Antonio Scurati, "Il rumore sordo della battaglia"
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Il rumore sordo della battaglia
Antonio Scurati
Bompiani , 2018
Il romanzo storico di Scurati è raccontato in prima persona dal protagonista, il giovane Sebastiano; è un esponente della piccola nobiltà, nato nel 1476 in un'Italia dove lo splendore delle corti avrebbe mostrato presto crepe politiche e militari tali da aprire la strada alle invasioni straniere. Quando il ragazzo, rimasto orfano del padre, caduto combattendo da cavaliere contro le picche svizzere nella battaglia di Morand, imbraccia le armi, la penisola subisce nel 1494 l'invasione di Carlo Ottavo; in questo periodo c'è l'incontro con Giovanni Dellanotte detto Malacarne, un misterioso e cupo mercenario, a capo di una setta (i Fratelli) di cui lentamente nella vicenda si spiegano le particolarità. Mentre la guerra infuria, il ragazzo si lega al feroce e carismatico condottiero; la sua setta ha come scopo la guerra combattuta a viso aperto, sfidando il nemico con armi bianche, da cavalieri, come nel Medioevo. Ma già appaiono armi come cannoni, colubrine, spingarde, archibugi che iniziano a cambiarne il volto; gli intrepidi cavalieri vengono abbattuti da lontano dalle nuove armi. Questo per Dellanotte è intollerabile; è un modo in cui il soldato riesce a ingannare la morte, vincendo in modo subdolo, senza onore, senza guardare negli occhi l'avversario. I Fratelli combattono invece diversamente, bramando di uccidere da vicino. Il Malacarne e i suoi passano da una compagine all'altra, ora sono con gli Spagnoli, ora con i Francesi, poi da soli. Appaiono come dei "luddisti della guerra"; le armi da fuoco vanno distrutte e anche quelli che le usano, chi lavora con la polvere pirica merita la morte, gli stessi artigiani e operai che fabbricano gli archibugi vengono trafitti senza remore. La loro è consapevolmente una lotta contro la storia, ma non importa, perché non amano la vita e sono voluttuosamente attratti dalla morte in battaglia insieme ai compagni. La morte tramite il ferro, non il fuoco, è l'unica misura della grandezza tragica cui il cavaliere deve tendere. Sono personaggi maledetti; non credono nella vita ultraterrena, quella terrena è accettata solo in quanto se ne auspica la fine in modo violento, in un'orgia di sangue. È un cupio dissolvi. Non importa vincere, ma morire nel modo giusto. Conta solo che ci sia una battaglia e che sia grande, spiega Giovanni Dellanotte. Il giovane aderisce a questa filosofia disperata, cercando un ruolo e una identità nel suo inquieto vivere, agitato da sogni in cui appare il padre che non ha mai conosciuto. Non c'è nulla di romantico nella loro impostazione antitecnologica; il loro "viva la morte" viene descritto, a un certo punto, come qualcosa di animalesco. Solo la condivisione con i compagni di questo reiterato "abitare la battaglia" getta un filo di luce, quella dell'amicizia, su esistenze senza speranza. Improvvisamente il protagonista si stacca dai Fratelli, dopo l'ennesimo massacro; addirittura decide di diventare un archibugiere, tradendo lo spirito della Fratellanza; questa svolta non ci appare ben spiegata e approfondita, ma non sembra dettata da un ripensamento etico, dato che permane un fondo di disperata accettazione della vita da soldato. È uno dei punti deboli del libro. L'altro aspetto che lascia perplessi è l'insistere sulla fisicità, sulla carnalità, sugli istinti; sembra che l'autore senta il costante bisogno di convincerci che quella era un'epoca di brutalità e di conseguenza si deborda in fatto di descrizioni di violenze e di torture.
Invece le ambientazioni delle battaglie sono superbe; si parla di eventi storici come la battaglia di Fornovo e quella di Pavia e di personaggi come i Borgia e i capitani di ventura dell'epoca.
Nel complesso un bel libro, in cui la luce del Rinascimento lascia posto alle brutture di guerre senza fine, in un mondo di diffusa corruzione.
I sopravvissuti
Correva l’anno 1979 e uno sceneggiato - o meglio serie televisiva, come si chiamano quelle che oggi imperversano sulla tv on demand – ci catturò e spaventò tutti. Si tratta de I sopravvissuti, serial fantascientifico d’inquietante e strabiliante attualità. Un virus, sfuggito a un laboratorio cinese, infetta il mondo. Sono in pochi a sopravvivere, lottando per non soccombere in uno scenario post apocalittico, caotico e imbarbarito.
Eh sì, anche adesso par di stare in un film. Mascherine, assalti ai supermercati, fughe di massa dalle zone interdette, orribili immagini di pazienti “pronati” in sale di rianimazione sovraffollate e da incubo.
