I frollinacci
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5 Settembre 1995. Il giorno, il mese e l’anno in cui è nata Elisa, la mia sorellina. A poche settimane dalla sua nascita, in puro spirito meridionale, i parenti e gli amici gradualmente venivano a casa nostra per farci visita. C'era chi portava in dono dei giocattoli, chi dei vestiti per la bebè, chi delle buste contenenti una o più banconote e chi dei dolci.
Erano giorni di festa, in soggiorno si trovavano vassoi di paste di vario tipo accompagnati da tantissimi confetti rosa. Ghiotto com'ero, ne divoravo in grandi quantità, e a darmi manforte l’altrettanto golosa Cettina, "la mia sorella più media," per dirla alla Nino Frassica, un undicenne e una novenne complici, una sorta di Bonnie & Clyde con quell'intrufolarci di nascosto nel salone con l'intento di arraffare, visto che i nostri genitori ci proibivano di toccare i dolciumi destinati agli ospiti.
A farci visita per ultimi furono due lontani parenti anziani, che a tutela della privacy, chiameremo Salvatore detto Turi e Ada, da sempre bollati come i più tirchi del mondo. Quel pomeriggio notammo che Ada teneva in mano una busta di colore giallo sulla quale era disegnato Topolino e Pluto, tant'è vero che sia io che i miei familiari ipotizzammo un bel regalo per Elisa, ad esempio un completino. Invece si trattava di un maxi pacco di biscotti, precisamente la versione economica dei GranTurchese, di quelli che nei supermercati a quei tempi costavano al massimo quattromila lire. Alla vista di quei frollini, restammo negativamente sorpresi, cercando comunque di non far trasparire la delusione.
«Per i ragazzi!» disse Turi, indicando me e Cettina.
«Magari, se li fai sciogliere nel latte caldo del biberon, vanno bene anche per la picciridda» aggiunse candidamente la moglie, rivolgendosi a mia madre.
Dopo che Crick e Crock se ne andarono, dal momento che era presente pure mia nonna materna, quest'ultima si lasciò andare a una serie di commenti indirizzati ai due taccagni, sostenendo che avevano fatto una figura di merda.
Ad ogni modo, essendo ora di merenda, decisi di dissigillare quel grosso involucro trasparente e di sgranocchiare tre o quattro frollini, ma, ahimè, nella premura, lo aprii malamente, lacerandolo quasi per metà. Cettina non ne volle mangiare, affermando che quei biscotti le ricordavano gli ospedali e gli ospizi.
Mi sedetti sul divano del salone, constatando di come quei “gratati” di sottomarca erano troppo duri al punto che si potevano usare come cric per sollevare un auto per il cambio di un pneumatico. Nel frattempo, nella stessa stanza, Elisa dormiva come un angioletto nel passeggino, tra l’altro vicinissimo alla nonna che in un angolo se ne stava seduta ad osservarla dolcemente.
Stavo per dirigermi in cucina con l’intento di prendere una molletta per chiudere nel migliore dei modi quel paccone di frollinacci e riporlo sopra la mensola, quando mi sentii chiamare a bassa voce dalla nonna, che mi chiedeva stranamente di darle qualche biscotto, considerando che circa un quarto d’ora prima li aveva maledetti. Non l’avesse mai fatto, oltretutto commisi l’imprudenza di passarle la danneggiata confezione di frollini da sopra il corpicino di Elisa.
All'improvviso… swoash! La confezione si ruppe e l’innocente fagottino venne interamente travolto da un ammasso di biscotti i quali sembravano le macerie di un'abitazione terremotata.
La nonna, come un provetto vigile del fuoco, tempestivamente prese la lattante in braccio “evacuandola” dalla carrozzina e scrollandole velocemente quei cosini forellati, per di più mettendole un dico in bocca per assicurarsi l’assenza di frammenti. Povera Elisuccina, diventò tutta rossa in viso per poi piangere disperata.
Mamma, papà e Cettina accorsero subito immaginando che fosse successo qualcosa di serio. Naturalmente fui rimproverato, venendo paragonato a Gian Burrasca, tra l’altro all'insegna della sceneggiata napoletana da parte della “salvatrice.”
La piccina, una volta tranquillizzata, fu adagiata nella culla, poiché si doveva ripulire scrupolosamente il passeggino.
«Ah, i biscuttazzi di Adazza! (Ah, i biscottacci di Adaccia!)» esclamò borbottando la nonna, mentre gettava quei cacchio di frollini nella pattumiera.
L'impervio sentiero
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Uno stralunghissimo e tortuoso sentiero in salita, chiamato Purgatorio, conduceva in Paradiso.
