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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

recensioni

Vikings

7 Marzo 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

Serie molto ben confezionata, a firma Michael Hirst, Vikings, anche se troppo moderna nell’impianto visivo, nelle acconciature, nel trucco e parrucco. I protagonisti sembrano più rock star, per le movenze e le espressioni, piuttosto che antichi norreni. Ma le ricostruzioni di ambiente sono minuziose ed efficaci, i personaggi tanti e ben disegnati: l’indovino cieco, i cinque figli di Ragnar, il pazzo visionario Floki, la volitiva Lagertha, la cattiva Aslaug, il giusto e forte Ragnar Lothbrok e una miriade di altri.

Su tutti, però, spicca Athelstan, il monaco che viene preso prigioniero dai Vichinghi e vive con loro. Man mano che passano gli anni, si trasforma da cristiano convinto a uomo del compromesso e del sincretismo. In lui albergano più anime, quella cattolica e quella contaminata dalla frequentazione pagana. Athelstan comincia a intravedere la bellezza e la spiritualità anche in certi riti di sangue violenti e raccapriccianti. “Amo Gesù e amo Odino”, dice. Dopo la morte per mano di Floki, continua a essere presente sotto forma di visione e assume sempre più un’immagine salvifica e cristologica. La sua eredità sarà assunta dal figlio naturale Alfred, futuro re del Wessex, la figura più nobile e giusta di tutta la serie. Athelstan è irrisolto, tormentato e tuttavia completo, frutto proprio del suo lasciarsi andare a una molteplicità di pulsioni, da quelle più religiose a quelle terrene e lascive. “La loro morale è diversa”, dice ormai scevro di giudizi o pregiudizi parlando dei suoi catturatori che definisce “la sua famiglia”.

L’ammirazione e l’amicizia che Ragnar Lothbrok, il personaggio più importante, ha per lui, sono assolute. Ragnar, a sua volta, agisce spinto non da mera ambizione ma da curiosità: la voglia di sapere cosa c’è oltre il mondo conosciuto, la voglia d’imparare usi e costumi diversi, di parlare altre lingue. 

Altro personaggio controverso è re Ecbert, uomo dai continui rivolgimenti etici, pronto a tradire ma anche a soffrire per averlo fatto. Amico sia di Athelstan che di Ragnar, diventa l’amante della moglie del figlio, alleva Alfred nel ricordo del padre monaco e lo prepara a diventare un futuro re saggio e pio. La sua amante sarà la madre di Alfred, avuto dalla relazione di lei col monaco Athelstan, che ne difenderà l'ascesa al troino anche a costo di uccidere il proprio primogenito.

Diverso il caso di Lagertha, coraggiosa, tenace, da sempre innamorata di Ragnar, dolce con i familiari ma spietata e inflessibile con chi merita di morire.

Inevitabile in confronto con Game of Thrones. Ma qui c’è una base storica, molti dei personaggi sono realmente esistiti e c’è parecchia spiritualità. Si fa un gran parlare di dio, della sua differenza con gli dei nordici, di paradiso e di Valhalla. Esistono l’inferno e il paradiso? Esistono gli dei? E, se non ci fossero, la vita avrebbe più o meno senso?

Personaggi spietati, barbarici, che non ci pensano un secondo a infilarti un’ascia nello stomaco ma si pongono questioni filosofiche, parlano di Odino e Thor, ma anche di Gesù Cristo e di Budda. Fazioni e nazioni a contrasto, per le quali, come in Game of Thrones, di volta in volta parteggiamo.

L’unico personaggio assolutamente sgradevole, almeno per me, è Ivar the Boneless, interpretato benissimo dall’attore Alex Høgh Andersen. Invasato, megalomane perché frustrato, cattivo fino al midollo, finisce per perdere il senno credendosi un dio, prima viziato dalla madre altrettanto malvagia e poi adulato dalla moglie che lo manipola e tradisce. Ultimogenito di Ragnar, nato sotto una cattiva stella senza l’uso delle gambe, cresce forte, arrabbiato e vendicativo. “Vorrei non essere sempre così arrabbiato” afferma.

Il padre gli spiega che è speciale proprio per il suo handicap ma lui avrebbe preferito essere normale e amato come i suoi fratelli, i quali un po’ lo sostengono e un po’ lo disprezzano. Tutti indistintamente lo temono, per la sua forza, per la tenacia con cui cammina sulle mani, per la malvagità che non lo abbandona un istante.

Non giocano a favore delle ultime stagioni una subentrata tendenza melodrammatica e la presenza di personaggi nuovi di poco interesse, dopo l’uscita di scena di altri di grande spessore come Rollo – in continua tensione odio e amore nei confronti del fratello Ragnar – o Judith– madre capace di uccidere uno dei figli a favore della regalità dell’altro. Uno di questi caratteri insipidi è o storico vescovo Heamund, che non è ben sviluppato nelle sue potenzialità di personaggio. Grande guerriero e principe della chiesa, non si capisce perché dal giorno alla notte s’invaghisca di Lagertha, salvo poi respingerla preso da un’improvvisa paura della dannazione. Si salva solo Gunnhild, sorta di regina valchiria di grande impatto anche fisico sullo schermo.

Certe crudezze vichinghe nelle ultime fasi della narrazione vengono sostituite da un tono epico quasi arturiano, non sgradevole, specialmente nelle bellissime scene del funerale di Lagertha, che ricorda le esequie di Artù nel film Excalibur, o della morte di Bjorn Ironside che riporta alla mente il Cid Campeador.