Ma fino a che non toccherà a qualcuno che conosciamo - non uno della tv, non il capo del partito democratico Zingaretti o un uomo della scorta di Salvini, e nemmeno il salumiere o il tabaccaio del nostro quartiere - ma proprio uno che conosciamo bene, un amico o un familiare, fino ad allora continueremo a pensare che sia tutta una grande esagerazione mediatica, qualcosa che non ci riguarda. Invece è una pandemia bella e buona, di quelle che non si vedevano da un secolo, e con le quali, ahimè, dovremo fare i conti sempre più spesso.
Quando una specie si fa troppo aggressiva e invadente, quando contamina, riscalda e distrugge il paese che la ospita, sbucano fuori i virus nascosti che, ne sono certa, sono gli anticorpi della terra. La terra si difende, elimina una parte degli invasori, la parte più debole e inutile: i vecchi, i malati, gli immunodepressi.
Eppure io penso che non tutto il male viene per nuocere. Diciamo che, per esperienza personale, ormai ne ho fatto il mio motto. Possiamo sempre trovare nelle difficoltà delle opportunità. Intanto stiamo rivalutando la vita normale, tutto quello che facevamo fino a quindici giorni fa, e ci sembrava pure noioso: uscire da casa, abbracciare un bambino, programmare un viaggio, cenare in un ristorante, fare due passi. Già questo ti fa capire che prima eri felice anche se non te ne rendevi conto, che avevi qualcosa a cui adesso vorresti tornare, che eri libero senza saperlo.
Rivalutiamo ciò che facevamo e, tuttavia, dobbiamo sapercene consapevolmente astenere. Non è necessario fare l’apericena, no, non lo è per niente. Fino a venti anni fa non sapevamo neppure cosa fosse. E, se torniamo indietro di quaranta anni, il sabato sera cenavamo tutti in famiglia. Non è necessario nemmeno per il proprietario del locale perché, se lui morirà, o se noi moriremo, la sua attività non servirà proprio più a niente.
Dobbiamo avere rispetto, senso civico, prudenza e saper attendere con pazienza. Astenerci dal giudicare ciò che non conosciamo e non abbiamo ancora vissuto.
Restate in casa, leggete un libro, guardate un film divertente o istruttivo, recuperate la lentezza, riscoprite i rapporti con i familiari e i social come mezzi d’informazione e di comunicazione e non come recipienti d’odio.
Fatelo senza prospettive, senza scadenze, perché non sappiamo quanto durerà, né se e come finirà.
Aldo Dalla Vecchia, "Mina per neofiti"
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Mina per neofiti
Aldo Dalla Vecchia
Graphe .it, 2020
pp 101
8,50
Prima di parlare di Mina per neofiti, ultima fatica di Aldo Dalla Vecchia, devo fare una precisazione che scandalizzerà i più e mi attirerà il discredito di tutti. A me non piace Mina, non amo la sua voce – quando la sento cambio canale – non amo il suo personaggio né chi, come il giornalista Vincenzo Mollica, l’ha sempre incensata e ha contribuito a costruirne il mito. Penso che sia una bravissima cantante, una raffinata interprete, con dei notevoli virtuosismi vocali, ma come ce ne sono altre, ad esempio Giorgia.
Ho letto questo libro, tuttavia, con interesse, e con un pizzico di curiosità. L’interesse è stato soddisfatto, la curiosità no.
Il fascino di questa biografia – definita un “bigino”, un manualetto di consultazione sulla carriera e le opere della tigre di Cremona - sta ancora nell’inconfondibile penna di Aldo Dalla Vecchia, sempre garbata e nostalgica, che ci fa rivivere molti decenni della nostra cultura nazionale. A parte la Storia con la Esse maiuscola, quello che impatta sul lettore è il fascino della ricostruzione d’epoca, le piacevoli atmosfere del tempo che fu, il rimpianto.
Preferisco la parte dedicata agli anni sessanta e settanta, quando Mina si concedeva ancora come personaggio televisivo glamour. Televisione degli esordi, quella, con show come Milleluci capaci di fare ventitré milioni di spettatori, cifre inarrivabili oggi. Rivediamo Mina con Raffaella Carrà, a colpi di tacchi, minigonne e ombelico scoperto, oppure Mina con Alberto Lupo, eroe de La Cittadella, sogno erotico delle casalinghe, con la sua voce suadente e le sue “parole parole” riprese persino da Papa Francesco.
Mina è stata, oltre che una brava cantante, un personaggio sofisticato, elegante, modernissimo che molte donne imitavano per look e acconciature. Dopo si è trasformata in un mito sfuggente, una sorta di Elena Ferrante della musica. Laddove Battisti è riuscito, ahimè, addirittura a morire, lei si è limitata a oscurarsi, a rendersi irraggiungibile, preziosa e… “costosa”.
