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"Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon", a cura di Enzo Concardi

21 Maggio 2024 , Scritto da Tito Cauchi Con tag #tito cauchi, #recensioni

 

 

 

 

Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon

 a cura di Enzo Concardi

 Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

 

Maurizio Zanon è veneziano nato nel 1954; conseguita la maturità scientifica, si laurea in Lettere Moderne insegnando nella scuola media e successivamente nella Formazione Professionale. Si è dedicato anche alla poesia pubblicando (salvo verifica) 64 libri, un CD audiolibro, quattro libri di narrativa; è stato oggetto di saggistica e incluso in vari repertori letterari. Dopo vent’anni di attività letteraria gli è stata dedicata, da Mario Stefani, la monografia Maurizio Zanon: il canto di una voce solitaria. Durante il suo percorso poetico ha frequentato vari poeti, artisti famosi e partecipato a eventi artistico-letterari da animatore e anche conseguendo premi e riconoscimenti di alto livello. Si sono interessati di lui, fra gli altri, Flavio Andreoli, e recentemente Enzo Concardi, il quale ha curato il volume di cui ci occupiamo: Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon (Guido Miano Editore, Milano 2024), che si conclude con una “antologia essenziale” di quasi 50 poesie brevi tratte da una ventina di sillogi.

Nel prosieguo mi limito a una esposizione di frammenti, e non di più, delle varie citazioni e di autori, perché penso che appesantirei la recensione, anche se sarebbe più completa. Purtroppo quando si recensisce o si interpreta un libro o una frase, c’è il rischio di modificarne il senso, perciò se un pensiero è ben esposto lo lascio nella sua formulazione originale. La presente recensione non ha molte pretese, è una pallida esposizione dell’opera.

Enzo Concardi, nell’introduzione al volume, avverte che esso contiene contributi di critica letteraria, nell’alveo degli aspetti filologici in relazione ad analisi comparative testuali, con lo scopo di stabilire un rapporto di comunicazione tra autore e lettore. L’informazione si regge tra una fonte emittente e un destinatario ricevente; perché l’informazione si comprenda occorre che entrambi siano in sintonia. Concardi rammenta che il critico fa opera di “mediazione”; direi che è come uno strumento misuratore di fenomeni fisici, tarato soggettivamente. Ecco quindi la ragione di questo volume di scritti vari su Zanon che possiamo definire di “critica multifunzionale”.

A costo di occupare spazio e tempo, ritenendolo utile, mi intrattengo su quanto segue. Concardi ricorda che ai fini di una comprensione e di una valutazione, non si prescinde dai fari luminosi della grande critica, come Benedetto Croce e Francesco De Sanctis. Già quest’ultimo poneva l’attenzione su due aspetti della critica e cioè contenuto e forma (cioè Poetica ed Estetica). La poetica si individua attraverso i motivi lirici più frequenti nell’autore; mentre l’estetica riguarda il modo di espressione. Questa “analisi ragionata” propone stralci critici in ordine cronologico.

E non si prescinde nemmeno dai dettami di illustri studiosi come «Luigi Russo (1892-1961), Mario Fubini (1900-1977), Carlo Dionisotti (1908-1998), Giuseppe De Robertis (1888-1963) e, più vicino a noi, Umberto Eco (1932-2016) con i suoi studi su semiotica e semiologia». Per completezza aggiungo anche «nomi altamente qualificati già nelle vesti di poeti e scrittori: Eugenio Montale, Italo Calvino, Cesare Pavese, Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni, Pier Paolo Pasolini». In ogni caso teniamo presente quanto sosteneva Attilio Momigliano (1883-1952), cioè che «non esiste una vera e propria metodologia critica, bensì l’intervento intuitivo del critico, che si mette nei panni del lettore». E a proposito del “divario tra poetica e poesia” (direi, vagamente: tra intenti e risultati), teniamo pure presente concetti richiamati da insigni critici, quali Francesco Flora (1891-1962) e Walter Binni (1913-1997).

Tornando a Mario Stefani e al suo studio su Maurizio Zanon, egli afferma che nella critica letteraria è necessario individuare «alcune chiavi di lettura metodologiche». L’analisi critica si basa su aspetti formali e aspetti sostanziali (un lungo elenco di voci: lingua, stile, filologia, semiologia, ermeneutica, simbolismo, psicoanalisi, sociologia, contesto storico, ecc.). Bisogna tenere conto della sensibilità del recensore e della sua capacità di immedesimazione; e in generale il rapporto Io-Noi è sempre presente nei poeti; è il solito conflitto fra idealità e realtà, o con altre parole tra sogno e realtà, fra spirituale e materiale. Ciò detto ricordiamoci che tutti i libri, come qualsiasi manifestazione di espressione, hanno qualcosa da dire. Ebbene, se mi intrattengo, è perché ritengo che questo volume torni particolarmente utile ad aspiranti scrittori, recensori, e a lettori.

   

***

   

Quanto alle comparazioni etiche, si vuole spiegare che il nostro poeta non guarda con disprezzo, ma ha atteggiamento di pietas; e che diventa la coscienza del mondo e il suo dolore personale diventa cosmico. Il suo animo è attraversato da tutta una gamma di sentimenti; usando un termine di laboratorio di analisi, direi che la sua espressione diventa cartina al tornasole degli umori universali. Difatti Mario Stefani afferma che le miserie umane, di cui Zanon si fa carico, ci ricordano «Verlain, e certo crepuscolarismo italiano»; e per le sue meditazioni è come «Petrarca che andava camminando per ‘i segreti calli’, dove nessun’orma umana fosse giunta, come poi aspirava Cesare Pavese nel suo continuo amare la natura vergine». Guido Miano richiamava l’attenzione sui motivi della memoria e di ciò che vi è connesso, il che comporta un certo distacco e un velo di nostalgia che ci ricordano il Leopardi delle reminiscenze. E troviamo altre concordanze, come in Mario Santoro che scrive «C’è davvero di tutto nel volume: partecipazione verso l’altro, tensione emotiva sempre calibrata, intensità dei rapporti, senso pieno della gratitudine, (…) umiltà e piena consapevolezza» (p.21). Gli fanno eco Giampietro Cudin, che rileva «una spasmodica ricerca stilistica» (p.23); e Nazario Pardini che osserva come nella maturità nel poeta si siano assestati pensieri e sentimenti, nutrendosi di essi.