Alcuni nodi della narrazione non vengono spiegati e vanno accettati per quello che sono, vedi la presenza dell’indovino cieco anche dopo la sua morte, la somiglianza estrema fra Freydis, moglie uccisa di Ivar, con la russa Katia, la vera paternità di Bjorn, la vera identità di Othere, la misteriosa natura di Harbard e via discorrendo.

Tutto sommato, nonostante i difetti, se si pensa che quasi tutto quello che viene narrato e quasi tutti i personaggi sono storici o semi storici, una saga bella e potente.

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Departures

6 Marzo 2023 , Scritto da Altea Con tag #altea, #cinema, #recensioni

 

 

 

 

Departures

Giappone, 2008

 

Il destino spesso fa giri enormi, con tragitti improbabili e parecchi scossoni. E quello di Daigo, violoncellista disoccupato da un giorno all'altro, è uno di questi. Sentendosi perduto e fallito decide di tornare al paesello natale con la moglie e ricominciare. Peccato che l'unica opportunità che gli si presenta sia quella di "tanatoesteta", ovvero colui che cura e trucca i corpi dei defunti prima dell'ultima partenza, come dice il titolo. Nonostante tutte le famiglie in lutto lo chiamino per i suoi servigi, lo stigma presso i conoscenti e i parenti del morto è enorme, tanto che entrerà in crisi anche il suo matrimonio. Ma Daigo svolge il suo lavoro con una amorevolezza e una grazia impermeabile a qualunque giudizio, perché, nonostante la ritrosia iniziale, ha scoperto lo scopo della sua vita: accompagnare le spoglie mortali con dolcezza alla cremazione. Nei suoi servizi funebri incontra il dolore dei parenti rimasti ma anche la rabbia, la gratitudine, la leggerezza, l'amore che va oltre la morte. E la sua vicenda personale sarà un percorso di autoanalisi e consapevolezza (non a caso lo sceneggiatore ha scelto un artista per questa storia, sono le persone più a contatto col proprio sé) che lo condurrà, ma solo quando sarà pronto, a risolvere il più grande conflitto della sua vita, che si trascina come un pesante fardello da bambino: l'abbandono da parte del padre. Smarrito nel mondo per questo rapporto di rabbia inespressa verso il genitore, scopre, sotto diverse declinazioni, che la morte è solo un cancello, e che ogni genitore non lascia mai indietro nessun figlio. Come gli dice il suo datore di lavoro "Tutti alla fine vogliamo tornare da dove veniamo". E non credo si riferisse alla località geografica. Ci torneremo, e a fare la differenza sarà il sassolino che terremo nel pugno al momento dell'ultimo respiro.

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Jøn Mirko, "Savant"

5 Marzo 2023 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

 

Savant

Jøn Mirko

Lupieditore, 2018

 

 

È un giallo ma senza la logica deduttiva, ci sono poliziotti ma non è un procedurale, alcune scene sono talmente splatter da fare trattenere il fiato ma non è un libro dell'orrore, si parla di angeli, Cabala e Tarot ma non è un libro sul soprannaturale, è ambientato negli USA e il nome dell'autore pare nordeuropeo ma nasconde due italianissimi autori. Quello che resta è Savant, un romanzo ibrido, americaneggiante ma non spaccone, una giostra di morti, torture, mostri con un atipico assassino seriale che oltre alla scia di cadaveri ne lascia una di indizi e un poliziotto abile ma condannato a morte dalle prime pagine che intuisce che dietro quella sequela di morti degne di un film slasher vi è un'unica mano. Occorre una buona dose di sospensione dell'incredulità (anche se tutte le teorie enumerate nel romanzo hanno solide basi scientifiche), un divano e possibilmente un pomeriggio piovoso perché sono più di 500 pagine e la storia è di quelle che ti fa attaccare le dita alle pagine per girarle in maniera febbrile. Un poliziotto di NY apprende di avere una malattia che lo ucciderà in pochi mesi. Si lancia nella sua ultima indagine, un cavallo fatto a pezzi, rimontato e lasciato marcire in una suite d'albergo. Unico indizio: l'assassino ha una mutilazione fisica particolare. Un'intuizione lo porterà nel cuore del Texas dove anni prima un'epidemia ha fatto impazzire uomini e animali provocando una strage che è rimasta sotto silenzio. Da lì, passo dopo passo, giungeranno a scoprire la mente perversa che ha creato tutto ciò. Molto pirotecnico, situazioni al limite del credibile, la suspense è creata con sapienza, finale apertissimo e ammiccante. Forse si poteva togliere un centinaio di pagine ma è veramente un romanzo godibilissimo, senza pretese ma che riesce nel suo scopo principale: divertire.

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Alessandro Angelelli, "Metallo pesante"