Il personaggio Mina, oggi ormai alle soglie degli ottanta anni, è qui mostrato nelle sue molteplici sfaccettature, ad esempio la sua partecipazione come articolista a giornali importanti. Pare che Mina Mazzini abbia, oltre ad un’ugola d’oro, anche una penna sagace e incisiva.
La mia curiosità, invece, è stata disattesa. Mi aspettavo più gossip, più vita privata, proprio quella che Mina ha sempre difeso mascherandosi e ammantandosi, ma nel libro non si parla né di amori né di pettegolezzi. L’autore, innamorato della cantante e della sua arte, ne ha rispettato la scelta di libertà e autonomia, scrivendo un libro asciutto, che ha quasi lo stile di una tesi di laurea, arricchito da preziose testimonianze d’epoca, tratte da giornali, riviste, saggi, biografie e interviste.
A livello personale ne ho tratto godimento rievocativo, come sempre con le opere di Dalla Vecchia, ma anche un quadro utile e puntuale della carriera di un’artista senz’altro fondamentale nel panorama canoro e culturale italiano.
Michal Rusinek, "Nulla di ordinario su Wislawa Szymborska"
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Il libro di Michal Rusinek Nulla di ordinario su Wislawa Szymborska (Adelphi Edizioni) è una memorabile e privilegiata visita alla spontanea e affabile dimora della poesia, luogo devoto dell'ispirazione e placida permanenza dello stupore e dell'immensità, nell'inattesa meraviglia di ogni appuntamento persuasivo con la vita. La vita di Wislawa Szymborska si intrattiene in un gradevole colloquio seguendo lo sguardo unico sui suoi versi, ospiti graditi che infondono viva fiducia e compiuta ammirazione. Michal Rusinek, il suo giovane segretario, insegue testimonianze e fedeltà per più di quindici anni accanto a una fascinazione privata e muove ogni particolare curioso ed inedito, confermando la singolarità degna di memoria che nutre la biografia della poetessa. Le parole, parole di poesia, ripercorrono attraverso l'intensa partecipazione affettiva il contenuto di un'incondizionato amore per il talento, per la capacità intellettuale non comune e rincorrono la vivace tradizione di irresistibili esperienze letterarie, sensibilizzano il desiderio di fermare nel non luogo della scrittura lo “smisurato teatro” dell'esistenza. La luminosa gioia della storia narrata aggira e cattura la sorgente avventurosa dell'animo umano, riconosce lo sguardo felice e carezzevole che si sofferma sugli aneddoti spiritosi e stravaganti legati alla poetessa, sulle sue provvisorie abitudini di traslocare, sulle sue amabili qualità nel cucinare, sulla squisita disponibilità alle cene e alle lotterie, sulla passione per i collage artistici. Le gradite atmosfere della vita quotidiana cedono alla fantasia delle immagini, alla voluta segretezza della complicità, nelle conversazioni e nei comuni interessi, nei suggerimenti letterari e nelle dichiarate risate che hanno caratterizzato il legame distintivo tra Michal Rusinek e Wislawa Szymborska. Leggere Wislawa Szymborska è una scelta e un'opportunità elegante, a mantenere il dubbio”stupefacente” per la grande compiacenza del mondo, per proteggere la propria affinità, assecondare la propria esclusività, adottare in ogni intonazione un modo di essere e di comportarsi. La dilatata imponenza del suo linguaggio, convince il rispettoso gioco delle parole con acuta ed ironica filosofia e respira nella struggente inevitabilità la profondità dell'intero ventre della poesia. L'immutato elogio della poetessa da parte di Michal Rusinek descrive un'eccentrica nostalgia dei luoghi e delle persone che accoglie l'ombra di un passato non perduto ma che esibisce la veloce, inafferrabile ostinazione della volontà a ritirarsi nell'inconfondibile senso dell'umorismo. La poetessa assorbe l'aspetto meditativo con la leggerezza raffinata, è delicatamente distante da tutto e dove “ogni parola ha un peso non c'è più nulla di ordinario e normale”. L'amicizia che ha convinto il segretario a seguirla fino alla fine ha lo stesso bisogno di solitudine che imponeva la poetessa nel momento in cui nascevano le sue poesie, per rendere universale il rituale attrattivo di ogni riservata confidenza.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”
Il giorno dopo – senza di noi
La mattinata si preannuncia fredda e nebbiosa.
In arrivo da ovest
nuvole cariche di pioggia.
Prevista scarsa visibilità.
Fondo stradale scivoloso.
