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Gli aiutanti di Babbo Natale

24 Dicembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #unasettimanamagica

 

 

 

 

Tutti sanno che gli elfi, i folletti e gli gnomi sono creature delle foreste, delle montagne e dei boschi, ma nessuno sa del loro impiego al Polo Nord, grazie a uno stratagemma del signor Natale, il soprastante di Santa Claus Town.

Come avvengono le furbissime operazioni di reclutamento? Semplice: a causa della massiccia deforestazione e dell'inarrestabile urbanizzazione, tali figure non hanno un posto dove andare, pertanto l'unico modo per garantirsi un tetto sopra la testa, nonché di portare la cioccolata in tavola, è quello di lavorare duramente. 

Le numerose mansioni lavorative prevedono ad esempio la fabbricazione dei giocattoli, gli impacchettamenti, e la gestione della corrispondenza. Ecco, riguardo la posta, al contrario di quanto si possa credere, le letterine indirizzate non vengono affidate al diretto interessato. Quest’ultimo, al massimo, si occupa del “bestiame” e di accendere i tantissimi camini disseminati nel casermone costruito in blocchi di cemento di neve.

Da segnalare che l’omone grosso in rosso con la barba bianca riesce benissimo a tenere gli operatori in riga o, per dirla in altri termini, con due piedi in un natalizio stivale, inoltre non ha affatto bisogno di guardie oppure di telecamere per sorvegliare il personale in caso di evasioni.

A tal proposito, avventurarsi all'esterno del gigantesco igloo risulta una pessima idea in quanto gelarsi ed essere presi in consegna da quelli della Findus è sicuro come le renne che stanno in cielo. 

 

 

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La cintura di Babbo Natale

23 Dicembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #unasettimanamagica

 

 

 

 

Il caro Babbo Natale non indossa la cintura soltanto per stringersi i pantaloni, difatti la ritengo persino tecnologica, simile a quella di Batman. In fin dei conti, come può un individuo del genere entrare in ogni casa, calarsi dai camini, decifrare codici di sicurezza, aprire serrature, papparsi latte e biscotti, lasciare pacchi e pacchettini e infine svignarsela senza farsi notare? 

Immagino poi che la sua toghissima cintura sia facilmente slacciabile, quindi pratica e funzionale anche per altre… esigenze.

Pensateci. Il suddetto viaggia intorno al mondo e, nell'introdursi nelle abitazioni, non credo che si scomodi a cercare il bagno per una copiosa pisciata. Perché copiosa? Eh, con tutte le bottiglie che si scola! Di Coca Cola, intendo. A tal proposito, la mattina di Natale, nell'eventualità di trovare una pozza giallognola sotto l'albero, non bisogna dare la colpa al nonno o al cane. Ebbene sì, al tizio grosso in rosso quando scappa scappa, pertanto sarebbe ingiusto biasimarlo, del resto stiamo parlando di un signore decisamente anziano e pieno di reumatismi che annualmente si prende la briga di partire dal Polo Nord per portare regali a tutti, belli e brutti.

Traggo le mie conclusioni rimaneggiando un noto proverbio: «A renna donata non si piscia in bocca»

 

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Roma che non abbozza

22 Dicembre 2022 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #le recensioni pazze di walter fest, #recensioni, #cinema, #teatro, #unasettimanamagica

 

 
 
 
 
 
Le feste di Natale sono tanto belle ma per me diventano un vero stress, finalmente ho finito il mio turno serale al centro commerciale. Cinquanta euro al giorno per vestirmi da babbo Natale e poi farmi fotografare da tutti i visitatori sono proprio soldi guadagnati con fatica e ora eccomi qua a bordo della mia 500 per ritornare a casa, spogliarmi del costume e poi cucinare due spaghetti al volo. 
Azz! La macchina  è rossa, io sono vestito di rosso e la spia della benzina è pure a rosso fisso, al primo benzinaio mi devo fermare, sarò pure babbo Natale ma mica posso fare miracoli. Infatti la 500 senza bumba non carbura, adesso borbotta, zoppica, sobbalza, cazzo si sta per fermare, sono rimasto a secco.
La mando a folle, che culo, mi trovo su Viale Regina Margherita, vedo un cancello aperto, per istinto mi ci ficco. Sono arrivato a vela, parcheggio dove capita, perbacco, non ho molte alternative, preferisco qua che in mezzo alla strada.
Ma dove mi trovo? Bella questa palazzina, chissà se adesso mi prestano una tanichetta per fare rifornimento. Entro e vado a chiedere, di fuori su una  targa vedo scritto “Anica”. Anica? Ma sarà la sede della celebre associazione? Vabbè, speriamo che dentro trovi qualcuno che mi dia una mano.
 
Il  malcapitato, cioè io, sale le scale, si guarda intorno ma non vede nessuno. 
 
- Ciao, babbo Natale.
 
- Ah! Meno male che c’è  qualcuno. Chiedo scusa, sono rimasto senza benzina e ho dovuto parcheggiare qua da voi, mica avreste da prestarmi una tanichetta, un recipiente qualsiasi per andare dal benzinaio, che dopo ve  la riporto?
 
- Boh? Forse sì, ma prima le farebbe piacere entrare?
 
Lui chi è? E' un tizio sulla cinquantina, cicciottello, in testa un cappello da cow boy e due baffetti da sparviero (omaggio a Gianfranco D'Angelo). Il sorriso è ammaliante e, con un gesto accomodante, fa entrare Babbo Natale in una sala vuota.
 
- Ma questa è una sala cinematografica?
 