3 Marzo 2023 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Notte inoltrata, silenzio profondo, rotto di colpo, dal passare di un treno, metallo pesante su fragile legno”. La composizione tra la parola e l'immagine, metafora della vita e del senso dell'interezza, racchiusa in queste righe, appartiene all'autore Alessandro Angelelli nel libro Metallo pesante (L'Erudita, 2022 pp. 67 € 16.00). I testi contengono la densità dell'osservazione poetica sul mondo e sulla natura degli uomini, diffondono la consistenza dell'ispirazione, offrono una consapevolezza accogliente, piena di sensibilità e di intensa affettività. Il poeta risiede nella dimora dell'anima, percepisce l'intima relazione tra il proprio peregrinare alla ricerca di una dimensione familiare dove custodire ricordi ed emozioni e l'identità interpretativa delle sensazioni. Alessandro Angelelli indica la regione interiore dalla quale partire per percorrere l'essenza dell'itinerario esistenziale e ampliare l'orizzonte dell'appartenenza. Descrive attraverso l'inquietudine romantica del percorso di vita, lo smarrimento e la frantumazione dell'esperienza, espone la volontà di comunicazione, insegue il desiderio di riacquistare il sentimento perduto. La strada per condividere il viaggio introspettivo rimanda al valore originario dell'essere, incrocia lo svolgimento della memoria e collega l'elaborazione del vissuto con il senso di ogni destinazione. Metallo pesante svela una collezione privata di inafferrabili momenti e di sfuggenti impressioni, mostra il vincolo confidenziale tra la malinconia del passato e l'incertezza del presente, avverte il carattere instabile di ogni incognita del futuro, l'inesorabile vulnerabilità del dolore, ma anche la stabilità fiduciosa della speranza. La poesia di Alessandro Angelelli è simbolo di un archetipo del cammino umano, un attraversamento evolutivo tracciato nella necessità di realizzare una direzione per la felicità e rinnovare il proprio itinerario, inoltrandosi nella promessa di raggiungere nuovi approdi di comprensione per sentirsi a proprio agio con se stessi. Rivisita la località ispiratrice del pensiero, analizza il territorio suggestivo della realtà, da corpo all'equilibrio degli impulsi per orientare l'autenticità del discorso. Alessandro Angelelli conosce il modo di rilevare e abbracciare la consistenza sensitiva del proprio territorio di arrivo, oltrepassa il passaggio lucido del dolore e della finitezza dell'assenza, trasmette la propria fermezza creativa con il presentimento immaginario di ogni atmosfera onirica. “Metallo pesante” rinforza l'intento profondo di riconquistare la componente del benessere, illustra l'incantevole cronaca del tempo nel riassunto seducente del quotidiano, congiunto alla contingenza della fugacità, alla tenerezza della memoria e alla commozione dei significati. Indaga sull'accordo dell'intuizione elegiaca e sostiene l'eterna e inevitabile discordanza tra la crudele fragilità e la grazia della serenità. Il libro è il compimento letterario di una coinvolgente resistenza, la fusione naturale immersa nella nostalgia dell'altrove, sperimenta l'incertezza dei legami, assapora l'indugio dell'attimo vissuto, mantiene il radicamento dell'intima necessità di espressione, l'intenzione di ogni luogo in cui sentirsi a casa e ritrovare la beatitudine dello spirito.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

Heimat

 

Heimat è dov'è un ricordo lontano.

Qualcosa di nascosto che avevi scordato sopraffatto da

         mille profumi e pensieri dell'oggi.

Heimat è un ginocchio sbucciato, dopo una corsa

         per gioco.

Lo sguardo di lei mentre le sfiori la mano.

Quella rete, all'ultimo istante,

giocando per strada con gli altri bambini.

Heimat è una notte d'estate

e quelle campane che suonano i quarti.

Ogni essere umano ha un ricordo di Heimat.

          Cercalo a fondo in quel mare di nebbia.

Ricorda quel profumo che avevi oscurato.

          Il profumo della tua unica casa,

il tuo porto d'arrivo dove devi tornare.

 

Casa di bambole

 

Viviamo in una casa di bambole.

Delicati come porcellana, osserviamo il mondo, con occhi

di ghiaccio e un eterno sorriso.

La casa di bambole è sfarzosa e felice, ci protegge,

incurante di noi e dei nostri pensieri.

È bello vivere nella casa di bambole, immutabili al tempo,

           bambini per sempre.

Seduti sul nostro grazioso dondolo quel lungo sorriso

          comincia a mutare.

 

 

Istanti

 

Istanti, momenti di felicità, riempiono ogni angolo di te.

          Compensano la noia del resto,

confortano le ere di dolore che seguono.

Li aspetti come un bimbo a Natale, sai che arriveranno.

         Devono.

Istanti, ricordi, lampi di vita, caricano la tua anima e la

           stringono.

Non la lasciano andare, la proteggono, sai che senza di

         essi, tu non saresti.

Quanto manca

al prossimo istante?

 

 

Spiragli

 

Spiragli di luce da una porta socchiusa, memorie future

          costruite al momento

Qualcosa si muove dietro un fragile muro, mi guardo

          intorno e mi sento perduto

Fuggire, scappare, lo spiraglio si allarga; la porta cigola e

          la luce mi invade

Il tuo sguardo attraversa le mie molte paure e cancelli ogni

          falsa parvenza di uomo costruita nel tempo

 

 

Nota sbagliata

 

Sono una nota sbagliata,

musica infame e corrotta dal tempo.

Disarmonico e solo

come un mondo perduto.

E ti vedo osservarmi, senza farti notare, diffidente e

         bellissima quale luna offuscata.

Poi ti vedo ascoltar le mie inferme canzoni e ti ascolto

          parlar del tuo mondo distante.

Irreale e sbagliato è starti vicino, irreale e assurdo

          sfiorarti la mano.

Poi mi lascio avvolgere dalla tenue armonia, perché il mio

          paradiso è nelle rare parole,

è vedere sparire, alla fine, quella coltre di nebbia.

 

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Sergio Camellini, "Opera omnia"

26 Febbraio 2023 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

Sergio Camellini

 

OPERA OMNIA

II edizione

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

        

 

Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa a cura dell’Editore e una prefazione di Michele Miano centrata, esauriente, acuta e ricca di acribia.