 

Quanto alle comparazioni esistenzialistiche, penso che in senso lato esistenzialisti lo siamo tutti, specialmente gli artisti, con la puntualizzazione che ciascuno giunge ad una propria risposta (agnostica, religiosa, ecc.). In breve Guido Miano riconosce in Maurizio Zanon «umanità e spiritualità indiscusse», paragonandolo a Pablo Antonio Cuadra e concludendo che nel Nostro è prevalsa la fede. Così Dino Manzelli ne individua «l’inquietudine» paragonandolo a Soren Kierkegaard, e ancora a Dostoevskij (de L’idiota). Mentre Roberto Tassinari osserva che «Zanon si richiama … alla millenaria metafora della barca o della nave della quale si sono avvalsi decine di poeti e scrittori da Archiloco e Alceo a Catullo e Orazio e ancora da Dante a Petrarca». E ancora, Nazario Pardini, sintetizza il giudizio nella formula «vita di poesia e poesia di vita»; Anna Castrucci paragona le meditazioni del Poeta alle Confessioni di Sant’Agostino, proprio come “distensio anime”. E ancora, Ester Monachino ne indica la scintilla che si fa «perno d’eterno»; e Marco Zelioli ne rileva la «vita pulsante».

 

Quanto allo stile e al linguaggio, sempre Concardi, ci dice che oggi si valutano i testi dai loro contenuti e dalle suggestioni che riescono a suscitare «ognuno si è sentito autorizzato ad elaborare scritture a proprio piacimento, in modo anarchico, anche senza eleganza, ritmi, armonie» (p.24); Zanon, invece, segue il precetto oraziano del ‘labor limae’ (e anche di raspa), intendendo la poesia anche come armonia. A tal proposito Angela Ambrosini indica la presenza di allitterazioni e piccoli accorgimenti tecnici; seguita da Guido Miano che parla di linguaggio «dinamico»; così Nazario Pardini indica la capacità di «impennate verbali, iuncturae lessico-foniche»; Raffaele Piazza ribadisce la presenza di «una vena illimpidita», e Maria Rizzi esalta la musicalità di Zanon.

 

Quanto all’ambiente naturale e lagunare, Concardi (voce discreta) ci illustra questo itinerario letterario, richiama l’attenzione sulle radici lagunari di Zanon per rilevare l’importanza che ha la natura ambientale e naturalistica, così i vari luoghi paesaggistici e l’alternanza stagionale che influenzano la “metamorfosi” dei luoghi. Argomenti che innestano nel Poeta il rapporto con il destino, sia dell’uomo, sia della stessa natura; è ciò che ci porta a considerare la Natura quale rimedio lenitivo. Così Emilia Greco Genesio dice che il nostro poeta si abbandona alla contemplazione del mare e quindi della sua laguna veneta; e di ricalzo Nazario Pardini scrive dell’effetto “luminoso” esercitato dalla primavera; Dino Manzelli ricorda la volontà del Poeta di lasciare una «memoria significativa», senza trascurare anche Mestre come osserva Maria Teresa Secondi; infine Maria Rizzi annota uno spietato confronto con il passato della repubblica veneziana.

Quanto al tema della morte, Niccolò Martinetto individua una «amara speranza e paura per la solitudine del domani»; ma, come osserva Angela Ambrosini «Maurizio Zanon recupera il senso stesso dell’esistenza». Il tema della morte è pressante, così Concardi fa notare che la prima poesia composta da Maurizio Zanon, quattordicenne, s’intitola Cimitero; d’altronde il Critico osserva che «senza alcune passioni che lo hanno fatto sentire vivo, la vita non avrebbe avuto nessun senso».

 

Quanto al tema dell’amore, come si sa, l’amore o meglio l’innamoramento è esaltazione della persona nell’aspetto psicofisico; la letteratura ne è piena e il poeta Zanon sogna un futuro radioso. Dino Manzelli «Leggere Poesie d’Amore rievoca … Dante e del Petrarca per una donna angelicata»; sulla stessa onda, ma solcata secondo i nostri tempi, sono Guido Miano, Mario Santoro, Raffaele Piazza che aggiungono leggera sensualità o un «erotismo delicato»; tuttavia Maria Rizzi scrive: «ricorrono i temi della solitudine, dell’età che avanza, delle malattie e dell’amore, un amore che commuove, perché rappresenta l’unico urlo tra tanti versi sussurrati». D’altronde Maurizio Zanon sostiene che «Nell’amore non ci deve essere soltanto l’esaltazione di un sentimento per una donna, ma anche quello trionfante e giocondo per la natura, per i luoghi cui si lega affettivamente la nostra esistenza e quello per la vita in generale».

 

***

  

Eccoci alla Analisi ragionata dei saggi critici riguardo a Maurizio Zanon, a cura di Enzo Concardi, il quale ha preso le mosse dalla pubblicazione di Maurizio Zanon, nel 2016, della silloge I messaggi del tempo organizzata in cinque sezioni tematiche; ciascuna di esse accompagnata da un saggio critico. Tutto quanto precede può servire per conoscere il poeta di cui ci occupiamo. Concardi ci dice che i cinque saggi del volume I messaggi del tempo «sono studi di letteratura comparata che hanno l’intento di mostrare la caratteristica universale e metatemporale della cultura in generale e della poesia in particolare». I titoli dei cinque saggi contengono in sé la tesi su cui argomentano; autori sono i seguenti.

