marco zelioli
Silvana Ramazzotto Moro, “Van Gogh, l’uomo”
Silvana Ramazzotto Moro
“Van Gogh, l’uomo”
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Una nuova, interessante opera su Vincent Van Gogh va ad arricchire la schiera degli scritti sul pittore olandese: è Van Gogh, l’uomo di Silvana Ramazzotto Moro, che Guido Miano Editore propone con quattordici riproduzioni di disegni. Come recita il lungo sottotitolo, l’uomo Van Gogh è “raccontato da lui stesso nelle sue lettere: autoritratto, amore, vocazione mistico-religiosa, rapporti con i genitori e con il fratello Theo, arte, soldi, malattia”.
Il libro si dipana in tredici sezioni, ognuna delle quali individua un aspetto peculiare della vita dell’artista, così come appare dalle lettere scelte dall’Autrice. Si parte dalle lettere che riguardano il celeberrimo Autoritratto, a proposito del quale scrive, in una lettera al fratello Theo: “mi muoverò sempre in una sfera diversa da quella della gran parte dei pittori, perché il mio modo di vedere le cose, i soggetti che voglio ritrarre, inesorabilmente lo richiedono”. Nelle seguenti quattro sezioni si spazia dalla vocazione mistico-religiosa giovanile, alle donne amate nella sua vita (parte ponderosa – quasi 100 pagine – e ‘difficile’, dati gli innumerevoli dubbi e problemi manifestati da Vincent), al non facile rapporto coi genitori e ad i piccoli occasionali screzi col fratello Theo. Le altre sezioni sono centrate sul mistero della vita, sull’arte ed il sogno di un cenacolo di artisti, sui paesaggi, sui colori, su questioni ‘pratiche’ legate ai “maledetti soldi” e sui problemi legati alla malattia, per chiudere con l’arte giapponese e con delle “spigolature” (come questa, particolarmente significativa: “mi viene il desiderio di fare tutto daccapo e di cercare di farmi perdonare il fatto che i miei quadri sono quasi un grido d’angoscia, pur esprimendo in simboli la gratitudine con il rustico girasole”). Quasi tutte le lettere sono indirizzate al fratello Theo (un paio sono di Theo a Vincent), poche all’amico Rappard, alla sorella e alla cognata (spesso chiamata anche lei sorella), pochissime ad altri (all’amico Gauguin, ai genitori - specie alla mamma - ed una al signor Isaäcson).
Questa opera non è un’antologia, ma una raccolta meditata fra le numerosissime lettere scritte dal pittore sulle tematiche delle tredici sezioni; la maestria di Silvana Ramazzotto Moro è proprio nella scelta delle lettere, miniera inesauribile di informazioni: ha individuato alcuni temi esistenziali della vita del pittore ed ha ricercato e riportato i relativi brani delle sue lettere, offrendo al lettore il pensiero autentico dell’uomo Van Gogh. Il risultato è come una storia raccontata dall’Autrice ai suoi otto nipoti, cui il libro è dedicato.
Michele Miano nella Prefazione sottolinea che questo libro non è “un erudito trattato di pittura” o “un atlante d’arte”, ma quasi il ritratto di “un’anima sensibilissima e mai compresa in vita”, un libro che “ci apre le porte di un diverso modo di osservare il mondo per scoprire che la simbiosi dell’uomo con la natura può diventare osmosi, se sappiamo leggere nelle cose la profonda essenzialità poetica”. L’Autrice stessa nella sua Introduzione ci avvisa di non aver riportato giudizi suoi o di altri su Van Gogh, per “far sì che ciascun lettore se ne faccia un’idea prettamente personale e soprattutto autentica”; inoltre confessa che, vedendo le opere di Van Gogh, “per la prima volta gli alberi, l’erba, i campi, i prati, i fiori, la natura tutta mi apparvero come esseri viventi”: un’impressione che ha voluto approfondire, fino a regalarci questa mirabile raccolta. Lei ci presenta Van Gogh non per come è diventato per certa critica superficiale (cioè come un ‘genio pazzo’), ma per come è stato: uomo colto, “lettore e collezionista di volumi e di stampe, attento alle nuove tendenze artistiche del suo tempo”, ma spesso certamente infelice nella sua esistenza. Così si può capire come questa lettura di Van Gogh sia estremamente “preziosa per comprendere la sua arte e per conoscere quale uomo assolutamente eccezionale ci fosse dietro al pittore”. Insomma, una ricerca del ‘vero’ Van Gogh, che muove da lui stesso e non dalle opinioni dei suoi, più o meno favorevoli, critici. Ad esempio, nell’Introduzione è opportunamente sottolineato il pensiero del professor Kraus, all’epoca direttore del sanatorio provinciale di Sanpoort, che aveva a lungo osservato Van Gogh dopo le ‘crisi’ che lo avevano fatto ricoverare, escludendone “alterazioni della personalità” e concludendo come “la visione completamente lucida della sua malattia costituiva un ostacolo insormontabile alla diagnosi di schizofrenia”.
È molto interessante la parte dodicesima, sull’amore di Van Gogh per l’arte giapponese: comprò a poco prezzo molte stampe giapponesi e ne tentò anche il commercio (oltre 600 sono oggi raccolte al “Van Gogh Museum” di Amsterdam). Ne ebbe un’ammirazione infinita, tanto che, trasferitosi ad Arles nella “casa gialla” (dove sognava di fondare una comunità di artisti – cui è dedicata parte della settima sezione del libro), nel 1888 scrisse al fratello Theo che gli sembrava di essere in Giappone: la Provenza diventò il suo Giappone, e lo sfondo di alcuni suoi quadri del tempo riproduce elementi di stampe giapponesi. Infine, è bello e molto significativo che l’opera di Silvana Ramazzotto Moro si chiuda riportando una piccola serie di aforismi tratti dalle lettere del pittore.
Insomma, merito dell’Autrice è di aver scelto, nel mare magnum delle lettere scritte da Van Gogh, le più significative e di aver individuato le tematiche più peculiari; e grazie a questo suo lavoro, riesce ad offrire al lettore uno strumento per comprenderne meglio, e in modo diretto, la vita e i segreti. Operazione riuscita.
Marco Zelioli
Silvana Ramazzotto Moro, Van Gogh, l’uomo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 376, isbn 979-12-81351-51-6, mianoposta@gmail.com.
Don Giovanni Mangiapane, "Poesie del Santo Rosario e della via Crucis"
Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis
Don Giovanni Mangiapane
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Del Santo Rosario sono illustrati poeticamente dall’Autore tre misteri: i ‘gaudiosi’ (contemplati al lunedì e al giovedì), i ‘dolorosi’ (al martedì e al venerdì) e i ‘gloriosi’ (al mercoledì, al sabato e alla domenica). Non sono proposti i misteri ‘della luce’, introdotti nel 2002 da San Giovanni Paolo II (al giovedì, con modifica della sequenza delle contemplazioni degli altri tre misteri: i ‘gaudiosi’ lunedì e sabato, i ‘gloriosi’ mercoledì e domenica, rimanendo al martedì e al venerdì i ‘dolorosi’). Tutto è trattato nel pieno rispetto della tradizione della preghiera mariana più nota ed usuale, fin da quando i monaci Cistercensi ne ‘fissarono’ la forma nel Medioevo. Ogni mistero si conclude con due versi che si ripetono per salutare Maria: nei misteri gaudiosi come Madre di Dio, per mezzo della quale l’opera del Padre ha il suo compimento («Ti salutu, Maria, Matri di Diu/ cu tia l’opra sua tutta finiu»); nei Misteri dolorosi come «… Madre Addolorata,/ ai piedi della croce sei piantata»; nei Misteri gloriosi con queste parole: «Io ti saluto, del cielo Regina,/ della gloria di Dio sei tutta piena».