Come scrive il prefatore non è facile affrontare il discorso poetico e umano di Sergio Camellini, autore prolifico che ha scoperto la vocazione letteraria in età matura. La sua ricerca poetica originale e personalissima si radica in un fondamento antico ma sempre nuovo: il rapporto profondo che lega il proprio io nella più intima coscienza percettiva e individuale alla coscienza di un universo tutto inteso come il topos assoluto e naturale della poesia.

Figura di poeta e operatore culturale attivissima sullo scenario italiano attuale Sergio Camellini ha sostanzialmente un approccio gioioso alla vita ed esprime in gran parte della sua produzione un discorso che si rifà ad una sicura espressione forma di pedagogia della gioia.

La raccolta composita e articolata architettonicamente è scandita nelle seguenti sezioni: Lasciami di te un’emozione, I colori della fantasia, Ascolto i silenzi, Viandante dei sogni, S’accende una luce, Il canto delle Muse, Madre natura è vita, Tra le righe del pensiero, Ponte dei sogni, So di essere, Un sogno con le ali, Bagliori, Il pianeta delle nuvole rosa, Nel corpo un soffio dell’anima.

Una vena riflessiva e vagamente intellettualistica sottende le poesie di Camellini che non possono considerarsi neo liriche tout court anche se non mancano spesso accensioni liriche alle quali seguono subitanei spegnimenti nel percorrere i salvifici sentieri della linearità dell’incanto.

Il poeta con intelligenza punta la sua cinepresa interiore sulla realtà che lo circonda, che può essere anche una natura idilliaca da lui tanto amata.

La materia amorosa ed erotica è spesso espressione del poeta e c’è un tu femminile al quale egli si rivolge del quale ogni riferimento resta taciuto e l’amore detto con urgenza può essere anche quello per la poesia stessa, amore ricambiato che diviene il punto di partenza per giungere alla gioia e, visto il carattere allegro del poeta, quella da lui detta può essere una dimensione amorosa che, nell’aprirsi la coppia alla socialità, riesce a superare il limite della solitudine a due.

La vena intellettualistica riflessiva si realizza per esempio nella considerazione che l’autostima genera serenità.

Anche il sogno, che può essere rêverie, anima qualche composizione della raccolta come Vorrei scrivere un sogno: «Vorrei scrivere un sogno / con penna d’amore / che ci portasse là, / perché v’è libertà / anche s’adombra il vero; / è la fantastica / spontaneità / dello spirito onirico…».

Una caratteristica di questi versi è la forte chiarezza nei dettati sempre nitidi e luminosi leggeri e icastici che permette al poeta di raggiungere esiti alti con componimenti che decollano sulla pagina per poi planare dolcemente nelle chiuse.

A conferma di quanto suddetto in Versi calorosi leggiamo: «Con la penna / imbibita d’amore / tra le righe / dei pensieri / dov’eri? / Ogni parola / scritta / qualora resti sola / indispettita / scappa via, / se non trovi / allo schioccar / del fuoco / i versi calorosi / d’una poesia».

Forma e stile sono eleganti nella loro raffinatezza, nella realizzazione di un senso ottimistico della vita che giunge alla conclusione che la felicità è possibile.

Raffaele Piazza    

           

 

Sergio Camellini, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 188, isbn 978-88-31497-97-8, mianoposta@gmail.com.

 

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Floriano Romboli, " Il fascino e la forza della letteratura" vol 2.

19 Febbraio 2023 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #floriano romboli, #recensioni, #saggi

 

 

 

 

Floriano Romboli

 

IL FASCINO E LA FORZA DELLA LETTERATURA

VOL.2

Saggi su Fogazzaro - Dante – De Sanctis - Malaparte

D’Annunzio - De Roberto - Sanminiatelli

 

 

Dal titolo del saggio che prendiamo in considerazione in questa sede emerge la forte convinzione dell’autore che la letteratura è un mezzo potente per elevare la mente umana e che la lettura di romanzi, poesie e saggi è un’arma formidabile per l’anima e la psiche del lettore come espressione del pensiero divergente ,che diviene esercizio di conoscenza prezioso e necessario producendo una preziosa sintesi di conscio e inconscio e anche di corpo e mente.

Non c’è bisogno di essere psicologi, psicoanalisti o psichiatri per rendersi conto che immergersi in ottimi libri riequilibri il mondo interiore dell’essere umano che da caos diviene cosmo, come l’entrare in un’oasi nel deserto soprattutto nel tempo della pandemia e della guerra, e che la letteratura e l’arte in generale siano un valore fondante nel mare magnum di una società superficiale dove prevalgono i valori dell’avere su quelli dell’essere che portano ad una dimensione alienata e liquida dell’esistenza.

Ed era politically correct uno slogan televisivo di qualche anno fa che mostrava la vignetta che raffigurava un uomo che leggendo un libro diviene più alto fisicamente ma soprattutto interiormente, e il discorso complessivo si sintetizza con quello di una pedagogia della gioia e di un elogio dell’immaturità nel ritornare virtualmente il lettore stesso adulto bambino o adolescente.

Quanto suddetto si collega alle considerazioni sul libro classico, quello cartaceo, che è sopravvissuto ai fenomeni computer e internet, fenomeni che d’altro canto hanno fatto aumentare il potenziale della letteratura stessa nell’avvicinare alla tradizione nuove modalità di fruizione del piacere dei testi con il sorgere di siti e blog letterari e con il proliferare dei PDF e degli e-book, e quindi la letteratura stessa è diventata ancora più presente nella nostra complessa e contraddittoria ma anche affascinante contemporaneità.