Angela Ambrosini nel suo saggio, L’incanto della memoria in Maurizio Zanon e Francisco Brines, rileva nel poeta spagnolo la gioia attraverso l’uso del presente verbale alla pari di Zanon. Guido Miano ha composto due saggi: in uno, Il tema del tempo nei testi di Maurizio Zanon e di Vladimir Nazor, afferma che nel poeta croato emergono «richiami esistenziali»; e nell’altro, Il percorso della spiritualità in Maurizio Zanon e Pablo Antonio Cuadra, assicura che la spiritualità del nicaraguense si accosta perfettamente a quella religiosa. Lo stesso Enzo Concardi compone due saggi: in uno, Il tema dell’amore in Maurizio Zanon e Gustavo Adolfo Bécquer, premettendo che «lo slancio del cuore produce sempre energie positive», afferma che nel poeta spagnolo è presente una sorta di panteismo naturalistico; e nell’altro, Il tema della Natura Medicatrix in Maurizio Zanon e Percy Bysshe Shelley, possiamo dire che nonostante le forze avverse della natura (per esempio mare e vento), la natura diventa un rimedio per gli animi tormentati; il poeta inglese è morto nel mare della Versilia per il naufragio della sua barca a soli 34 anni.

Nell’Epilogo, Enzo Concardi conclude con le parole di Mario Stefani da cui abbiamo iniziato, a sigillo della figura di Maurizio Zanon: «Vi è però una luce, è quella dell’amicizia, del camminare assieme, metaforicamente s’intende, per questa via, breve o lunga, accidentata o meno, che è la nostra vita. Ma Zanon vuole essere umano prima che poeta e questa è la sua salvezza».

Tito Cauchi

 

Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-24-0, mianoposta@gmail.com.

 

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Roberto Casati, "Come armonie disattese"

18 Maggio 2024 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Roberto Casati

COME ARMONIE DISATTESE

 

Con la sua nuova raccolta di poesie Roberto Casati emerge ancora una volta come una delle figure più significative della poesia italiana contemporanea.

Come armonie disattese (Guido Miano Editore, Milano 2024) è una raccolta che, come scrive giustamente Enzo Concardi nella prefazione, si situa come continuum rispetto al suo libro di poesie precedente Appunti e carte ritrovate (pubblicato sempre con Guido Miano Editore), libro che meritatamente ha riportato eccellenti consensi dalla critica che si possono tra l’altro leggere nelle motivazioni delle giurie dei premi letterari che ha vinto.

Il Nostro in Come armonie disattese, pur partendo dalle esperienze precedenti, accentua il tono di vaghezza, di sospensione nei suoi componimenti che sembrano il precipitato di sogni ad occhi aperti che hanno anche una patina di espressione surreale e prevalgono anche qui i temi dell’amore per l’amata e della capacità di stupirsi di fronte alla bellezza della natura.

Denominatore comune del poiein di Casati in tutta la sua produzione di poeta neolirico tout-court è quello di produrre tramite le metafore frequenti memorabili epifanie, accensioni subitanee e folgoranti che vengono percepite dal fortunato lettore, per la loro chiarezza già da una prima lettura.

Rarefatta, ben cesellata e raffinata, icastica e nello stesso tempo leggera la forma di questi componimenti sublimi che hanno per tema un amore sensuale per la figura femminile che pare avere qualcosa di salvifico e qui s’innesta il discorso sulla capacità d’amare e sull’eterno femminino perché la stessa amata e amante si fa musa e ispiratrice di versi memorabili.

«Ho rubato i tuoi occhi / sulla linea del non visto, / dove la notte / non è più il pensiero perduto ieri, / dove il giorno / non è ancora il colore sui tuoi anticipi. // Sono rimasto troppo / davanti a te, / cercando con le dita / di sfiorare l’ombra / sugli angoli dimenticati. // Nel tempo che conosco da ieri / sguardo / dato e ripreso / mille volte per sempre».

Nella suddetta poesia si nota anche una forte sensibilità verso il tema del tempo nel nominare con urgenza notte e giorno, e come scrive Casati si può avere anche una conoscenza del tempo e uno sguardo può essere dato e ripreso mille volte ma anche per sempre e qui viene in mente l’attimo heidegeriano feritoia tra passato e futuro quando il tempo virtualmente si ferma in un presente infinito.

‘Armonie’, come leggiamo nel titolo della raccolta, ma ‘disattese’ come se entrasse nella poetica di questo volume di Casati, rispetto agli altri libri un fattore x, una nuova tonalità giocata sulla tastiera analogica.

Con la sua scaltra coscienza letteraria nomina la parola disattese per farci comprendere tutto il pathos che ci può essere in una relazione amorosa che la stessa donna-musa traduce in poesia, come se dettasse lei i versi al poeta stesso, versi, e questo va sottolineato, sempre controllatissimi pur nella loro fortissima carica d’ipersegno.

Disatteso infatti è un termine forte e ricco di significati come dimenticato, tralasciato, non considerato, non osservato e definire le armonie disattese è un modo di farci intendere che nei sentimenti come nella scrittura poetica è sempre tutto sospeso e non scontato e vengono in mente i versi di Goethe a questo proposito: «essere tutto gioia e patimenti… / felice è solo l’anima che ama».

Raffaele Piazza      

 

 

Roberto Casati, Come armonie disattese, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 164, isbn 979-12-81351-31-8, mianoposta@gmail.com.

