George Orwell, "1984"
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Mi sento di consigliare vivamente ai pochi che, come me fino a poco tempo fa, ancora non hanno letto 1984 di Orwell, la versione audiolibro di Storytel. La narrazione è concepita infatti come i vecchi radiodrammi dove, oltre alle diverse voci dei protagonisti, si aggiungono i rumori di sottofondo quali le sirene, il gorgoglio della teiera, lo schiocco di due calici di birra che si incontrano. Come stare al cinema ad occhi chiusi, insomma. Sul libro, un classico contemporaneo tra i più citati nel genere distopico, posso dire che mi ha molto colpito l'utilizzo manipolatorio che si fa della parola: dal bipensiero, ovvero la diffusione di concetti opposti dati entrambi come veritieri, alla riscrittura della Storia e della cronaca, per dirigere l'odio del popolo verso il nemico del momento. E tutto ciò, fingendo che le precedenti versioni non siano mai esistite. In psicologia, parlando di rapporti abusanti narcisistici, questo modo di fare ha un nome preciso: gaslighting, ovvero traumatizzare la vittima dipendente distorcendo la realtà e convincendola che questa corrisponda alla verità ogni volta che il manipolatore lo desidera. Essere convinti di due evidenze opposte crea nel nostro cervello una dissonanza cognitiva che a lungo andare ci rende fragili e impauriti. Ripensando a fatti recenti, a come ad esempio tante persone paiono non ricordare più tante regole contraddittorie promulgate durante gli ultimi due anni, il Grande Fratello di Orwell pare avere fatto ogni tanto capolino anche nella nostra realtà. Del resto come spiegava il collega a Winston, la Neolingua si basa fondalmente in una riduzione drastica del numero dei lemmi, affinché ogni parola abbia un significato il più generico possibile. Meno vocaboli, meno possibilità di esprimersi, minore possibilità di sviluppare un pensiero critico. Basta accendere la TV e confrontarla con un programma di 30 anni fa per notare la semplificazione mostruosa che ha subìto la lingua parlata anche da parte di chi dovrebbe fare divulgazione. Più paura verso un nemico a volte inventato, meno parole disponibili, più confusione. Da secoli la ricetta perfetta.
Maria Teresa Liuzzo, tra narrativa e poesia, nel solco dell’amore
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Il nostro paese è ricco di intellettuali e di case editrici che lavorano nell’ombra, perseguendo un ben preciso programma culturale, non finalizzato a scopi economici. Maria Teresa Liuzzo, per esempio, dirige la rivista Le Muse, edita da Agar Editrice di Reggio Calabria, si occupa di musica lirica, drammaturgia, scrive romanzi e poesie, insegna nelle università statunitensi ed è corrispondente per riviste internazionali. Tra i suoi romanzi - tutti editi da Agar - consigliamo E adesso parto! (2019), Non dirmi che ho amato il vento! (2021), La luce del ritorno (2022) e L’ombra affamata della madre (2022). La scrittura di Maria Teresa Liuzzo è intensa e ricca di simboli, finisce per fare poesia anche quando scrive prosa, il suo valore lirico è assoluto, così come molti passaggi sono ricchi di simboli espressionistici e surreali. Gli uccelli cantano con voce di pianto, la notte non ha pietà, il viola cangiante della sera si allarga a valle come un fiume, la sete morde le labbra in un gioco crudele, il sangue impazzisce dentro il ventre … La scelta lessicale è sempre molto accurata, quando si leggono queste pagine la mente vola verso la miglior scrittura ottocentesca, ricca di elementi descrittivi e di suggestioni romantiche. Tutto questo lo riscontriamo in misura superiore nell’opera in versi che abbiamo analizzato in maniera compiuta, Danza la notte sulle tue pupille, di recente pubblicazione, dove le tematiche amorose ed esistenziali sono sviscerate con passione e intensità. Parole musicali, termini insoliti, versi liberi dotati di una metrica intrinseca e di un andamento poetico naturale. Leggiamo il componimento che apre la raccolta.
Danza la notte nelle tue pupille
e sui nostri corpi avvinti
al candore di un fiato disperso
nel cuore che alita l’éllera di un sogno,
là dove l’incoscienza
s’impreziosisce del limite
lasciando dietro di sé
albe e mondi di sabbia
a farsi sangue di falene.