Originale e intrigante la scelta degli autori da analizzare con accostamenti inediti e originali e certamente non casuale per la stessa coscienza letteraria di Romboli, acuta e profonda per il fatto di spaziare dalla cattedrale Dante Alighieri poeta medievale fino a Sanminiatelli poeta e critico dei nostri giorni.

Questo procedimento fornisce al volume in toto un carattere seducente e movimentato e per un’analisi metodica dell’opera servirebbe non una recensione ma uno scritto delle dimensioni di un saggio vista la complessità e la profondità del discorso esauriente e ricchissimo di acribia portato avanti da Floriano.

E c’è da mettere in rilievo come affermava Focault che la letteratura stessa è figlia del tempo in cui viene prodotta, della società nella quale si trova ad essere contestualizzata e quindi lo stesso Dante è figlio del Medio Evo come Sanminiatelli è figlio del postmoderno occidentale e come, per esempio, D’Annunzio è espressione della mentalità del Novecento.     

Come scrive Enzo Concardi nella premessa non c’è tema, argomento, problema, dimensione, aspetto dell’umano vivere che la letteratura non abbia trattato in ogni epoca, cultura, civiltà, territorio del nostro pianeta, ovviamente dopo l’avvento della scrittura, che ha gradualmente sostituito la trasmissione orale del sapere, delle conoscenze, delle creazioni spirituali dell’uomo. 

Scrive Romboli in L’opera di Dante nelle riflessioni storico culturali ed etico-religiose di alcuni Papi contemporanei che Benedetto Croce, alla fine de La poesia di Dante, la giustamente celebre monografia del 1921, dopo aver a lungo discorso del rapporto fra tradizione filosofico-culturale, problematiche teologiche e dottrinali, e valori artistico-letterari nella Commedia, concludeva sottolineando il significato universale del poema dantesco poiché in esso prontamente si riconosce «quella voce che ha il medesimo timbro fondamentale in tutti i grandi poeti ed artisti, sempre nuova, sempre antica, accolta da noi con sempre rinnovata trepidazione e gioia: la Poesia senza aggettivo. A coloro che parlano con quel divino o piuttosto umano accento si dava un tempo il nome di Genî; e Dante fu un Genio».

Un saggio da divorare utile sia per il lettore comune che per i critici letterari.

          Raffaele Piazza

 

Floriano Romboli, Il fascino e la forza della letteratura, vol.2, pref. di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 148, isbn 978-88-31497-93-0, mianoposta@gmail.com.

 

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Enza Sanna, "Nei giorni"

17 Febbraio 2023 , Scritto da Fabio Dainotti Con tag #fabio dainotti, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Si può affermare senza tema di smentite che la poesia di Enza Sanna si inscrive nel novero di quei poeti di pensiero che hanno abitato da sempre la repubblica delle lettere. Anche per questo l’autrice appare dedita a una incessante ricerca di senso. Il suo libro Nei giorni (pref. di Maria Rizzi, G. Miano editore, Milano, 2022), è infatti una vera e propria miniera di osservazioni e considerazioni; sull’accelerazione tecnologica (Quando la sera), su “un mondo passato troppo in fretta / dalla campagna all’industrializzazione”; sull’impoverimento dei “rapporti umani”;  sulla differenza che passa tra la musica, che è alleanza con le parole, e la poesia, che “vive nella propria autonomia”; sull’alterità e il totalmente altro; sul consumismo e la sottocultura (Adolescenza dell’anima); sulla caducità e il concetto sotteso dell' uomo come ‘essere-per-la-morte’; sul tramonto della civiltà contadina e le illusioni sul progresso. Ci si sofferma altresì sulla differenza tra mito e storia (Un arcobaleno con i piedi nel mare). Insomma, una poesia pensante.

Il pensiero di Sanna, che è stata docente di Lettere, è peraltro nutrito di ampie e meditate letture, che si innestano su una cultura solida. Si fa riferimento a un “innamoramento verghiano”, a un libro di viaggi di Carlo Levi, alle “tragedie greche”, a Pavese, a Moravia, solo per fare qualche nome.

La sua poiesi è quindi intessuta di citazioni: possiamo parlare di gusto citazionale; tutto il canone della letteratura occidentale viene convocato dalla scrivente. Tessere linguistiche e citazioni o allusioni rimandano a Dante, Ariosto, Leopardi, Carducci, Montale, D’Annunzio, Cardarelli, Baudelaire, Conrad e altri.

Scrive giustamente nella prefazione Maria Rizzi: «Vola sul piano metafisico… dietro l’apparente nichilismo».  Numerose sono infatti le metafore di sapore biblico o liturgico, sin dalla prima composizione. L’ultima parola che chiude la silloge, tra l’altro, è significativamente “Eterno”. La prefatrice sottolinea anche l’importanza dell’amore e la presenza del mare, percepito come una sorta di assoluto, di “metafora potente”.  I paesaggi marini della nativa Liguria e in genere di una natura mediterranea, di cui si avverte il fondo sensuale, vengono presentati a volte con una precisa referenzialità descrittiva, a volte trasfigurati; sono paesaggi inondati di luce; “luce” è un mot/clé, date le numerose occorrenze del termine e dei termini rientranti nel medesimo campo semantico.