Gradualmente, durante la giornata,
per effetto di un carico d’alta pressione da nord
sono possibili schiarite locali.
Tuttavia con vento forte e d’intensità variabile
potranno verificarsi temporali.
Nel corso della notte
rasserenamento su quasi tutto il paese,
solo a sud-est
non sono escluse precipitazioni.
Temperatura in notevole diminuzione,
pressione atmosferica in aumento.
La giornata seguente
si preannuncia soleggiata
anche se a quelli che sono ancora vivi
continuerà a essere utile l’ombrello.
Scrittura, cinema, fantasia ed io
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Qualcuno recentemente mi ha chiesto: "Ti piace scrivere?"
"Mi piace? Io amo scrivere!" risposi e rispondo con convinzione, visto che ho un legame particolarmente stretto con la scrittura, un'attività essenziale di cui mi occupo da quando ero uno sbarbatello sedicenne. Ufficialmente mi sono messo entusiasticamente in circolo cinque anni fa, confrontandomi con molti autori in diversi siti di letteratura, spesso con risultati incoraggianti o gratificanti, ad esempio con ben 10 premiazioni in qualità di autore del mese, e con il lusinghiero giudizio su Robozoo, un brevissimo racconto di fantascienza, pubblicato su una gratuita antologia online/cartacea di A.A. V.V. dal titolo Mercurio Solido.
Nonostante ciò, non mi considero uno scrittore, semmai uno scribacchino, o, al massimo, uno scrittore in erba, vuoi per una questione di umiltà, vuoi perché non ho ancora pubblicato nulla di commerciale e vuoi perché in giro ci sono autori dannatamente bravi e competenti. Sì, insomma, autentici maestri di scrittura, senza la necessità di scomodare i blasonati Andrea Camilleri, Susanna Tamaro, Gianrico Carofiglio, Carlo Lucarelli, Elena Ferrante, etc.
Tenendo conto delle mie attuali pubblicazioni - all'incirca un centinaio tra racconti, soliloqui, poche poesie, testi sperimentali e testi inediti - ebbene è la chiara dimostrazione che tale passione è un continuo macinare chilometri di lettere, sia in formato digitale e sia su carta, tant'è che in passato su dei fogli bianchi, l'inchiostro nero ebbe il (dis)piacere di mescolarsi con le innumerevoli lacrime causate dal mal d'amore, con l'aggiunta dell'inchiostro rosso del cuore. Ah, che spreco!
Pazienza, inutile piangere sull'inchiostro versato, chi ha avuto ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato e... chi ha scritto, ha scritto, ha scritto.
Va bene, lo ammetto, succede che, se sono triste, amareggiato, deluso, sarei capace di scrivere addirittura milioni di componimenti, sia per sfogo e sia per mettere a nudo la mia anima, senza però cercare la compassione di nessuno. Al contrario, se mi sento felice e raggiante, stranamente tendo a scrivere poca roba, dal momento che avverto una condizione talmente meravigliosa da non avere... parole.
Comunque, il genere da me prediletto è l'autobiografico, per esorcizzare almeno in parte eventi passati e trapassati, tra l’altro mi ritengo un nostalgico puro, decisamente legato ai miei spensierati verdi anni, tra cui il periodo del militare, oppure a quando, in maniera trionfale, lasciai la terribile prima ex fidanzata, col pregio di ricominciare daccapo, ritornando ad essere estasiato come un bambino, e grintoso come quei ventenni che ardono di spaccare il mondo, uno status che, avendolo già vissuto dopo le superiori, rappresentò una sorta di remake per il sottoscritto. A tal proposito è doveroso metaforizzare in termini cinematografici, d'altro canto sono un acceso cultore della Settima Arte.
Finalmente posso dirigere IO stesso il film della mia vita! realizzai tra me e me quell'indimenticabile 7 luglio 2014, trascrivendo l’importante pensiero su un’agendina, poiché, giusto per ribadire, tagliai la pellicola, ehm, i ponti, con la despota di allora che, per tantissimo tempo, mi costrinse a dovermi attenere ad un copione di merda.
In seguito, disgraziatamente, una seconda regista prese in mano il mio film, sicuramente non meno peggiore della precedente cineasta polacca, che di certo non era Agnieszka Holland.
Praticamente un altro clamoroso flop al botteghino, per poi ritornare ad essere nuovamente libero.
Riguardo la bellissima relazione sentimentale che sto vivendo, a livello esistenziale il régisseur sono io, mentre l'aiuto regista è Francesca, la mia fidanzata. Ora sì che ci siamo, e per di più con l’assenza di paletti e censure. E che caz... ciak!
Da segnalare che risulto pure fantasioso, fantasista, fantastico oltre che eterno sognatore ed instancabile speranzoso, elementi imprescindibili per una sana ispirazione con lo scrivere di tutto e di più.