La via era piena di sassi, di rovi spinosi ma soprattutto di chiodi, o, più precisamente, di Sacri Chiodi, in riferimento alla crocifissione di Gesù. A parte l'esenzione per i bambini e gli adolescenti, le anime dei defunti essendo completamente svestite, per ovvi motivi dovevano percorrere il passaggio senza calzature. Impossibile immaginare con quanto dolore si arrivasse a destinazione, considerando poi che l'estenuante camminata durava in media un secolo. Finché, Dio, mosso dalla compassione e dalla misericordia, diede l'incarico ai suoi angeli migliori di costruire uno spaziosissimo e veloce ascensore, il quale sarebbe stato operativo una volta al giorno, sette giorni su sei.
La questione sembrava risolta, purtroppo, invece, l'impianto si rilevò un autentico fallimento. In primo luogo, nonostante la considerevole ampiezza della cabina, un numero eccessivo di anime tendevano ad ammassarsi, tra spintoni e imprecazioni con bestemmie annesse. Perlomeno nessuno si lasciava andare a flatulenze, tuttavia avvenivano episodi di molestie, tra palpatine e... plop plop.
In secondo luogo la stragrande maggioranza di coloro che da sotto attendeva il ritorno dell'ascensore vuoto, mostrava atteggiamenti spazientiti, per non parlare delle infuocate agitazioni.
Com'era prevedibile, Dio s'incazzò di brutto e, stanco di quel pandemonio, disattivò l'immeritato mezzo di trasporto, ripristinando così il sentiero malagevole.
Tutto tornò come prima, con la sola differenza che all'inizio del percorso fece piazzare un chilometrico palo scalettato per chi si voleva cimentare ad arrampicarsi per raggiungere il Paradiso più velocemente. Peccato che quella sorta di sostegno risultava esageratamente unto di vasellina, tra l'altro con un beffardo cartello piantato per terra con su scritto in aramaico: “E adesso pigliatevela nel culo!”
Sergio Camellini, "Opera omnia"
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Sergio Camellini
OPERA OMNIA
II edizione
Recensione di Raffaele Piazza
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa a cura dell’Editore e una prefazione di Michele Miano centrata, esauriente, acuta e ricca di acribia.
Come scrive il prefatore non è facile affrontare il discorso poetico e umano di Sergio Camellini, autore prolifico che ha scoperto la vocazione letteraria in età matura. La sua ricerca poetica originale e personalissima si radica in un fondamento antico ma sempre nuovo: il rapporto profondo che lega il proprio io nella più intima coscienza percettiva e individuale alla coscienza di un universo tutto inteso come il topos assoluto e naturale della poesia.
Figura di poeta e operatore culturale attivissima sullo scenario italiano attuale Sergio Camellini ha sostanzialmente un approccio gioioso alla vita ed esprime in gran parte della sua produzione un discorso che si rifà ad una sicura espressione forma di pedagogia della gioia.
La raccolta composita e articolata architettonicamente è scandita nelle seguenti sezioni: Lasciami di te un’emozione, I colori della fantasia, Ascolto i silenzi, Viandante dei sogni, S’accende una luce, Il canto delle Muse, Madre natura è vita, Tra le righe del pensiero, Ponte dei sogni, So di essere, Un sogno con le ali, Bagliori, Il pianeta delle nuvole rosa, Nel corpo un soffio dell’anima.
Una vena riflessiva e vagamente intellettualistica sottende le poesie di Camellini che non possono considerarsi neo liriche tout court anche se non mancano spesso accensioni liriche alle quali seguono subitanei spegnimenti nel percorrere i salvifici sentieri della linearità dell’incanto.
Il poeta con intelligenza punta la sua cinepresa interiore sulla realtà che lo circonda, che può essere anche una natura idilliaca da lui tanto amata.
La materia amorosa ed erotica è spesso espressione del poeta e c’è un tu femminile al quale egli si rivolge del quale ogni riferimento resta taciuto e l’amore detto con urgenza può essere anche quello per la poesia stessa, amore ricambiato che diviene il punto di partenza per giungere alla gioia e, visto il carattere allegro del poeta, quella da lui detta può essere una dimensione amorosa che, nell’aprirsi la coppia alla socialità, riesce a superare il limite della solitudine a due.
La vena intellettualistica riflessiva si realizza per esempio nella considerazione che l’autostima genera serenità.
Anche il sogno, che può essere rêverie, anima qualche composizione della raccolta come Vorrei scrivere un sogno: «Vorrei scrivere un sogno / con penna d’amore / che ci portasse là, / perché v’è libertà / anche s’adombra il vero; / è la fantastica / spontaneità / dello spirito onirico…».