L’io allinea inoltre riflessioni, sulla scorta delle vertiginose meditazioni di Sant’Agostino, sullo spazio tempo (Sentimento del tempo). Col tempo scompaiono le persone care, ma l’assenza può essere, come canta un grande maestro del 900, una “più acuta presenza” (La perdita e l’assenza). “Ha ali il tempo, volano gli anni”, si duole Enza, ripetendo il “ruit hora” di sempre. Inevitabile quindi il corredo di nostalgie per i luoghi (L’uomo del faro); per le persone care, che dimorano ormai “oltre la soglia” (si veda Natale in famiglia, dove si ricrea la magia di un caldo cerchio di affetti familiari); né va sottaciuto il rimpianto per l’infanzia fiabesca.

La poetessa non disdegna di affondare i suoi gangli conoscitivi negli “stati dell’inconscio”. Incontriamo da subito un titolo esemplificativo di tale tendenza: Necessaria regressione.

Una caratteristica fondamentale è senza meno l’attenzione ai problemi di tipo glottologico- linguistico. Si parla di “illocuzione”, in un testo che si sofferma sulla “parola”.  Si lamenta “l’impoverimento” del linguaggio in una società “omologata” (Le nuove solitudini).

In questo ambito si inseriscono le notazioni di poetica, consegnate eminentemente alle liriche Dello scrivere: “la letteratura è una menzogna… che dice il vero”, e Della poesia (“il come”, l’importanza dell’immaginazione).  Ma ci sono poi osservazioni sparse di poetica che attraversano il macrotesto. Allora leggiamo che la parola come sostituto dell’oggetto è inadeguata, ma sa “trasformare in fiaba il reale”, quindi ha un potere trasfigurante (si veda il prisma colorato attraverso cui passa la descrizione iniziale in Equinozio d’autunno). La poesia, la cui inutilità è “sublime” (Non ancora, forse), per Enza Sanna è verticale e attiene alla sfera del sacro; diventa patrimonio di tutti e non più del poeta; è considerata come una terapia; è frutto di ispirazione; predilige un linguaggio “allusivo” e gli intarsi versali; utilizza gli spazi bianchi; è pericolosa, a causa della sua “fascinazione”.

Non mancano i riferimenti agli eventi della cronaca. (Quando un ponte divide), con cenni alle problematiche legate a una stringente attualità, eventi passati in rassegna anche nell’ultimo, quindi importante, componimento, della raccolta.

Il lessico è ricercato e prezioso, anche in forza della presenza di termini appartenenti alla tradizione alta, di termini colti, aulici; di arcaismi, forestierismi, grecismi e latinismi e addirittura di nuovi coni o comunque di parole desuete.

Fabio Dainotti

 

 

Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.

 

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Marisa Cossu, "Sintomi poetici"

16 Febbraio 2023 , Scritto da Maria Elena Mignosi Picone Con tag #maria elena mignosi picone, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

Marisa Cossu

SINTOMI POETICI

 

Il poeta vede il bello dove altri vedono il banale, scorge vita dove altri morte. Così la poetessa Marisa Cossu, già sin dalle pagine iniziali di questa silloge dal titolo Sintomi poetici (Guido Miano Editore, 2022), cioè nella prima parte Sentire il tempo, osservando e riflettendo su quel che le si offre davanti agli occhi, come le Trasparenti pareti delle case della sua strada, le sente palpitanti di vita («irradiano la vita»), laddove altri vedrebbero solo insignificanti pietre, mentre invece la intristisce la pietra che è il cuore indurito dell’uomo. Così come vede nel nido scavato nella battigia in riva al mare, non chiusura o isolamento, ma punto di partenza per spiccare il volo verso la libertà: «…Eppur l’abisso non ha in sé la morte /…/ Il nero alcione nella riva nato, / la libertà richiama nel cammino / dell’azzardo del vivere….» (Il nido).

Marisa Cossu riflette sul significato del tempo («il tempo non esiste», Senza tempo) che viene superato dall’eternità «dove sia sempre giorno» (Alice) come se noi, già qui in terra, fossimo inseriti in un tempo senza limite, nella infinità. In effetti qui, nella esistenza terrena, assaporiamo l’eternità, sentiamo l’infinito quando ci eleviamo nello spirito. «Io, piccola particola d’eterno» (“E quando miro in ciel arder le stelle”); «Io, minima particola d’eterno» (Ecco il mio cielo); «Ecco il mio cielo pieno di mistero: / mi incanto se rimiro ad occhi chiusi/ quell’infinito che si muove intero» (ivi).

Ma nelle sue riflessioni serpeggia l’idea che l’essere umano passa nella sua esistenza attraverso due fasi: prima si sente come incatenato, si sente in prigione, poi avviene un risveglio, l’irruzione della libertà che lo conduce verso alte mete. Simbolo di ciò è l’acqua sorgiva: «Quel getto che zampilla dalla roccia / l’acqua sorgiva … / rassomiglia alla stanza della vita: / sotto la terra dura perde il sole, // ma continua la corsa dove vuole…» (Acqua).

Forse sono questi i sintomi poetici: l’anelito allo svelamento, da quanto è sotterraneo alla pienezza della libertà che fa realizzare la propria essenza.

Non per nulla, nella copertina del libro vediamo una fanciulla sugli scogli in riva al mare, in atto di contemplazione, e il mare è segno di infinito, di libertà, di grandezza.

 

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Nella seconda parte del libro, intitolata Stanze segrete, ritorna il tema del risveglio, e questa volta è il cigno che si eleva dal fango e spicca il volo. Nel cigno si cela l’autrice stessa che in questo librarsi in alto percepisce «Bellezza», che è l’espiazione, da lei voluta, e perciò volontaria e consapevole, di un destino avverso, in cerca di luce. E la luce arrivò. E fu amore. Da Le ceneri dell’io affiora allora l’identità. È lo svelamento della propria essenza. «…non saprò cosa gemmi dal torpore / di un oscuro destino / parte migliore, forse, di me stessa; / lo accettai per soffrire, / espiando la vita a me concessa / in cerca di una luce…» (Attesa).