   

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Aldo Dalla Vecchia, "La tele a Torino"

17 Maggio 2024 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #televisione

 

 

 

La tele a Torino

Aldo Dalla Vecchia

 

Buendia Books, 2023

pp 105

5,50

 

 

 

Un agile ed economico manualetto tascabile, a guisa di un piccolo scrigno prezioso. Raccoglie 70 anni di televisione legata a una città che non è la Roma della Rai né la Milano di Mediaset, bensì l’austera, elegante e proficua Torino.

 

È un destino, o forse fa parte del carattere dei torinesi: il cinema è nato a Torino ed è stato scippato, la televisione è nata a Torino ed è stata scippata, la fiera del libro è nata a Torino e hanno tentato di scipparla…” (pag 82)

 

Aldo Dalla Vecchia, autore televisivo che del mezzo è innamorato da sempre, ci racconta le radici piemontesi della tivù italiana, elencando, in una sorta di dizionario minimo, tutti i personaggi che hanno gettato le basi di questa grande operazione culturale e d’intrattenimento. Nomi noti e meno noti, conduttori come Mike Bongiorno, ma anche grandi intellettuali del passato come Umberto Eco.

Uomini volitivi e appassionati, donne emancipate che sono state d’esempio per il loro genere; anni ruggenti e romantici che purtroppo non torneranno più. Per quanto i programmi continuino ad esistere sotto varie forme, il momento d’oro della televisione sembra ormai passato – ammettiamolo – così come ahimè defunti sono i giganti che hanno reso grande questo mezzo allora pionieristico.

Completano l’opera belle interviste a grandi signore della tivù come Enza Sampò, Raffaella Carrà e la regista Alda Grimaldi, un approfondimento sul museo sabaudo della Radio e della Televisione, e un gustoso racconto inedito di ambientazione piemontese, di argomento catodico e di genere thriller.

Nell’insieme, un altro cameo imperdibile di Aldo Dalla Vecchia.

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Roberto Casati, "Come armonie disattese"

16 Maggio 2024 , Scritto da Fulvia Donatella Narciso Con tag #fulvia donatella narciso, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

Roberto Casati

 Come armonie disattese

 Guido Miano Editore, Milano 2024

 

Nell’opera poetica di Roberto Casati, Come armonie disattese (Guido Miano Editore, Milano 2024) ritroviamo un motivo romantico decadentemente-nostalgico («…ho fermato le tue mani sulle mie labbra, / e rubato ciò che resta / di quello che non saremo mai più domani», p.21; «…il freddo di una primavera / che come te tarda ad arrivare», p.31); nonché similitudini e metafore («Il tempo breve alle distanze», p.33;  «sapori non banali dell’essere», p.34); nonché la propensione verso l’oltre e la dimensione umana temporale; nonché il cesello letterario («sento il non scontato del tuo profumo», p.37; «cruda realtà l’indifferenza che / ancora una volta uccide donna e amore», p.73); nonché il lirismo («…Sorridi nell’ultima foto / reggendo con dolce carezza / la vita del tuo bimbo…», p.73; «…solo cerco in silenzio / la fragile lucciola accolta nella mano», p.72); nonché la passione («…la febbre indefinita / che ridona tensione al sospiro d’amore», p.22; «domani forse ricorderai /… la tua mano dimenticata nella mia…», p.48).

Il rifugiarsi nella natura ed esaltarne la bellezza, per consolarsi delle più o meno avverse vicissitudini esistenziali («il vociare della piazza in primavera», p.48) è un motivo ricorrente.

Ci complimentiamo per i buoni sentimenti e la sensibilità cromatico-affettiva dimostrata nell’esposizione accoratamente poetica di luoghi e stati d’animo, augurando al Casati, in un futuro non lontano, di poter coronare i suoi lirici sogni di pace e benessere comune.

 

Poetessa Fulvia Donatella Narciso

(in arte Viulfa Scaroni)

 

 

POESIE

 

*

 

Quello che capita

in stanchi momenti

rimuove dal cuore le disattenzioni,

scivolando oltre il già visto,

forse un grido più volte riconosciuto.

 

Dietro l’angolo

sfuggono parole antiche,

e quello che mi confonde

sono i tuoi sguardi,

oltre gli angoli a dare senso alla notte.

 

Ho bruciato parole

e raccolto fiordalisi ormai appassiti,

ho fermato le tue mani sulle mie labbra,

e rubato ciò che resta

di quello che non saremo mai più domani.

 

 

*

 

Scivolano dimenticati sguardi

stanche ipotesi

sulla sabbia alzata dal vento,

segreto svelato in crepe antiche.

 

Ti aspetto ancora qui,

frase improbabile

di un percorso già abbandonato.

 

Sfidando il freddo di una primavera

che come te tarda ad arrivare.

 

 

*

 

Attraversi l’ombra all’ultimo bagliore

portandomi nel tuo tempo,

in una sera inquieta che

copre le spalle di un velo leggero.

 

Cammini, guardando il mare,

un sorriso di breve felicità,

gli occhi fatti di segrete parole e

i piedi bagnati dalla risacca.

 

Mentre mi passi accanto 

sento il non scontato del tuo profumo 

raccontare l’origine della meraviglia,

una imperdonabile lusinga.

 

Allora capisco che voglio portarti 

nel mio orizzonte, nascondendoti al mondo

per il tempo esatto in cui i nostri occhi 

vedranno insieme alba e tramonto.

 

 

L’AUTORE

 

Roberto Casati (Vigevano, PV,  1958) si è occupato di informatica gestionale. Ha pubblicato i libri di poesie: Amore e disamore (1984), Roma e Alessandra (1986), Coincidenze massime (1988), Ipotesi di fuga (1992), In navigazione per Capo-Horn (1999), Carte di viaggio (2016), Appunti e carte ritrovate (2020). Ha conseguito molti premi e riconoscimenti; tra i più recenti ricordiamo il primo posto al "Premio Letterario Internazionale Tulliola-Renato Filippelli" del 2023.