Il colore dei tuoi occhi
veste la solitudine dell’ora
e sgomitola la sapienza dei corpi
ombre di un desiderio mai dissolto,
sulle labbra graffi di memoria, che geme
in lenzuola di geometrie allo specchio.
Leggiamo un’altra lirica che affronta con efficacia e intensità il tema della solitudine umana, la fine di un amore, la passione perduta che si stempera in un ultimo abbraccio, un cesto di ricordi che contiene una rosa aggrappata a brividi di sangue.
Sola
come la notte e la morte …
Nel cesto dei ricordi l’ultima rosa
aggrappata a un brivido di sangue.
Piango al lume del silenzio
perché nessuno veda
il dolore dell’ultimo abbraccio,
il calore dell’ultima sfida.
Forse il profumo dell’ombra
mi è daccanto
nel suo lembo di cielo
ancora intatto.
La poetessa veste trine di spume, è il mare, se in lei ti perdi. Ricompone acque perché i sogni non anneghino, fa delle rocce pagine di parole innamorate, tiene ben stretto tra le mani il tessuto della vita. Mentre scrive un vento di gabbiani solleva orli di mare e molecole di sangue scompongono il tempo. Vera poesia, senza ombra di dubbio, che deve soltanto essere letta, senza alcun bisogno di forbite spiegazioni che fior di critici (Mauro D’ Castelli) hanno comunque dedicato a questi versi. Concludiamo il nostro intervento da lettore appassionato con una lirica sul senso del passato.
Ritornare fanciulli,
inventare amori senza volto
nelle strette dell’angoscia.
Il carminio dei gerani
dipinge bocche nuove
su ferite di nubi immacolate.
Geometrie cristalline
in un soffio di pula;
sorrisi e insidie,
io pensieri fatti sangue.
l’oro dei raggi
disegna le finestre
tra sinfonia di voci
e specchi di bottiglia.
Una considerazione finale la dedichiamo alla rivista Le Muse, giunta al ventiduesimo anno di pubblicazione, un bimestrale di grande formato che si occupa di arte e cultura, che in questo numero estivo approfondisce le figure dei classici Novalis e Vittorini, oltre alla contemporanea Antonella Di Siena, per finire con ospitare racconti, poesie, interventi critici e recensioni. Per informazioni la mail è rivistalemuse@libero.it.
Ricordando Franco Micheletti
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Venerdì 16 settembre – ore 17
SALA UNITRE di Via Torino
Piombino (LI)
RICORDANDO FRANCO MICHELETTI
Gordiano Lupi, Lucilla Lazzarini, Stefano Tamburini e Patrizia Lessi ricorderanno la figura di uomo e di scrittore di Franco Micheletti, ripercorrendo e rileggendo pagine tratte dai suoi testi principali, da Cronache maremmane a Piombino in bianco e nero, passando per Piombino tra storia e leggenda e Piombino com’era. Tutti i libri dello scrittore piombinese sono stati ristampati e resi disponibili dal Foglio Letterario Edizioni, che ha donato una copia di ogni volume - vista l’importanza ai fini della memoria storica locale - all’Archivio Storico e alla Biblioteca Civica Falesiana. Gordiano Lupi ha ricordato l’amico scrittore (tra i primi collaboratori della rivista Il Foglio Letterario) in Amarcord Piombino – I ragazzi di via Gaeta, con questo brano.
Franco Micheletti e la memoria del passato
Franco Micheletti non era soltanto un autore del Foglio Letterario. Era un amico. Era un amico vero. Soltanto la malattia è riuscita a fermarlo. Da qualche tempo non era più lo stesso, si vedeva sempre meno alle nostre iniziative. Non ce l’ha fatta neppure per la festa dei vent’anni. So quanto ci avrebbe tenuto, sempre così presente, trasmetteva entusiasmo, ci sosteneva. Franco amava la sua Piombino, conosceva ogni angolo della città, ricordava vizi e virtù dei personaggi simbolo del recente passato. Rimpiangeva le cose perdute, quelle che non sarebbero potute tornare, sottolineava il cambiamento, lo smarrimento d’una città vitale, pronta a lottare per i propri diritti, per un futuro migliore. Franco ha scritto libri bellissimi sui personaggi piombinesi e sulla piccola storia quotidiana, veri capolavori di provincia da riscoprire, da far leggere alle nuove generazioni. Ricordo la dolente e nostalgica narrazione del suo Cronache maremmane, contenitore di storie della Piombino anni Cinquanta e Sessanta, cui sono seguiti i racconti anni Settanta di Piombino in bianco e nero, fino al recente Piombino com’era, ricco di aneddoti e ricordi del tempo passato. E adesso che pure lui è entrato a far parte dei ricordi vado fiero di averlo conosciuto, di aver pubblicato i suoi libri, di averlo convinto a continuare, perché c’è tanto bisogno di memoria storica in questi tempi tristi. Abbiamo scritto pure un libro a sei mani: Piombino tra storia e leggenda, che ci ha visti assieme alla pittrice Elena Migliorini per raccontare (piccoli Proust di provincia) la nostra città perduta.