- Sì, bella vero? La prego, sediamoci, sta per iniziare lo spettacolo.
 
Buio in sala, scorrono i primi titoli di testa, Roma che non abbozza scritto da Claudio Oldani per la regia di Paolo Battisti.
 
- Babbo Natale, possiamo darci  del tu? Adesso non mi fare troppe domande, vedrai che ti piacerà.
 
La storia, che adesso sta per essere proiettata, è ambientata a Roma nel 1867. Tutto si svolge su una piazzetta come tante altre, da una parte c’è una fontanella, davanti la facciata d'una casa, poi un portone, una finestra e un'osteria, fuori dalla quale due botti di vino, sedie e un tavolino.
A quel tempo c'era un fermento di cambiamento e i giovani, insieme ai  garibaldini, volevano ribellarsi al potere temporale. Il popolo, composto da gente semplice, onesta e dal cuore grande, ha scritto pagine di storia senza che nessuno le abbia mai fatto un monumento o un ricordo alla memoria.
Solo la gente dei rioni sapeva come erano veramente andate le cose. Uomini, donne, vecchi e ragazzini, passata la buriana, hanno, giorno dopo giorno, fatto Roma come la conosciamo adesso.
Mentre gli anni passavano e la storia cambiava, eccoci arrivati ai primi del ‘900. Il popolo è sempre lo stesso e pure la gente che comanda non sempre fa della giustizia regola di vita. Mica è bello, ma i Romani hanno fede e tirano avanti senza abbozzare, perfino nel momento più buio e assurdo della storia dell’umanità, nel 44 della seconda guerra.
E così l'osteria diventa un forno, il tranviere perde il lavoro per non aver aderito e fatto la tessera del partito, un figlio parte in guerra alla conquista della colonia africana perché con il padre non si comprende. Salvo che poi nel finale la verità - e il cuore della gente che non ha perso la speranza - decide che è arrivato il momento di finirla con la prepotenza.
La storia è piena di sangue versato e di impari lotta, ma il sacrificio non è stato vano, Roma ha retto botta e dobbiamo solo dire grazie a questa brava gente, veri eroi che dei più neanche sappiamo il nome.
 
- Allora, ti è  piaciuta?
 
- Ma quello che ho visto è stato uno spettacolo teatrale?
 
-Sì, oh! Che sbadato che sono, non mi sono neanche presentato. Sono Paolo Battisti e, mi raccomando, sta in campana. Se mi dici che sono parente di Lucio, mi incazzo.
 
- Ma che scherzi? Piacere mio mi, mi, mi chiamo Armando, per gli 'amici “Zagaja”. Ecco, lo  sapevo, adesso che mi son, che, che, che, che mi son emozionato, comincio a balbettare.
 
- Tranquillo, bevi un goccetto.
 
Paolo porge ad Armando una boccetta.
 
- Ammazza, bono, ma che robba è?
 
- Disinteressati, bevi, e vedrai che adesso ti passa tutto.
 
- Ma che sei un mago?
 
- No, sono il regista di Roma che non abbozza e questa boccetta è un ricetta di mia nonna. Allora, cosa dicevamo?
 
- Insomma, quello che ho visto l'avete fatto a teatro vero?
 
- Sì, nel mese di Giugno del 2022, è stato portato in scena qui a Roma al teatro Garbatella, scritto da Claudio. La regia è stata mia, hanno partecipato come attori più di venti persone, insomma, un lavorone. E adesso, grazie ad Augustarello, hai potuto assistere  a questa proiezione.
 
- A Paolè, ma lo sai che il testo era vera poesia? Oh! Secondo me i dialoghi avevano un certo non so che di veramente poetico. Accipicchia, ma chi l'ha scritto è stato proprio bravo! E poi lo sai che è stata proprio una bella idea? 
 
- Quale?
 
- Quella di narrare le vicende di  questi protagonisti di generazione in generazione. Ma lo sai che assomiglia  tanto a quello della mia famiglia?
 
- Certamente simile alla tua e a quella di tanti altri romani.
 
- Per esempio devi sapere che mio padre era del 1922 e poteva essere il fornaretto, mio nonno, che non ho mai conosciuto, non ricordo, forse era nato nel 1898 e magari faceva proprio il tranviere. E Vincenzo, il mio bisnonno, sono quasi sicuro che faceva il carrettiere. Immagina che quando tornava la sera a casa s'addormentava sul carretto con la pipa in bocca. E il cavallo, che di nome faceva Garibaldi, per fortuna conosceva la strada, trucche, trucche cavalluccio, e così il padre di mio nonno non perdeva mai la strada di casa. A Paolè, sai che tè dico? 
 
- Dimmi tutto.
 
- Che tu questa storia la devi continuare. Dammi retta, organizza un altro spettacolo teatrale che inizi con la fine della guerra, gli anni '50 con la ricostruzione, e poi prosegui con gli anni ‘60, il boom economico, per poi passare agli anni ‘70 - 80, quelli della contestazione e della violenza, poi gli anni ‘90 del consumismo e della finzione, poi il 2000 fino ai giorni nostri, che pertanto è storia recente. Trova una famiglia a caso, se non c’è  la puoi inventare, mica vuoi dirmi che ti manca la fantasia?
 
- Direi di no e poi?
 
- E poi la morale della favola è che, essendo ora la nostra una vita che va tutto alla rovescia, il messaggio che dovete dare è di ottimismo e di fiducia nel cuore della gente e nella testa. L'unico pensiero è di volerci bene, che la vita è bella ed è una sola, che il paradiso noi lo abbiamo già qua e che, pure dopo secoli di idiozia, verrà il momento di pacifica normalità, dove tutti lavoriamo, studiamo e ci divertiamo, che Roma della pace è capitale e questa nazione della cultura è il faro, che ne dici, si può fare?
 