 

 

 

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  Premio Internazionale di Arte Letteraria "Omaggio a Pasolini"

15 Maggio 2024 , Scritto da Redazione Con tag #gordiano lupi, #eventi, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

Venerdì 17 maggio 2024 si svolgerà a Roma la Cerimonia Premiativa del Premio Internazionale di Arte Letteraria Omaggio a Pasolini. Un Premio dedicato al grande artista, poeta, scrittore, giornalista e regista Pier Paolo Pasolini, considerato tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento.

L’evento si svolgerà nella sala a volta del seminterrato originario del ristorante “Il Pommidoro” nato nel 1890 e del quale Pasolini era un cliente abituale. Il gestore del ristorante, Aldo Bravi, venuto a mancare nel 2021, era grande amico e fedele confidente di Pasolini.  La figlia, Alessandra Borgia-Bravi ha ripreso in mano il ristorante con la stessa filosofia gastronomica, passione e grande senso di accoglienza. Fu proprio in questo storico ristorante che Pier Paolo Pasolini consumò la sua ultima cena, prima di essere  assassinato a Ostia, nella notte del 2 novembre 1975. Lo stesso Pasolini aveva lasciato ad Aldo Bravi un assegno di 11000 lire  per pagare ciò che aveva consumato, quasi fosse un segno premonitore. Dopo quella  tragica notte e la notizia della morte di Pasolini, il proprietario del ristorante decise di non incassare l’assegno ma di farlo incorniciare in un quadro con il ritratto di Pasolini, affinché fosse esposto al pubblico. Questa testimonianza simbolica sarà posta dietro al tavolo dell’ autorevole giuria, la sera della Premiazione .

Il Pommidoro è noto anche perché, nel corso degli anni, è divenuto punto d’incontro di molti artisti, cantanti, registi e giornalisti famosi in Italia e nel mondo intero. Nello stesso quartiere San Lorenzo, vicino alla Stazione Termini, dove si trova il ristorante, si può trovare l’anima della “movida studentesca dell’Università della Sapienza”, sita nelle vicinanze. Ricordiamo che il film di e con Paola Cortellesi dal titolo ‘C’è ancora domani’ fu girato proprio qui, ottenendo un grandissimo successo nel panorama nazionale e internazionale. Ad affiancare Paola Cortellesi, un altro famoso attore, Valerio Mastandrea che ha confermato la sua presenza  all’evento del 17 maggio al ristorante Il Pommidoro, di cui è  cliente fedele ogni qualvolta si trovi a Roma. Durante la serata, l’attore e regista riceverà una vela in marmo di Carrara come Premio Eccellenza alla Carriera.

La cerimonia si svolgerà dalle ore diciotto alle venti circa e, durante la stessa, si alterneranno contributi artistici e musicali. Il desiderio, l’impegno e la volontà degli Organizzatori è mirato ad onorare tutte le attività del poliedrico artista Pier Paolo Pasolini durante la sua carriera: poesia, teatro, cinema, romanzi, scenografia, fotografia. La giuria ha selezionato vari artisti provenienti da tutta Italia, con percorsi culturali di grande pregio. A questi verranno consegnati diplomi e medaglie come simbolo e a ricordo della serata. Si potranno ascoltare canzoni dal vivo sul tema pasoliniano, grazie a Rocco Rosignoli, ma anche canzoni tradizionali della romanità, grazie ad Alessandro Salvioli. Ci saranno momenti dedicati alle letture di testi e poesie con attori come Trifone Gargano e Giancarlo Gori.  La serata continuerà dalle ore ventuno alle ore ventitré con una cena gastronomica romana DOC, cucinata dallo Chef Amedeo Borgia e il suo meraviglioso staff. L’evento sarà ripresa dal noto fotografo romano Ivan Cortellessa e la direzione artistica curata da Aldo Bravi junior.

L’organizzazione dell’ evento  ha avuto l’onore di ricevere  il  patrocinio del “Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa  della Delizia nel Friuli”. La sua direttrice, Flavia Leonardeschi, sarà presente alla serata. Le realtà associative che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento sono : Associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Cenacolo Internazionale di Arte Letteraria le Nove Muse, Union Mundial de Poestas por la Paz y por la Libertad, Ciesart. La prof. e critico letterario Marina Pratici ha gestito con grande professionalità l’intera organizzazione, coadiuvata da Patrice Avella, Gaia Greco, Alessandra Casciari.

La giuria internazionale sarà rappresentata dalla pianista classica internazionale Catia Capua, la giornalista della stampa internazionale Séverine Kittler, il filosofo e docente romano Francesco Sirleto e il  giornalista greco Dino Koubatis. Presidente Onorario sarà la figlia di Aldo Bravi, Alessandra Borgia-Bravi. Gli illustri artisti selezionati che verranno premiati: Elisabetta Petrolati, Fabrizio Oddi, Giovanni Ronzoni, Annella Prisco, Mary Attento, Maria Teresa Infante, Massimo Massa, Alessandro Russo, Mauro Montacchiesi, Elisabetta Biondi della Sdriscia, Lisa Bernardini, Giancarlo Gori, Trifone Gargano, Davide Magnisi, Marco Tummolo, Rocco Rosignoli, Domenico Palattella, Andrea Ungheri, Lisa di Giovanni, Gordiano Lupi, Rosella Lisoni.

L’obiettivo degli Organizzatori è quello di creare un  premio itinerante da svolgersi in altre città italiane e in Europa, per dare ancora maggior prestigio e onore all’artista Pier Paolo Pasolini. Numerosi media italiani e internazionali saranno invitati ad assistere all’ l’evento culturale.