I versi di questo Rosario ci offrono una chiave didascalica efficace e piena di acume interpretativo. Tre soli esempi, uno per ogni mistero, valgono a far tesoro di questa preghiera. Nel terzo mistero gaudioso si ‘vive’ la concitazione del momento che precede la nascita di Gesù: «Nun c’è postu, troppa genti,/ vonnu essiri presenti/ e na grutta li ripara,/ pi l’Eventu di la Storia» («Non c’è posto, troppa gente:/ voglion essere presenti/ e una grotta li ripara,/ per l’evento della storia»): niente di più vicino alla comune vita delle donne e degli uomini di tutti i tempi di fronte ad un ‘lieto evento’. Nel quarto mistero doloroso si rivive in una sola quartina tutta l’angoscia di un’ingiusta condanna e nello stesso tempo si raccoglie un segno della permanente presenza di Cristo nel tempo della vita del mondo: «Nciampà cadì si susì/ la matri la binidicì,/ facci cè ncapu linzolu/ donni avvisò pi cunsolu» («Inciampò, cadde, si alzò,/ la madre là lo consolò;/ c’è un volto sul lenzuolo:/ a voi, donne, così vi consolo»). Nel secondo mistero glorioso, al momento dell’ascensione di Gesù, c’è la succinta ed abile descrizione della vita dei discepoli che non si ferma, ma va avanti con un nuovo scopo: la missione verso tutte le genti attraverso il proprio quotidiano vivere: «Mentri parlava acchianava/ di cori binidicia;/ cu acchianà dopu scinni/ ura è: a li facenni» («Mentre parlava se ne saliva/ e di cuore li benediceva./ Chi è salito dopo scende;/ e ora, alle nostre faccende»).
La seconda parte della raccolta è dedicata alla Via Crucis. Le prime quattordici stazioni, nella traduzione italiana, sono introdotte da una breve meditazione in prosa. Le stazioni sono quindici: è compresa quella della Resurrezione, introdotta nel XII secolo dall’Arcivescovo di Colonia, ma percorsa saltuariamente (l’itinerario tradizionale, quello riportato sulle pareti delle chiese cattoliche in tutto il mondo, si ferma alla XIV stazione con la sepoltura di Gesù). Si ripercorre l’ultimo tragitto di Gesù in Gerusalemme: dopo la condanna di Pilato, caricato della croce, incontra la Madre; poi Simone di Cirene è costretto ad aiutarlo; incontra la Veronica, cui ‘regala’ l’immagine del proprio volto impressa su un velo, e le donne di Gerusalemme, cui dice di piangere su loro stesse e i propri figli e non su di lui. Gesù, messo in croce, parla al ‘buon ladrone’ ed infine alla madre e al discepolo prediletto Giovanni, affidando l’una all’altro prima di esalare l’ultimo respiro. E le tre cadute, e la deposizione dalla croce, e la sepoltura di Gesù che conclude provvisoriamente la vicenda – perché la fine vera non c’è, arrivando la Resurrezione che apre mille e mille vie alla testimonianza cristiana.
In tutto questo tragitto, l’Autore si percepisce compartecipe di ogni vicenda ripercorsa, e sentiamo il suo caldo invito a riconoscerla come ‘nostra’, a meditarla con cuore umile e aperto, a lasciarci sconvolgere la vita da un incontro tanto intenso e vero come quello di Gesù – ancora qui con noi. Una compartecipazione che si propone con tanta discrezione quanta decisione, come, ad esempio, nella seconda e terza quartina della IX Stazione: prima Gesù si rivolge al lettore e poi l’Autore richiama l’attenzione sulla vicenda del Cristo («Ce lo hai detto tante volte,/ timorosi per le svolte:/ “State attenti, non sbandati;/ voi con me siete impastati.”// Nella vita lo facesti,/ con coraggio sempre andasti;/ ma quel giorno hai sudato,/ sangue vivo hai versato»). Una compartecipazione ‘richiesta’: infatti, mentre la preghiera del Rosario è sia personale che comunitaria, la Via Crucis è un gesto per sua natura comunitario. In essa si rivivono le ultime ore di vita di Gesù prima della Resurrezione: ore vissute in mezzo alla gente di allora, coi suoi pensieri e pene, indifferenze e passioni. Un gesto che anche oggi coinvolge chi, come il Cireneo della V Stazione, si trova a passare per caso. Un gesto “pubblico”, al quale l’Autore invita a compartecipare, soprattutto, direi, con la giaculatoria ricorrente che (al posto della tradizionale «Santa Madre, deh! Voi fate/ che le piaghe del Signore/ siano impresse nel mio cuore») suona così: «O Gran Virgini Maria,/ vostra pena è curpa mia» («O gran Vergine Maria,/ la vostra pena è colpa mia»). Tanti altri sarebbero gli esempi, ma è meglio che il lettore li scopra da sé.
Lo schema delle poesie è fisso: nel Rosario c’è la sequenza di quattro quartine di quattro versi, più un saluto a Maria nel distico finale, quasi sempre con rima baciata a due a due. Anche nella Via Crucis i versi sono a schema fisso: tre quartine e un distico finale, quasi sempre con rima baciata, più il “ritornello” di chiusura su citato, uguale fino alla quattordicesima stazione. È uno schema utile alla memorizzazione, che nella traduzione italiana inevitabilmente si perde, anche se c’è il tentativo di conservarlo intatto – ove possibile.
Per quanto riguarda l’uso, voluto, della lingua siciliana per i suoi versi, Don Giovanni Mangiapane ‘gioca in casa’. Non è la prima volta, infatti, che pubblica in Siciliano; e la Regione Sicilia, per promuovere l’uso della lingua isolana e farla conoscere a scuola, ha inserito i suoi Versi Siciliani in due volumi di poesie editi dal Liceo Umberto I di Palermo nel 2024. Da tempo si è abbandonato l’uso del termine di “poesia dialettale”, perché con questa espressione solitamente si sottintende l’uso di una lingua morta. Merito di questo sacerdote poeta è di produrre letteratura in ‘viva’ lingua siciliana, affinché la ricchissima cultura isolana venga tramandata così come è nata, senza ‘traduzioni’.
Le poesie proposte nella raccolta sono state pensate e scritte per essere lette e recitate in Siciliano, e il classico problema dei testi poetici è che, quando vengono tradotti da una lingua ad un’altra, inevitabilmente perdono un po’ del loro fascino stilistico. L’aiuto a comprendere la lingua siciliana ci viene qui dallo stesso Autore, che a fianco del testo siciliano propone quello italiano. Così anche i meno avvezzi alla lingua isolana possono avvicinarsi al senso pieno delle parola scritte. In ciò si è abbastanza facilitati, se si conoscono già gli argomenti stessi delle poesie – cosa probabile, perché il Rosario e la Via Crucis sono preghiere e gesti ben noti alla gran maggioranza dei possibili lettori. Però ci sono parole “intraducibili”, e nel tradurre l’Autore fa ricorso a delle parafrasi. Tuttavia, in certi casi bisogna ‘entrare’ nella lingua originaria per comprendere il significato del tutto, perché ci sono modi di dire che, a chi non conosce la lingua originaria, dicono poco. Ad esempio il “mortorio” del quarto verso della XIV Stazione della Via Crucis è il suono di campane a morto, usato anche, per le “chiamate d’emergenza”. Nel nostro caso, dal venerdì della sepoltura di Gesù alla sua Risurrezione all’alba della domenica di Pasqua, il tempo di un “mortorio” significa una brevissima attesa – nella prospettiva dell’Eterno. Devo questa spiegazione alla cortesia dell’Autore, perché io non ci sarei mai arrivato! Ma, per il resto, tutti i versi in Siciliano sono facilmente godibili e fruibili da chiunque, con l’ausilio della ‘traduzione d’autore’.
Diciamolo pure: questa raccolta poetica vale molto per chi conosce già la sequenza dei Misteri della preghiera del Rosario e per chi già pratica il ‘pio esercizio’ della Via crucis; ma vale anche, e forse ancor di più, per chi non li conosce. Sì, perché la forma poetica (tanto in lingua siciliana quanto nella traduzione italiana) è tanto semplice quanto potente, capace di avvicinare anche chi si accosta solo per curiosità a questi testi di Don Giovanni Mangiapane. Che, in tal modo, esercita la sua missione in bellezza.
Marco Zelioli
Don Giovanni Mangiapane, Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, testi in lingua siciliana con traduzione italiana a fronte; prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 72, isbn 979-12-81351-52-3, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Giovanni Mangiapane, nato a Cammarata (AG) il 24 maggio 1944, è stato sacerdote e parroco della diocesi di Agrigento per cinquantaquattro anni, ordinato il 29 maggio 1970 parroco sino ad ottobre 2023. Ha ricoperto l’incarico di Direttore Ufficio Beni Culturali in Diocesi dal 2002 sino al 2009, dopo avere ricostruito la Cattedrale di Caltabellotta, per le grandi celebrazioni del 7° centenario della pace di Caltabellotta del 31 agosto 1302. Ama scrivere, in lingua italiana e in vernacolo, anche versi, con piccoli messaggi augurali, concorsi parrocchiali, epitaffi, ricorrenze di vita. La Regione Siciliana, nel promuovere il Siciliano come lingua da far conoscere a Scuola ha inserito i suoi versi in due volumi di poesie, Versi Siciliani di Giovanni Mangiapane, edizioni Liceo Umberto I di Palermo 2024.