- Ci devo pensare.
 
- A proposito di robba forte, con te credo che prima t’ho dato la boccetta sbagliata.
 
-E perché? 
 
-Mi sembri troppo gasato.
 
-A Paolè, devi avere fiducia in babbo Natale.
 
- Sarai pure gasato ma sei pure rimasto senza benzina!
 
- A proposito, ma ce l’hai una tanichetta? E voi, mica ci avreste cinque euro da prestarmi? 
 
Amici lettori di signoradeifiltri, buon Natale a tutti, e per tutti pace, serenità e felicità per l’anno che verrà, un 2023 migliore dei precedenti, un nuovo anno che ci ripaghi, che ci consoli, che ci regali tutto quello che abbiamo perso e il destino avverso ci ha negato.
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I PREMI FINALI DEL 48 HOUR FILM PROJECT ITALIA XVI edizione

21 Dicembre 2022 , Scritto da Redazione Con tag #eventi, #cinema


 

 

 

 

 

Con la premiazione presso il Teatro Italia di Roma si è conclusa la sedicesima edizione di 48 Hour Film Project Italia, competizione cinematografica che coinvolge 140 città in 5 continenti e Roma come unica tappa italiana. Dopo Los Angeles, Parigi, Shanghai anche Roma, nel weekend tra il 18 e il 20 novembre scorso, è stata invasa da centinaia di giovani e agguerriti professionisti del cinema impegnati nella realizzazione di un cortometraggio in sole 48 ore. L'evento, prodotto e organizzato da Le Bestevem - Tania Innamorati, Eva Basteiro-Bertoli ed Ester Stigliano – ha visto come film vincitore il corto 'Con il piede giusto', diretto da Ivana Gloria realizzato con la squadra Finché c’è vita, che gareggerà con i cortometraggi provenienti da tutto il mondo al Filmpalooza 2023. Qui, oltre al Gran Premio finale, potrà aggiudicarsi la possibilità di concorrere nella sezione Court Métrage al Festival di Cannes 2023.

La Giuria del 48 Hour Film Project Italia 2022, composta dal regista e sceneggiatore Paolo Virzì, dalla sceneggiatrice Heidrun Schleef, dal direttore della fotografia, il Premio Oscar Philippe Rousselot, dal montatore Bernat Vilaplana, dallo scenografo Massimiliano Sturiale, dal tecnico del suono Maricetta Lombardo e dalla truccatrice Jana Carboni, ha premiato:

Miglior corto: 'Con il piede giusto', diretto da Ivana Gloria, della squadra Finché c’è vita

Miglior regia: Ivana Gloria per 'Con il piede giusto', della squadra Finché c’è vita

Miglior sceneggiatura: Ivana Gloria per 'Con il piede giusto', della squadra Finché c’è vita

Migliore attrice: Brigitta Fiertler per il corto 'Change' della squadra Onda’s corporation

Miglior attore: Filippo Contri per il corto 'A tempo debito' della squadra Real Regaz

Miglior fotografia: Marco Ranieri per 'Togli un posto a tavola' della squadra Viaggi organizzati

 

Miglior trucco e acconciatura: Sveva Germana Viesti per il corto 'Lacryma' della squadra Pellicola Produzioni

Migliori costumi: Sara Marino per 'Fitoterapia' della squadra Class97

Miglior scenografia: Roberta Infante per 'No plant B' della squadra EffettoNotte

Miglior suono: Riccardo De Cillis e Lorenzo Di Tria per 'Uncoming out' della squadra The happy hours

Migliore colonna sonora: Maria Chiara Casa per 'No plant B' della squadra EffettoNotte

 

Miglior montaggio: Amelia Sartorelli per 'Oxy bar' della squadra I Marchetta


E' stato anche consegnato il Premio del Pubblico al corto 'Ancora in fiore' della squadra Filma Manent, che ha totalizzato 1007 commenti su YouTube

Questa sedicesima edizione del 48HFP è stata – dichiara la direzione artistica de Le Bestevem - molto difficile da organizzare sia in termini di risorse economiche a disposizione che di disponibilità delle location. Tornare in presenza dopo due anni di pandemia e due edizioni digitali è stato, in termini organizzativi, molto difficile, tra sale e teatri chiusi e costi di affitto triplicati. Nonostante tutto, abbiamo registrato un aumento esponenziale dei numeri delle squadre iscritte e del riscontro sui social, concludendo meravigliosamente questa edizione. Possiamo anticipare con orgoglio che il successo delle edizioni italiane non è passato inosservato: abbiamo in cantiere una enorme sorpresa per i partecipanti al concorso. La sveleremo a breve sui nostri canali social...”

Il 48 Hour Film Project Italia è un progetto promosso da Roma Capitale-Assessorato alla Cultura, è vincitore dell'Avviso Pubblico Contemporaneamente Roma 2020 – 2021 –2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE. È realizzato sotto l'altro patrocinio del Parlamento Europeo. New partners per la sedicesima edizione sono stati: @weshort_ e @pignetofilmfestival.