 

 

 

 

GORDIANO LUPI - direttore editoriale del Foglio Letterario -

Riceverà il PREMIO ALLA CARRIERA nel quadro del PREMIO PASOLINI

 

Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Collabora con Futuro EuropaInkrociLa Folla del XXI SecoloLe Cinéma Café MagazineLa Linea dell’Occhio e altre riviste. Dirige le Edizioni Il Foglio, che ha fondato nel 1999. Traduce scrittori cubani: Alejandro Torreguitart Ruiz, Felix Luis Viera, Heberto Padilla, Guillermo Cabrera Infante… Tra i suoi molti lavori ricordiamo: Nero Tropicale (2003), Cuba Magica – conversazioni con un santéro (2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (2004), Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (2004), Tomas Milian, il trucido e lo sbirro (2004), Serial Killer italiani (2005), Nemici miei (2005), Le dive nude - Il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (2006),  Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci (2006), Orrori tropicali – storie di vudu, santeria e palo mayombe (2006), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (2006), Avana killing (2008), Mi Cuba (2008), Fernando di Leo e il suo cinema nero e perverso (2009), Fellini - A cinema greatmaster (2009), Cozzi stellari - Il cinema di Lewis Coates (2009), Velina o calciatore, altro che scrittore! (2010), Tinto Brass – il poeta dell’erotismo (2010), Laura Gemser (2011), Fidel Castro – biografia non autorizzata (2011). Tra i suoi ultimi progetti c’è una Storia del cinema horror italiano in cinque volumi, Soprassediamo! - Franco & Ciccio Story e Tutto Avati (con Michele Bergantin). Ha tradotto - per Minimum Fax - La ninfa incostante di Guillermo Cabrera Infante (Sur, 2012). ). I suoi noir più recenti sono Sangue Habanero (2009) e Una terribile eredità (2009), ristampato come Fame - Una terribile eredità (2015). I suoi romanzi più recenti: Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino (2014), Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano (2016), Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (2018), tutti presentati al Premio Strega. Ultime uscite dedicate alla sua cità: Amarcord PiombinoPiombino mi rammentoIl fantasma di Alessandro AppianiLa città del ferroGiallo Piombino. Sta lavorando ad alcuni libri di cinema: il fenomeno Lacrima movieSergio CittiJoe D’Amato e Laura Antonelli. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/). Pagine web: www.gordianolupi.it. E-mail per contatti: lupi@infol.it

 

 

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Guido Morselli, "Gli ultimi eroi"

14 Maggio 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #racconto

 

 

 

 

Gli ultimi eroi di Guido Morselli
Il Saggiatore – Euro 29 – pp. 630

 

Guido Morselli è uno dei casi più strani della letteratura italiana, o meglio, non lo è più di tanto, perché non è un autore commerciale e non ha mai avuto un carattere semplice, ergo non veniva pubblicato, preferendo autori più leggeri, con poche cose da dire ma vendibili e più malleabili da un punto di vista caratteriale. Storia vecchia che si ripete anche oggi, basta guardarsi in giro e vedere che cosa propongono in vetrina le nostre librerie. Tutti i suoi romanzi migliori (Il comunista, Roma senza papa, Dissipatio H.G., Contro-passato), sono usciti dopo il 1973, anno della sua morte (aveva 62 anni) per suicidio, autore postumo per antonomasia, outsider in vita come in morte, ché non sarà mai un campione di vendite. L’ultimo rifiuto è la goccia che fa traboccare il vaso (già colmo) del povero Morselli, che - pur perdonando tutti - non riesce a perdonare se stesso di non avercela fatta a farsi capire. Vive in provincia Morselli, sul Lago di Varese, scrive molto, non solo romanzi, anche articoli per il quotidiano locale, racconti, progetti per il teatro, sceneggiature, materiale che ritroviamo in questa raccolta de Il Saggiatore che definirei meritoria. Morselli ha uno stile personale e un’indipendenza di giudizio difficili da trovare, fuori dalle mode e lontani da ogni possibile compiacimento a quel che il pubblico vorrebbe sentirsi dire. Racconti e romanzi che sono una via di mezzo tra il saggio filosofico, la cronaca e la narrazione pura, dove la fantasia si abbevera sempre alla fonte della realtà. Morselli resta un magnifico dilettante, come avrebbe voluto essere chiamato, un dilettante di razza, molto professionale, eccentrico, poliedrico, diverso da tutti, uguale solo a se stesso. La raccolta che va sotto il titolo de Gli ultimi eroi merita una lettura per capire molti temi narrativi di Morselli e apprezzare in nuce tematiche che sono sviluppate meglio nei romanzi. Facciamo alcuni esempi. Il grande incontro ipotizza un surreale colloquio tra Stalin e Papa Pio XII in Vaticano; Fantasia con moralità anticipa molte tematiche di Dissipatio H.G., si compone di una parte narrativa e di una critica, inoltre mette in scena l’angoscia per la morte umana; La voce è un dialogo fantastico tra Pinelli e il commissario Calabresi, forse scritto un anno prima della morte; Sono sana anticipa il romanzo Brave borghesi e vede protagonista una donna frigida, solitaria e antimondana; Mondo su mondo sono riflessioni su turismo e consumismo, passando per la protezione del paesaggio; Ho dirottato sul guardrail racconta la storia di una donna che provoca un incidente per farsi considerare da un marito assente … Racconti che spesso sono piccoli saggi e articoli, riflessioni, in certi casi sceneggiature teatrali mai rappresentate, soggetti e lavori del tutto inediti. Edizione molto buona, giustificato il prezzo di euro 29 per 630 pagine accompagnate da saggi critici, curati da Giorgio Galetto, Fabio Pierangeli e Linda Terziroli. Allegato centrale in carta patinata con le riproduzioni dei manoscritti autografi di Morselli, vergati con scrittura rapida e nervosa, piena zeppa di cancellature, note a margine e riscritture.