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Wanda Lombardi, "Tempi inquieti"
Wanda Lombardi
Tempi inquieti
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Wanda Lombardi torna a far sentire la sua voce poetica con una breve ma intensa raccolta, Tempi inquieti, per Guido Miano Editore: venticinque nuove poesie, seguite dalla riproposizione di altre quattordici già pubblicate e raccolte sotto il significativo titolo Perché nulla vada perduto. Il tutto conferma quanto la poetessa sia ‘presente’ al nostro tempo, pur così travagliato; e la sua ricca bibliografia a chiusura del libro lo attesta senza ombra di dubbio.
Nell’accostare i versi di questa raccolta di Wanda Lombardi, non si può prescindere dall’osservazione di Maria Rizzi nella Prefazione all’opera, laddove, riportando i versi che alludono all’«… immane dolore / che stretto ho serrato nel cuore / dinanzi a muri di ferro …» (da Nell’andare), afferma proprio tale esperienza permette all’Autrice “di calarsi nel sociale con sguardo caldo di pietas, valutando i pericoli del male, schegge di guerra in periodi bui come quello che attraversiamo”. Il “coraggio delle ferite” (citando ancora la Rizzi) permette alla Lombardi di affrontare ogni argomento con spirito al tempo stesso umile e combattivo – come testimoniano poesie come Rialzarsi per continuare.
Come le rondini che fuggono dai consueti posti, perché dall’alto vedono «i risultati dell’odio,/ devastazioni, strade insanguinate,/ infanzia violata, crudo dolore/ per rancore tra genti mai sopito,/ per un diritto mai ottenuto» (da Rondini addio), così lo scoramento può prendere anche le persone capaci di pensare con la propria testa, perché «…in ogni angolo della Terra si soffre,/ si langue, si muore/ per contrasti a volte minimi/ che dialogando si potrebbero evitare» (da Abitudini). E poi, «In un mondo che corre vorticosamente,/ in un’epoca in cui sempre più veloci andiamo,/ spesso dimentichiamo la necessità/ di pensare, di usare il cervello/ che tempi più lenti ha per lavorare» (inizio de Il tempo della velocità). Non per nulla Tra ombre e dubbi finisce così: «È vero o falso il mondo in cui viviamo?/ Forse è da preferire questo a quello di domani». In ogni caso, «Malgrado gli alti e bassi,/ meravigliosa è la vita/ ché anche i momenti bui/ forza ridanno, la volontà nutrono/ e trasformarsi possono/ in coralli luminosi/ sì come le stelle dal caos/ si distinguono» (da La collana della vita). Ciò conforta anche di fronte alle perdite di affetti e di persone, come testimoniano le poesie dedicate al fratello Ubaldo e A un ragazzo prematuramente scomparso.
Una poetessa capace di scrivere «qualcosa di grande avverto/ nella profondità dell’essere» (da La musica della vita) è senza dubbio persona aperta sempre alla novità, ma nello stesso tempo critica – giustamente critica sul senso di tale novità. Ci sono, infatti, novità che sconvolgono («Spaurita, dall’alto mi par di osservare/ un mondo lacerato che sembra crollare/ …/ rapidi cambiamenti epocali/ con diritti raggiunti, imprese spaziali,/ progressi nei paesi musulmani,/ robot, intelligenza artificiale,/ e accanto guerre, genocidi, povertà,/ dignità calpestata» – da Contrasti) e novità che confortano come la presenza di un amico (amico evocato con queste parole in chiusura della prima parte della raccolta: «Con viso aperto/ e trasparenza negli occhi,/ è un vento benefico/ che un equilibro restituisce,/ è una brezza marina/ che adagio ti sprona a ripartire,/ a riprendere in mano/ le redini della vita» - da L’amico vero). Sta all’uomo avvertire la direzione alla ‘piena umanità’ cui ogni persona è chiamata, rendersi conto che occorre «la capacità di meditare sulla vita,/ sui cambiamenti repentini,/ le cose irrisolte, i problemi accantonati/ e guerre… guerre nate con l’uomo/ e che con l’uomo periranno» (da Silenzio amico). È però inutile rifugiarsi «nel ricordo di tempi lontani/ quando tutto affascinava/ e un niente appagava», perché «Vivere in pace con tutti è un sogno/ che morirà con l’uomo» (da Sguardo sul mondo).
Così Wanda Lombardi ci sprona ad essere consapevoli del nostro tempo nel nostro tempo, cioè ad essere ‘presenti’ e non ‘assenti’ col cuore e con l’anima: il mondo in cui viviamo è il nostro mondo, non ce n’è un altro. Un richiamo da non sottovalutare, mai.
Marco Zelioli
Wanda Lombardi, Tempi inquieti e altre poesie, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 60, isbn 979-12-81351-38-7, mianoposta@gmail.com.
Biancamaria Valeri, "Di fiore in fiore"
Di fiore in fiore
Biancamaria Valeri
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Non ci si trova dinanzi ad un’autrice sconosciuta: Biancamaria Valeri ha già assaporato la gloria del successo, avendo pubblicato numerosi testi storici e una decina di raccolte di poesie. Ha avuto una solida formazione classica, si è Laureata in Filosofia e in Lettere, non è solo scrittrice ma anche studiosa di Storia e di Arte (con diversi diplomi di specializzazione e master): ciò si sente, nel leggere ciò che compone. Ed è anche una donna ‘pratica’, abituata a risolvere problemi sorti nell’immediato, come deve essere chi, come lei, ha avuto il compito di dirigere scuole. Eppure la freschezza di questa nuova silloge, Di fiore in fiore, sembra proporci una poetessa appena sbocciata.
Questa sua nuova raccolta di poesie ci propone una variegata gamma di riflessioni sulle vicende umane: amore, dolore, insuccesso, gloria, ricordo, attualità, giudizio, sentimento, morte – tutto quel che costruisce il puzzle di una vita intera. Una serie di riflessioni profonde sul significato della vita, presentate senza durezza, con lo sguardo allenato di chi scruta nei meandri della Storia per scovarne quel filo rosso che dà senso agli eventi.
I versi della Valeri spesso sono brevi, spezzati, quasi a voler sottolineare la fugacità del tempo umano. La punteggiatura stessa è scarna: ci sono intere poesie senza una virgola – a cominciare dalle prime due. A volte i versi constano di una sola parola, ma non vi è ricerca di ermetismo: così, piuttosto, l’autrice sottolinea il punto focale, quello su cui ci si deve soffermare per riflettere adeguatamente. Si veda ad esempio la breve ma intensa Pasqua di Resurrezione: «O morte/ dov’è/ il tuo artiglio?/ Disfatti/ dalla disperazione/ le tenebre/ dominavano/ su noi./ Dal silenzio/ profondo/ una voce/ suonò/ come un tuono./ E non ci fu più fine». Si veda anche l’incipit di Paese dell’anima: «Lo spazio dell’Anima/ è lo spazio/ del suo respiro,/ del suo soffio./ Da lei/ la materia è permeata/ e vive/ e sente/ e avverte/ e percepisce…». E così via, in molte altre liriche. Non mancano varie reminiscenze classiche, frutto degli studi dell’autrice, che qua e là si depositano in un linguaggio ricercato: «…Come una zattera/ è il nostro andar/ pel pelago in burrasca,/ come un relitto/ dopo le battaglie/ con l’onde/ guerreggiate…» (Zattera); oppure «…Le occasioni perdute/ le sconfitte del cuore/ ratte all’anima/ s’aggrappano…» (Veglia). A volte, invece, tali reminiscenze riemergono nel rifarsi ad immagini tipiche della classicità, come «quando le stanche membra/ s’abbandonano a Morfeo» (Sogno – ma la figura del più noto dei tre oniri torna anche in Alba e in Notte). Il tutto si riporta sempre alla personale vicenda dell’autrice, come quando – alludendo a Ferentino, la sua amata cittadina – afferma: «…Contemplo l’infinito/ e una profonda quiete/ inonda l’anima mia./ Equilibrio perfetto/ di luci e ombre…» (Abbandono); il paese natale è tanto amato, che anche solo una cartolina fa vibrare le onde del ricordo: «Tra i ricordi d’un tempo che fu/ ti rinvengo, Paese mio…» (Su una cartolina).
