisce i tecnicismi, sa guardare oltre le cose ed è visionaria nel senso positivo del termine, in quanto sa anticipare ciò che deve nascere elaborando disegni che possono dirsi rivelazioni. Non credo possa esistere un poeta realista, è ossimorica la stessa definizione. Il motore del visionario è il coraggio, oltre alla creatività. E la cara, carissima poetessa delle valli che conosco bene, porta in sé il coraggio delle ferite. In natura l’ostrica produce la perla se viene offesa e resa inabitabile da corpi estranei. La conchiglia produce la madreperla per proteggere il corpo indifeso; e forma splendide perle lucenti, pregiate e diverse l’una dall’altra. Senza il dolore l’ostrica non produrrebbe perle. Si tratta di una metafora ardita, ma a mio umile avviso adatta a una donna che si è rivelata combattente in ogni giorno della sua esistenza e ha trasformato le lesioni dell’anima in perle lucenti che scaldano i giorni e le vite di coloro che le leggono e le trattengono nei cuori.
Io mi ritengo una prescelta e voglio ringraziare l’artista che sa «lenire l’altrui dolore», «avvicinarsi agli umili» e comprendere la parola di Dio. Se i critici sono deputati alle esegesi del suo dire, io entro in comunione con la sua essenza, respiro le sue storie, imparo la danza lenta del tempo e m’inchino a ogni perla deposta sul greto del Calore.
Maria Rizzi
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L’AUTRICE
Wanda Lombardi è nata e vive a Morcone (Benevento), città dell’Alto Sannio. Laureata in Pedagogia, ha insegnato Materie Letterarie nelle scuole secondarie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Sensazioni (2001), Nel silenzio (2002), Luce nella sera (2011), Oltre il tempo (2015), Voci dell’anima (2016), Gocce di rugiada (2017), Attimi lievi (2018), Il senso della vita (2019), Nel vento dell’esistere (2020, con traduzione in inglese), Volo nell’Arte (2021), Miti e realtà (2022), Opera Omnia (2013). I libri di narrativa: Proverbi e modi di dire morconesi (2008), Racconti fiabeschi, letture per la scuola (2011). I romanzi: L’eco del passato (2012), Sulla scia del destino (Poppi 2016). I testi teatrali: La fortuna dietro l’angolo, commedia in tre atti (2013), Una volta… c’era, commedia in tre atti (2014), Ce la faremo, commedia in tre atti (2016).
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Wanda Lombardi, Tempi inquieti e altre poesie, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 60, isbn 979-12-81351-38-7, mianoposta@gmail.com.
Tommaso Tommasi, "Poesogni"
Tommaso Tommasi
L’argomento dei sogni, della vita onirica, è l’esclusività di questa pubblicazione dello scrittore marchigiano, vivente nella bergamasca, Tommaso Tommasi. Il libro è stato edito nel luglio 2024 a Milano dalla Casa Editrice Guido Miano, nella collana di testi letterari “Alcyone 2000”. Reca come sottotitolo “Poesie e sogni”: si tratta infatti di un’opera costituita dall’alternanza di prosa e poesia, dal racconto dei sogni personali dell’autore, intervallati da brevi liriche. La prefazione è stata scritta da Michele Miano il quale colloca “Poesie e sogni” come la continuazione delle due opere precedenti, Ripamaro (2020) e Lamodeca (2022), in una trilogia ideale a formare “... un percorso di vita e sperimentazione linguistica”. In esergo l’autore presenta quattro versi che forse vogliono essere una traccia di lettura di tutto il complesso dei suoi testi che si sviluppano in seguito: “Vivo per sognare. / Il sogno è poesia. / Ma poi mi sveglio e trovo / intorno a me il mondo”. Il racconto della vita onirica notturna si avvale di una prosa semplice, diretta, senza pretese letterarie, ricordando i sogni che lo hanno visitato nelle fasi di sonno dell’esistenza, quasi una scrittura a briglia sciolta che sembra essere un outing dovuto ai prodotti immaginari del proprio inconscio, mentre le poesie che si intervallano posseggono un valore lirico superiore, un’intensità elevata, uno spettro immaginifico e creativo di grande suggestione ed attrattiva, pur lasciando spesso il lettore alle prese con l’interpretazione del maggior numero di esse.
Una parte delle narrazioni svela che si tratta di sogni interrotti ed il risveglio è di natura bipolare, così come il contenuto delle vicende oniriche: in altre parole il mondo dei sogni di Tommasi ha sia delle caratteristiche rosee, romantiche, amorose, positive, sia delle connotazioni contrarie, ovvero ha più senso parlare, in quei frangenti, di incubi, trame noir, situazioni angosciose (forse un po’ alla Edgar Allan Poe), negatività. Tant’è vero che abbastanza di frequente ricorre la frase: “per fortuna mi sono svegliato” (allocuzione posta anche al termine del libro, dopo l’ultimo sogno, Il mare di plastica, nel cui finale l’autore scrive: “... E poi mi trovai a galleggiare insieme a tanti oggetti di plastica. Intorno alla mia barca non c’erano più pesci, ma tanti oggetti colorati, che avevano trasformato il mare in qualcosa di orribile”). Dunque ecco che il contrasto fra sogni e realtà si può invertire rispetto a quel che comunemente si pensa: la vita onirica non è solo un viaggio beato tra le nuvole, ma si può trasformare – l’esperienza lo insegna ed anche nell’autore è così – in un viaggio all’inferno, con notti agitate e improvvisi risvegli accompagnati da stati di panico. Un altro aspetto che appare dai racconti di Tommasi è quello dei sogni-presentimento, come l’esempio sopra citato del mare di plastica, rischio di un inquinamento ambientale reale.
Narrando dei propri sogni l’autore si tiene lontano da ogni interpretazione psicanalitica (scuola freudiana, adleriana, junghiana) ma, come recita chiaramente il titolo del libro, ne trae ispirazione poetica, anche se il legame tra un sogno e la relativa lirica non è quasi mai evidente, dal momento che la raffigurazione traslata dei significati è estremamente soggettiva e quindi conosciuta in ultima analisi solo da chi la compie. Occorre ancora tener conto del linguaggio criptico, esoterico, ermetico dei testi per completare il quadro dell’irrazionalismo imperante nell’opera, del resto già insito nella materia onirica, la quale deriva da una dimensione della nostra psiche per definizione illogica, inconscia e quindi non controllabile dalla volontà e dalla ragione. Ne sono testimonianza diverse composizioni che rappresentano il sentire del poeta, il cui lessico – pur affascinante e intrigante – può sconcertare per la sua enigmatica natura: “Il diapason del merlettaio / ramifica l’ossequio del poliglotta / e gorgheggia sul monolite d’acciaio” (senza titolo); “L’apparenza sconquassa / come un cacciatore / che racconta di sommergibili / arrugginiti dell’isola / dove il tramonto dell’eloquenza / emana un iter istintivo” (senza titolo). Altrove invece il messaggio si comunica con più comprensione: “Mi sono allontanato / dal cerchio di fuoco: / non seguirò più / le lunghe strade / che non hanno / orizzonti limpidi: / resterò solo / sulle strade del cuore” (senza titolo). Tommasi ha sentito il bisogno di dar luce ai propri sogni sognati traendone poesia: potrebbe essere una nuova strada per il futuro.
Enzo Concardi
Tommaso Tommasi, Poesogni - Poesie e sogni, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-36-3, mianoposta@gmail.com.