Una caratteristica di questi versi è la forte chiarezza nei dettati sempre nitidi e luminosi leggeri e icastici che permette al poeta di raggiungere esiti alti con componimenti che decollano sulla pagina per poi planare dolcemente nelle chiuse.
A conferma di quanto suddetto in Versi calorosi leggiamo: «Con la penna / imbibita d’amore / tra le righe / dei pensieri / dov’eri? / Ogni parola / scritta / qualora resti sola / indispettita / scappa via, / se non trovi / allo schioccar / del fuoco / i versi calorosi / d’una poesia».
Forma e stile sono eleganti nella loro raffinatezza, nella realizzazione di un senso ottimistico della vita che giunge alla conclusione che la felicità è possibile.
Raffaele Piazza
Sergio Camellini, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 188, isbn 978-88-31497-97-8, mianoposta@gmail.com.
Floriano Romboli, " Il fascino e la forza della letteratura" vol 2.
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Floriano Romboli
IL FASCINO E LA FORZA DELLA LETTERATURA
VOL.2
Saggi su Fogazzaro - Dante – De Sanctis - Malaparte
D’Annunzio - De Roberto - Sanminiatelli
Dal titolo del saggio che prendiamo in considerazione in questa sede emerge la forte convinzione dell’autore che la letteratura è un mezzo potente per elevare la mente umana e che la lettura di romanzi, poesie e saggi è un’arma formidabile per l’anima e la psiche del lettore come espressione del pensiero divergente ,che diviene esercizio di conoscenza prezioso e necessario producendo una preziosa sintesi di conscio e inconscio e anche di corpo e mente.
Non c’è bisogno di essere psicologi, psicoanalisti o psichiatri per rendersi conto che immergersi in ottimi libri riequilibri il mondo interiore dell’essere umano che da caos diviene cosmo, come l’entrare in un’oasi nel deserto soprattutto nel tempo della pandemia e della guerra, e che la letteratura e l’arte in generale siano un valore fondante nel mare magnum di una società superficiale dove prevalgono i valori dell’avere su quelli dell’essere che portano ad una dimensione alienata e liquida dell’esistenza.
Ed era politically correct uno slogan televisivo di qualche anno fa che mostrava la vignetta che raffigurava un uomo che leggendo un libro diviene più alto fisicamente ma soprattutto interiormente, e il discorso complessivo si sintetizza con quello di una pedagogia della gioia e di un elogio dell’immaturità nel ritornare virtualmente il lettore stesso adulto bambino o adolescente.
Quanto suddetto si collega alle considerazioni sul libro classico, quello cartaceo, che è sopravvissuto ai fenomeni computer e internet, fenomeni che d’altro canto hanno fatto aumentare il potenziale della letteratura stessa nell’avvicinare alla tradizione nuove modalità di fruizione del piacere dei testi con il sorgere di siti e blog letterari e con il proliferare dei PDF e degli e-book, e quindi la letteratura stessa è diventata ancora più presente nella nostra complessa e contraddittoria ma anche affascinante contemporaneità.
Originale e intrigante la scelta degli autori da analizzare con accostamenti inediti e originali e certamente non casuale per la stessa coscienza letteraria di Romboli, acuta e profonda per il fatto di spaziare dalla cattedrale Dante Alighieri poeta medievale fino a Sanminiatelli poeta e critico dei nostri giorni.
Questo procedimento fornisce al volume in toto un carattere seducente e movimentato e per un’analisi metodica dell’opera servirebbe non una recensione ma uno scritto delle dimensioni di un saggio vista la complessità e la profondità del discorso esauriente e ricchissimo di acribia portato avanti da Floriano.
E c’è da mettere in rilievo come affermava Focault che la letteratura stessa è figlia del tempo in cui viene prodotta, della società nella quale si trova ad essere contestualizzata e quindi lo stesso Dante è figlio del Medio Evo come Sanminiatelli è figlio del postmoderno occidentale e come, per esempio, D’Annunzio è espressione della mentalità del Novecento.
Come scrive Enzo Concardi nella premessa non c’è tema, argomento, problema, dimensione, aspetto dell’umano vivere che la letteratura non abbia trattato in ogni epoca, cultura, civiltà, territorio del nostro pianeta, ovviamente dopo l’avvento della scrittura, che ha gradualmente sostituito la trasmissione orale del sapere, delle conoscenze, delle creazioni spirituali dell’uomo.
