Gabriella Veschi, "Imprevisti battiti"
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Gabriella Veschi
Gabriella Veschi è nata ad Ancona nel 1959. Scrive Michele Miano nella prefazione centrata e ricca di acribia che la sua poesia evita di limitarsi ad un’immediata descrizione e ricezione del reale e che intento della poetessa è quello di librarsi al di sopra delle contingenze del mondo, delle sue fragili miserie, per assurgere ad una dimensione che schiuda le porte ad una primigenia purezza.
Potrebbe sembrare utopico l’ideale della Veschi nella nostra liquida e alienata contemporaneità segnata dalla guerra in Ucraina e dall’incubo della pandemia.
Tuttavia il suddetto ideale, che potrebbe sembrare un sogno ad occhi aperti, può essere raggiunto solo con la pratica della poesia che, come asseriva Maria Luisa Spaziani, è la forma più alta delle espressioni letterarie, e si apre al varco della speranza e della salvezza portando ad una salutare fusione di conscio e inconscio, di fisico e psichico nel poeta quando scrive e nel lettore dei versi, quando essi sono realizzati nei canoni della bellezza come in questo caso.
La raccolta è scandita nelle sezioni Vorrei, In agguato, La mia città e Follie di guerre.
Nella lirica Vorrei c’è il tema della metamorfosi quando l’io – poetante molto rarefatto e autocentrato nell’incipit, con un’immagine eterea e surreale, s’identifica in un cervo o nel mare d’agosto: «Vorrei essere / come quel cervo, / leggero / agile, / spensierato, / mentre spicca / il suo volo / librandosi nell’aria / incontaminata, / volando nel cielo / tra i profili dei monti…».
Cifra essenziale della poetica di questa autrice è una vena neolirica e a tratti elegiaca e pare che la poetessa consciamente, proprio attraverso il suo poiein, divenga persona se prima era creatura.
Come pure un forte amore per la natura anima i versi ed è affrontato il tema ecologico quando è detto l’orso polare senza più ghiacciai: «…Nulla rimamore per la natura anima arrà / tutto in fumo / per la cupidigia di / pochi / invasati / da false speranze» (Cosa rimarrà).
In Belle le parole c’è il tema della scrittura nella scrittura: «Belle le parole / trovate per caso, / tra libri sgualciti, / abbandonati / qua e là. // Non le uso, / le rimiro, / ammiro chi le / sparge ai quattro / venti», versi in cui la parola detta con urgenza sembra divenire magica e oracolare come il responso di una Sibilla.
In …In agguato… protagonista misterioso è un ululato del quale la provenienza e ogni altro riferimento vengono taciuti e che s’insinua nelle pieghe della mente dell’io-poetante come una forza arcana che tutto pare pervadere sussurrando e strepitando nel serpeggiare e strepitare.
Molte poesie del volume sono improntate alla verticalità e in ogni espressione forma e stile sono ben controllati e calibrati e tutto è efficacemente ed elegantemente risolto nei componimenti senza nessun ingorgo semantico o strutturale.
E anche la tematica della trascendenza è affronta da Gabriella in Nell’Aldilà dove forse suoni misteriosi e dolci melodie accoglieranno la stessa poetessa dopo la morte in un’estasi che pare non possa avere fine.
Si ritrova una forte tendenza alla linearità dell’incanto in molte parti della raccolta originale e riuscita anche per la chiarezza e la luminosità dei dettati che emozionano il fortunato lettore nel tendere al cosmo e non al caos.
Raffaele Piazza
Gabriella Veschi, Imprevisti battiti, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 90, isbn 978-88-31497-95-4, mianoposta@gmail.com.
ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI RIGUARDO WANDA LOMBARDI A cura di Enzo Concardi
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ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI
RIGUARDO WANDA LOMBARDI
A cura di Enzo Concardi
Molto esaustivo e coinvolgente si mostra lo studio condotto da Enzo Concardi nel saggio Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi, Guido Miano Editore, Milano 2022; l’eccellente critico letterario ripercorre il mondo poetico della versatile artista di Morcone, in provincia di Benevento, attraverso il puntuale riordino di tutti i contributi che la riguardano, seguendo l’iter delle pubblicazioni su un piano “diacronico”, rispettando l’ordine cronologico in modo da accompagnare il lettore in un percorso mirato alla piena comprensione della Weltanschauung dell’autrice e della sua evoluzione nel tempo. Il saggio si inserisce così nella collana di volumi “Il Cammeo” progettata dalla casa editrice Guido Miano affinché, come osserva Flaviano Romboli nella sua recensione, le tracce dei poeti non vengano dimenticate o disperse.
Il volume è corredato da una scheda bio-bibliografica comprensiva di tutte le opere poetiche, narrative, teatrali e dei testi critici; a conclusione l’Antologia essenziale delle poesie consente di assaporare alcune delle liriche tratte dalle numerose raccolte con cui Lombardi lascia la sua “lettera al mondo”.
Come osserva lo stesso Concardi nelle Note introduttive, la sentita esigenza di rivolgersi ai lettori rende la poesia di Wanda Lombardi un organismo vivente, sezionato, analizzato e ricomposto nelle sue più recondite sfaccettature grazie alle varie e innumerevoli forme di testi critici, nella molteplicità di punti di vista e filoni interpretativi. Dalla rivisitazione attenta e dettagliata di saggi, articoli e recensioni emergono i temi, disseminati in un “ventaglio di motivi lirici”; in primis si sottolinea come tutti gli interpreti abbiano individuato il discorso poetico di Lombardi come metafora del viaggio esistenziale alla ricerca di sé che diviene paradigmatico e si estende a tutta l’umanità (Giuseppe Manitta, recensione della raccolta Nel silenzio), in una poetica del dolore che evidenzia il dibattersi del soggetto lirico tra sofferenza e resilienza, disillusione e speranza (Monica Rubino, nel testo critico Malinconia, specchio di felicità).