Ecco, tornando a parlare di cinema, con la fantasia, se occorre divento contemporaneamente sceneggiatore, regista e attore, difatti giro certi film mentali che meritano premi di ogni tipo, in primis i Telegatti. Sono il Telegattone... maaaaaaoo!!!
Cari lettori, vorreste vedere la mia collezione di Telegatti, vero? Sorry, that's not possible, li tengo gelosamente conservati dentro di me, inoltre, avendo alle spalle svariate cantonate, dispongo persino di una moltitudine di Tapiri d'Oro e, di conseguenza, mi viene naturale da pensare: me Tapiro!
Davvero una bella cosa la fantasia, sapete quante volte mi ha salvato la vita? Eh, avoja!
Utilizzando una nuova metafora e soffermandomi sul brutto periodo di qualche anno fa, precisamente l’intero 2017, per poco non stavo per cadere in un profondo baratro nerissimo e, proprio tramite la proverbiale capacità mentale, creai un mega tombino, passandoci così sopra con tanto di dito medio alzato. Infine, una volta preso atto della gravosa situazione, reagii e mi liberai di colei e di coloro che mi stavano spingendo in un angoscioso stato, caratterizzato da un senso di vuoto chiamato depressione.
In conclusione, tirando le somme chi è 'sto Giuseppe Scilipoti?
Operatore Socio Sanitario, scrittore in erba (che finora non se l'è fumata) dall'animo poetico che scrive poesie a ogni morte di papa, attento lettore e concentrato spettatore cinematografico, sincero recensore o commendatore, (see, magari) scusate, volevo dire commentatore, pornografo, (non specifico per non ritrovarmi in una “posizione” scomoda, vi basti sapere che... vabbè, non ve lo dico!) personaggio cauto, sensibile, riflessivo nonché dall'indole umoristica e soprattutto se stesso.
Due rimedi e molta tristezza
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Ciao dalla vostra Nicole.
Non sto attraversando un buon periodo, il mio compagno di vita, il gattone Mufasa, mi sta lasciando. Ha diciassette anni e l’età si fa sentire. Sono molto triste all’idea di non trovarlo più a casa ad aspettarmi.
Per distrarmi vi regalo un paio dei miei trucchi.
Il primo è utile in tempo di coronavirus. Come farsi l’Amuchina gel a casa? Prendete del gel per ultrasuoni bianco, che trovate in farmacia, e usatelo per diluire un cucchiaino di candeggina. Ecco pronto un rimedio disinfettante.
Il secondo è una ricetta per uno scrub di bellezza facile ed efficace. Unite due bicchieri di olio di mais a tre cucchiai di sale fine. Frizionatevi con questo preparato tutto il corpo e terminate con un getto d’acqua.
Vi aspetto per nuovi consigli, sperando che Mufasa non mi lasci troppo presto.
L'oroscopo di marzo
La grande novità di questo mese è l’entrata di Saturno nel segno dell’Aquario!
Ebbene sì, domenica 22 marzo il severo pianeta entra nell’undicesimo segno a dispensar consigli e saggezza in primis ai segni d’Aria: Gemelli, Bilancia e Aquario.
Ora i nativi dei segni potranno veder rendere concreti i loro sogni, e volare basso per acquisire nozioni importanti per raggiungere i loro successi con costanza e devozione. A fare delle scelte importanti, a selezionare tutto ciò che è importante e a buttar via l’inutile e il vecchio.
Cambiano le priorità, si assumono nuove responsabilità, insomma si diventa più grandi e più saggi.
Ritrovano leggerezza finalmente i segni: Cancro, Ariete e Bilancia. Ora possono respirare con dolcezza e senza pesi sul cuore un’aria pura, priva di tossine e di tutto ciò che ha reso i segni cardinali cupi e forse anche tristi.
Sicuramente essi hanno acquisito consapevolezza e un senso di responsabilità, una maturità e una saggezza seppur con qualche difficoltà.
Ora tutto cambia e si ritorna a sorridere con più spontaneità.
Si respira aria frizzantina, il 21 marzo il Sole entra in Ariete e si festeggia l’equinozio di primavera, dove le ore di luce sono uguali a quelle del buio.
Un periodo ricco di novità, di suspense, di cambiamenti, dove ogni cosa è messa in discussione, dove non si scommette un soldo bucato, ma sicuramente si cerca di far al meglio tutto quello che occorre fare.
Giove è in Capricorno e ci ricorda il gusto per la lentezza, il premio dopo le fatiche, l’edonismo misurato, la felicità controllata, l’odio per lo spreco, mentre tutto si ricicla.