Guido Morselli, scrittore impubblicabile

 

Nasco a Bologna nel 1912. Mio padre Giovanni è direttore della Carlo Erba, chimico illustre, stimato dai Visconti di Modrone; mia madre Olga è casalinga, figlia di aristocratici; ho pure una sorella (Luisa), più grande soltanto di un anno. Nel 1914 andiamo a vivere a Milano, dove nasce Maria, l’altra sorella, mentre io cresco strano per una casa di gente pratica e scientifica, amo solo le cose scritte e poi stampate. Otto anni e leggo il quotidiano, comincio a scrivere un romanzo come La mia vita, parlo di quel che ancora deve cominciare, va da sé che non lo finisco, sarà la vita vera a continuare. Son bimbo ribelle, vivace, ruvido, scontroso. Mi puniscono spesso ché faccio giocare le sorelle a cose da maschi, troppo pericolose. Amo mia madre, ricordo e mi commuovo quando penso che cantava la dolce filastrocca: Guidolino, Guidolinetto, eccolo qui il mio bell’ometto. Mio padre lo rispetto, ma è troppo diverso da me, non ci capiremo mai e niente faremo per capirci, per stare vicini, neanche dopo che mamma volerà via dai nostri lidi. Siamo a Varese, nella villa estiva di via Limido, quando muore il nonno e nasce Mario, il fratello più piccolo. Mia madre s’ammala della terribile spagnola, va in clinica a curarsi, poi a Gardone, ma niente può contro il tremendo male. Ho solo 12 anni quando muore e io non so che fare, senza la sua dolce voce mentre canta; Luisa mi farà da madre tredicenne, forte e risoluta, proprio come lei. Irrequieto come pochi, di spirito ribelle, animo avventuroso, faccio incazzare mio padre mica poco: guido l’auto di famiglia di nascosto, rischio incidenti, vado male a scuola, non studio che le cose preferite. Mi piace leggere romanzi, scrivere racconti, ma odio tutto quel che mi ricorda scienza e matematica, persino filosofia e geografia non le sopporto, così diverso da mio padre, amo solo la letteratura. Mi respingono in matematica e filosofia, quando riparo a ottobre il commissario mi promuove dietro giuramento di non iscrivermi per nessuna ragione a scuole scientifiche. Non mi passa neppure per la testa. Prima vacanze borghesi al Forte, in Versilia, dove diciassettenne m’innamoro per la prima volta d’una dolce ventenne fiorentina; poi torno a casa e come scuola scelgo il classico, il famoso Parini di Milano. La scuola è per me un inferno senza fine, vado avanti senza gran passione, boccio alla maturità in tre materie. Greco, matematica e filosofia, scogli insuperabili di questa vita mia. Studio da privatista, ché al Parini non ci torno, non fa per me quella scuola austera, ripeto l’esame un anno dopo e mi prendo una rivincita importante, ché il mio tema viene ben lodato da un bravo commissario d’italiano. In ogni caso meglio cinema e teatro che studiare, al limite leggere e ballare, andare a cavallo, sciare, far di nuoto, queste le mie passioni. Ma mio padre mi vuole laureato. Lo compiaccio, tanto mi costa poco. Mi iscrivo a legge e supero gli esami senza amore. Non sarò mai avvocato, questo è chiaro. Scrivo tanto, invece, su Libro e moschetto, giornale della gioventù fascista; cado innamorato tra le pagine di Einstein e della sua teoria della relatività, nonostante la poca passione per le scienze; scopro Shakespeare e il formidabile Amleto, Ivanhoe di Scott e Dante Vivo del Papini. Sono allievo ufficiale a Bassano del Grappa, tra gli alpini, mi fidanzo con Carla a mezzo cartoline che trasudano amore appassionato, stremato amore d’una vita mai compiuto. Torno a Milano da ufficiale, litigo con mio padre ché l’avvocato proprio non lo voglio fare; leggo Bergson, Turgenev, Palazzeschi, curioso onnivoro di tutto quel che è scritto, saggio o romanzo non importa mica. Viaggio molto: Algeri, Tunisi, Palermo, Parigi, Londra, i monti del Tonale, Oslo, Copenaghen, persino Germania … Mio padre mi vorrebbe a lavorare, mi trova pure un posto come promotore di un’azienda, un lavoro che in fondo saprei fare, ma non ci voglio stare, scappo via dopo un anno, cerco la mia strada. Intanto muore anche Luisa, la mia dolce mammina tredicenne, in una splendida giornata di primavera del 1938, prende la tubercolosi a 27 anni, dopo aver sofferto di spagnola. Scrivo un diario dove annoto i miei pensieri, le mie letture che van da Fogazzaro a Pascal, passando per Ranzoli e Montaigne. L’ultima feroce discussione con mio padre, dopo una colazione di famiglia, mi porta in dote la sospirata libertà sotto forma di modesta rendita che mi affranca dal lavoro. Mio padre non capisce, ma che importa! Vivo bene solo. Voglio scomparire. Voglio essere nessuno. Voglio leggere e scrivere, soltanto, avere per compagni Leopardi, Dante, Schopenauer, Balzac, Rousseau e tanti altri sodali d’avventura. Nel diario scrivo le prime frasi sul suicidio, cosa nefasta, gesto da condannare, ché nega la speranza, l’istinto vitale che non si può tradire. L’Italia entra in guerra, io sono a Varese, leggo Proust e Nietsche, scrivo Filosofia sotto la tenda. Proust è il mio amore letterario, sottolineo, quindi ricopio brani de La recherche mentre scrivo cartoline a Carla e un saggio sul mio scrittore preferito, che pubblicherà Garzanti, pure se la stampa la pagherà mio padre. Conosco Rilke e la sua poesia infinita, soprattutto incontro