In molti contributi si delineano le analogie che intercorrono tra la poetessa e due tra i più grandi scrittori della nostra letteratura, Leopardi e a Pascoli, dall’ansia di infinito alla rappresentazione di una natura ambivalente, a volte ingenerosa, per le sofferenze inflitte alle sue creature, ma più spesso cantata in tutta la sua bellezza, in un afflato lirico che suscita forti emozioni. Per Rubino le “dicotomie” sottese alla vita dell’uomo in Lombardi sfociano nell’oscillare tra gioia e dolore, proficue fonti di ispirazione, mentre Rossella Cerniglia, recensendo l’Opera Omnia (I° edizione) di Wanda Lombardi, rileva un passaggio costante “dal male al bene, dal dramma alla speranza, dall’indifferenza del mondo alla fede dell’anima”, in un continuo movimento dall’esterno all’interno. È dunque il forte sentimento religioso a sottrarre il soggetto poetico dal nichilismo leopardiano e a farlo rifugiare in un altrove di luce.
Marcella Mellea, nella recensione alla raccolta Il senso della vita coglie lo sguardo del soggetto lirico attento ai fenomeni del mondo contemporaneo e a tematiche attuali. Carlo Onorato (Prefazione alla raccolta Voci dell’anima) ravvisa il motivo ricorrente dell’assenza legata alla perdita di persone care e a molteplici vicissitudini, in una montaliana fatica dell’esistenza, costellata di luce e buio; Cerniglia, in riferimento alle liriche Mamma e Ricordi, sottolinea la presenza-assenza della madre, persa prematuramente ed è proprio Concardi a cogliere un “ricerca del tempo perduto” in alcune raccolte, volte ad un recupero memoriale in cui ritrovare le proprie certezze.
Lo studioso milanese si sofferma quindi sullo stile, analizzato secondo due diverse direttrici di pensiero: l’uso di termini aulici, vaghi e indefiniti, il ricorso al metro classico testimoniano, nella visione di Anna Castrucci, Rossella Cerniglia, Fabio Amato, uno stile legato alla tradizione classica di stampo neoclassico e ottocentesco, mentre Nazario Pardini, Enzo Concardi ed altri (tra i quali la sottoscritta) ne sottolineano anche l’aspetto innovativo, in un doppio canale che, partendo dal passato, arriva a fondersi con la modernità, dando vita ad un linguaggio sobrio e raffinato ma che nel contempo non rifugge da un tono più colloquiale, in un impasto del tutto originale ed unico.
Nazario Pardini inoltre riscontra affinità con Umberto Saba, per l’importanza assunta dalla parola e con Vittorio Sereni, per la “splenetica inquietudine” (Prefazione alla raccolta Il senso della vita).
Nel paragrafo Connubi artistici le comparazioni con numerosi artisti e autori stranieri confermano il carattere poliedrico di Wanda Lombardi, la sua maestria nel dipingere con le parole e l’universalità della sua poesia, destinata a oltrepassare i limiti spazio - temporali, come Concardi ben dimostra in questo volume imperdibile.
Gabriella Veschi
Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 84, isbn 978-88-31497-48-0, mianoposta@gmail.com.
Pasquale Ciboddo, "Era segno sicuro"
Pasquale Ciboddo
ERA SEGNO SICURO
Ho ricevuto la silloge Era segno sicuro - edita da Guido Miano Editore, 2022 - e ho ritrovato Pasquale Ciboddo, di Tempio Pausania, che ebbi la gioia di recensire nella precedente raccolta Andar via (2021), avvolto nella tunica di solitudine e di predizioni dettate dalla pandemia che ha investito il mondo dal febbraio 2020. L’Opera è prefata da Enzo Concardi e si conclude con gli estratti di vari nomi illustri, come Giulio Cossu, Ninnj Di Stefano Busà, Giorgio Bárberi Squarotti e altri. D’altronde il Nostro rappresenta senza ombra di dubbio il più famoso Poeta sardo vivente e gli scorre nelle vene l’humus di una terra nella quale nascono i colori prima di diffondersi nel mondo. Lessi la splendida silloge Andar via proprio con il turbamento creato da un paese di roccia, che anziché dare il senso della realtà sembrava fatto con il tessuto impalpabile dell’immaginazione.
L’Opera Era segno sicuro, che si annuncia con un dipinto a olio di Franca Maschio dedicato alla Madonna “Madre di ogni grazia”, presenta un impasto linguistico e rapporti extratestuali e intertestuali assolutamente nuovi, di denuncia e di dolore, nel quale solo il rapporto con le radici confitte nella sua terra e la sua fede restano immutati. Ciboddo ricorre alla Madre di tutte le Madri per confessarle in una preghiera che oserei definire disperata, la sua premonizione: «Una notte di tre mesi fa, / febbraio 2020, / prima di manifestarsi il Corona Virus / in sogno mi apparve /
Ho riportato per intero questa lirica perché sono convinta che rappresenti il filo conduttore del Nostro attraverso la tragedia che ha investito l’umanità. Se pregare è prendere fiato, è affidarsi, in questa circostanza diviene dialogo con se stesso. La fiamma del nostro vivere è stata minacciata dal soffio della morte e il Poeta, sciamano dei nostri tempi, in virtù della sua straordinaria sensibilità, sente gli eventi, si inchina a quella notte e la sua diviene ‘angoscia d’attesa’ (cit. Sigmund Freud). Si tratta della conoscenza intuitiva di un avvenimento imprevedibile che non può essere compreso con mezzi naturali. E attraverso la fede, cara a Ciboddo, possiamo far entrare nelle nostre anime il dolore di tutti i conflitti, di tutta la fame, la miseria e dei drammi imprevedibili, non per una nostra grande capacità psicologica ed emotiva, ma in quanto i cuori di Dio e della Madonna diventano una cosa sola con i nostri.