Scrive Romboli in L’opera di Dante nelle riflessioni storico culturali ed etico-religiose di alcuni Papi contemporanei che Benedetto Croce, alla fine de La poesia di Dante, la giustamente celebre monografia del 1921, dopo aver a lungo discorso del rapporto fra tradizione filosofico-culturale, problematiche teologiche e dottrinali, e valori artistico-letterari nella Commedia, concludeva sottolineando il significato universale del poema dantesco poiché in esso prontamente si riconosce «quella voce che ha il medesimo timbro fondamentale in tutti i grandi poeti ed artisti, sempre nuova, sempre antica, accolta da noi con sempre rinnovata trepidazione e gioia: la Poesia senza aggettivo. A coloro che parlano con quel divino o piuttosto umano accento si dava un tempo il nome di Genî; e Dante fu un Genio».
Un saggio da divorare utile sia per il lettore comune che per i critici letterari.
Raffaele Piazza
Floriano Romboli, Il fascino e la forza della letteratura, vol.2, pref. di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 148, isbn 978-88-31497-93-0, mianoposta@gmail.com.
Enza Sanna, "Nei giorni"
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Si può affermare senza tema di smentite che la poesia di Enza Sanna si inscrive nel novero di quei poeti di pensiero che hanno abitato da sempre la repubblica delle lettere. Anche per questo l’autrice appare dedita a una incessante ricerca di senso. Il suo libro Nei giorni (pref. di Maria Rizzi, G. Miano editore, Milano, 2022), è infatti una vera e propria miniera di osservazioni e considerazioni; sull’accelerazione tecnologica (Quando la sera), su “un mondo passato troppo in fretta / dalla campagna all’industrializzazione”; sull’impoverimento dei “rapporti umani”; sulla differenza che passa tra la musica, che è alleanza con le parole, e la poesia, che “vive nella propria autonomia”; sull’alterità e il totalmente altro; sul consumismo e la sottocultura (Adolescenza dell’anima); sulla caducità e il concetto sotteso dell' uomo come ‘essere-per-la-morte’; sul tramonto della civiltà contadina e le illusioni sul progresso. Ci si sofferma altresì sulla differenza tra mito e storia (Un arcobaleno con i piedi nel mare). Insomma, una poesia pensante.
Il pensiero di Sanna, che è stata docente di Lettere, è peraltro nutrito di ampie e meditate letture, che si innestano su una cultura solida. Si fa riferimento a un “innamoramento verghiano”, a un libro di viaggi di Carlo Levi, alle “tragedie greche”, a Pavese, a Moravia, solo per fare qualche nome.
La sua poiesi è quindi intessuta di citazioni: possiamo parlare di gusto citazionale; tutto il canone della letteratura occidentale viene convocato dalla scrivente. Tessere linguistiche e citazioni o allusioni rimandano a Dante, Ariosto, Leopardi, Carducci, Montale, D’Annunzio, Cardarelli, Baudelaire, Conrad e altri.
Scrive giustamente nella prefazione Maria Rizzi: «Vola sul piano metafisico… dietro l’apparente nichilismo». Numerose sono infatti le metafore di sapore biblico o liturgico, sin dalla prima composizione. L’ultima parola che chiude la silloge, tra l’altro, è significativamente “Eterno”. La prefatrice sottolinea anche l’importanza dell’amore e la presenza del mare, percepito come una sorta di assoluto, di “metafora potente”. I paesaggi marini della nativa Liguria e in genere di una natura mediterranea, di cui si avverte il fondo sensuale, vengono presentati a volte con una precisa referenzialità descrittiva, a volte trasfigurati; sono paesaggi inondati di luce; “luce” è un mot/clé, date le numerose occorrenze del termine e dei termini rientranti nel medesimo campo semantico.
L’io allinea inoltre riflessioni, sulla scorta delle vertiginose meditazioni di Sant’Agostino, sullo spazio tempo (Sentimento del tempo). Col tempo scompaiono le persone care, ma l’assenza può essere, come canta un grande maestro del 900, una “più acuta presenza” (La perdita e l’assenza). “Ha ali il tempo, volano gli anni”, si duole Enza, ripetendo il “ruit hora” di sempre. Inevitabile quindi il corredo di nostalgie per i luoghi (L’uomo del faro); per le persone care, che dimorano ormai “oltre la soglia” (si veda Natale in famiglia, dove si ricrea la magia di un caldo cerchio di affetti familiari); né va sottaciuto il rimpianto per l’infanzia fiabesca.
La poetessa non disdegna di affondare i suoi gangli conoscitivi negli “stati dell’inconscio”. Incontriamo da subito un titolo esemplificativo di tale tendenza: Necessaria regressione.