ARIETE: 21/3 – 20/4: a passo veloce verso le vette.
Nel vostro cielo brilla un astro propizio che vi promette un lungo periodo gratificante, dove i vostri sogni possono essere realizzati in ogni settore della vostra vita. Arriva la primavera, la stagione che preferite più di tutti, e vi porta belle sorprese, gioie d’amore e nuove idee. Non sprecate tutte le forze, conservate un po' di riserva per i momenti difficili e non abbandonate chiodi e piccozza.
TORO: 21/4 – 20/5: su nuovi sentieri tra alti e bassi
L’imprevedibile Urano vi aiuta a dire addio ai vecchi schemi e abitudini. I nuovi percorsi sono già tracciati da cartografi esperti come Saturno, Giove e Plutone. I tre colossi dello zodiaco sanno infondervi fiducia e costanza, ambizione e successi, ingredienti indispensabili per proseguire sul sentiero.
GEMELLI: 21/ 5 – 21/6: con la testa già fra le nuvole
Mercurio e Saturno vi prendono per ballare una danza liberatoria invitandovi a trascorrere delle serate in compagnia di vecchi e nuovi amici con un senso di leggerezza e spensieratezza. Sentite il bisogno di allontanarvi in lungo e in lardo nel mondo e dentro voi stessi. Il peggio sembra essere passato.
CANCRO: 22/6 – 22/7: quello zaino pesante in spalla
Che zaini pesanti avete sulle spalle: Plutone già di per sé è un macigno, poi si aggiunge Giove insieme a Marte. E meno male che Saturno fa capolino nel segno dell’Aquario, ma ciò non alleggerisce le vostre responsabilità. Quanto è dura la salita e non solo. Vero, le esperienze fanno crescere, ma un po' di tenerezza vi aiuta a sentirvi più sereni. Contate sulla fantasia di Nettuno che vi aiuta a sognare ad occhi aperti e volare sulle ali dell’immaginazione.
LEONE: 23/7 – 23/8: oltre gli ostacoli, dritti alla meta.
E’ uno strano cielo il vostro, dove tutto cambia rapidamente ma lentamente. Sembra un gioco di parole ma non basta la vostra volontà, la vostra autostima e la vostra fiducia, serve un fortissimo stimolo a imporvi sulla scena. Non abbattetevi mai, avete la voglia di ruggire per farvi sentire oltre l’Universo.
VERGINE: 24/8 – 22/9: lungo i sentieri pieni di sorprese
I lati più pragmatici del vostro carattere sono rafforzati dal trio Marte, Giove e Plutone, permettendovi di riconoscere al volo le occasioni e cavalcarle, girando al largo da persone inaffidabili e situazioni confuse. Parliamo di Urano, è il vostro asso nella manica che vi permette di prendere in mano il timone della vostra vita e fare quello che volete.
BILANCIA: 23/9 – 22/10: tante tappe e tutte diverse
Ora cominciate a porvi degli obiettivi, passo dopo passo, cominciate a percorrere delle strade tutte diverse, ma sostanzialmente tutte importanti. Saturno torna positivo e vi rimette a posto i pezzi dei puzzle sparsi in terra della vostra vita. Ordine e disciplina non vi spaventano, rigore e diplomazia sono il vostro focus per tutta la vita.
SCORPIONE: 23/10 – 22/11: con uno zaino pieno di risorse
Avete centrato il focus della vostra vita: diventare ricchi e ambiziosi. Beh, ce la state mettendo davvero tutta. Plutone, Giove, Marte, con la complicità di Nettuno, hanno fatto la differenza. Hanno garantito per voi ottime opportunità di una buona vita, ghiotte occasioni per un’ottima riuscita in tutto quello che fate.
SAGITTARIO: 23/11 – 21/12: in tanti è meglio
Avete bisogno di allegria e di ottimismo, di benessere e di fiducia in voi stessi. Le cercate negli altri, nel vostro rapporto col vicinato, durante un corso di fitness. Il vostro passo è da veri sportivi, spesso è difficile mantenerlo in salita, l’essenziale è non fermarsi, proseguite lentamente ma continuate per non perdere il sentiero.
CAPRICORNO: 22/12 – 20/1: siete pronti per piantare la vostra bandierina?
Con quel portentoso stellium nel vostro cielo avete molte risorse: pazienza, costanza, logica, determinazione, ambizione, coraggio, saggezza e fortuna. Inoltre avete Nettuno e Urano a vostro favore: fantasia e pragmatismo, genialità e intuizione. Siete pronti per piantare la vostra bandierina?
AQUARIO: 21/1 – 19/2: serve molta prudenza.