Il lirismo del Poeta, ci porta sulla strada dei danni perpetrati da noi uomini alla natura e dei castighi che abbiamo meritato: «Il tempo non si ferma, / passa e va avanti. / Ma, per noi mortali, / per un attimo, si è fermato / e ci ha costretti, per paura / della grave pandemia / a rinchiuderci in casa / e morire, così, in silenzio / senza pianti sottesi / di parenti ed amici. / Le punizioni divine / spesso arrivano inaspettate» (Le punizioni divine). Purtroppo quando si tenta di elevarsi al di sopra della natura si finisce per precipitare al di sotto di essa. Non siamo mai noi uomini che dobbiamo batterci contro un ambiente ostile, ma è la natura indifesa che da generazioni è vittima dell’umanità. «Vaghiamo lontano / dal cammino del Signore / e rifiutiamo
Ciboddo ci guida attraverso la sublime immagine della Madonna, consapevole che ‘Non è possibile andare a Gesù se non ci si reca per mezzo di Maria’ (cit. San Giovanni Bosco). Nella Madonna si trova l’idea dell’uomo perfetto che Dio aveva in mente nel creare il primo essere umano, Ella non è la seconda Eva, ma la prima, quella che non è caduta e vede come la seconda Eva cade. Maria è la nuova tenda santa, la nuova arca della Salvezza, nel suo grembo dimora l’unica speranza per noi peccatori. «…Solo
In questa silloge l’Autore mostra di aver subito in modo violento l’urto con la pandemia e di aver riflettuto a lungo sulle nostre colpe, sull’assenza di rispetto verso gli ecosistemi. I cambiamenti sul pianeta avvengono dove passa l’uomo, si distruggono gli habitat e si va ben oltre la competizione darwiniana per le nicchie ecologiche, che restano integre solo laddove non ci sono esseri umani nei dintorni. Gli individui non spostano altrove gli ecosistemi, li spazzano via, specialmente trasformando praterie e foreste in città e centri commerciali. «…Stiamo perdendo / il senso d’esistenza della terra..» (La vera salvezza), e Pasquale Ciboddo cita con amore gli stazzi, insediamenti rurali presenti nel nord della Sardegna, nella sua Gallura, nei recinti dei quali, nella consuetudine della transumanza i pastori riunivano il bestiame durante la notte. Li definisce «…il tempio / dell’amata natura, / avevano il cielo per volta / e gli astri per luminari…» (Erano il tempio) e correda l’Opera con una sua foto di questo stazzo isolato che è andato perduto.
Il Poeta descrive in più liriche la natura come il nostro Eden personale: spettacoli mozzafiato e scenari meravigliosi al confine tra sogno e realtà. Eppure da molti anni è avvenuta la fuga da quell’Eden, la migrazione verso le città. Queste ultime sono qualcosa di più della somma delle loro infrastrutture. Esse trascendono i mattoni e la malta, il cemento e l’acciaio. Sono i vasi in cui viene riversata la conoscenza umana. Le città si potrebbero definire grandi comunità nelle quali le persone si sentono sole tutte insieme. «…L’uomo di oggi / attratto dalla vita di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…).
Ho ritrovato un Poeta con la tristezza nella carne, volto all’indietro, alle isole ridenti della memoria, che forse vorrebbe ancora ‘andar via’, fuggire dalle ‘tenebre del proprio pentimento’ - parafrasi dalla lirica A ognuno - che evoca in modo impressionante Salvatore Quasimodo, per ritrovare uno stazzo, dove piova il canto degli angeli, la notte stellata e la goliardica compagnia.
Maria Rizzi
Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn 978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.
Leonardo Manetti, "Poesia"
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Poesia di Leonardo Manetti (Youcanprint, 2022 pp.120 € 12.00) è una raccolta poetica che celebra il valore significativo della natura, circonda la fragilità della bellezza, insegue i profumi e l'incanto della vita. I versi di Leonardo Manetti, ricchi di sapiente contenuto, omaggiano la confidenza dell'uomo, assaporano l'esplorazione del mondo, i sapori legati alla solidità della propria identità, celebrano gli incontri con le persone, le affinità con i luoghi. Partecipano alla compiutezza dell'esistere, dosano i sentimenti, degustano le emozioni, evolvono le tradizioni della propria terra. Leonardo Manetti incide il tracciato elegiaco seminando piccole e grandi riflessioni intorno all'essenza delle cose, coinvolge il candore puntuale delle immagini nella feconda impronta della sensibilità, fonde la purezza stilistica nella schietta e istintiva analisi emotiva, diffonde, oltre la sequenza suggestiva delle stagioni, la completezza e la morbidezza dell'attraente armonia, amplia l'energia generatrice della vena poetica. Poesia cristallizza l'istante delle percezioni, dilata l'orizzonte delle sensazioni, indica il romantico itinerario lungo la melodia attraente di ogni respiro, nello scenario magico, sussurrato da paesaggi ritratti in un silenzio commovente e privato, alla ricerca di un fedele patrimonio originale, attaccato al territorio natale e alla passione. La poesia di Leonardo Manetti mescola l'equilibrio tra l'inclinazione dell'animo e il giudizio dell'intelletto, conserva, nella misura genuina delle parole, la voce universale dell'intimità, rivela il carattere felice della speranza. Una poesia visiva che attraversa l'appassionata direzione della saggezza, coltiva la superficie scolpita dei ricordi e rinnova il suo frutto presente. Leonardo Manetti veste il terreno delicato dell'amore, confrontandosi con la fragranza dell'innamoramento, con l'intensità familiare degli occhi, con la tenerezza della complicità. Ma avverte anche la necessità di dichiarare il proprio rifiuto all'indifferenza e all'estraneità dell'umanità, tormentata dal dolore, affida il silenzio degli attimi tra le pagine del tempo, condivide il coraggio della dolcezza. Trattiene la dolce estensione della nostalgia con la languida confessione di ogni idilliaca ispirazione. Leonardo Manetti trasmette la sua poesia, rendendo universale il dettaglio illuminato, inciso nei versi, sospeso nel principio degli affetti, coglie ogni impressione che il paesaggio tramanda nel traguardo interiore, affina il tormento dell'inquietudine e la malinconia con il riscatto di una poesia dedicata alla società, infonde importanza etica alla generosità emotiva, condanna la crudeltà e la spietatezza dei comportamenti umani, mantiene viva la linea infinita di confine del sogno e della fiducia. Dona la gentilezza alle parole, rinnovando la propria esperienza, nella lezione quotidiana dell'umiltà come insegnamento all'esistenza. Infine il poeta è lo specchio del proprio linguaggio autentico, accoglie il gusto inebriante e corposo della pienezza di ogni omaggio alla felicità, come nella citazione celebre di Mario Soldati: “Il vino è la poesia della terra”.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
GLI IRIS
Calici di colore violetto,
messaggeri della primavera,
si ergono dal suolo
come matite per disegnare.