La partecipazione personale dell’autrice si fa invito al lettore perché non tralasci l’osservazione della realtà per quel che è; e così perfino il naturale cadere delle foglie genera un sentimento degno di compartecipazione: «…Un sospiro d’addio/ le ha fatte vibrare/ mentre abbandonavano il ramo» (Tappeto di foglie) – quasi a voler condurre chi legge a rifare lo stesso itinerario di scoperta del valore dei particolari che ha commosso lei stessa. Come ha già notato Massimo Gherardini nella presentazione della silloge Paese dell’anima (2021), la poetessa «si muove in punta di piedi» in una «sfera, costellata di luoghi, affetti, significati» e «completamente assorta in riflessioni umanamente universali». È una sorta di atto d’amore di chi scrive verso chi leggerà, che spinge l’autrice ad esternare le sue considerazioni, «…perché la vita come l’amore/ è più della morte/ forte» (Zattera); e non c’è dolore che tenga per far gustare la vita: «…Si capisce la gioia/ se si attraversa/ la stretta e angusta/ porta del dolore./ Lavacro di purificazione/ se accettato il dolore…» (Dolore e vita). Allora «…L’amaro pianto/ pian piano/ tramuta il nero Abisso/ in paesaggio splendido/ di Vita» (Dolore); e così è anche quando si deve piangere – e non si può non farlo – la malattia di una persona cara (la sorella), e ricompare «…Il vuoto,/ cassa di risonanza/ del dolore…» (Assenza). Perché il dolore è anche – in qualche modo – maestro di vita, tanto da poter affermare, nel chiudere Naufraghi: «…Ci perfeziona/ il dolore/ e sodali fratelli/ ci rende». Questo fatto che il dolore renda gli uomini fratelli è ben più che una reminiscenza di autori classici e romantici (basti pensare al Leopardi): è la constatazione di una realtà tanto autentica quanto spesso dimenticata. Ma non è il dolore l’ultimo orizzonte dell’esistenza umana.
Tutta quanta la vita ci si presenta come una serie di cammini imprevedibili: «Percorso accidentato è la vita./ Non corre mai lineare/ ma percorre tracciati tortuosi/ che sul momento sembrano/ immutabili e costanti…» (Svolte). La vita a volte ci ammalia, ci tenta con prospettive di gloria; c’è però un baluardo che ne limita il tentativo di ingannare il cuore dell’uomo: «…Più potente dei fatui successi/ sbandierati da maliarde maghe/ era la luce della verità» (Inganni). Verità cui tutto, in fondo, tende. È ciò che la scrittrice esprime, in modo estremamente sintetico e diretto, in una poesia che non fa parte di questa raccolta, ma che credo ne rappresenti emblematicamente la posizione umana: «Ho preso la penna/ per affidarle/ i miei sospiri dell’anima./ Con la poesia canto il mio dolore/ con la letteratura/ lenisco ogni affanno./ Ma la notte/ quando tace/ il rumore delle cure …/ più forte che mai/ rimbomba/ l’urlo dell’anima» (In punta di penna). Ed è per questa sua posizione di estremo, lucido realismo, per nulla distaccato dalla quotidianità, che l’autrice può alla fine esclamare: «Nel tuo seno materno/ troverò pace, o Dio./ Di delizie mi sazierò/ nell’infinita pace del tuo amore./ Non m’atterrirà/ alcun male/ se s’apre/ la misericordia tua…» (La tua pace).
Le poesie di questo libro ci trasportano quasi ad un volo radente sopra un campo dai confini sconosciuti – la vita – e ci portano Di fiore in fiore, affrontando aspetti diversi, proponendo sguardi differenti rivolti alla realtà tutta intera. Così i lettori, come api operose, passano dalla contemplazione della natura («…Sei segno di contraddizione./ Splendi radioso come il sole/ nelle giornate di bonaccia./ Terrificante muggisci/ nei giorni di tempesta…», Mare) alla sdegnosa repulsione per la guerra («…Migliore l’equilibrio/ che donano/ la Pace e la Concordia», Guerra), alla contemplazione dell’universo intero, che parla all’uomo anche se questo non ne capisce fino in fondo la «…Lingua sconosciuta/ che si può sentire e udire/ solo con il battito del cuore» (Mistero).
Sì, perché è con il cuore che si capisce la profondità del mistero della vita; ed è col cuore che si comprende la profondità di questa raccolta, ed ogni momento di angoscia e di dolore si risolve in una dolce, benefica nostalgia, piena di fede in Dio, autore della vita. Non c’è modo migliore di concludere che ripetere l’osservazione di Alessandro Quasimodo nel presentare la silloge In punta di penna (2023): «l’istante diviene un frammento di eterno che comunica dolcezza, addirittura infinita». Dolcezza cui ci conduce il fine sentimento della poetessa Biancamaria Valeri nel considerare ogni recondito aspetto della vita come dono d’amore.
Marco Zelioli
Biancamaria Valeri, Di fiore in fiore, pref. Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 72, isbn 979-12-81351-49-3, mianoposta@gmail.com.
Giuseppe Berton, "Time"
Time – Forty Italian poems
Giuseppe Berton
traduzione in inglese di Luisa Randon
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Many Italians write poems, but it is very unusual for them to write, or translate their poems into English. Congratulations to Giuseppe Berton for this Time, Guido Miano Ed., Milano 2024, a book “dedicated to all those who desire TIME TO LIVE”, as you read in the dedication. The author, in addition to writing poetry, works as a cardiologist and researcher; moreover, he loves running (including marathons), cycling and skiing. He loves music too: the Italian music of Claudio Baglioni, for example, along with the music of Pink Floyd and the Van der Graaf Generator band.
The book comprises Forty Italian poems (this is the sub-title): eight chapters of five poems each. Most of the volume offers the translation of the Italian book The Train and the Poplar (Il treno e il pioppo, Guido Miano Editore, Milano 2021), which already included English translations of some poems, revised in several points for this edition. The section Times of Universe is totally new, as are twelve poems.
Luisa Randon translated all poems but one, In One Look was translated by Elena Boni. Luisa Randon deserves special mention for her ability to communicate the feelings and the rhythm of the Italian version. To do so, she sometimes introduces line breaks different from Giuseppe Berton’s, allowing both to express their own creativity. As a result, both the original Italian poems and their English translations are very evocative; their language is fluent, simple and smooth. A language that invites reading.
The classical roots of Berton’s inspiration are evident in many poems, from mythological Hellenism to the classical style of Leopardi style and to Romantic themes – all pointing to the irremediable and radical enmity between Nature, Reason and Man.
References to Hellenistic classicism are found in poems such as A thousand Years: “… / Wonder of Hellas. / Breathing of the East. / Pain of the Soul. // Perhaps you were weaving your canvas, / enchanting girl, while the sun / was shining on the sea and on you. // Perhaps your heart throbbed in your chest / and Eros, who melts your limbs, / tormented you at night, // slave to desire / and to painful sorrows. / Sweet girl, crowned with violets. // You implored Aphrodite, / on her colourful throne, not to exhaust your soul / with pains and sorrows. / …”.
References to Leopardi’s lyrics are visible in several poems. For example: “… // The great poet / sang about you / to be relieved from his pain, / for you smiled at him. //… //… Melancholy moon, / light dropping on our eyes / and on the secret paths of the soul, / maybe you are just an illusion. // …” (To the Moon). Perhaps this is why the author writes in the autobiographical note: “The author hopes in Giacomo Leopardi’s good will if he reads it” (this note was alredy in English in Il treno e il pioppo, Guido Miano Editore, Milano 2021, p.93).
The typical themes of Romanticism appear, for example, in the last three verses of the poem dedicated to Van Gogh, Vincent: “…// I have seen the colours of your stars, / the stars of the soul, of madness, of life, / STARRY NIGHT”. Van Gogh is also mentioned at the opening of Colours: “A thousand colours are reflected / on coral and silver meadows / sand on your sweet eyes. / But in the end, at dusk // what will the colours look like? / Will blue be blue again? / And the green / and the yellow fallen from the sun, // like a drop of joy, / for you Vincent, / sweet soul, lost / in starry fields. // …”. The reader of this book will find many more.