Saturno fa visita e vi consiglia lungimiranza e prudenza, costanza e riflessione. Prima di posare il vostro piede in territori sconosciuti occorre valutare tutte le circostanze. Non serve avere fretta, ma nemmeno abbandonarsi al proprio destino. Forse vi sentite sovraccarichi di mille impegni e nello stesso tempo vuoti, si tratta di una vostra sensazione, dettata da un flusso di pensieri contrastanti.
PESCI: 20/2 – 20/3: con intuito e prudenza guizzate in acque tranquille.
Grandi opportunità si profilano al vostro orizzonte, fatte di nuove esperienze e di positivi rinnovamenti. Vi emoziona da tutto quello che vi circonda, da un fiore che sboccia al bacio di un bambino, dalle note di una canzone al recitare una poesia. Nuove amicizie e nuovi contatti riempiono la vostra agenda.
Gordiano Lupi, "Sogni e altiforni"
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Sogni e altiforni
Gordiano Lupi e Cristina de Vita
Acar Edizioni, 2018
pp 318
15,50
Sogni e altiforni, di Gordiano Lupi e Cristina de Vita, è il seguito a quattro mani di Calcio e Acciaio. È composto da due testi distinti, uno poetico e uno narrativo, visti rispettivamente dalla parte del protagonista maschile e da quella della protagonista femminile.
Ritroviamo Giovanni là dove lo avevamo lasciato alla fine del primo libro. Un ex calciatore famoso che, dopo aver abbandonato il mondo dorato del calcio importante, è tornato nella sua città, Piombino, e ricomincia a interessarsi di sport facendo il direttore tecnico per una piccola squadra di ragazzi del Venturina.
Giovanni è sempre più triste, più solo e più vecchio. Giovanni è preda di abitudini cui per pigrizia non riesce a rinunciare. Divorziato da tempo, vive con la madre e fa sesso senza amore con la badante di lei.
“E la mia vita, se provo a ricordare, è stata solo un tuffo nel non fatto, un’ipotesi infinita di non detto”. (Pag 96)
Torna spesso con la mente a un amore di gioventù, Debora, che non ha avuto il coraggio di concretizzare quando era il momento. Debora è l’amore romantico e perduto, quello che rimarrà meraviglioso proprio perché non lo si è vissuto, perché è finito prima ancora di cominciare. La realtà brutale non lo ha corrotto, non lo ha contaminato.
In tutta la lunga parte scritta da Gordiano Lupi ritroviamo il suo incedere lento e poetico, quell’ingolfarsi sempre sui medesimi ricordi, ripetuti come in un loop tristissimo e nostalgico. Sehnsucht, saudade, nostalgia canaglia, chiamatela come volete, è lo strazio di un passato che non ti fa progredire, ti lascia sempre nel medesimo punto, forse perché, alla fine, è lì che vuoi rimanere, con la tua abulia intrisa di comode memorie dolceamare.
Quello che per noi è un brutto presente sarà il ricordo magico di qualcun altro, ed è così anche per Giovanni. Percorrendo i paesaggi conosciuti, torna ossessivamente all’infanzia, rivede il padre, la madre, riascolta i racconti del nonno, risente l’odore della fuliggine dell’altoforno, rivede il falso tramonto rosso dell’acciaieria ormai spenta, triste relitto di archeologia industriale.
Piaceva tutto del passato, perché tutto è trasfigurato dal tempo, piaceva il puzzo dell’acciaieria, la povertà dignitosa, i campi incolti, i muri fatiscenti, l’odore di frittura, le seme e le noccioline del cinema di seconda visione.
Quando vivi da sempre nello stesso luogo, ogni pietra, ogni anfratto, ogni angolo è pervaso di ricordi. Per qualcuno la reminiscenza è dolce e allegra, per altri, come per Giovanni, è rimpianto struggente. Di che? Di tutto e di niente, di quel momento in cui ogni cosa era ancora possibile, di oggetti poveri e brutti che, attraverso le nebbie del tempo, ora sembrano belli. Rievocazioni di un mare ondoso e cangiante, di un cielo terso, di un campetto sterrato dove tirare calci a un pallone, sentori amari e ancora selvatici di provincia, di pitosforo e tamerici, di cipressi e salmastro.
La cifra stilistica di Lupi è la ripetizione, come una dolce e tristissima onda che rotola e poi torna indietro, si avviluppa su se stessa. Ripetizione di scorci, di paesaggi, d’immagini, di sentimenti perduti.
Dall’altra parte c’è il testo narrativo, la voce di Debora. Sappiamo dalle sue parole che cosa le è accaduto dopo che Giovanni l’ha abbandonata. La scrittura è più romanzesca e più femminile, meno poetica, meno ritmata e meno perfetta di quella di Lupi.