Per maggiori informazioni:
https://www.48hourfilm.com/it/rome-it
https://it-it.facebook.com/the48hourfilmproject.italia/
https://www.youtube.com/watch?v=lWc8ALP-eRE&list=PLrFF_CKcdIHotORbJc0baMzr9DIEftmfK
roma@48hourfilm.com

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Eckhart Tolle, "Il potere di adesso"

20 Dicembre 2022 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #saggi

 

 

 

 

Il potere di adesso

Eckhart Tolle

2013

 

Eckart Tolle, in realtà Ulrich Leonard, ma si è ribattezzato così in onore di Meister Eckart, il mistico. Affetto da una grave forma di depressione giovanile, Tolle racconta che, a 29 anni, in preda all'ennesimo crollo psicologico accompagnato da svariati pensieri suicidi, una mattina si sveglia e sperimenta la beatitudine. Ovvero, pur essendo disoccupato, senza fissa dimora, soldi nemmeno a parlarne, per 6 mesi vive come un vagabondo provando una gioia pura nei confronti della Vita. Egli riconduce tale stato al crollo della cosiddetta mente egoica, quello strumento potente e affilatissimo che ci aiuta ad essere precisi ed efficienti ma che se non tenuto a bada ci procura innumerevoli sofferenze per rimuginio interiore, e nutrimento del cosiddetto "corpo di dolore". Quest'ultimo è semplicemente lo stato di sofferenza che viene alimentato di continuo dai nostri pensieri, dalla nostra immaginazione, dalle nostre supposizioni che nulla hanno a che vedere con la realtà, a noi celata dal velo di Maya. Il potere di adesso è il riconoscimento del qui e ora, dell'osservazione della nostra mente come testimoni esterni, constatando come ci rovina la vita e "abbassarne il volume", affinché il cuore e l'anima possano permetterci di agire nel mondo provando la pace interiore, che, a differenza della felicità, non dipende da fattori esterni. Tanti gli argomenti affrontati nel libro quali le relazioni di coppia, l'emotività femminile legata ai cicli ormonali, il lasciare andare e affidarsi alla vita, tanto che più che un libro da leggere, è un vero e proprio manuale da tenere sul comodino per consultazione. Molto divulgativo e esemplificativo, non lo suggerirei tuttavia come primissimo approccio alla spiritualità.

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Antonio Crisci, "L'uomo di ghiaccio"

14 Dicembre 2022 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni

 

 

 

 

Antonio Crisci

L’UOMO DI GHIACCIO

II° edizione

 

 

È un bel regalo che Antonio Crisci riproponga il racconto L’uomo di ghiaccio, seconda edizione, per i tipi di Guido Miano Editore. Nell’introduzione, Michele Miano giustamente richiama Centomila gavette di ghiaccio (1963) di Giulio Bedeschi (1915-1990); ma si possono fare anche altri accostamenti a cronache e racconti “di guerra”, più o meno noti al grande pubblico. In questo filone si colloca a pieno diritto il lungo racconto di Antonio Crisci, che è molto coinvolgente, anche se non ha (e non potrebbe avere, dato che l’Autore riferisce vicende vissute da altri, non da lui personalmente) l’immediatezza della vena contestatrice e corrosiva del romanzo/cronaca (però riferito alla I guerra mondiale) Un anno sull’altopiano (1937) di Emilio Lussu (1890-1975), né l’ampiezza descrittiva e la capacità di intravedere, pur nelle più tremende vicende belliche (della II guerra, in questo caso), la forza rinnovatrice della fede che troviamo nel racconto-cronaca di Eugenio Corti (1921-2014) I più non ritornano (1947 – uno dei primi resoconti diretti scritto da un reduce dalla campagna di Russia, di poco preceduto da Con l’armata italiana in Russia di Giusto Tolloy, del 1946, e contemporaneo all’uscita di Mai tardi di Nuto Revelli). Il Corti avrebbe ripreso l’argomento ne Il cavallo rosso (1983), e va ricordato anche il suo epistolario, uscito postumo, Io ritornerò (2015), impreziosito da fotografie scattate dall’autore stesso al tempo della ritirata dell’Armir tra la fine del 1942 ed il 1943.

Nel racconto del Crisci non vi sono invettive contro l’insensatezza della guerra, né si indugia sulle vicende della ritirata dell’Armir dalla Russia (circa 100 mila uomini, la stragrande maggioranza mai tornata), ma si segue il filo conduttore della ricerca dei circa 600 soldati e degli ufficiali italiani rimasti vivi pur dopo la loro deportazione nei famigerati gulag. Non pochi di loro decisero di restare in Russia, venendo in qualche modo dimenticati due volte. Se nel racconto c’è una nota polemica, è per stigmatizzare l’atteggiamento remissivo del PCI nei confronti dell’allora Unione sovietica: con meno pavidità, se il PCI avesse “spinto” tale ricerca, si sarebbero potuti certamente ritrovare molti dispersi, morti o ancora vivi, che invece rimasero quasi tutti tali.

Il racconto esordisce così: “Dopo troppi anni di oblio sarebbe doveroso dedicare un giorno alla memoria di questi innocenti e giovani martiri. Il tempo non ha cancellato l’ardimento e il sacrificio di giovani vite immolatesi per cause a loro non completamente note ma dettate dal senso del dovere e da ideali patriottici” (p.17). Si sviluppa in seguito con la narrazione di un intreccio di incontri più o meno casuali, come quello con la russa Natasha, e di personaggi che offrono spunti per allineare le vicende della ritirata di Russia, dei reduci e dei sopravvissuti fermatisi là. Infatti l’Autore riporta i racconti da lui uditi da parte di reduci della ritirata, come “zio Pasquale”, che nel salone del barbiere del paese racconta delle “marce del davai” (significa “va’ avanti”: i soldati russi lo ripetevano ai prigionieri italiani per farli camminare senza fermarsi – perché chi si fermava era perduto, o veniva giustiziato sul posto o veniva abbandonato e moriva di freddo); e racconta delle spie italiane che, in quanto comunisti convinti (o da se stessi o forse dai soldati sovietici), facevano da spalla ai “vincitori”.