Oggi mi sento un poco più solo, piango un amico, ricordo uno scrittore vero, uno che intingeva la penna nelle ferite della vita, operazione più complessa - di certo più utile - che scrivere gialli, noir e thriller alla moda. Franco Micheletti ci ha permesso di non dimenticare Zoccolino, Fischione, Isa dei gabbiani, Cecco Nero, Bruno Tiradiritti, Netto, Remo, il Conte Scoglio, Pino il cenciaio, l’ammiraglio Curione e molti altri personaggi che popolano i suoi libri, resi immortali dalla sua memoria enciclopedica, rivitalizzati dalla sua fantasia di scrittore. Pare ancora di sentirlo parlare davanti al Bar Cristallo, far vibrare la sua voce inconfondibile per narrare la vita delle persone che un tempo passavano da corso Italia dirette verso piazza Bovio e Trastevere. Franco sapeva raccontare storie come i narratori d’una volta, gli intrattenitori davanti a un focolare, solo per fermare le parole che uscivano come un fiume in piena dalle sue labbra si è convinto a scriverle. Ed è stato un bene, perché adesso sono un patrimonio comune, piccola storia quotidiana, racconti della nostra comunità. Non so davvero dove tu sia, caro Franco. Spero che esista un Paradiso, un luogo capace di unire scrittori, pescatori e cacciatori, tutte cose che ti sono appartenute, le tue vere passioni. Spero che esista un Dio - pure se sono povero di fede, scettico come sempre, incapace di certezze - e resto in attesa di rivederti.
Lo steccato
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Nell'aldilà il Paradiso e l'Inferno rappresentano due proprietà private e separate da una chilometrica staccionata, oltretutto con la presenza di migliaia di cartelli nella parte paradisiaca con su scritto "Adeguate recinzioni fanno buoni vicini", mentre gli incalcolabili "Attenti al Cerbero!" appaiono nella parte infernale.
Dio e Satana, nel Bene e nel Male sembrano andare d'accordo; inoltre, sia le anime malvagie che quelle pie hanno mai provato a scavalcare lo steccato per curiosare o per cambiare aria, evitando così incidenti diplomatici.
Succede poi che Satana, per il suo compleanno, una sera organizzi una super grigliata, invitando miliardi di dannati, tra cui l'innominabile cancelliere dai famosi baffi a spazzolino che, nel pomeriggio, si era occupato personalmente di preparare, assieme a dei crucchi con la svastica, una titanica torta di carne, per di più cotta in uno smisurato forno crematorio collocato sotto una tenebrosa montagna. Per il trasporto della tortona si sono avvalsi di due fortissimi giganti: Gargantua e Pantagruel.
A un certo punto, la maxi festa si trasforma in un autentico pandemonio, gli invitati bevono all'eccesso e si prodigano a fare fuoco e fiamme nel vero senso del termine, difatti la palizzata viene irrimediabilmente danneggiata, fino ad essere completamente distrutta. Dio, incazzato come un satanasso, sbraita contro Satana e gli intima un indennizzo.
Dio - «Provvedi, oppure ti farò passare l'inferno!»
Satana - «Aspetta e spera!»
Dio - «Mi hai letteralmente stufato! Chiamo il mio avvocato e ti faccio causa!»
Satana - «Adesso capisco il detto "Gli avvocati sono un male necessario." Mi sa che dovrò chiamare pure il mio.»
Dio - «Per mille angeli! Pensi davvero di spuntarla?»