Giovanni e Debora s’incontrano un’ultima volta per caso ma non concretizzano il loro ritrovarsi. Sanno entrambi che il passato non può tornare, che, se accadesse, non darebbe le gioie immaginate, che il sogno deve rimanere sogno e il ricordo ricordo.
Un romanzo struggente fin dalla dedica, consapevole del tempo che passa, dell’avvicinarsi della fine. “Le cose da scrivere con urgenza sono sempre di meno”. Perché ormai si è all’impasse e si vive “di ricordi senza scorgere un brandello di futuro”.
L'abito in plastica
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L’Abito in plastica di Cinzia Diddi, si annuncia un cult. E siamo pronti a scommettere che sarà l’ennesimo successo. Fino a ora il suo stile ha conquistato star anche internazionali, in questo periodo sta vestendo Cristopher Lambert.
Infinita la lista dei personaggi famosi che scelgono le sue collezioni e il suo tocco glamour, chic.
Il Look fuori dagli schemi è già un successo.
In preparazione un'intera collezione, per stupire in eventi super mondani.
La stessa Stilista ha dichiarato che lo indosserà sul red Carpet della biennale o al festival di Cannes dove parteciperà con Sidus, il film sulla sua vita, regia e sceneggiatura Stefania Rossella Grassi
Sua la creazione, completamente in plastica, realizzata per l’estate 2020, il cui titolo è Donne dalle pose plastiche.
Lo scatto, preciso e intenso, appartiene al fotografo Thomas Capasso.
Donne plastiche: a tutto volume!!
La Stilista, orgoglio pratese, con il suo Luxury brand è ricercatissima da star e costumisti.
Un giovane talento emergente ma che sa come muoversi nel mondo... della MODA.
Il tempo del ritorno (1993) Regia di Lucio Lunerti
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Misconosciuto film italiano datato 1993 dell’altrettanto (mi)sconosciuto Lucio Lunerti, il quale gira un film drammatico, con lievissime venature thriller e mistery, che ha come cornice i post Anni di Piombo, con tanto di immagini di repertorio, al fine probabilmente di ricreare un lungometraggio con qualche elemento documentaristico.
Il tempo del ritorno l’ho trovato un po’ lento, sebbene la storia risulti interessante, tuttavia il film non riesce a coinvolgere ed emozionare più di tanto, nonostante, nella parte finale, avvenga una decisa virata verso situazioni comunque già inflazionate, con lo scotto, ahimè, di perdere la “carica eversiva.” Infatti, a tal proposito, poche volte ho visto soluzioni e sintesi efficaci, e non si è nemmeno cercato di sfruttare a pieno le implicazioni psicologiche. Soltanto una buona padronanza della macchina da presa ha permesso al sottoscritto di non criticare troppo il film e la dizione sopra la media degli attori, specie i confronti tra i vari personaggi, che senz’altro rendono più che verosimile la storia, tra l’altro senza mai divagare, però azzerando o quasi le figure di contorno.
Il film, comunque, non si basa solo ed esclusivamente su una matrice politica, poiché si dedica pure ad altre cose, ad esempio a svelare aspetti sorprendenti dell’“indagine” da parte di Luca Ansaldi, (Stefano Abbati), il protagonista, che accetta un pericoloso e scottante incarico da parte di Giovanni Duranti (Alberto Di Stasio), amico e regista televisivo, in primis per chiudere il suo passato “rosso”, in cui “manifestava” assieme ad un gruppo di amici/dimostranti, di cui ognuno ha cambiato vita per non dire “partito.”
Al film contesto per lo più quella mancanza di coraggio nel raccontare in maniera più incisiva, a cominciare dal fatto che si potevano rendere più "cazzute" alcune sequenze di morte che, per ovvi motivi, non posso, anzi non voglio, spoilerare.
Che altro dire?
Il cinema italiano degli anni 90, nonostante risulti globalmente di scarso lustro, aveva in egual modo parecchio da dire, producendo di fatto film di vario genere e attingendo a migliaia di contesti. A livello intellettuale lo si può suddividere in due filoni, ovvero uno "alto" ed uno "basso," in questo caso direi di orientarci in una via di mezzo e senza quella pretesa di focalizzarsi eccessivamente sulla storia.
Da segnalare come Il tempo del ritorno in certe sequenze mi abbia ricordato Concorso di colpa di Claudio Fragasso, interpretato da Francesco Nuti, per via della sequela orientata sullo “rispolverare” eventi passati al fine di trovare e sbattere davanti allo spettatore la verità su un piatto d’argento, con le dovute e tragiche conseguenze.
In conclusione, Il tempo del ritorno non è una di quelle pellicole memorabili, merita una semplice visione e con la consapevolezza poi che difficilmente in futuro si andrà a riguardarlo, difatti una volta basta e avanza.