Si inserisce qui la vicenda dei gemelli Aniello ed Alfonso, passati direttamente al fronte russo da quello albanese e greco, dove erano stati col fratello maggiore Vincenzo, tornato ferito in Italia. Aniello morì in Russia, mentre Alfonso (attorno al quale gira poi tutto il racconto) fu salvato da una famiglia russa nel gennaio 1943: un “miracolato”, perché - come nota l’autore - “La guerra con la sua ferocia rende duri anche gli animi inclini alla pietà” (p.65). Quasi incredibilmente, la storia di Alfonso si collega a Natasha, e ad altri ancora, come “zio Raffaele” e Ciro, in una linea temporale che giunge ai giorni nostri, attraversando vicende epocali come la caduta del muro di Berlino del novembre 1989.

Il tutto è reso con semplicità, il che rende avvincente la lettura di questa storia, vera ma anche romanzesca oltre che istruttiva.

Marco Zelioli

 

 

Antonio Crisci, L’uomo di ghiaccio, introduzione di Michele Miano, II° edizione, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 136, isbn 978-88-31497-91-6, mianoposta@gmail.com.

 

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Luca Masala, "Dappertutto stando fermi"

6 Dicembre 2022 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Dappertutto stando fermi di Luca Masala (L'Erudita, 2022 pp. 113 € 16.00) è un libro caratterizzato da una combattente espressività e da un'ampia intensità di significato. L'autore inscrive l'intuizione profonda dell'inquietudine attuale, attraversa l'abissale superficie del vuoto spirituale, comprende l'assenza di un principio solido di riferimento, sfida il conflitto ordinario contro l'estraneità emotiva, conosce il disorientamento esistenziale. La poesia di Luca Masala dichiara l'indefinibile disagio nei confronti della frammentata condizione vitale, lacera la crisi d'identità dell'uomo contemporaneo, rilegge la frenetica, contrastante, realistica spinta introspettiva. I testi evidenziano la crisi dei valori, aggiungono il suggestivo incedere dei sentimenti lungo il cammino imprevedibile della vita, confermano la propria autonomia stilistica, continuano a sostenere la spietatezza delle difficoltà e l'accusa dell'incomunicabilità. Il poeta accorda l'impulsiva necessità di orientare un senso poetico alle relazioni umane, alla concezione del mondo, ritrova nel passaggio elegiaco l'interpretazione della memoria e del tempo. Dappertutto stando fermi è un suggerimento felice che arriva a destinazione, oltrepassa l'accelerazione delle umane distrazioni istintive, promuove un percorso lungo il senso contemplativo del ritmo interiore, in viaggio intorno alla consapevolezza. Il libro ospita il luogo immutabile dei ricordi, racchiude la fragilità delle illusioni, scopre i frammenti della quiete. Luca Masala cerca la poesia in ogni ispirazione quotidiana, coglie l'essenza della qualità evocativa delle parole, ascolta la rivelazione del sentiero incontaminato dell'anima. Concentra la luce infinita della meraviglia scolpita nella sensazione dell'appartenenza, disegna la prospettiva indistinta della solitudine con immagini offerte al confronto con la realtà, nel precipizio di una distorsione temporale, nella metafora di una visione catartica. Rivolge lo sguardo all'entità romantica e dolorosa della misura etica della lontananza, tenta di ridurre la dilatazione della distanza e della vacuità. Dappertutto stando fermi raggiunge la sensibilità del cuore, il territorio stabilito della reciprocità affettiva, regola la frequenza viscerale, tocca il termine di una permanenza dentro la dimora significativa del sentire, nel riflesso contraddittorio tra la continuità e la dimenticanza. I versi circondano la cognizione invisibile del disincanto, l'impulso malinconico e amaro del sogno fatalmente perduto. La corrispondenza della natura umana, in ostinata lotta tra equilibrio e stabilità, orienta l'armonia della poesia, indirizza la simmetria costante della staticità sospesa verso una dinamica empatica delle esperienze, filtra il percorso della semplicità. La sostanza autentica di Luca Masala riflette l'autenticità e la purezza dell'arte poetica, compone l'estratto di ogni promessa di speranza, include la capacità profonda e coraggiosa dell'ascolto, l'efficacia confortante e sorprendente del pensiero. Luca Masala dichiara l'affabile sincerità, apre il solco tracciato della scrittura sulla strada della conoscenza, sulla complessità della dimensione percettiva, avvia la protezione della saggezza nelle tendenze innate dell’uomo.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

Arianima

 

Soffocare e guardare indietro

gli occhi negli occhi

a immaginare altezze

mai toccate

e scivolare

lungo la lama del vento

fiato di cristallo

un unico respiro

fino in fondo

nella parte visibile

dell'anima

 

Primavera

 

Alba di vita

piccolo sole che esplode negli occhi

ogni volta che vi guardo, figli miei,

un giorno di musica e luce

da vivere per sempre

mentre la bella giostra del mondo

compie ancora il suo giro

e solo per noi

 

Commiato

 

Passano, queste anime

rapide e terse

nello spazio di una vita

curvilinee e perse

illusorie di una meta

sulle immense strade del tempo.

 

Passano, senza fermarsi

amici e nemici

questi corpi convulsi

ignari del dolore

di non poter restare a lungo

nel miracolo della storia,

a guardarne il bagliore

a viverne il sogno.