Le ali dei fiori
volano verso l'orizzonte,
il cerchio del mare,
del cielo e della terra.
Le corolle come foglie
toccano le tue mani e
in una lenta danza
creano eleganti pose.
LONTANO
Lontano dalle tue mani
triste è il mio cuore
desideroso di aiutarti,
abbracciarti, confortarti,
starti vicino a guardarti,
regalandoti un sorriso
narratore di una storia.
VIVERE
La vita è un dono
da scartare al mattino
sciogliendo i nastri
per scoprirne i segreti.
Il futuro è una speranza
da vivere il giorno
camminando sulla Terra
alla ricerca della Luna.
Il tempo è prezioso
da ricordare la sera
fermandosi a osservare
il sole che se n'è andato.
I POETI
I poeti tracciano
sentieri di parole
dove accanto alle pietre
nascono piccole piante.
Incroci di strade
raccontano i bivi
delle nostre vite
raccolte nei versi.
Le poesie sono percorsi
dal fondovalle alla cima
di una montagna rocciosa
difficile da scalare.
ANIMA
Nell'acqua delle rose
coltivate nei tormenti
vive la vita
piena di ossigeno.
Nei lunghi respiri,
nell'armonia di una goccia.
LE PAROLE NON DETTE
Nascondevo le parole sottoterra,
all'ombra della chioma di un albero,
in attesa del momento giusto.
Un giorno cadde un fulmine,
dalla cima arrivò alle sue radici,
e l'attimo per dirle non ci fu più.
Sergio Camellini, "Opera Omnia"
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OPERA OMNIA, 2° edizione di SERGIO CAMELLINI
con prefazione di Michele Miano
Non è facile affrontare il discorso poetico e umano di Sergio Camellini, autore prolifico e che ha scoperto la vocazione letteraria in età matura. La sua ricerca poetica originale e personalissima si radica in un fondamento antico ma sempre nuovo: il rapporto profondo che lega il proprio io nella più intima coscienza percettiva individuale alla coscienza di un universo tutto inteso come il topos assoluto e naturale della poesia.
Il suo percorso letterario e umano è una sorta di un lungo “viaggio tra gli uomini”, e così può essere parafrasato il messaggio di Sergio Camellini, che con Opera Omnia in seconda edizione ampliata nella collana il Pendolo d’Oro intende suggellare un florilegio della sua migliore produzione letteraria e affidare a futura memoria le pagine più significative del suo messaggio. La sua poesia porta in sé il raro dono dell’immediatezza, che si spinge oltre il dato reale e oltre l’attitudine figurativa, per farsi voce delle cose più semplici. Sergio Camellini vive la sua odissea, scruta la caducità dell’uomo contemporaneo spesso condizionato dai falsi miti della civiltà tecnologica, alla quale il poeta antepone le cose più semplici e genuine della vita. Lo fa con passo certo e convinto di uomo che umilmente sa indagare in profondità negli abissi della coscienza, nei suoi misteri e contraddizioni.
Il suo universo poetico si affaccia su realtà minori, narrato con voci e colori quasi fanciulleschi, fondendo nei versi uno stupore e un’atavica saggezza in un’atmosfera che sa di perduto e rarefatto. Ma fare poesia per Sergio Camellini non consiste solo in questo. Il messaggio deve contenere i valori più intimi della vita e dell’esperienza umana con tutte le sue contraddizioni. Nella meditazione, nella densità dei concetti egli vive la propria odissea di uomo, di sensibile cronista della propria storia. La poesia di Sergio Camellini rivela anche la preoccupazione per quanto dell’uomo rimane, di ciò che egli ha vissuto e sofferto nell’iter terreno e comprende che solo l’opera letteraria in chiave di creazione spirituale può continuare a vivere dopo l’annientamento fisico. Una poesia intesa come meta-realtà che trascende il dato reale per approdare a una visione più ampia. La realtà di una civiltà agreste, contadina, calata in una dimensione a sé, che resiste in un tempo circolare in cui c’è ancora spazio per un “altro vivere”, in simbiosi con la natura, con la logica del cuore e della famiglia. Un mondo dimesso e dipinto quasi con tocchi naïf, popolato da figure come sospese, prende forma nella semplicità del tessuto compositivo: versi brevi, ritmati, con una sintassi piana, rinvigorita dall’immediatezza del lessico e degli aggettivi, resa scattante dal rapido susseguirsi dei verbi che offrono consistenza visiva alla narrazione. Il mondo contadino, degli antichi mestieri, con le sue dure leggi, l’innocenza e la memoria del tempo perduto, il mito del falso progresso, la disumanizzazione e l’alienazione della società ipertecnologica diventano alcuni delle coordinate letterarie più significative della sua ispirazione.