Satana - «Sì!»
Dio - «Come fai ad esserne così sicuro?»
Satana - «Perché ho... l'avvocato del diavolo!»
Nota dell'autore: questo racconto ha partecipato in un portale letterario a un contest dove bisognava citare il titolo di uno dei film preferiti dell'autore o dell'autrice partecipante, proponendo un brano di qualunque genere.
Le ultime tre parole dell'ultima riga de Lo steccato svelano un caposaldo del cinema hollywoodiano.
L'esca
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La piccola Giusy se ne stava seduta con le gambe penzoloni su un molo tenendo tra le mani una canna da pesca.
«Sei qui da ore e non sei riuscita a prendere nemmeno un misero pescetto» osservò il padre, deridendola, dietro le sue spalle.
«A dirla tutta vorrei catturare una balena» gli rispose Giusy, imbronciata.
«Che cosa hai agganciato all'uncino?»
«Un dito mozzato!»
La figlioletta, non volendo passare per bugiarda, riavvolse la lenza per far vedere l'esca al costernato genitore per poi rilanciare con nonchalance l'amo in acqua.
«Dove hai "pescato" quel pollice?» gli chiese il padre, sentendo lo stimolo di rimettere.
«Nel cimitero vicino casa nostra, mentre scavavo nel terreno» spiegò Giusy. «Stavo cercando dei lombrichi però alla fine ho trovato dieci dita sparse qua e là. Le altre nove le tengo in questa scatoletta metallica assieme ai vermi.»
«Vorresti mangiare un pesce catturato tramite un pezzo di cadavere?» urlò il padre dopo aver vomitato.
«La balena non è un pesce, semmai un cetaceo!» precisò candidamente la bambina.
«Ah già, è vero. Vabbè, dai, se ti servirà, emh, una... una mano per issarla, ti aiuterò io.»
La capanna dello zio Tommaso
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Cinque anni fa la buonanima di mio zio mi ha lasciato in eredità questa deliziosa capanna situata nel bosco. In quel periodo stavo affrontando momenti difficili in quanto ero oberato dai debiti causati da un fallimentare matrimonio e da una cattiva gestione dell'azienda di famiglia. Ciò mi costrinse a vendere di tutto, dall'appartamento alla macchina, per far fronte ai guai, tranne questo rifugio, nonostante le numerose e cospicue offerte ricevute.
Stamattina ho sentito il bisogno di venire qui, in primis per staccare la spina dalla tediosa quotidianità di città.
Bene, la legna per il camino è pronta, ed essendo quasi sera mi accingo ad accendere un antico lume a petrolio. Guardandomi intorno, rievoco per l'ennesima volta i miei verdi anni legati a questo posto. Mi ricordo che con lo zio trascorrevo liete giornate a parlare, a giocare a carte, a preparare gustose focacce e tant'altro. «Mi manchi!» esclamo tra me e me, divorato dalla malinconia e osservando sulla parete la sua fotografia incorniciata che pende sbilenca. Odio le cose "storte", altra caratteristica ereditata da lui.
Nell'atto di raddrizzare la cornice, casca un foglio di carta da dietro, scivolando lentamente sul pavimento. Capperi, si tratta di una stringatissima lettera. Nel leggerla, inizio a piangere, coprendo la bocca con una mano.
--- Carissimo e adorato nipote, se non hai ceduto alla tentazione di vendere la capanna, sotto il parquet su cui stai poggiando i piedi ci sono nascosti centomila euro, soldi ottenuti dalla liquidazione di quando lavoravo in qualità di sottoufficiale dei carabinieri.
Con affetto.
Zio Tommaso. ---
Nota dell'autore: il titolo di questo racconto si rifà a La capanna dello zio Tom un celebre romanzo di Harriet Beecher Stowe.