 

Nel breve istante,

io con loro

andrò via

a fianco del rimpianto

solerte come un faro

che, indolente,

illumina da lontano

la metà sconosciuta

del niente

 

Frammento IV

 

“...E poi corro.

Per sentire il ritmo dei sogni

per abbracciare la mia solitudine

e tornare a respirare

con l'illusione fugace

che si può vivere per sempre.”

 

 

Frammento VIII

 

“...E nell'ombra

che odora di fresco

il tuo ricordo ritorna

per mescolarsi furtivo

con la notte”.

 

 

Frammento LXX

 

“...Toglierò dai tuoi occhi

i veli spietati del tempo

e tutto ti sarà chiaro.

Quel giorno scorgerai

immobile

il mio volto tra le stelle.”

 

 

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La porta rosa

1 Dicembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

La logora ma intrigante porta di un rosa antico attira la mia attenzione ogniqualvolta passo da questa abitazione. Immancabilmente, per circa un minuto, rimango a fissarla e a sfiorarla.

Nelle grigie e piovose giornate d'inverno, durante il mio passaggio, mi sembra di essere dentro un film surreale in bianco e nero nel quale viene dato "colore" a un oggetto chiave.

Dietro la rosea soglia immagino poi che ci abiti una bella fata con un bastoncino di zucchero filato capace di donare un po' di letizia ad anime tristi.

Proprio adesso sento una dolcissima musica provenire dall'interno della casa le cui note fluttuano nell'aria lasciando all'esterno un profumo che sa di carezze di menta piperita e baci di fragole. 

 

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Antonio Crisci, "L'uomo di ghiaccio"

30 Novembre 2022 , Scritto da Michele Miano Con tag #michele miano, #recensioni, #storia

 

 

 

Confesso di non essere all’altezza nel delineare alcuni aspetti delle vicende narrate in questo volume, l’immane tragedia del corpo di spedizione italiano dell’Armir in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

Ma ci riesce molto bene e in modo convincente Antonio Crisci, con piglio narrativo e stile asciutto a raccontare alcuni episodi accaduti e tramandati da parenti, amici e conoscenti reduci dalla Campagna di Russia.

Com’è noto l’8a Armata Italiana (nome in codice Armir: Armata italiana in Russia) alla fine del 1942 fu investita da una potenza di fuoco soverchiante ad opera dei sovietici e dovette quindi cedere terreno. Iniziò la tragedia della ritirata dei nostri soldati in larga parte truppe alpine scarsamente equipaggiate, una sorta di “Anabasi” dei nostri giorni, un’odissea in cui centinaia di migliaia di uomini congelati morirono di fame e stenti percorrendo a piedi mezza Europa o furono fatti prigionieri senza avere più notizie di loro.

Crisci ripercorre alcune tappe di questa avventura sciagurata, filtra e rielabora con la sua sensibilità da uomo di cultura alcuni episodi caratteristici. La sua scrittura ha il pregio della semplicità e della concretezza grazie a un linguaggio comunicativo.

Si legga, ad esempio il racconto L’antefatto - Il miracolato dove un soldato italiano viene miracolosamente salvato da una famiglia russa. Cambia identità e dopo mille peripezie si trasferisce definitivamente in quella terra. Al riguardo, come non ricordare la pellicola capolavoro del 1970 di Vittorio De Sica I girasoli: un soldato ferito e quasi morente (interpretato da Marcello Mastroianni) viene salvato amorevolmente da una ragazza russa con la quale poi si sposa e forma una famiglia trasferendosi definitivamente in Russia. Sotto i campi coltivati a girasoli sono seppelliti i militari italiani nelle fosse comuni dove ogni campo sterminato che ondeggia al vento rappresenta le vittime di una guerra terribile e assurda.

Antonio Crisci pone l’accento anche su alcune questioni forse troppo trascurate o appositamente “dimenticate” dei dispersi in Russia: dai dispersi ai prigionieri nei campi di lavoro fino a casi estremi di soldati che salvatisi, si stabilirono definitivamente in quella terra.

Altri racconti invece descrivono gli stenti, la fame, il freddo, le atrocità, la ferocia della guerra patita dai nostri soldati, le cosiddette “marce del davaj” dal termine russo, ‘davaj’ che significa “avanti”, che provocarono un altissimo numero di morti tra i prigionieri. Queste marce durarono fino a venti giorni con fermate di pochissime ore per la notte, con tappe fino a 20 km al giorno in condizioni disumane. I soldati catturati furono costretti a camminare senza soste e senza cibo, a dormire all’addiaccio con temperature polari e molti di loro non riuscirono a resistere e morirono o furono uccisi e lasciati lungo il percorso senza sepoltura. E poi il ritorno in Italia dei reduci con mezzi di fortuna e in condizioni psico-fisiche indescrivibili, la loro difficoltà a inserirsi in una società ormai in stravolgimento in un clima da guerra civile dopo l’armistizio e i fatti dell’8 settembre 1943.

E quell’amara consapevolezza di dimenticare, di insabbiare in patria il disastro italiano in Russia di non dare giusto merito a quei poveri ragazzi dimenticati da tutti in un clima di tensione, caos, sbandamento delle forze armate e per dirla alla Luigi Comencini: Tutti a casa (film del 1960 ambientato durante la seconda guerra mondiale).

Racconti che racchiudono esperienze di vita, accompagnate da una vibrante partecipazione emotiva dell’autore e creano una rispondenza nell’animo del lettore, grazie anche a un linguaggio diretto, efficace proprio perché immediato e alieno da sovrastrutture e da ricerche formali.