Tale poesia trova la migliore espressione nella ricchezza e varietà dei temi che la ispirano: il sentimento della natura, l’umana solidarietà, il tempo che fugge, la condizione umana, la memoria, l’amore, gli affetti familiari, il significato stesso della vita. Ma il mondo tanto cantato da Camellini non è chiuso in un orizzonte di melanconia, né rifiuta il tempo della storia e del presente: anzi li lascia penetrare con dolcezza, temperandone certi aspetti con filtri quasi da fiaba e con immagini tratte dall’ambito familiare o naturale, che decodificano la storia in un linguaggio quotidiano, capace di aderire al vissuto di questo mondo. Come dire, reinterpreta con la sua sensibilità gli eventi e i fatti del vissuto quotidiano. Così gli interrogativi sul mistero e sul senso della vita s’incarnano nella lirica Uomo, dove sei? (da Nel corpo, un soffio dell’anima, 2013): «Eri presente: / abitudini e gusti, / costumi e strutture, / cultura, / idee creative, / modi di essere / di pensare / di amare, / conoscenze e sentimenti. // Ora latiti: / ove il gravoso / retaggio infruttifero / del passato, / divenuto / bagaglio archeologico, / t’adombra. // Uomo, / dove sei?» o nella figura angelicata della donna, spesso dimenticata dalla letteratura contemporanea per cui: «…La sola ricompensa / diretta / che tu possa ricevere / è l’emozione / d’essere mamma, / è l’amore per i figli / è la gioia di donare» (L’essenza di quel sentimento, da Il pianeta delle nuvole rosa, 2014).
La famiglia e la natura, dunque come estremo raccordo fra una realtà sempre più sfuocata, che continua ad essere proposta nel suo incanto, e la nuova realtà della cronaca con i suoi tempi accelerati fino alla disgregazione totale. Sergio Camellini rimane sempre fedele a se stesso, fin dai suoi primi volumi. E lo fa con passo umile, schietto, senza particolari pretese, psicologo clinico di professione che ha affrontato per decenni il dolore e le vicissitudini dei propri pazienti, approdato alla poesia in età matura e non casualmente, portavoce di un mondo e di valori in cui tutti ci specchiamo: una poesia della coscienza per la quale l’uomo acquisisce una rigenerazione interiore di ciò che siamo stati, da salvaguardare per non sprofondare nell’oblio di una civiltà consumistica e superficiale. Il punto di forza della scrittura di Camellini è nella purezza della sua ispirazione artistica che la rende sempre attuale e sincera.
Molte sono le liriche dedicate a madre natura; impossibile elencarle tutte; a titolo esemplificativo: «Che bella la natura / con canti e linguaggi, / nel pentagramma musicale / degli uccelli…» (I cantori dell’universo, da Lasciami di te un’emozione, 2021). Significativa una poesia dedicata alla luna: «… Dipingi l’aria / di soavi colori / e trasformi / in un battito d’ali / il broncio del dì…» (Il mio canto alla luna, da I colori della fantasia, 2021). «Ecco la primavera / dei sentimenti, / tempo di mistero / di rinascita e splendore; / il sogno che / riconquista i suoi colori, / i suoi profumi, i suoi sapori, / la sua energia vitale…» (Ecco la primavera, da Ascolto i silenzi, 2021).
Ancora da La valle, estate e autunno: «La valle, / dai campi / fertili e fioriti / ove le farfalle / danzano col vento, / si fa ubertosa / di messi dorate / trapunte / dallo scarlatto / dei papaveri…» (lirica edita in Madre natura è vita, 2019). Una natura viva e palpitante, in perenne bilico tra uomo e natura e in questo felice compenetrarsi si rivela il senso ma anche il mistero delle cose. Poesia intimista animata da istanze memoriali e affetti, pregna di emotività, carica di colori e sentimenti.
Camellini canta la pagina della vita di noi tutti: una cronistoria di eventi in un turbinio di pagine da cui trarre il vero significato e il modus vivendi. Si legga la lirica Il tema della vita (da Ponte dei sogni, 2017): «Anche il meno dotto / insegna, / anche il più umile / compone il tema / della vita. // Non esistono lavori / nobili o ignobili, / esisti tu / con le ricchezze / che ti porti dentro…». Il dono dell’umiltà, un valore sempre più raro in una realtà sempre più costellata da egocentrismi. Il lavoro come strumento di emancipazione dell’uomo, ma in una prospettiva di benessere sociale per la collettività e non di affermazioni egocentriche che schiacciano e umiliano i più deboli. Il lavoro che offre una dignità per tutti. E dalla raccolta Bagliori (2015) si legga la poesia È vivere, sei tu: «La felicità / cercala in un sorriso, / nel prolungamento / dell’ombra / d’un fiore, // nella semplicità / della natura, / nella mancanza / di dolore, // è solo quella / che sei in grado / di comprendere…».
Ecco l’amore e la passione di Camellini per gli antichi mestieri: per quei mestieri difficili, logoranti, in via di estinzione ma ricchi di umanità perché espressione di un mondo contadino. Da bambino si soffermava a osservare i lavoratori dei campi e delle botteghe, calzolai, fabbri, ceramisti, fornai, dimostrando anche una sensibilità di uomo e poeta, esplorando le vicende umane.
Il poeta non disdegna le accuse sulle lacerazioni sociali che affliggono il nostro mondo: l’egoismo, l’egocentrismo, l’arrivismo, l’indifferenza ai problemi altrui. Si legga a titolo esemplificato la lirica Quel puntino dell’uomo: «Quel puntino dell’uomo / scritto a matita / che vive / nell’immenso, / dalla cruda realtà / dei diseredati / all’ostentata opulenza / degli abbienti, / due mondi a confronto / mentre le tragedie / s’incrociano, / l’odio che scalfisce / l’animo / dia strada / all’oblio, / non si cancelli / quel puntino / fu vergato solo / per amore» (da Tra le righe del pensiero, 2018).
Un uomo come Sergio Camellini non può rimanere insensibile e turbato dai soprusi, dalle guerre, dalle violenze e dagli accadimenti tragici dell’ultimo periodo storico, e la sua voce si innalza dal magma vulcanico dei crudi interessi umani, una voce che trova nel verso il proprio testamento spirituale ma anche un messaggio di speranza per le nuove generazioni.