There are frequent references to contemporary life, along the lines of Realism, as in Refugees: “Refugees are fine lines, / between the sand and the sea. / Refugees are Mike and Susie, / run away from the life they loved, // … / / We are Mike and Susie, / we are refugees, / we are lost, / we are dreams”. You can find another clear example in Homeless.
The author, as noted above, loves music, particularly the music of the English band Van der Graaf Generator. The five poems of the fourth part of the collection, by explicit admission of the author, are inspired by this band, echoing their contents and style: Refugees, The Lighthouse, Jericho, Forsaken Garden and Once I Wrote a Poem. Hence, Enzo Concardi can write in his preface to Berton’s book Il treno e il pioppo: “Berton tells us everything with a free poetic style (…) conveying to his poetry assonances that echo those of progressive rock” [my translation].
All poems can be easily read with pleasure. This is true for poems divided into stanzas and those not; for lyrics that include only three verses, as Haiku, or more than fifty, as in the case of To the Moon and A Thousand Years; for verses that are short, very short, or even single-worded, and for particularly long verses, as in the first lines of Five O’Clock at Night: “Endless night, wrapping around our thoughts. / Heartbeats, like wings in flight, brushing the skin. / Three hours, thirty years, five o’clock at night”. Berton’s language can be rich and varied as in the poem Like a Dream, or insistently repeated as in In a Sight, where the words “At the end” introduce all the twenty-seven lines of the lyric.
In this collection Berton outlines an itinerary of research; better, a searching itinerary. Search for life, for its ultimate meaning, in a path where uncertainty and confidence coexist, and where something leads our path: “A dim light, still far away, / may lead us / to a safe harbour” (last verses of The Lighthouse).
In every poem of Time you can feel the charm of discovery. Discovery of time, as in Time of Universe; of colours, as in the poem of the same name; discovery of love, as in numerous poems, from which the loving sentiment leaks gently: “While the evening fell / silently / on the restless world. // And our kisses / lightly floated on the earth, / endlessly” (last six verses of Before Calling You Love, to give just one example). Everything is watched with attentive eyes, eager to discover a meaning: eyes able to relate everything to that meaning. All of reality is described with love and reverence, arousing a desire for life. Perhaps a sign of resilient faith, surely an inner search for the meaning of time passing: “And I was thinking of time, / the time measured by physicists, suffered by poets, / considered infinite by believers. // I think time is an illusion, / only an illusion in this unknown life. / And it is less than a kiss.” (last six verses of Time). Time passing is initially seen almost as nonsense, but in subsequent lines time is revalued in comparison with something that feels eternal, that is love: “… // I was looking at my love, / and I could feel things changing all around. / I could feel space and time changing, // somehow like gravity changes / space and time, / around the universe. // …” (from One Day).
Time is, in fact, the journey of life, represented by the train, in search for the stability of the soul, whose emblem is the poplar: “… // The train seemed happy, / but nobody knew if it was true. / What matters is not what it shows. // The poplar tree seemed sad, / but nobody knew if it was true. / What matters is what it hides. // …” (from The Train and the Poplar Tree). Few, clear words; verses that spin like the wheels of the train on the tracks and that run away like wind in the poplars’ tops. Words that make us think, because the poet shares with us the awareness that ‘time to live’ is the most important thing. And poetry is indeed able to catch an instant of time and preserve it – as much to the writer as to the reader – so that it is never lost.
In short, this is a book of sincere, pleasant poetry, with a touch of Italian originality that remains in the English translation. Moreover, as the author himself writes in the note that accompanies the Italian book Il treno e il pioppo, “You don’t have to use a dictionary to understand the verses, you just have to use your heart to understand the poet’s language”.
That is true, if a poet - as Berton is - writes himself from the heart. Forgive the involuntary irony, since Berton is not only a poet, but a cardiologist by profession; but you can find some irony also among these Forty Italian poems, which makes their reading even more enjoyable.
Marco Zelioli
Giuseppe Berton, Time – Forty Italian poem, pref. Marco Zelioli, trad. in inglese di Luisa Randon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-42-4, mianoposta@gmail.com.
Antonino Stampa, "Fiori di Calendula maritima"
Fiori di Calendula maritima
Antonino Stampa
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Il titolo Fiori di Calendula maritima (pianticella salvata dall’estinzione che cresce solo in una piccola parte costiera della Sicilia trapanese) ci colloca subito nella terra di Antonino Stampa, alla quale lo scrittore ci trasporta attraverso i suoi occhi innamorati. Perché, come recitano i versi introduttivi, riecheggiando quanto Goethe diceva della bellezza: «La poesia / non è nelle cose, / ma negli occhi / di chi / le guarda». Ed è così che l’autore ci accompagna lungo le cinque parti che compongono l’opera. Le prime quattro (Come un battito d’ali, Noi e gli altri, Quel che lasciamo, Universo) sono tanto connesse tra loro che le poesie che le compongono sono numerate in sequenza dalla I alla XXXI; la quinta (Belice 1968-2018) è una sorta di poemetto interamente dedicato, a cinquant’anni dall’evento, al drammatico terremoto che colpì Gibellina e dintorni.
L’espressione è affidata a versi brevi, che evocano più che descrivere. Versi tanto spontanei quanto meditati: ad esempio, l’immagine di una tenda da sole basta a richiamare la siepe dell’Infinito leopardiano, e lo scrittore ne fa scaturire una asciutta meditazione sulla vita: «Scorrono ombre / sulla tenda / da sole. // Oltre, / nel limpido azzurro, / voli d’uccelli» (Oltre, poesia IX di Come un battito d’ali). Proprio con una citazione dell’Infinito di Leopardi si apre poi la lirica XXIX della sezione Universo: «Nero, / infinito silenzio / solitudine di spazi / ove smarrirsi…», quasi una personale nota esplicativa della citazione. Leopardi è citato anche nella breve ultima lirica XXXI (della stessa sezione), quasi a testimoniare una fonte d’ispirazione ricorrente.
Antonino Stampa ci offre un’osservazione disincantata della realtà, presentata in genere solo per accenni fugaci, come in una apparentemente placida contemplazione del reale: le parole del poeta, infatti, sono sempre lineari, non ‘aggrediscono’ il lettore con immagini disturbanti. Neppure quando descrivono (nell’ultima parte) le ore drammatiche del terremoto del Belice; né quando accennano ad autentici drammi dell’esistenza, come qui: «…Quanti / in ordinati governi, / ignorati, / senza lasciare traccia / nella nera terra / chiusero / una vita di stenti?» (poesia XXVIII di Quel che lasciamo). E nemmeno quando, con pungente ironia, ricorda: «… Non tingerti la canizie, / non questo / ti renderà giovane» (poesia XXV, ivi), perché: «Di Dio / è il futuro / dell’uomo, / forse, / il presente. // Giorno dopo giorno / affronta la vita, / più non è dato» (poesia XXIII, ivi).
Si può certamente sottoscrivere quanto considerato da Enzo Concardi nel presentare l’opera poetica di Antonino Stampa nell’ampio saggio I motivi lirici predominanti della poetica di Antonino Stampa: «Le opere poetiche di Antonino Stampa percorrono l’essenziale tragitto della condizione umana attraverso una meditazione spesso in solitudine sul senso del tempo, sulla presenza magica e simbolica della natura, sul mistero dell’Incarnazione, riferito alla storia come interprete della perenne lotta tra il Bene e il Male, sul senso della sofferenza».
Al di là della scorrevolezza quasi pacificante dei versi di Antonino Stampa, però, affiorano molti tratti di sofferenza da diverse liriche. Tratti quasi nascosti, ma non trascurabili; ad esempio in Siciliano (lirica XIII di Noi e gli altri), il cui incipit allude a sofferenze secolari, storiche, di vasta portata e non solo individuali: «Sono / di questa terra, / zattera a genti in fuga / nel vasto mare / o qui venute / per sete di dominio…» (il corsivo del testo è mio). La leggerezza dei versi fluenti, liberi da metrica e rime, quasi copre anche sofferenze più intime, forse taciute per timore del disinteresse altrui, come nella lirica XVI di Noi e gli altri, che per intero recita: «“Ciao, / come stai?”. / “Bene…”. // Abbiamo l’obbligo / di stare bene. / Dovrei aprirti il mio privato, / forse quello dei miei familiari…? / E tu? / Ascolteresti attento, / qualche parola / di solidarietà. / Poi ti allontaneresti. / Per i tuoi urgenti impegni».