Una caratteristica fondamentale è senza meno l’attenzione ai problemi di tipo glottologico- linguistico. Si parla di “illocuzione”, in un testo che si sofferma sulla “parola”. Si lamenta “l’impoverimento” del linguaggio in una società “omologata” (Le nuove solitudini).
In questo ambito si inseriscono le notazioni di poetica, consegnate eminentemente alle liriche Dello scrivere: “la letteratura è una menzogna… che dice il vero”, e Della poesia (“il come”, l’importanza dell’immaginazione). Ma ci sono poi osservazioni sparse di poetica che attraversano il macrotesto. Allora leggiamo che la parola come sostituto dell’oggetto è inadeguata, ma sa “trasformare in fiaba il reale”, quindi ha un potere trasfigurante (si veda il prisma colorato attraverso cui passa la descrizione iniziale in Equinozio d’autunno). La poesia, la cui inutilità è “sublime” (Non ancora, forse), per Enza Sanna è verticale e attiene alla sfera del sacro; diventa patrimonio di tutti e non più del poeta; è considerata come una terapia; è frutto di ispirazione; predilige un linguaggio “allusivo” e gli intarsi versali; utilizza gli spazi bianchi; è pericolosa, a causa della sua “fascinazione”.
Non mancano i riferimenti agli eventi della cronaca. (Quando un ponte divide), con cenni alle problematiche legate a una stringente attualità, eventi passati in rassegna anche nell’ultimo, quindi importante, componimento, della raccolta.
Il lessico è ricercato e prezioso, anche in forza della presenza di termini appartenenti alla tradizione alta, di termini colti, aulici; di arcaismi, forestierismi, grecismi e latinismi e addirittura di nuovi coni o comunque di parole desuete.
Fabio Dainotti
Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.
Marisa Cossu, "Sintomi poetici"
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Marisa Cossu
SINTOMI POETICI
Il poeta vede il bello dove altri vedono il banale, scorge vita dove altri morte. Così la poetessa Marisa Cossu, già sin dalle pagine iniziali di questa silloge dal titolo Sintomi poetici (Guido Miano Editore, 2022), cioè nella prima parte Sentire il tempo, osservando e riflettendo su quel che le si offre davanti agli occhi, come le Trasparenti pareti delle case della sua strada, le sente palpitanti di vita («irradiano la vita»), laddove altri vedrebbero solo insignificanti pietre, mentre invece la intristisce la pietra che è il cuore indurito dell’uomo. Così come vede nel nido scavato nella battigia in riva al mare, non chiusura o isolamento, ma punto di partenza per spiccare il volo verso la libertà: «…Eppur l’abisso non ha in sé la morte /…/ Il nero alcione nella riva nato, / la libertà richiama nel cammino / dell’azzardo del vivere….» (Il nido).
Marisa Cossu riflette sul significato del tempo («il tempo non esiste», Senza tempo) che viene superato dall’eternità «dove sia sempre giorno» (Alice) come se noi, già qui in terra, fossimo inseriti in un tempo senza limite, nella infinità. In effetti qui, nella esistenza terrena, assaporiamo l’eternità, sentiamo l’infinito quando ci eleviamo nello spirito. «Io, piccola particola d’eterno» (“E quando miro in ciel arder le stelle”); «Io, minima particola d’eterno» (Ecco il mio cielo); «Ecco il mio cielo pieno di mistero: / mi incanto se rimiro ad occhi chiusi/ quell’infinito che si muove intero» (ivi).
Ma nelle sue riflessioni serpeggia l’idea che l’essere umano passa nella sua esistenza attraverso due fasi: prima si sente come incatenato, si sente in prigione, poi avviene un risveglio, l’irruzione della libertà che lo conduce verso alte mete. Simbolo di ciò è l’acqua sorgiva: «Quel getto che zampilla dalla roccia / l’acqua sorgiva … / rassomiglia alla stanza della vita: / sotto la terra dura perde il sole, // ma continua la corsa dove vuole…» (Acqua).
Forse sono questi i sintomi poetici: l’anelito allo svelamento, da quanto è sotterraneo alla pienezza della libertà che fa realizzare la propria essenza.
Non per nulla, nella copertina del libro vediamo una fanciulla sugli scogli in riva al mare, in atto di contemplazione, e il mare è segno di infinito, di libertà, di grandezza.