Con la raccolta Il pianeta delle nuvole rosa (2014) l’autore pone l’accento sulla condizione del presente e del passato della donna. L’opera infatti si apre con un testo estratto dalla lettera di papa Giovanni Paolo II alle donne: nessuno infatti più di lui ha compreso l’importanza dell’universo femminile che si incarna in madre, moglie, sorella, nonna. La donna focolare della famiglia, il centro dell’amore che genera il mondo. Camellini è consapevole di trovarsi davanti alla angelicata creatura e ne esalta le virtù. Si legga la significativa La melodia della donna: «La raffinata melodia / della donna / non conosce / intemperanze, / né toni sbracati, / ma la grazia / dei sentimenti / e il fare gentile, / che caratterizzano / la femminilità, / non per soggiacere, / ma per mostrare / l’orgoglio d’essere / donna». Un percorso difficile, una dignità conquistata a fatica nei millenni e ancora in equilibrio precario e vacillante. In questa fase l’autore avverte un certo disagio esistenziale, una protesta e rabbia non sempre decifrabili per l’ineluttabilità del dolore delle vicende umane.
Ma è l’accorato grido di speranza che fa di Camellini il “poeta della fiducia nel prossimo”, come sottolinea nella lirica Abbiamo bisogno di voi, bimbi (del nostro domani) nella raccolta Ponte dei sogni (2017): «In questo mondo / intriso / di tristezza, / abbiamo bisogno / di voi, / della vostra allegrezza. / È carezza. / In questo mondo / permeato di dolore, / abbiamo bisogno / di voi, / del vostro calore. / È amore…». Ed è cosa rara nel panorama di sfiducia e pessimismo che spesso attanaglia la nostra vita, trovare una voce così fiduciosa, proiettata verso gli ideali del bello e della positività.
Suggestiva la lirica I colori della fantasia tratta dall’omonimo volume 2021: «I colori danzano / tra sfumature / cromatiche d’un sogno / inni alla beltà, / sono spettacolari / catalizzatori / della fantasia / per l’umanità, / la loro percezione / tattile / si sente, si vede, si vive... / A qualsivoglia età».
Camellini ama la vita, soprattutto il suo significato profondo. La poesia diventa amore: «… respirare insieme / il profumo del sentimento / in un abbraccio / e i battiti del cuore, / è il magnetismo / degli esseri / quando la poesia / diviene amore» (Quando l’amore, da Lasciami di te un’emozione, 2021).
Al sentimento dell’amore il poeta ha dedicato il volume Tenero è l’amore (2017), un breve florilegio di poesie, edito da questa Casa Editrice. E per dirla come S. Agostino «l’amore è tutto», quel mistero meraviglioso per cui «…Sia sempre in voi la radice dell’amore, / perché solo da questa radice può scaturire l’amore» (S. Agostino). Il messaggio letterario di Sergio Camellini assume così un valore di amore universale, nella serena convinzione che siamo di passaggio in questo mondo perché «Non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare» (Madre Teresa di Calcutta).
Michele Miano
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L’AUTORE
Sergio Camellini è nato a Sassuolo (Mo), vive a Modena; è psicologo clinico. Studioso di arte povera della civiltà contadina e dei mestieri, fin da piccolo si è soffermato a rimirare i lavoratori dei campi e gli artigiani nelle botteghe: calzolai, fabbri, ceramisti, sarti, fornai, mostrando interesse per tutti coloro che erano dotati di autentica creatività. Ha fondato sull’Appennino modenese un “Museo d’Arte Povera della Civiltà Contadina”, mondo da cui ha tratto l’ispirazione poetica. Ha pubblicato varie raccolte di poesie conseguendo molti premi e riconoscimenti.
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Sergio Camellini, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 188, isbn 978-88-31497-97-8, mianoposta@gmail.com.
Dalla finestra
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In una fredda e ventosa mattina, un uomo, sospirando malinconicamente, si mise a scrutare fuori dalla finestra.
Quando il vento si placò, apparve un sole potente quanto fulgido che irradiò il giardino, rendendo l'esterno suggestivo e incantevole. Caterina era lì che passeggiava in quella paradisiaca area verde a godersi la piacevolissima giornata.
«Diego!» lo chiamò lei con dolcezza, allungando la mano per invitarlo a uscire e a raggiungerla.
La sfolgorante mattinata durò poco poiché iniziò a piovere copiosamente. Caterina, incurante, si mise a ballare leggiadra come una farfalla.
«Dai, vieni. Cosa stai aspettando?» lo esortò ancora con un maggiore coinvolgimento.
Diego sorrise, ma una dolorosa fitta al cuore e il gomito dolorante incatenato a un anello di metallo attaccato al muro, lo ripiombarono nell'amara realtà.
In un rapido flashback rivisse nuovamente gli eventi di quella tragica domenica: il rifiuto di Caterina, la cocente delusione, un grosso sasso con il quale le aveva fracassato la testa, il cui sangue colava lungo la camicetta viola, e il cadavere adagiato tra i fiori del parchetto della sfarzosa hacienda.
In una gelida e ventosa mattina, un uomo, sospirando malinconicamente, si mise a scrutare fuori dalla finestra sbarrata di una squallida cella sudamericana.
The Legionary
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Verso la fine di marzo del 2021, dopo sei mesi in lista di attesa, mi chiamarono dall'ospedale Papardo di Messina per operarmi di settoturbinoplastica, un'operazione finalizzata al riallineamento del setto nasale, alla correzione dei turbinati e l’asporto dei polipi, un trattamento chirurgico necessario per una corretta respirazione. L'intervento venne gestito da un chirurgo dall'indubbia professionalità e da un'equipe preparata; tuttavia, l’anestesia totale praticamente mi sfibrò.