Alfredo Alessio Conti, "Tutto è respiro"
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Tutto è respiro di Alfredo Alessio Conti (Guido Miano Editore, Milano 2022 pp. 64 € 15.00) racchiude la volontà stilistica dell'autore a distendere lungo l'arco di un nuovo canto poetico, la rinascita quotidiana della meraviglia. Il poeta abbraccia l'universalità di tutti gli elementi umani, riunisce nel ritmo dell'esistenza il rinnovamento emotivo, orienta la relazione interna del tempo, la percezione della realtà, l'essenza del soffio vitale, il principio filosofico di tutte le cose, esteso nello spazio e nel suo legame con la scrittura. Alfredo Alessio Conti percorre il cammino comune verso la partecipazione sensibile all'esperienza biografica, rinnova la sperimentazione espressiva della qualità persuasiva del linguaggio, ricerca una nuova capacità della parola, aderisce alla purezza del verso, mette in evidenza il senso ritrovato delle inquietudini, il lirismo protettivo dei sentimenti, l'energia dei significati impulsivi e le suggestioni morali. Il poeta comprende il complesso legame con l'universo, sottrae all'isolamento e all'angoscia dell'uomo la distinzione del miracolo della vita, indica l'intensità del mistero, intuisce la prospettiva esistenziale nel drammatico e meditativo conflitto tra la contingenza e la necessità nel divenire della materia speculativa, riconquista, attraverso l'esclusiva esperienza dell'insegnamento elegiaco, la fiducia della coscienza. La poesia di Alfredo Alessio Conti invoca il desiderio inafferrabile dell'eterno, raccoglie il respiro sconfinato della fede, insegue l'ispirazione sovrumana e magica della verità, esorta la preghiera terrena in direzione del dialogo con l'Assoluto. Alfredo Alessio Conti riprende il sussurro indistinto, lieve e prolungato, dell'anima, spiega la spiritualità nell'inesauribile saggezza della Provvidenza, dilata la crudele nostalgia dei ricordi, salva la destinazione rasserenante dell'immensità del luogo interiore, dipinge la riflessione tra la solitudine e il silenzio del tempo nello scenario cosmico della finitudine. La raccolta poetica Tutto è respiro accoglie l'ultima fermata degli orizzonti, la malinconia dei richiami perduti, la sofferenza del vuoto, ma illumina l'oscurità del tormento con la compiutezza esplicativa dei versi, con il chiarore della speranza. Lo sguardo del poeta oltrepassa il confine delle lacrime, l'esilio delle illusioni, staglia i frammenti dei paesaggi vissuti, amati, condivisi nella profondità complice degli occhi, sostiene il coraggio con cui guarda al mondo, il raggio di sole che si posa di là dalle ferite. Alfredo Alessio Conti dona armonia e amore all'attesa di ogni compimento con l'eleganza simbolica del domani, quando il destino imperscrutabile regola la creazione di ogni istante e non scompare nell'inconsistenza. ”Vi arriva il poeta/e poi torna alla luce con i suoi canti/e li disperde./ Di questa poesia mi resta quel nulla d'inesauribile segreto” (Giuseppe Ungaretti).
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
IL TUO DOMANI
Conosci te stesso
e abbi cura di te
raggiungerai l'anima
nella sua profondità
e saprai chi sei
chi dovrai raggiungere
il domani
che verrà.
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COME MACCHIA D'INCHIOSTRO
Solo la luna
che si specchia
nel lago
mi rasserena
in questo passaggio
come macchia d'inchiostro
che si prosciuga
su un foglio bianco.
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LA TELA
Ogni minuto che passa
il creato
tesse la sua tela.
Il tempo trascorre
e della mia tela
la trama
è disfatta.
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LA MIA POESIA
Non inseguo
il ritmo
ma l'Anima
delle parole
mentre scrivo
di me
e dell'umanità.
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C'E' SEMPRE
C'è sempre
un po' d'inchiostro
per scrivere
il desiderio di te
in ogni istante
che della vita
mi resta.
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NEL TUTTO
Sento le stelle
palpitare dentro me
come fuoco d'amore.
Splenderemo nel tutto
ove l'impossibile
è possibile.
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IL VUOTO
Mi sono smarrito
nella notte
una stella
sbuca nella mente
mi ritrovo coriandolo
a tappezzare
il vuoto interiore.
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UN DOMANI
Sarò solo
col vento
in una lacrima
di Dio.