***
Nella seconda parte del libro, intitolata Stanze segrete, ritorna il tema del risveglio, e questa volta è il cigno che si eleva dal fango e spicca il volo. Nel cigno si cela l’autrice stessa che in questo librarsi in alto percepisce «Bellezza», che è l’espiazione, da lei voluta, e perciò volontaria e consapevole, di un destino avverso, in cerca di luce. E la luce arrivò. E fu amore. Da Le ceneri dell’io affiora allora l’identità. È lo svelamento della propria essenza. «…non saprò cosa gemmi dal torpore / di un oscuro destino / parte migliore, forse, di me stessa; / lo accettai per soffrire, / espiando la vita a me concessa / in cerca di una luce…» (Attesa).
Questa seconda parte, rispetto alla prima, scava maggiormente nella interiorità. Temi frequenti sono il fine dell’uomo, il suo destino, poi l’ignoto, il mistero, l’oltre, e in tutto questo c’è l’uomo che oscilla sempre tra il fango e il sublime. Ancora il richiamo della Bellezza con la Poesia, l’Arte. E tutti questi temi si intrecciano e sfociano dalla impetuosa ansia di conoscenza della poetessa. Ella riconosce l’Arte come dono: «L’Arte… / permeò di pura meraviglia / il mondo dell’umana conoscenza / svelando all’intelletto la bellezza. /… / Ma l’Arte venne e illuminò la scienza. / Si strinse dentro fossile conchiglia / che d’infinito a volte soffia il suono». È l’Arte infatti che ci introduce nel mondo dell’infinito.
***
Ma cos’è la Bellezza se non lo splendore dell’Amore? Eccoci allora giunti alla terza parte che ha un titolo delizioso e molto significativo, Amo divinamente. Eh già. Si può parlare veramente di amore quando esso ricalca le orme dell’amore divino.
E quale amore è più simile a quello divino se non l’amore materno? Ecco allora, in questa terza parte, più di una poesia dedicata alla madre. «Mi passa accanto il tuo profumo, madre, /… lo sguardo tuo / che più lontano mira…» (A mia madre). Anche l’amore paterno, e, ricordando il genitore: «… In me di conoscenza, / di speranza e d’amore / seminò un campo vasto che aro ancora…» (Innesti). Anche l’amore di una moglie che presagisce la morte del marito che va in guerra. Ecco un richiamo allo struggente episodio del saluto di Andromaca al marito Ettore, come narrato nel poema omerico. «… Ahi! dolce sposa, presaga del lutto, / Cogli l’amore nell’abbraccio estremo, / Ama questo momento d’infinito» (Andromaca). E non poteva mancare Colui che è l’espressione più compiuta dell’amore divino, cioè dell’amore di Dio Padre, che è Gesù: «… quel dio-dentro che con voce lieta / nella vicenda umana si palesa…» (Questo Natale). Ma una constatazione amara: «… Quel figlio non lo vuole questa terra, / tutti rinchiusi nell’indifferenza / dove non c’è la pace né il perdono…» (ivi). Ma non viene meno la speranza che è «… quella parte d’infinito / che ne richiama l’ali pur se il nulla / volteggia insieme al desiderio estremo; /…/ Non so se nel ritorno / sia la resurrezione…» (Speranza).
Il pensiero dell’infinito, del mistero che si riveste di luce è associato, nella mente e nel cuore della poetessa, ad un colore che ben si accosta alla luce, e cioè l’argento. «Amore che d’argento ti rivesti…» (Argento). Argento che è dunque, luce, che è bellezza, la quale è dunque lo splendore dell’amore. E lo splendore dell’amore si palesa in qualcosa che è gesto gentile e delicato, il sorriso. «…Il riso nato dall’interno cuore / all’uomo venne in dono, unica e sola / forma creata dall’eterno Amore, / scintilla già pensata... / il riso è segno del soffio divino / e il Poeta ne scrive nel suo Canto…» (Il sorriso).
Maria Elena Mignosi Picone
Marisa Cossu, Sintomi poetici, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 92, isbn 978-88-31497-84-8, mianoposta@gmail.com.