Dormii moltissimo, malgrado qualche difficoltà, poiché le cavità nasali risultavano ostruite dalle medicazioni, per non parlare dei frequenti mal di testa. Gli infermieri e gli O.S.S. si presero cura di me in maniera attenta mostrando cortesia ed empatia, peraltro mi si offrii l'occasione per comprendere cosa si prova a essere un assistito, visto che da anni a livello professionale esercito in qualità di Operatore Socio Sanitario.
In quella settimana di degenza, a causa delle restrizioni legate alla pandemia causata dal Covid-19, l'accesso ai visitatori era stato sospeso, pertanto mi dovetti accontentare di utilizzare il cellulare, sia per le chiamate che per la messaggistica. Ricevetti l'affetto, la solidarietà e il sostegno da parte della mia fidanzata, della mia famiglia, dei parenti, dei colleghi e di Enrico, il mio migliore amico.
A Enrico, oltre le dovute risposte e le considerazioni riguardanti l'intervento, in forma esclusiva inviai un selfie in cui giacevo sul letto tenendo il pollice rivolto verso l'alto. Avevo l’espressione stravolta, il naso gonfio come quello di un orco e gli occhi comatosi. Nell'autoscatto allegai la seguente frase: --- Non sono allettante, tutt'al più allettato. ---
Il mio carissimo amico, tramite WhatsApp, riempì il display del mio dispositivo di faccine sghignazzanti, per poi scrivermi che in realtà si dispiaceva di sapermi in quello stato, tra l'altro esternando ammirazione, dal momento che ero riuscito ad affrontare l'operazione con uno spirito battagliero, conservando al contempo il proverbiale humour.
L'indomani, Enrico mi comunicò che mi aveva dedicato un brevissimo racconto, intitolato The Legionary, e che desiderava inviarmelo in formato DOCX sul mio Android nel primo pomeriggio. Appena mi fece pervenire il file, lo aprii e lo lessi con estrema attenzione, trovandomi impossibilitato a descrivere le sensazioni ricavate.
Ad Enrico mostrai stupore, gratitudine e stima. Mi rispose che mi considerava un legionario di quelli tosti, oltretutto traendone uno spunto per ricollegarsi ad altre mie schiaccianti vittorie, inerenti difficili vicissitudini e svariate tribolazioni.
Successivamente gli mandai un messaggio audio con voce roca, in quanto mi sentivo debilitato.
--- E pensare che mi sono sempre identificato in un Cavaliere.
Aspé, non intendo dire un Cavaliere della Tavola Rotonda, ma bensì un Cavaliere della Tavola da Pranzo. ---
Cari lettori, ho deciso di includere The Legionary in questa pubblicazione avendo avuto il permesso di Enrico, grande autore e grande amico.
***
The Legionary
Stava disteso a terra, logorato nel corpo a causa della pesante armatura e il volto ricoperto di fango. Lo scontro era stato duro, l'alluvione aveva sconvolto i piani operativi causando tantissime perdite tra gli assedianti e gli assediati. Nonostante le estenuanti difficoltà, Flavio Giuseppe partecipò all'assedio di Varanga con fierezza e determinazione. Fu proprio grazie a lui che l'ariete riuscì ad abbattere le robuste porte della fortezza. Col cammino spianato, penetrò ed espugnò la piazzaforte nemica, fino a issare alto nel cielo lo stendardo raffigurante un'aquila d'argento.
«È fatta!» pensò, chiudendo gli occhi con un sorriso soddisfatto.
In futuro, molte altre battaglie lo avrebbero atteso. Ma per il legionario, era il momento di riposare.
Lo specchio della bisnonna
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Da bambino, ogniqualvolta andavo a trovare mia bisnonna materna, provavo un senso di angoscia, in quanto ritenevo che nella sua abitazione dimorassero gli spettri. Alcune stanze in particolare avevano il potere di esercitarmi una suggestione brividosa.
Ricordo perfettamente ancora oggi la sua ombrosa camera da letto dall'arredamento in vecchio stile, tra cui un’antica toletta in mogano dal grande e terrificante specchio. Malgrado ciò, qualche volta mi prodigavo a specchiarmi e a fare le linguacce oppure a imitare le mosse dei Power Rangers, i quali rappresentavano i miei idoli d'infanzia.
Nel tardo pomeriggio di un giorno d'estate accadde un episodio degno di nota.
«Se fissi a lungo lo specchio, potrai vedere un fantasma» mi disse la bisnonna, entrando di soppiatto nella camera da letto tanto da farmi trasalire.
«Come c'è finito?» le chiesi intimorito.
«Sai, siccome l'altra notte non mi lasciava dormire, dopo averlo sgridato, si è rifugiato lì dentro.»
Uscii, correndo fuori da quella stanza e, con un'espressione spaventata, lo raccontai ai miei famigliari che in quel momento erano in soggiorno seduti su un logoro divano in pelle. I miei genitori ridacchiarono mentre Concettina, mia sorella minore, rabbrividì strabuzzando gli occhi.
In serata, appena rincasati, provai a chiamare il 555-2368, il numero dei Ghostbusters. Ci rimasi male, poiché i vari "tu-tu-tu” suggerivano che non mi avrebbe mai risposto nessuno.
Natsume Soseki, "Kokoro, il cuore delle cose."