La sofferenza emerge più esplicita nell’ultima parte della raccolta, Belice 1968-2018, con undici Quadri di un terremoto e del prima e del dopo – come recita il primo dei due sottotitoli. Qui si palesa come condizione vissuta da un intero popolo, cui il poeta dà personalissima voce: si veda la poesia VI (Ruderi di Poggioreale) che chiude con questi versi struggenti: «… Il vento / fra i muri / urla, / piange nel mio cuore». Un’altra immagine, in particolare, può farci focalizzare su quanto dolore c’è in eventi come il terremoto che colpì il Belice; un dolore intenso, che il poeta sa rievocare con poche asciutte parole: «… il muro di una casa / aperta, / memoria / d’intimità perduta …» (poesia III, Gibellina nuova - Le tre piazze). Parole non tese solo a documentare quella sofferenza, ma «… perché ti si pieghino / i ginocchi / e ascolti nel vento / le voci di quanti / qui ebbero / forma d’uomini …» (poesia VIII, Gibellina - ‘Cretto sui ruderi’ di Burri); parole scritte soprattutto per ricordarla ai giovani - e ce n’è motivo - perché: «… Non hanno memoria / i giovani / immersi in un eterno / presente» (poesia X, Con arroganza).
Insomma, con Antonino Stampa siamo introdotti quasi con dolcezza (la dolcezza del suo linguaggio che scivola via leggero) nell’aspetto forse meno amato, ma più presente in ogni vicenda umana nel mondo: la sofferenza. Che resta tale, anche se la si guarda con animo pieno di speranza perché la speranza permette di collocare tutto il male del mondo all’interno di un disegno positivo, ma non toglie dalla vita la dura esperienza del dolore. Speranza non declamata con pur giuste asserzioni teoriche, ma sommessamente suggerita al lettore con l’immagine umile e concretissima del contadino che «… Apre il solco / e vi depone il seme / e in giugno / campi fecondi / di giallo grano / falcia nel sole, / quel pane / che Dio / con l’uomo ha diviso …» (poesia V di Belice 1968-2018): è la speranza che chi semina possa anche raccogliere.
Dobbiamo essere grati a chi, come Antonino Stampa, con suoi versi pensati «con voce scabra» (come egli stesso scrive nell’ultima poesia XI, Congedo) aiuta a meditare sul dolori e sui mali piccoli e grandi della vita, con una visione sofferente, sì, ma serena, consapevole che tali dolori e mali non dicono l’ultima parola sull’esistenza umana. Uno scrittore che ci dona i suoi pensieri con una poesia rara come i Fiori di Calendula maritima.
Marco Zelioli
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L’AUTORE
Antonino Stampa è nato nel 1946 a Trapani dove attualmente risiede; laureatosi in Filosofia presso l’Università di Palermo, ha insegnato Lettere nelle scuole medie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Marine. Trasparenze in frammenti (1995), Specchio nascosto (2002), Distesi silenzi del mare (2003), Nei gorghi del tempo (2012), Chiedersi (2014), E non distinguo approdi (2017).
Antonino Stampa, Fiori di Calendula maritima, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 84, isbn 979-12-81351-29-5, mianoposta@gmail.com.
Valeria Masoni-Fontana, Opera Omnia, vol. II
Valeria Masoni-Fontana
Opera Omnia, vol. II
Guido Miano Editore, Milano 2024
Al primo volume dell’Opera Omnia di Valeria Masoni-Fontana, dedicato alle sue poesie, l’editore Guido Miano fa seguire questo secondo volume, che ne raccoglie gli scritti in prosa. Le sei parti che compongono il volume ci presentano un insieme che non è autobiografia, ma contiene molti tratti autobiografici; non è racconto, ma si legge come uno scorrevole romanzo misto di fantasia e realtà; non è cronaca, ma fornisce dettagli di vita con accattivante taglio giornalistico.
La prima parte raccoglie articoli apparsi tra il 1941 ed il 1943 sulla Rivista del Circolo Studentesco di Lugano, “Il Mosaico”: interventi brevi, al massimo due pagine, ricchi di osservazioni e riflessioni. Nella seconda parte sono raccolte prose degli anni 1941-1944 (più un testo in Francese del 1968), quasi tutte inedite. Ricordanze è la terza parte del libro: un epistolario immaginario datato tra il 18 aprile 1971 ed il 25 dicembre 1975, con una serie di ricordi di famiglia, come chiarisce il sottotitolo L’amore di figlia, di moglie, di madre nei sogni di Valeria: dialogo coi cari defunti; comprende anche alcune poesie (tra febbraio e maggio 1972 e a Natale del 1973); il tutto è caratterizzato da grande scorrevolezza, con qualche vena di pacata nostalgia, come in questa ‘letterina’ del 1 gennaio 1973, che chiude in modo tanto semplice e struggente: “Da piccina, quante volte, in questo giorno, vi auguravo buon anno? E sospendevo di botto i giochi per corrervi incontro! Oh adesso, quel mio corrervi incontro… Buon anno, buon anno. Come allora!”.
La quarta parte, Nebbie sul Breggia, riporta articoli apparsi sul quotidiano “Gazzetta del Ticino” nel 1978 (a cadenza settimanale o bisettimanale), senza le revisioni fatte dall’autrice per la successiva pubblicazione ne La mantide nell’ambra (1995); invece la quinta parte riporta quelli dell’intero periodo 1978-1995, come rivisti e corretti dall’autrice prima della sua morte, avvenuta nel 2020. La sesta ed ultima parte raccoglie altri scritti de La mantide nell’ambra sotto il titolo Du côté de chez… rien: una sorta di memoriale – come annota Enzo Concardi nella Prefazione al libro – a metà tra un’Antologia di Spoon River in prosa ed una proustiana Recherche, ma ben più scorrevole del ponderoso romanzo (alla cui prima parte fa il verso il titolo scelto dalla scrittrice).
Valeria Masoni-Fontana ci offre in questo libro un insieme composito, si diceva. Ci sono ricordi che corrono lungo tutta la vita dell’autrice, riguardanti fatti personali, persone di famiglia (come i genitori e la nonna Teresa), raramente personaggi pubblici (come “il nostro Sindaco: il signor Elvezio”), spesso altre persone che semplicemente l’autrice ha conosciuto (la “signorina Romilda nel suo delizioso negozio di sigarette”, o “il signor Pietro con doña Luisita, tornati dall’Argentina”, o il “dottore di famiglia, dottor Francesco, burbero e rude, pronto ad accorrere sempre con la «erre» rotante, le parole rade, le mani pallidissime” – per far tre soli esempi). Ci sono brevi racconti, che si disegnano davanti agli occhi dei lettori come Arabeschi; commenti di vario genere e sensazioni, come questa, che la scrittrice pone quasi a contrasto della citazione che lei fa per esteso di Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo: “Bizzarro umore il mio invero quello di stasera. Perché io vivo oggi fuori dalla mia realtà individua. Io vivo oggi, negli altri”. Ci sono anche descrizioni della natura (come le Betulle bianche), ma soprattutto ‘pennellate’ di Chiasso e delle sue vie, dove scorre la vita che la scrittrice ci riporta “viva”; poi confidenze, sogni, eventi memorabili (come il Ricordo di 17 anni: gennaio 1942).
Rivive così la poliedrica personalità di Valeria Masoni-Fontana, la cui professione “principale” fu quella di avvocatessa e di notaia, ma che fu anche scrittrice di talento, trasfondendo nei suoi scritti tanta freschezza elegante, piena di verve e di personalità, per il diletto dei suoi fortunati lettori. Una freschezza che attraversa tutta la sua opera, dagli scritti giovanili più ingenuamente retorici (come Nel 650° anniversario della fondazione della Confederazione) a quelli della maturità, più profondi ma ugualmente spontanei.
André Gide sosteneva che nessuna parola dovrebbe uscire dalle labbra di qualcuno prima che fosse passata nel suo cuore – e a maggior ragione ciò dovrebbe valere per la parola scritta. Pare proprio di trovare realizzato in queste pagine di Valeria Masoni-Fontana il pensiero dello scrittore francese.
Marco Zelioli
Valeria Masoni-Fontana, Opera Omnia, Volume 2 - Prose, premessa di Guido Miano, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 504, isbn 978-88-31497-80-0, mianoposta@gmail.com.