Intervista con l'artista Mario Schifano
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Sergio Camellini, "Opera Omnia"
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Sergio Camellini
OPERA OMNIA
II edizione
Il poeta modenese – nativo di Sassuolo – Sergio Camellini ha dato alle stampe la sua Opera Omnia (II edizione), che contempla una vasta selezione di raccolte poetiche e di liriche scritte e pubblicate fra il 2013 e il 2021. Il volume entra a far parte della collana di testi letterari Il pendolo d’Oro, della Casa Editrice Guido Miano di Milano, la quale è composta da monografie dedicate ad autori scelti. I titoli che appaiono nel libro, nel loro complesso, iniziano già a tracciare un orientamento, seppur abbozzato, circa la poetica dell’autore: Nel corpo un soffio dell’anima (2013); Il pianeta delle nuvole rosa (2014); Bagliori (2015); Un sogno con le ali (2016); So di essere (2016); Ponte dei sogni (2017); Tra le righe del pensiero (2018); Madre natura è vita (2019); Il canto delle Muse (2019); S’accende una luce (2020); Viandante dei sogni (2020); Ascolto i silenzi (2021); I colori della fantasia (2021); Lasciami di te un’emozione (2021). La personalità di Camellini è estroversa e comunicativa – esercita la professione di psicologo clinico – per cui anche in campo culturale e letterario ama presenziare agli eventi che lo vedono premiato come poeta, dove può incontrare personaggi dell’arte e dello spettacolo, come testimoniato dalle immagini fotografiche all’interno dell’Opera Omnia: tra questi citiamo i più famosi, come Vittorio Feltri (giornalista); Francesco Alberoni (sociologo); Marco Columbro (attore); Vittorio Sgarbi (critico d’arte); Dacia Maraini (scrittrice); Pippo Franco (comico); Pupi Avati (regista); Iva Zanicchi (cantante); Romina Power (attrice).
Le tematiche che maggiormente s’incrociano nei suoi testi in modo trasversale, ovvero a rimbalzo da una silloge all’altra, sono attinenti alle emozioni e ai sentimenti con prevalenza dell’amore quale cardine della vita; alle dimensioni oniriche e pindariche, sostenute dalla fantasia e dalla creatività; alle problematiche dell’essere, dove emerge la ricerca interiore e si svela una poesia del positivo, anti-crisi e anti-depressiva, costituita da tante pillole di saggezza per “come vivere”; al rapporto con la natura ed il creato; a taluni contenuti della memoria, dagli affetti familiari ai ricordi dell’infanzia, dallo scorrere del tempo a squarci storici.
Il biglietto da visita della visione camelliniana mi pare essere questo, ovvero la poesia So di essere: «Non perdo di vista / me stesso, / né m’avvilisco / nonostante le avversità. // So chi sono, / so di essere, / so d’occupare / un posto quaggiù. // Voglio percorrere, / anche in salita, / quest’irto e affascinante / progetto di vita. // Certo che sì, è tutto mio, / allorché sempre / strettamente comunicante / con l’altrui realtà». Quattro quartine per affermare una precisa identità, un chiaro compito in questa vita, una salda volontà nel superare ogni ostacolo, una limpida coscienza del senso dell’altro: un progetto contro-corrente rispetto alle tendenze societarie e individuali odierne piegate verso lo smarrimento e la dispersione. Un progetto paradigmatico che tutti dovrebbero coniugare per vivere felici.
Il poeta dunque denuncia sì l’attuale regressione antropologica (si legga la lirica Uomo dove sei?: «Eri presente … / cultura, / idee creative, / modi di essere / di pensare / di amare / … // Ora latiti: // … Uomo dove sei?»), ma per combatterla e superarla in ogni modo: volgendo il pensiero all’Immenso, ritrovando la sete d’Infinito, credendo nella Trascendenza, vivendo per la vittoria dell’Amore, visitando lo spessore dei silenzi-oasi dell’anima, leggendo il libro interiore alla scoperta dell’unicità di se stessi, coltivando la luce dentro di noi, lasciandosi catturare dalla poesia dell’essere, imparando dalle persone speciali, abbattendo muri e costruendo ponti… ed anche scegliendo l’ironia per superare l’incomunicabilità nel bon ton della vita. Inoltre bisogna ritrovare la capacità di sognare e realizzare i nostri sogni con il volo della fantasia, con il viatico delle muse delle arti (si legga la silloge I colori della fantasia).
Il capitolo dell’amore è al contempo autobiografico e femminino: l’elogio del poeta va alla donna libera, alla fanciulla gioiosa, alla semplicità dei modi, al rinnovarsi del sentimento, al vero amore, al valore dei piccoli gesti, al romanticismo delle atmosfere, all’amore che è dono («… l’amore / non misura ciò / che dà, / l’amore / confini segnati / non ne ha», Per dire amore).
Ed ancora nel canto di Camellini la natura è un inno alla vita e alla gioia: dalle nuvole rosa, alla luna, all’alba; dai mutamenti stagionali, alle bellezze cosmiche. E nella memoria custodisce il bel viso della madre, l’esempio del padre, gli odori della sua terra, i canti d’amore delle mondine, la civiltà e la cultura dell’Italia.
Enzo Concardi
Sergio Camellini, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 188, isbn 978-88-31497-97-8, mianoposta@gmail.com.