The Vampire Diaries
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All’inizio di The Vampire Diaries, episodi tratti dalla serie dei libri cominciata da Lisa Jane Smith e continuata da altri autori, Damon Salvatore mi stava così antipatico che non lo vedevo nemmeno bello, nonostante – interpretato dall’attore Ian Someralder – bello lo sia fino all’impossibile. Lui era il cattivo-cattivo, senza scrupoli, arrogante, malvagio, mentre suo fratello Stefan era il buono. Il vampiro cattivo e quello buono, insomma, nella scia di tutti i nuovi succhia sangue dell’urban fantasy degli anni duemila. Ma quando, già alla fine della prima stagione, balla con Elena, la fidanzata del fratello, è ormai difficile ricordare che non è lui quello da amare. E quando, nella sesta stagione, Elena si fa ipnotizzare per dimenticare di averlo amato, lei stessa si chiede – al pari di me al principio – come si potesse trovare attraente Damon Salvatore.
Entrambi i fratelli devono fare i conti con ciò che sono. Molto, infatti, si basa sull’accettazione di sé. Stephan ha convinto Damon a bere sangue umano ma poi ha passato il resto dei suoi giorni a pentirsene. Damon ha accettato se stesso, il fatto di essersi trasformato in un predatore, sa che le azioni che compie sono naturali per chi è come lui. È un mostro solo nella misura in cui la natura contempla anche i mostri. Ma può redimersi e lo farà. Non sempre, non del tutto e con continue ricadute.
Niente è definitivo in The Vampire Diaries, la redenzione arriva per tutti, anche nel più oscuro dei cuori non morti si annida una parte di umanità. Il ruolo di cattivo e di buono fra Stefan e Damon si ribalta in continuazione. Per questo Elena, tanto onesta, corretta e altruista, è pronta ad accettare, senza essere troppo schizzinosa, chiunque nella sua vita, anche chi ha commesso i peggiori crimini, perché c’è sempre speranza per tutti. Pure lei, nel corso di otto lunghe stagioni della serie, avrà i suoi momenti bui. Una volta vampirizzata, anche lei compirà azioni di cui dovrà pentirsi. Lo stesso dicasi per Caroline, la più dolce, la più generosa delle vampire. Ad un certo punto qualcuno chiede: “Dunque esistono vampiri buoni e vampiri cattivi?”. E alla risposta affermativa commenta: “Ma anche quelli buoni hanno ucciso qualcuno.”
È così. Nessuno è tutto buono o tutto cattivo. C’è sempre un cattivo più cattivo, che a sua volta potrà cedere al fascino perverso della bontà, riscoprire il residuo di umanità celato in fondo al suo cuore nero.
I protagonisti di The Vampire Diaries azzannano, salassano, squartano, impalano senza troppi rimorsi, come un male necessario, poi, magari, sono capaci di crearsi sensi di colpa abissali e adolescenziali per un bacio dato o accettato. I sentimenti più importanti sono l’amore, l’amicizia e la lealtà. Questi sono i valori che non si possono tradire, tutto il resto è secondario. Uccidere non è poi così grave, le stragi sono solo “effetti collaterali”, mezzi per raggiungere un fine superiore, come quello, appunto, di salvare un amico. Anche perché la morte non è così irreversibile, non è mai definitiva. Chi muore poi torna, come vampiro, come fantasma, come presenza attiva nell’”altro mondo”, quel luogo dove indugiano le anime di chi ci ha lasciato.
Semmai un disvalore è la vecchiaia. Nessuno è brutto a Mystic Falls e nessuno diventa mai vecchio. Persino la cacciatrice ringiovanisce nella settima stagione, perché non c’è posto per la decadenza fisica in questa serie e, il massimo della vetustà, è dimostrare quarant’anni.
L’amore fra Damon ed Elena cresce inesorabile minuto dopo minuto, puntata dopo puntata. È uno di quegli amori che non dovrebbero esistere, che mescolano il bene con il male, la luce con il buio, e, proprio per questo, esplodono. Non è come l’amore semplice e luminoso che lega Elena e Stefan, i due doppelgänger buoni e generosi, o Stefan a Caroline. È, piuttosto, come afferma Damon stesso, “un amore che consuma”, una passione profonda e irrefrenabile, l’attrazione verso ciò che è pericoloso ed eccitante allo stesso tempo. Damon stuzzica il lato oscuro e nascosto di Elena, ed Elena tira fuori il meglio da Damon. È la promessa dell’amore immortale, quello che rimane sempre come nei primi tempi, fra due persone eternamente belle ed eternamente giovani.