Wanda Lombardi, "Opera Omnia" II Edizione
Wanda Lombardi
OPERA OMNIA
II edizione
Guido Miano Editore propone nella sua prestigiosa collana “Il Pendolo d’Oro” la seconda edizione dell’Opera Omnia di Wanda Lombardi, che raccoglie molte delle poesie pubblicate della scrittrice di Morcone (BN) nell’arco di un ventennio, permettendo al lettore di ripercorrere la sua felice parabola.
Va subito notato che si avverte appena il distacco che c’è tra le poesie proposte, che sono scelte da Miti e realtà del 2022 andando a ritroso nel tempo dell’Autrice fino alla sua prima raccolta Nel silenzio, che risale al 2001. Se distacco c’è, questo è solo temporale, non tematico. Si può davvero dire che a tutte le composizioni proposte, comprese le due raccolte di haiku (Nel vento dell'esistere, 2020, e Attimi lievi, 2018), è sotteso un robusto fil rouge che le unifica lungo pochi percorsi argomentativi, che Enzo Concardi, nel suo recente saggio Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi (Guido Miano Editore, Milano 2022), riassume in: «il tempo, il cosmo, l’oggi, il divino»; il tutto è passato attraverso il filtro della memoria, che purifica e rende limpido ogni pensiero e aiuta anche a comprendere come sia scaturita nella Lombardi la voglia di scrivere poesie.
L’alternanza dei toni delle composizioni contribuisce a tener viva l’attenzione del lettore. Sono toni a volte elegiaci, come nell’inizio di Vento inclemente: «Vento che con le foglie / i sogni porti via, la vita, / lasciami l’eco di un evento lontano / che in me poco visse, / crollato qual castello di sabbia!…» (poesia dedicata al ricordo della madre, cui, nel cinquantesimo della morte, la poetessa ha dedicato anche la composizione Mamma); tono che ritorna, ad esempio, nel finale di Sogni nel vento, in cui rimpiange i suoi «giovani giorni» ormai passati: «…Ideali smarriti in roveti spinosi / senza altro lasciare / della loro fuggevole esistenza / che lacrime». Altrove si trovano, invece, toni severi, tesi a difendere con ardore i propri sentimenti, come nel finale di Specchio: «… / Sol cosa grande / non riesce ad afferrare: / la mia sensibilità. / Essa appartiene solo a me, / non vacilla con gli anni / e non invecchia; / nessuno me la può sottrarre / o modificare, / né mai si perderà». Toni anche duri, quasi di ribellione, come in Turbini d’indifferenza, in Tempi assurdi e ne I mali del mondo, dove si legge: «…Ho visto l’onestà / come foglie marcire, / la viltà come gramigna diffondersi. / Travolti i sentimenti, diritti negati, / individualismo e parco pensare / per fretta di andare…». E toni leggeri, pacificanti, capaci di far sorridere, come in questo haiku: «Col buonumore / della vita s’accetta / ogni colore».
Il ricorso a differenti modalità espressive vivacizza la lettura. Echeggiano qua e là delle similitudini esplicite, a volta struggenti (come in Canto: «…Qual pianta che al gelo non s’arrende / e nella sua invernal secchezza / risparmia forze per svegliarsi in pienezza, / così il pensier mio, da scosse contrastato / minuzie varie adorna / da render singolari; / a volte diamanti appaiono / dalle molte varietà, / altre echi sottili risonanti qua e là…»). Altrove invece si trovano similitudini implicite, nascoste: leggere, come in Una nuvola, o nostalgiche, come in Ora che… E non manca mai il ricorso al colloquio interiore – un esempio per tutti si ha in Mio cuore.
Pur con l’alternarsi di poesie di media lunghezza (in genere non più d’una pagina l’una) e delle brevi terzine che compongono ciascun haiku, prevale su tutto l’unità dell’ispirazione dell’Autrice, che nelle pur diverse forme delle sue composizioni avvince il lettore con la chiarezza del suo esprimersi. Anche quando il colloquio col lettore prende i toni dell’esortazione – quasi a richiamare la funzione pedagogica svolta dalla Lombardi nei suoi anni d’insegnamento – come nella breve poesia Umanità: «Abbandonare l’egoismo o il rancore / e vestirsi di bontà / per accogliere in braccia d’amore / il dolore a te accanto, / e nel fonderlo col tuo / un conforto trovare, uno sprone / per proseguire con l’altro / nel mai sopito sogno / di dialogo e di pace». A proposito di insegnamento, non sfugge a chi legge che diverse poesie sono basate sugli studi dell’Autrice, che li richiama con immagini dipinte senza manierismo in diverse composizioni, come Ad Afrodite, A Nike àptera (Alla vittoria senza ali), Ricordando Cassandra; altre figure mitologiche o storiche compaiono qua e là, come il Nettuno de L’invidia, gli Argonauti e le Vestali (citati in Non scriverò…), o Tito Livio (ricordato in Ruderi): figure rievocate soprattutto nella seconda sezione della raccolta, che riprende la silloge Volo nell’arte del 2021. Reminiscenze che sono «…Perle, / di cui si è persa la memoria» (ultimi due versi di Perle del passato).
Si può ben concludere con l’osservazione di Maria Rizzi, nella Prefazione ad Opera Omnia di Wanda Lombardi: che «... i poeti scrivono di soppiatto, quasi all'insaputa di se stessi» (p. 8); una osservazione che sottolinea insieme la freschezza quasi inconsapevole della poesia dell’Autrice e la sorpresa che i suoi versi destano a ogni pagina per il lettore, che facilmente può riconoscersi in essi. Del resto, è famoso il detto di Salvatore Quasimodo, che «la poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia interiore e personale, che il lettore riconosce come proprio»; e qui sta anche il segreto fascino della poesia della Lombardi, che sprona proprio alla lettura.
Marco Zelioli
Wanda Lombardi, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 200, isbn 979-12-81351-13-4, mianoposta@gmail.com.
Pasquale Ciboddo, "Con la speranza"
PASQUALE CIBODDO,
Con la speranza
Guido Miano Editore, Milano 2023.
Le poesie di Pasquale Ciboddo (sardo di Tempio Pausania, 1936) sono state oggetto di commenti di autorevoli critici, da Giorgio Bárberi Squarotti ad Elio Andriuoli, da Ninnj Di Stefano Busà ad Enzo Concardi, da Maria Rizzi (prefatrice del volume) a Raffaele Piazza. Aggiungere note significative è arduo, ma l’attrazione dei versi del poeta è tale che vale la pena provare, pur col rischio di ripetere concetti già delineati da altri. Questa raccolta Con la speranza (impreziosita dal materiale fotografico di Salvatore Solinas) si pone in continuità diretta con le due precedenti, pure pubblicate da Guido Miano Editore: Andar via (2021) ed Era segno sicuro (2022). La poesia Scritti in qualche modo rivela tale continuità nel suo finale: «…Scritti piaciuti / a tanta varia gente / e a dotti studiosi».
L’immediatezza della scrittura e la fluidità della lettura dei suoi versi facilitano l’accostarsi del lettore ai temi di Con la speranza, spesso di amara attualità: come, ad esempio, quello della guerra («Povera Ucraina / calpestata dai Russi / come un’aia / dove si batte il grano…», Ha il fragore), o del dolore («Se ascoltiamo / il battito del cuore / della nostra madre terra / ci accorgiamo / che è lento e stanco / da sofferenza e dolore…», La guerra), o dei ‘viaggi della speranza’ dei molti migranti («…È la carovana dei fuggiaschi / da patrie native / per guerra, per fame e odio / come il popolo antico / guidato da Mosè. / La storia si ripete / nello scorrere del tempo», Oggi). Fino a commentare: «Solo chi ha sofferto davvero, / nell’ultima guerra / sa vivere sul serio…» (Solo); e ad ammonire che la natura tutta va rispettata: «… Alberi che dovrebbero avere / il nostro rispetto / come parenti stretti / simili ai Santi / dentro la nicchia» (Simili ai Santi).
I versi del Ciboddo, come scrive Maria Rizzi nella Prefazione, sono «specchi dell’umana fragilità filtrata da un’anima di seta, che nel suo percorso narrativo ben delineato assume una sacralità innegabile, quella di un messaggio che abbraccia lo scibile del vissuto e del vivibile». Così nelle poesie di Con la speranza troviamo una sorta di ‘rilettura critica’ delle vicende quotidiane, viste col filtro della memoria, la quale sa mettersi «…in cerca del / tempo perduto / quello del passato, / dove tutto era misurato…» (Bisogna volgersi indietro).