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Kokoro, il cuore delle cose
Natsume Soseki
1914
Kokoro (titolo originale del romanzo) in giapponese come ideogramma o kanji rappresenta sia la mente sia il cuore, significa perciò un ideale equilibrio tra parte razionale e parte emotiva. Questo stato di serenità è ciò che manca al Maestro, uno dei co-protagonisti di questa storia, tutti senza nome, in quanto più figure archetipiche che veri esseri umani. Il Maestro, adulto ma certamente non anziano, fa amicizia con il Ragazzo. È un uomo taciturno, riservato, enigmatico nelle poche risposte che dà. Ha una moglie con cui ha un rapporto affettuoso ma certamente non passionale, ogni mese va solitario a visitare la tomba di un misterioso K, non lavora e non si espone al mondo. Citando lui, e probabilmente lo stesso Soseki, uomo dilaniato interiormente, "La solitudine è il prezzo che dobbiamo pagare per essere nati in questa epoca moderna, così piena di libertà, indipendenza, ed egoistica affermazione individuale". Quando il Ragazzo deve lasciare Tokyo per assistere il padre morente, il Maestro gli chiede di tornare a visitarlo perché deve parlargli. Ricevendo un rifiuto data la gravità della situazione, il Maestro gli confiderà a mo' di testamento quel passato per lui tanto doloroso che lo ha reso l'uomo schivo e appartato che il giovane ha conosciuto. La spiegazione del titolo e della vicenda è tutta nella lunga lettera finale: senza svelare dettagli, il Maestro era rimasto deluso dagli esseri umani in gioventù per un tradimento subìto, proponendosi di non fidarsi più di nessuno e, a suo modo, ergendosi a modello esclusivo di perfezione rispetto al resto del mondo. Rendersi conto pochi anni dopo che la fragilità appartiene a tutti quando entrano in campo le emozioni, e che lui stesso si macchia del medesimo peccato di tradimento, stavolta però assai più grave perché ne consegue una tragedia, determina il suo appartarsi dalla società. Lo squilibrio di quest'uomo deriva da una predominanza della parte razionale, arrogante come ogni ego, che non solo pensa di restare esclusa dalla debolezza umana, ma in un delirio di onnipotenza si convince di essere responsabile di un gesto terribile commesso dal suo amico, amico che probabilmente sarebbe comunque andato incontro al suo destino. Il suo cuore, che non accetta la sua parte oscura, e quindi non la integra, non gli permette di entrare in contatto col mondo esterno, di riflettersi, di osservarsi, lasciandolo in uno stato di sterile permanenza contro natura, tanto che, nonostante sia sposato da anni, mai è riuscito a concepire un figlio con la moglie. Nel ragazzo egli vede una versione più giovane, fresca e pura di sé stesso e quella lettera finale funge quasi da autoanalisi liberatoria in cui egli finalmente confida a qualcuno di fiducia il suo dramma, per aiutarlo a capire, almeno in minima parte, ciò che siamo come esseri umani. Il concetto di kokoro, a lui negato per sua indole tutta la vita, che possa appartenere al giovane affinché egli sia più prono a perdonarsi e quindi perdonare se stesso.
Maurizio Zanon, "Fralezze"
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Fralezze
Maurizio Zanon
Maurizio Zanon è nato nel 1954 a Venezia dove attualmente risiede.
La breve silloge del Nostro, che prendiamo in considerazione in questa sede, contiene altrettante brevi liriche che assemblandosi tra loro come tessere di un mosaico o fili di un tessuto potrebbero costituire, anche per il fatto di non essere scandite un poemetto anche per l’unitarietà formale e contenutistica.
Come scrive Enzo Concardi nella prefazione, con Fralezze Maurizio esprime la sua visione della vita, ovvero l’effimero esistenziale della condizione umana. L’osservatorio da cui scruta il mondo è ora quello della vecchiaia e il richiamo autobiografico d’una corsa che va verso il capolinea è costante, pur alternando negli esiti lirici, stati d’animo fatalistici e crepuscolari ed altri speranzosi e valoriali.
In Memorie, primo componimento della raccolta, leggiamo nell’incipit: «Ricordo il caldo del focolare / sciogliersi nel profumo di polenta / la neve sgocciolare nelle notti / cariche di stelle, oppure l’estate al mare / dove mettevano le ali i miei sogni. / E ancora i giorni dell’infanzia / quando si rincorrevano le farfalle…». Nei suddetti versi si respira l’aria di una sinfonia domestica, per usare una metafora musicale, e non si avverte il dolore di un rimpianto che sarebbe uno gemersi addosso ma invece emerge dalla chiarezza e dalla luminosità, nonché dalla bellezza e dalla precisione del dettato, una riattualizzazione di un tempo passato eticamente di segno positivo perché oltretutto è salutare discendere con la memoria nei meandri dell’infanzia, dell’adolescenza e della vaghezza di un tempo passato, salutare per l’anima e per il corpo e del resto praticare o anche leggere la poesia fa bene anche tramite la fusione di conscio e inconscio che porta all’equilibrio mentale e spirituale all’armonia e all’equilibrio in tutto anche nel tran tran della vita quotidiana.
Bello il verso «mettevano le ali i miei sogni» e oltretutto i sogni stessi sono generatori non solo di poesie ma anche di musiche e dipinti, quadri con i loro misteri. Il poeta maturo rivive i giorni in cui si rincorrevano farfalle e queste ultime divengono espressioni di pensieri volanti di voli della mente nel librarsi verso spazi siderei da paragonarsi con la dovuta cautela agli spazi infiniti leopardiani.
Zanon scrive nella lirica Poeta? «non dirmi poeta / io non so lavorare bene la seta» dichiarando la sua identità con una dichiarazione di modestia. La suddetta dichiarazione fa venire in mente i versi del crepuscolare Corazzini che dichiarava: «non sono un poeta, sono un bambino che piange».
In La terapia - e qui si torna ad uno dei discorsi precedenti - il poeta scrive che la poesia stessa l’ha salvato da cose futili e questo dimostra ulteriormente la forza catartica della poesia stessa che è pensiero divergente contro la liquidità e l’alienazione del nostro tempo: «Ciò nonostante / in ogni bisognoso istante / la poesia mi ha aiutato / da cose futili mi ha salvato».
Diviene tout-court un esercizio di conoscenza questa scrittura che ha forse un’impronta vagamente minimalistica e che è sicuramente neolirica e originale nel dono di una pace che produce nel lettore emozionandolo.
Raffaele Piazza
Maurizio Zanon, Fralezze, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 68, isbn 978-88-31497-96-1, mianoposta@gmail.com.