Angelo Barraco, "Fuga dall'est"
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Angelo Barraco
Fuga dall’Est
Quaderni di poesia
Questo libro è stato scritto nei primi mesi del 2022, quando è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina. In quei giorni di marzo le città italiane si preparavano per accogliere gli sfollati e, parallelamente, si svolgevano numerose manifestazioni - da Nord a Sud - per dire “No” alla guerra. Nel corso di quei giorni ho intervistato volontari e associazioni che si mobilitavano per raccogliere beni di prima necessità e portarli in Ucraina, ma anche cittadini ucraini residenti in Italia che avevano i parenti in quei territori […]
Angelo Barraco racconta: “Con questo libro ho voluto raccontare la guerra dal punto di vista delle vittime. Molti rimangono imprigionati dentro i bunker antiaereo in attesa di un momento giusto per uscire, altri ancora non potranno mai farlo perché moriranno. Qualcuno riuscirà a fuggire e sarà fortunato, altri ancora rimarranno imprigionati in quell’inferno e moriranno intrappolati, senza mai trovare il fatidico momento giusto. Per molti non ci sarà mai. Alcuni saranno uccisi dai cecchini, ad altri finirà la benzina in mezzo ad una strada troppo isolata. Ho deciso di raccontare tutto in versi, quasi come fossero dei piccoli diari di una guerra che si sviluppa di territorio in territorio e ho voluto trasformare ogni pagina in una narrazione emotiva unica e attuale”.
DONBASS
Il cielo è grigio sopra la testa
Di chi alza lo sguardo e cammina per strada
In attesa di fuggire via
Prima che l’ultimo respiro venga rubato dal vento.
Angelo Barraco nasce a Marsala, in provincia di Trapani, nel 1989. È un giornalista pubblicista. Collabora con diverse testate nazionali, internazionali, cartacee e web. È autore del libro CAOS (Bertoni Editore), pubblicato nel 2021.
Decision to leave
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Questa immagine credo rappresenti al meglio la storia d'amore tra i due protagonisti: sensuale, ironica, misteriosa, asincrona. Lui è un poliziotto coreano, lei è la moglie del morto su cui lui indaga. Lui è sposato a una scienziata, una donna ipercontrollante e razionale che vede solo nei fine settimana e gli chiede di fare del sesso meccanico solo perché fa bene alla salute, mentre gli impedisce di mangiare sushi e fumare. Lei è una giovane badante cinese che parla un coreano un po' demodé, imparato dai drammi d'amore che guarda in TV. Lui è insonne ma impara a dormire meravigliosamente quando fa gli appostamenti per spiarla, perchè è rimasto folgorato da lei appena l'ha vista, e pazienza se è sospettata. Il sentimento di lui si trasforma in ossessione. Il suo acume di detective si annienterà di fronte al tocco delle mani ruvide di lei, sarà capace di scalare una montagna durante una nevicata per avere da lei l'unico bacio, un abbraccio gli costerà la deontologia di poliziotto. La trama, come già in Oldboy, è decostruita temporalmente, per cui la storia procede, torna indietro per mostrare scene da un diverso punto di vista, apparentemente si interrompe o fa salti temporali, ma tutto ha un senso che si inserisce nel rigoroso filo logico della storia, per cui nessuno fa spiegoni riassuntivi, sta allo spettatore ricordare e mettere insieme i pezzi. Poetiche le scene in cui lui immagina di dormirle accanto, nel divano in cui lei mangia sensualmente il gelato col cucchiaino, mentre la osserva per lavoro. Il sonno ristoratore come conseguenza dell'amore vero, anche senza sesso consumato prima. Lei che quando vuole comunicare concetti profondi, vuole connettersi davvero al suo cuore, preferisce parlare il cinese e usare il traduttore automatico, perché mai siamo davvero noi stessi se non quando usiamo una lingua che non sia quella madre. Terribilmente ridicola e vera la scena in cui lui scambia il suo dramma d'amore con un pregiudicato che ha il suo stesso problema di cuore, dopo un inseguimento e prima che questo si getti da un tetto. Un Amour fou asincrono come l'intera storia, prima per lui e poi per lei, un sentimento totalizzante, viscerale che finirà per annientarli entrambi in modi e tempi diversi. E che dice molto su cosa ancora oggi, nonostante l'emancipazione, faccia colpo sui sessi: sugli uomini la donna ambigua, vittima e crudele allo stesso tempo, su noi donne l'uomo che rinuncia a tutto per noi, a costo di perderlo. Il finale non è lieto ed è molto melodrammatico: ovviamente sul mare, perché come diceva Confucio "alle persone sagge piace il mare, alle persone benevole la montagna" e lei, la femme fatale di questo film, non era certo benevola. Regia davvero strepitosa.