E ancora altri racconti descrivono le vicissitudini dei nostri soldati sul fonte greco albanese e in generale sui Balcani con dovizia di particolari. Ma il vero messaggio subliminale che intende suggerirci Antonio Crisci è lo stimolo alla creazione di una nuova coscienza, una vera coscienza nelle nuove generazioni al ripudio della guerra e ad evitare tragedie come quella racconta in questo volume. Una vera tragedia ancora d’attualità e che ci fa riflettere anche alla luce dei nuovi e recenti conflitti in Europa.

Piace al prefatore di questo volume, il cui nonno materno era aggregato proprio al corpo di spedizione dell’Armir, terminare questa breve introduzione citando un brano tratto dal celebre romanzo Centomila gavette di ghiaccio del 1963 di Giulio Bedeschi che descrive come non mai la grande ritirata italiana dalla Russia: «La visibilità divenne nulla, come ciechi i marciatori continuarono a camminare affondando fino al ginocchio, piangendo, bestemmiando, con estrema fatica avanzando di trecento metri in mezz'ora. Come ad ogni notte ciascuno credeva di morire di sfinimento sulla neve, qualcuno veramente s'abbatteva e veniva ingoiato dalla mostruosa nemica, ma la colonna proseguì nel nero cuore della notte».

Michele Miano

 

 

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L’AUTORE

Antonio Crisci è nato in un piccolo borgo della Valle Suessola (in Campania), area di origine osca prima ed etrusca poi. Trasferitosi successivamente a Santa Maria Capua Vetere (CE), antica Capua, si dedica con successo a percorrere le attività caratteristiche della città: i Beni culturali e il diritto. Notevole è l’impegno profuso a promuovere e valorizzare le bellezze storiche e artistiche del territorio della città sia professionalmente (a lungo impiegato nei siti principali della città, quali l’anfiteatro, il mitreo ed il museo archeologico dell’Antica Capua) sia per passione (presidente della sede locale dell’Archeoclub d’Italia e promotore di importanti manifestazioni quale “Ager Campanus”, rassegna annuale che da oltre un decennio promuove e rappresenta l’arte e la cultura in Terra di Lavoro).

 

 

 

Antonio Crisci, L’uomo di ghiaccio, introduzione di Michele Miano, II° edizione, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 136, isbn 978-88-31497-91-6, mianoposta@gmail.com.

 

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Pasquale Ciboddo, "Era segno sicuro"

28 Novembre 2022 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

ERA SEGNO SICURO di PASQUALE CIBODDO

con prefazione di Enzo Concardi

 

Preponderante in quest’ultima, singolare opera poetica di Pasquale Ciboddo è la realtà tragica della pandemia che ha colpito l’umanità intera, causando morti, lutti, sofferenze, crisi sociali e personali. Il poeta, diversamente da molti altri nella nostra società, non vuole chiudere disinvoltamente tale capitolo, anzi ne rimarca in continuazione le conseguenze, dimostrando la sua pietas per i devastanti avvenimenti. Egli attribuisce le cause del fenomeno pandemico a una nemesi divina e naturalistica per gli errori umani. Spiega le perdite di vite che ancora non cessano, all’interno di una visione mistico-provvidenziale, affidandosi a un sogno iniziale premonitore delle disgrazie successive: Era segno sicuro - il titolo della raccolta - nasce da un evento onirico in cui egli, vedendo la Madonna sofferente, presagisce ciò che ci avrebbe colpiti.

A fianco di tale grande accadimento storico, che paragona alle pestilenze del passato, l’autore, attraverso motivi reiterati, costruisce liriche che toccano i temi a lui più cari: il tramonto e la rovina degli stazzi della Gallura, sua terra amatissima; la nostalgia accorata di quella civiltà in cui si viveva duramente ma serenamente; la condanna della società industriale, tecnologica, metropolitana, non a misura d’uomo; il contrasto campagna-città, dove il primo termine rappresenta la salute della vita e la simbiosi benefica con la natura, mentre il secondo racchiude solo vite tristi e alienate; l’indugiare attraverso la memoria sui ricordi del passato non più revocabile. L’autore registra la drammaticità della realtà, mentre egli conserva la speranza fiduciosa nel futuro:  l’insistenza sulla presenza della morte tra di noi e sul destino morituro degli umani, costituiscono senz’altro un retaggio vetero-testamentario di biblica discendenza.

Nel libro il pensiero della pandemia assume ritmi ossessivi, coinvolgenti anche per il lettore più distaccato: alcune esemplificazioni sono necessarie per rendere comprensibile più da vicino il pathos dell’uomo Ciboddo, oltre che dell’aedo epicedico. L’incipit è costituito da una lirica che dà il titolo alla silloge, Era segno sicuro, la quale nell’epilogo ci introduce al canto funebre: «… L’umanità trema / e in silenzio muore». Si succedono altre liriche - Squarcia il cielo, E non c’è medicina, A volte pregare, E se vuole - dove i due temi fondamentali sono la punizione divina e l’invocazione a Dio e alla Madonna sotto forma di preghiera per la salvezza dell’umanità: «… I nostri nemici / profanano le Tue leggi / e Tu ci condanni con pestilenze…» (Squarcia il cielo); «…E non c’è medicina a combattere il male. / Non rimane che pregare / e in bene sperare» (E non c’è medicina); «La storia è pietrificata / nel silenzio. / Si muore di peste. /…/ Solo la Madonna, / nostra madre divina, / se invoca / il Signore suo Figlio / può salvare l’umanità…» (A volte pregare). Personalmente il poeta si sente «intimorito e solo» (Ma la gente) ed essendo disorientato sul da farsi, si dedica alla poesia, mentre la malattia imperversa: «… ci frusta ai fianchi / e ci punge con spine / conficcate negli occhi / nel cuore e nei polmoni /…/ e ci nega l’esistenza» (A mitigare il male). Le forze della natura sono scatenate contro di noi: «…Ed è pena / che tormenta anima e cuore» (Ed è pena). Il poeta teme quindi che nemmeno la scienza medica sia in grado di combattere la pandemia.