Questa seconda parte, rispetto alla prima, scava maggiormente nella interiorità. Temi frequenti sono il fine dell’uomo, il suo destino, poi l’ignoto, il mistero, l’oltre, e in tutto questo c’è l’uomo che oscilla sempre tra il fango e il sublime. Ancora il richiamo della Bellezza con la Poesia, l’Arte. E tutti questi temi si intrecciano e sfociano dalla impetuosa ansia di conoscenza della poetessa. Ella riconosce l’Arte come dono: «L’Arte… / permeò di pura meraviglia / il mondo dell’umana conoscenza / svelando all’intelletto la bellezza. /… / Ma l’Arte venne e illuminò la scienza. / Si strinse dentro fossile conchiglia / che d’infinito a volte soffia il suono». È l’Arte infatti che ci introduce nel mondo dell’infinito.

 

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 Ma cos’è la Bellezza se non lo splendore dell’Amore? Eccoci allora giunti alla terza parte che ha un titolo delizioso e molto significativo, Amo divinamente. Eh già. Si può parlare veramente di amore quando esso ricalca le orme dell’amore divino.

E quale amore è più simile a quello divino se non l’amore materno? Ecco allora, in questa terza parte, più di una poesia dedicata alla madre. «Mi passa accanto il tuo profumo, madre, /… lo sguardo tuo / che più lontano mira…» (A mia madre). Anche l’amore paterno, e, ricordando il genitore: «… In me di conoscenza, / di speranza e d’amore / seminò un campo vasto che aro ancora…» (Innesti). Anche l’amore di una moglie che presagisce la morte del marito che va in guerra. Ecco un richiamo allo struggente episodio del saluto di Andromaca al marito Ettore, come narrato nel poema omerico. «… Ahi! dolce sposa, presaga del lutto, / Cogli l’amore nell’abbraccio estremo, / Ama questo momento d’infinito» (Andromaca). E non poteva mancare Colui che è l’espressione più compiuta dell’amore divino, cioè dell’amore di Dio Padre, che è Gesù: «… quel dio-dentro che con voce lieta / nella vicenda umana si palesa…» (Questo Natale). Ma una constatazione amara: «… Quel figlio non lo vuole questa terra, / tutti rinchiusi nell’indifferenza / dove non c’è la pace né il perdono…» (ivi). Ma non viene meno la speranza che è «… quella parte d’infinito / che ne richiama l’ali pur se il nulla / volteggia insieme al desiderio estremo; /…/ Non so se nel ritorno / sia la resurrezione…» (Speranza).

Il pensiero dell’infinito, del mistero che si riveste di luce è associato, nella mente e nel cuore della poetessa, ad un colore che ben si accosta alla luce, e cioè l’argento. «Amore che d’argento ti rivesti…» (Argento). Argento che è dunque, luce, che è bellezza, la quale è dunque lo splendore dell’amore. E lo splendore dell’amore si palesa in qualcosa che è gesto gentile e delicato, il sorriso. «…Il riso nato dall’interno cuore / all’uomo venne in dono, unica e sola / forma creata dall’eterno Amore, / scintilla già pensata... / il riso è segno del soffio divino / e il Poeta ne scrive nel suo Canto…» (Il sorriso).

Maria Elena Mignosi Picone

 

 

 

Marisa Cossu, Sintomi poetici, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 92, isbn 978-88-31497-84-8, mianoposta@gmail.com.

 

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Sergio Camellini, "Opera Omnia"

11 Febbraio 2023 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Sergio Camellini

 

OPERA OMNIA

II edizione

 

 

Il poeta modenese – nativo di Sassuolo – Sergio Camellini ha dato alle stampe la sua Opera Omnia (II edizione), che contempla una vasta selezione di raccolte poetiche e di liriche scritte e pubblicate fra il 2013 e il 2021. Il volume entra a far parte della collana di testi letterari Il pendolo d’Oro, della Casa Editrice Guido Miano di Milano, la quale è composta da monografie dedicate ad autori scelti. I titoli che appaiono nel libro, nel loro complesso, iniziano già a tracciare un orientamento, seppur abbozzato, circa la poetica dell’autore: Nel corpo un soffio dell’anima (2013); Il pianeta delle nuvole rosa (2014); Bagliori (2015); Un sogno con le ali (2016); So di essere (2016); Ponte dei sogni (2017); Tra le righe del pensiero (2018); Madre natura è vita (2019); Il canto delle Muse (2019); S’accende una luce (2020); Viandante dei sogni (2020); Ascolto i silenzi (2021); I colori della fantasia (2021); Lasciami di te un’emozione (2021). La personalità di Camellini è estroversa e comunicativa – esercita la professione di psicologo clinico – per cui anche in campo culturale e letterario ama presenziare agli eventi che lo vedono premiato come poeta, dove può incontrare personaggi dell’arte e dello spettacolo, come testimoniato dalle immagini fotografiche all’interno dell’Opera Omnia: tra questi citiamo i più famosi, come Vittorio Feltri (giornalista); Francesco Alberoni (sociologo); Marco Columbro (attore); Vittorio Sgarbi (critico d’arte); Dacia Maraini (scrittrice); Pippo Franco (comico); Pupi Avati (regista); Iva Zanicchi (cantante); Romina Power (attrice).