Nella settima e ottava stagione, tuttavia, non è più l’amore a farla da padrone. Il sentimento principale è il legame fra i fratelli Salvatore. Stefan è legato indissolubilmente a Damon, la sua anima nera, e non potrà mai vivere sereno finché lo avrà vicino e dovrà occuparsi di lui, dei suoi problemi, dei suoi errori, dei suoi misfatti. Tuttavia, il “brothersbond” (sì, proprio quello che poi i due attori hanno sfruttato per commercializzare il loro Bourbon) è più forte di tutto e trasforma The Vampire diaries in una sorta di bromance.
Una storia di tormento, di sensi di colpa, di dannazione e redenzione. Non cercate la verosimiglianza in questa serie, il mondo secondario credibile e coerente, perché non lo troverete. Non chiedetevi perché su tanti omicidi e sparizioni non indaghi mai nessuno, dove trovino i soldi per campare da nababbi persone che sono state in una bara per mille anni, come possano integrarsi in un mondo moderno e sconosciuto in pochi minuti, o, più banalmente, come possano anche studiare o lavorare gli adolescenti protagonisti, fra vampirizzazioni, omicidi, stregonerie, guerre e faide. Bazzecole. Quella che conta è l’atmosfera dark, anche se un po’ ripetitiva nei contenuti, mischiata all’allure da serie young adult americana, fra balli della scuola, quarter back e cheerleader, e soprattutto, l’interiorità dei personaggi che finiamo per amare, conoscere e sentire “di famiglia”, come accade con tutte le serie lunghe e famose. Alla fine, siamo tutti un po’ orfani del tenero squartatore Stefan, del tenebroso e bellissimo Damon, della coraggiosa strega Bonnie e della limpida Elena.
Insomma, è Mystic Falls, bellezza!
Gianni Mattencini, "Taceranno anche i passeri"
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Tutto ebbe inizio con la morte del coadiutore Gaetano Innamorato. Un dipendente delle Ferrovie di Stato, schivo e solitario, che scelse di suicidarsi all’interno del proprio ufficio di Bari, alle diciassette e venticinque di martedì 27 aprile, nel 1926. In un’epoca in cui il fascismo era salito al potere e consolidava la propria posizione con una politica statalista e centralista, uno scandalo all’interno delle Ferrovie sarebbe stato assai deleterio. Ed è proprio per questo che il procuratore del Re aveva fretta di chiudere la vicenda e archiviare il fascicolo, appurando che si trattasse di un gesto estremo, ma senza alcuna istigazione esterna. Non era però dello stesso avviso il sostituto procuratore, Alcide Saponaro, che in questa vicenda aveva colto sin da subito delle possibili implicazioni di reato e una chance per fare presto carriera. Si avvalse, in questa indagine, dell’aiuto materiale del maresciallo Albino Casati, il quale seguiva la pista tracciata dal magistrato, ma anche il proprio intuito professionale, che lo conduceva ad approfondire la provenienza dell’archivio fotografico trovato in casa del suicida. «L’esito dell’esame era stato prontamente riferito dai regi carabinieri in un ben strutturato seguito di rapporto in cui si avanzava l’ipotesi che le fotografie provenissero almeno in parte dal mercato d’Oltralpe, perché nel retro di talune di esse erano indicate didascalie piccanti in lingua francese. Inoltre, si faceva rilevare la coincidenza, probabilmente non del tutto casuale, che la Rosa Diodato in Dossetti, la donna conosciuta dall’Innamorato in Abano Terme, aveva un precedente di rimpatrio in Italia proprio dal suolo francese per sospetto esercizio del poco nobile mestiere nella città di Parigi. Si trattava di collegamenti assai labili, è vero, ma le prime indagini si conducono così, alimentando d’ipotesi i sospetti e verificandone la fondatezza». Un giallo davvero avvincente, architettato con maestria dalla penna capace dell’ex magistrato ora prolifico scrittore investigativo, Gianni Mattencini, che descrive con compiutezza quegli anni dominati dall’ascesa del fascismo, adattando lo stile in modo conferme all’epoca.
SCHEDA TECNICA
Genere: Narrativa
Pagine: 240
Prezzo: € 16,00
Codice Ean: 9791254510810
Data di uscita: 20/6/2022
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https://www.lesflaneursedizioni.it/product/taceranno-anche-i-passeri/
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La lista della spesa del boomer
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