Tuttavia, oltre l’evento contingente - anche se straordinario - della pandemia, la visione esistenziale di Ciboddo non si discosta da quella emergente dai testi finora analizzati. Prendiamo la leopardiana Questa la nostra sorte, dove è possibile ipotizzare un accostamento ad alcuni versi del grande recanatese: «C’è sofferenza / nel nascere e nel morire. / L’esistenza umana / vive solo una primavera / dolce di giorno e di sera. / Segue la decadenza / col mite autunno / e poi il gelido inverno / che conduce alla morte. / Questa la nostra sorte». Il futuro dell’umanità è insidiato anche dal continuo incremento demografico, un altro rischio mortale per il nostro genere: «…L’Umanità, / come un’anima in pena, / se non rallenta / la corsa alle nascite / vedrà la fine di tutti / e di tutto il creato» (L’Umanità). La condizione umana, se ancora sopportabile nella giovinezza (simboleggiata dalla primavera), diviene un macigno enormemente pesante nella vecchiaia ed allora stanchezza, isolamento, mancanza di relazioni, di gioia, di entusiasmo e quindi di vita, trasformano le giornate in amara noia (Ed è tristezza).

La quasimodiana E si sta soli è anafora di tutti questi concetti, che il poeta siciliano aveva espresso nelle immagini sintetiche ed ermetiche di Ed è subito sera; l’autore replica con la sua denuncia dell’aridità della vita moderna: «Oggi / ognuno è isolato / in mezzo a tanta gente / che è indifferente / verso tutto e tutti. / E si sta soli sulla terra / alquanto spaesati...». In altri componimenti Ciboddo è ancora più drastico e radicale, poiché afferma che la morte è già in noi lo stesso giorno in cui si nasce e che nessuno conosce la verità sull’al di là, mistero, enigma mai svelato (Questa l’amara sorte).

Una possibile via d’uscita a tale situazione scoraggiante e deprimente, viene individuata dal poeta nell’incontro con la Natura, in modo che l’ungarettiano «…La morte / si sconta / vivendo», possa essere superato. Egli - in La vera salvezza - pone un domanda in merito: «…È forse il ritorno / alla natura abbandonata / dove sono le nostre radici / la vera ricchezza / che ci salva pure / da tale pestilenza?». Domanda chiaramente retorica, dal momento che la sua visione è sicuramente indirizzata verso un pensiero fisiocratico, e ciò è dimostrato dal suo anti-industrialismo e dall’avversione verso le metropoli moderne: per Ciboddo, come per Quesnay, la base dell’economia era, è, e dovrà restare sempre l’agricoltura. Ecco i versi testimonianze inequivocabili di ciò: «La natura reclama / i suoi diritti. / Guai a trasgredire / le proprie leggi. / L’uomo di oggi / attratto dalla vita di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…). Inoltre - scrive ancora nella poesia È vita limitata - la città è una prigione di catrame e cemento, dove non si respira l’aria salubre della campagna e dove la vita è monca per mancanza del rapporto con la Natura. La sua filosofia di vita centrata sull’attaccamento alla terra lo porta a vedere raggi di sole nel buio del presente solo e proprio nel mondo naturale, il cui simbolo più dolce e benefico risiede negli avventi primaverili. Tuttavia anche la terra corre rischi mortali – se non si pone rimedio – ancora una volta per responsabilità dell’uomo inquinatore.

Ed eccoci ora a quella che possiamo considerare una vera e propria civiltà contadina a se stante, sviluppatasi sulle alture e nelle campagne della Gallura, mondo del quale Pasquale Ciboddo è rimasto innamorato. Qui troviamo solo alcune liriche - come Erano il tempio, Tempi così cari, È stata una grave sventura, Ed è danno ed è pena, Oggi il mondo, In un baleno, Ricordi di tempi e luoghi, Era una civiltà - ma in altre pubblicazioni egli tratta a lungo di ogni aspetto di quel microcosmo particolare: gli stazzi. Nel suo ricordo essi erano il tempio della natura, ora è rimasto un deserto. Evoca le stagioni della vendemmia, delle feste, dei balli, che ora può solo sognare. Sono stati abbandonati per i miraggi consumistici del Continente e così è morta una lunga tradizione. Alla ricchezza d’un tempo s’è sostituito il vuoto del presente. C’era solidarietà tra proprietari, contadini e forestieri: poi il mondo ha preso altre strade. La gente degli stazzi, con famiglie patriarcali, è scomparsa in un baleno. La conclusione sconsolata del poeta è commossa ed accorata: una civiltà ricca di vita, benessere, relazioni, affetti, lavoro, emozioni… s’è dissolta ed oggi v’è una solitudine da far paura.

Nei suoi versi sciolti Pasquale Ciboddo inserisce spesso rime varie per imprimere maggior melodia alla metrica: solo l’ultima lirica - Una vera visione - è un sonetto (14 versi, due quartine e due terzine in sequenza con rime alternate).

Enzo Concardi

 

 

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L’AUTORE

Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura, nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti, e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici.

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Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn 978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

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