C’è la viva consapevolezza che la Storia è maestra di vita solo per chi la vuol comprendere: altrimenti non resta che constatare amaramente come l’uomo non abbia imparato nulla dalla Storia. Non per difendersi da un progresso illusorio: «…Oggi, con la tecnologia moderna / portata in tasca, / sai tutto, vedi tutto / dentro uno specchietto / dipinto dai furbi / per ricavare denaro / e vivere da nababbi / alle spalle di poveri / innocenti compratori» (Dentro uno specchietto); e neanche per ripararsi da evenienze non nuove, come la pandemia – tema ricorrente in questa raccolta, così come la guerra, col corollario di amari commenti del poeta, come questo, che associa la pandemia all’altro evento infausto della siccità: «A questa pandemia / segue la siccità. / Piove poco e di rado / e a volte, diluvia / e distrugge case e raccolti. / Il vento di scirocco spazza via / paglia e grano / e lascia solo la mondiglia. / Sono segni sicuri / del Signore / stanco di sopportare / i soprusi umani» (Questa pandemia). Tutto ciò fa esclamare Povera umanità (titolo di una lirica), Se non interviene Dio (altro titolo di poesia).
C’è, dunque, una continua tensione tra il passato e il presente: «Per tutti, / come l’ombra della sera, / svanisce la speranza. / La nostra vita / è come l’erba che secca / a fine Primavera, / o come fiore bello / colorato e profumato / che, lentamente, / si accartoccia e muore» (La nostra vita). Però: «…Inutile pertanto rimuginare / il tempo passato / è già scordato…» (Rimuginare). Così l’uomo d’oggi può non solo cercare di comprendere cosa ‘non va’ nel mondo (fino a concludere che «Così vince sempre chi comanda» – ultimo verso di Odio), ma può sperare che cambi in meglio, anche grazie alla fede, che è rigeneratrice di passione e di volontà nell’agone della vita – che è veramente tale solo Con la speranza se l’uomo ripone fiducia in Dio. E forse davvero: «…Lavorare / e in silenzio pregare / senza farsi notare / aiuta a vivere a lungo», come chiude la poesia Lavorare.
Marco Zelioli
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L’AUTORE
Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura (Sardegna), nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti in Italia (è conosciuto anche a Cuba), e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici. Ha conseguito molti premi e riconoscimenti.
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Pasquale Ciboddo, Con la Speranza, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 80, isbn 979-12-81351-14-1, mianoposta@gmail.com.
ALCYONE 2000 QUADERNI DI POESIA E DI STUDI LETTERARI
È uscito il n.17 di: ALCYONE 2000 QUADERNI DI POESIA E DI STUDI LETTERARI
Pubblicato il n.17 di “Alcyone 2000. Quaderni di poesia e di studi letterari”; Guido Miano Editore, Milano 2023. In questo volume articoli su Salvatore Quasimodo, Ignazio Silone, Alessandro Miano, Corrado ‘Iano’ Campisi, Annunziata Bevilacqua, ecc…. Opere d’arte di Giovanni Conservo, Arnaldo Pomodoro, Luciano Blotto, Don Marco Morelli, Roberta Fava.
«La notte, se guardiamo le stelle, sentiamo un brivido lungo di angoscia e ci sorprende l’inquietitudine di cose ignote o dimenticate da tempo. Allora il timore di sperdersi nello spazio diventa il suo opposto: desiderio di sperdersi; e ad un punto si incontrano vita e morte di noi e di quello che è in noi e fuori di noi anche. Chi ama questa sensazione immediata di opposti ama la notte ove lo strazio è anche dolcezza e l’incanto è affanno; e sospira in sillabe remote la poesia della vita e della morte che ognuno ha in noi nascosta e profonda. Canta allora il poeta in questo modo: «… Dammi vita nascosta / e se non sai me pure occulta, / notte aereo mare...» (Vita nascosta). «Saccheggiatrice d’inerzie e dolori / notte; difesa ai silenzi, / l’età rigermina / delle oblique tristezze...» (Inizio di pubertà). «…ciò che parve nostro ieri, / e ora è sepolto nella notte...» (Sillabe a Erato). «…mobile d’astri e di quiete / ci getta notte nel veloce inganno: / pietre che l’acqua spolpa ad ogni foce...» (Mobile d’astri e di quiete).
Quasimodo è poeta che ama a questo modo la notte: per quella sensazione, che da essa viene, di pienezza nell’annullamento e di delirio nell’angoscia. Ed è perciò che la notte si fa momento della sua vita spirituale e lirica, momento della sua poesia, forma del suo contenuto e stile dell’anima. In questo senso il paesaggio vero e proprio, cioè l’esterno del poeta si fa paesaggio interiore e anche viceversa…»
Giuseppe Zagarrio
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«…Il nostro colloquio con Silone durò quasi tre ore: molto, molto più del previsto. Arrivò l’ora del the, che egli ci offrì; ci portarono anche dei biscottini. E alla fine di tutto quel tempo ci congedò dicendoci, più o meno: “Grazie perché avete voluto passare il pomeriggio della domenica con un vecchietto invece che andare a divertirvi o a ballare”.
Noi eravamo al settimo cielo per aver avuto un incontro indimenticabile – anche se avevamo dimenticato di portare un registratore, che ci avrebbe aiutato a scrivere per bene e in modo genuino il resoconto di quel pomeriggio così speciale. A dire il vero, non ci eravamo dimenticati di portare il registratore: non ci avevamo nemmeno lontanamente pensato! Veramente sprovveduti…
Nei giorni seguenti Marina ed io cercammo di raccogliere gli appunti della conversazione per formulare una specie di traccia come ‘base di lavoro’ per il gruppo di studio. Ne venne fuori un documentino piccolo piccolo, che spedimmo allo scrittore. Non era un gran che. Silone ce lo rimandò, corretto di suo pugno! Così era almeno degno di essere usato. Io stesso ribattei a macchina il documento da lui emendato, con altre nostre piccole aggiunte ispirateci dagli appunti di quel colloquio. Scrissi con la portatile di mio papà, cimelio di famiglia: una Olivetti MP1, la ‘nonna’ della Lettera 32. Glielo rispedimmo; Silone non rispose, segno, tutti credemmo, di approvazione…»
Marco Zelioli
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«…Il Canzoniere dell’Anima di Alessandro Miano è l’opera, postuma del 2011, che raccoglie parte delle sue poesie – vi sono ancora tanti manoscritti inediti – da cui si evince l’esattezza di quella definizione conferitagli dalla critica di “Poeta dell’Assoluto”. Nonostante sia stata suddivisa in sette sezioni (Chi ha voce, Frate Francesco e altre poesie, Come una vela, Terra del sud, Minime trame, Per musica, Appendice - altre poesie), i testi costituiscono un unico corpo lirico, dove la cronologia non è evidenziata perché non ha alcun significato, in quanto il poeta è rimasto nel tempo sempre fedele a se stesso, in quella tensione ideale e spirituale che ha avuto la sua genesi nella giovinezza, mantenendosi tale fino al termine dei giorni terreni. Nella sua ispirazione è l’interiorità al centro di ogni creazione, ricca e vulcanica, patrimonio geloso custodito con discrezione, sensibilità, quasi con nascondimento, tanto era in lui alto il senso del rispetto dell’altro…».
Enzo Concardi
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«Dopo quella di Moore a Firenze, la mostra di Arnaldo Pomodoro, alla milanese Rotonda della Besana, è la più importante rassegna di scultura contemporanea presentata in Italia. Sono queste le mostre che vorremmo vedere: escono da ogni compromesso di “routine” offrendo alla città una eco internazionale perché è certo che saranno molti e qualificati i visitatori che verranno da tutta l’Europa, e credo da oltre Atlantico, ad ascoltare il rigoroso “discorso” di Arnaldo Pomodoro e a vagliare i risultati plastici ed estetici conseguiti dall’artista, ormai famoso in più di un continente, il quale ha dato alla scultura italiana un indiscutibile primato…».
Domenico Porzio
Alcyone 2000 – Quaderni di Poesia e di Studi Letterari, n°17; Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 108, isbn 979-12-81351-16-5, mianoposta@gmail.com.