 Le tematiche che maggiormente s’incrociano nei suoi testi in modo trasversale, ovvero a rimbalzo da una silloge all’altra, sono attinenti alle emozioni e ai sentimenti con prevalenza dell’amore quale cardine della vita; alle dimensioni oniriche e pindariche, sostenute dalla fantasia e dalla creatività; alle problematiche dell’essere, dove emerge la ricerca interiore e si svela una poesia del positivo, anti-crisi e anti-depressiva, costituita da tante pillole di saggezza per “come vivere”; al rapporto con la natura ed il creato; a taluni contenuti della memoria, dagli affetti familiari ai ricordi dell’infanzia, dallo scorrere del tempo a squarci storici.

Il biglietto da visita della visione camelliniana mi pare essere questo, ovvero la poesia So di essere: «Non perdo di vista / me stesso, / né m’avvilisco / nonostante le avversità. // So chi sono, / so di essere, / so d’occupare / un posto quaggiù. // Voglio percorrere, / anche in salita, / quest’irto e affascinante / progetto di vita. // Certo che sì, è tutto mio, / allorché sempre / strettamente comunicante / con l’altrui realtà». Quattro quartine per affermare una precisa identità, un chiaro compito in questa vita, una salda volontà nel superare ogni ostacolo, una limpida coscienza del senso dell’altro: un progetto contro-corrente rispetto alle tendenze societarie e individuali odierne piegate verso lo smarrimento e la dispersione. Un progetto paradigmatico che tutti dovrebbero coniugare per vivere felici.

 Il poeta dunque denuncia sì l’attuale regressione antropologica (si legga la lirica Uomo dove sei?: «Eri presente … / cultura, / idee creative, / modi di essere / di pensare / di amare / … // Ora latiti: // … Uomo dove sei?»), ma per combatterla e superarla in ogni modo: volgendo il pensiero all’Immenso, ritrovando la sete d’Infinito, credendo nella Trascendenza, vivendo per la vittoria dell’Amore, visitando lo spessore dei silenzi-oasi dell’anima, leggendo il libro interiore alla scoperta dell’unicità di se stessi, coltivando la luce dentro di noi, lasciandosi catturare dalla poesia dell’essere, imparando dalle persone speciali, abbattendo muri e costruendo ponti… ed anche scegliendo l’ironia per superare l’incomunicabilità nel bon ton della vita. Inoltre bisogna ritrovare la capacità di sognare e realizzare i nostri sogni con il volo della fantasia, con il viatico delle muse delle arti (si legga la silloge I colori della fantasia).

Il capitolo dell’amore è al contempo autobiografico e femminino: l’elogio del poeta va alla donna libera, alla fanciulla gioiosa, alla semplicità dei modi, al rinnovarsi del sentimento, al vero amore, al valore dei piccoli gesti, al romanticismo delle atmosfere, all’amore che è dono («… l’amore / non misura ciò / che dà, / l’amore / confini segnati / non ne ha», Per dire amore).

Ed ancora nel canto di Camellini la natura è un inno alla vita e alla gioia: dalle nuvole rosa, alla luna, all’alba; dai mutamenti stagionali, alle bellezze cosmiche. E nella memoria custodisce il bel viso della madre, l’esempio del padre, gli odori della sua terra, i canti d’amore delle mondine, la civiltà e la cultura dell’Italia.

Enzo Concardi

 

Sergio Camellini, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 188, isbn 978-88-31497-97-8, mianoposta@gmail.com.

 

 

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Angelo Barraco, "Fuga dall'est"

10 Febbraio 2023 , Scritto da Redazione Con tag #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Angelo Barraco
Fuga dall’Est
Quaderni di poesia

 

Questo libro è stato scritto nei primi mesi del 2022, quando è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina. In quei giorni di marzo le città italiane si preparavano per accogliere gli sfollati e, parallelamente, si svolgevano numerose manifestazioni - da Nord a Sud - per dire “No” alla guerra. Nel corso di quei giorni ho intervistato volontari e associazioni che si mobilitavano per raccogliere beni di prima necessità e portarli in Ucraina, ma anche cittadini ucraini residenti in Italia che avevano i parenti in quei territori […]

Angelo Barraco racconta: “Con questo libro ho voluto raccontare la guerra dal punto di vista delle vittime. Molti rimangono imprigionati dentro i bunker antiaereo in attesa di un momento giusto per uscire, altri ancora non potranno mai farlo perché moriranno. Qualcuno riuscirà a fuggire e sarà fortunato, altri ancora rimarranno imprigionati in quell’inferno e moriranno intrappolati, senza mai trovare il fatidico momento giusto. Per molti non ci sarà mai. Alcuni saranno uccisi dai cecchini, ad altri finirà la benzina in mezzo ad una strada troppo isolata. Ho deciso di raccontare tutto in versi, quasi come fossero dei piccoli diari di una guerra che si sviluppa di territorio in territorio e ho voluto trasformare ogni pagina in una narrazione emotiva unica e attuale”.


DONBASS

Il cielo è grigio sopra la testa
Di chi alza lo sguardo e cammina per strada
In attesa di fuggire via
 Prima che l’ultimo respiro venga rubato dal vento.

Angelo Barraco nasce a Marsala, in provincia di Trapani, nel 1989. È un giornalista pubblicista. Collabora con diverse testate nazionali, internazionali, cartacee e web. È autore del libro CAOS (Bertoni Editore), pubblicato nel 2021.

 

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