Maria Bruna Bassi, confidente di tutta la mia vita, amica di famiglia che vive poco distante dalla villa di Varese. Leggo di tutto, la mia guida autodidatta è il pensiero estetico che bramo, il problema di Dio, l’esistenza del male, la natura, il sentimento che condusse Proust a scrivere i suoi capolavori. Sono in Calabria ad attendere la fine d’una guerra che non vuole resa, scrivo nei diari, leggo libri e abbozzo quel primo romanzo, Uomini e amori, lavoro che non amo, dove parlo un po’ di me, nascondendomi dietro ai personaggi. Lascio l’esercito dopo l’armistizio, vivo da Gigetta, una vecchia signora che mi ospita, continuo le letture, da Pascal a Croce, frequento pure Cecov e Tolstoj. Una triste notizia giunge da Bologna e mi fa soffrire: l’amato zio Goffredo morto suicida, malato terminale, lo zio che da bambino mi era stato più vicino. La mia vita è fatta di letture, non conta tanto dove sono stato ma gli autori che ho letto e frequentato: Leopardi, Bernanos, Borgese, Bacchelli, Moravia, Baudelaire, Poe, Fogazzaro … Lavoro al mio romanzo calabrese, comincio ad avvicinare gli editori ma tra di noi non sarà mai una bella storia, infine vado a Milano dall’amico Banfi e con me spesso c’è la Maria Bruna che capisce le pene del mio cuore. Pubblico Realismo e fantasia, a mie spese, meglio … a spese di mio padre - in casa è lui che allarga i cordoni della borsa -, un saggio che sarà l’ultima cosa pubblicata in vita. Per tutto il dopoguerra scrivo tanto: finisco il romanzo calabrese e scrivo Incontro con il comunista, provo a spedire agli editori - persino Mondadori! - ma è tutto inutile, non mi stanno mai a sentire, il romanzo uscirà su La Provincia di Varese, poche puntate, poi dentro un cassetto. Vado a vivere a Varese, nella villa di famiglia di via Limido, non mi attira la vita di città, balli e ricevimenti più non voglio, amo la campagna, la natura, il bosco, i miei cavalli, e poi leggere, scrivere, studiare, con la sola compagnia di Maria Bruna. Poi di  amici me ne restan tanti, da Thomas Mann a Gide, persino Kafka, Flaubert, de Musset, Renan e il vecchio Stendhal … Annoto frasi nelle mie agendine, riporto il mio peso, lo stato di salute, le disavventure del mio cuore, provo mille volte a smetter di fumare, senza riuscire. Vorrei scrivere un romanzo ambientato in Germania ma non lo finisco, intanto scrivo per diversi quotidiani, vado a Milano, in Svizzera e a Lugano. Bompiani dice no a Uomini e amori, non è mica il solo, ma io mi consolo scrivendo saggi, racconti e articoli, che faccio ricopiare da solerti dattilografe e pubblico su giornali, poi ripongo in cartelle e nei cassetti. Scrivo sceneggiature e commedie, una conversazione su Proust che porto alla Rai, filosofeggio con Calogero e lui m’incoraggia, pure se un tempo la filosofia m’era indigesta. Compro una macchina alla moda, una Lancia Ardea con le tendine che userò per amoreggiare, mentre Mario si sposa - nonostante il mio odio per le feste mi tocca far da testimone - e Maria mi dà nipoti su nipoti. Maria Bruna è la sola amicizia intelligente, l’unica donna con cui posso parlare, quella che mi comprende, che vien con me a Lugano, alla Radio Svizzera, dove leggo un testo e consegno una commedia, poi mi accompagna a Milano da Indro Montanelli. Mio padre mi regala un podere verso Gavirate dove amo andare a passeggiare, cercare quiete, cavalcare in groppa a Zeffirino, curare vitelli appena nati, occuparmi della fattoria, piantare rose, arbusti rampicanti, alberi da frutto. Faccio testamento nel 1951, ho solo 39 anni ma devo pensare a chi lasciare i libri (al comune di Varese) e le carte (a Maria Bruna), dicendo pure che la mia pistola Browning voglio donarla a Mario, ma che stia attento: è carica. Provo ancora a pubblicare con Garzanti, vado da Streheler a proporre una commedia, discuto, litigo, sono irremovibile su quel che non voglio abbandonare; scrivo articoli e leggo tante cose, mentre il mio diario raccoglie sensazioni, sfiducia, momenti tristi, un po’ di depressione. Coltivo i campi del mio bel podere dove imparo a produrre del buon vino e annoto le spese per il cavallo, giro un documentario nel giardino e infine lo spedisco alla Ferrania; scrivo lettere come un disperato, al Corriere della Sera, a Spadolini, a Umberto di Savoia … Litigo con mio padre e fuggo in Germania, a Bonn - in un mese cambio quattro alberghi - e da lì collaboro con Il Mondo di Pannunzio per raccontare la vita quotidiana dei tedeschi. Leggo Thomas Mann e scrivo dizionari dietetici, passo a Einstein e riprendo il paesaggio estivo di Varese, penso a come risolvere il problema meridionale e spedisco copioni a Visconti. Muore la mia cara Gigetta che mi ospitò in Calabria, ci eravamo scritti tante lettere, mando fiori ma non vado al funerale, sono sempre più legato al mio cantuccio della campagna varesina, poi c’è mio padre che sta molto male. Il dottor Morselli, come tutti lo chiamano, muore a 84 anni, nel 1958; provo un gran dolore, ché non ci siamo mai capiti, non c’è stato tempo di spiegare, forse non lo abbiamo mai trovato. Fede e critica è il mio ultimo lavoro, ci credo, lo porto in Feltrinelli da Spagnol, ma non va bene, non va mai bene niente con questi editori da strapazzo. Vivo nel mio villino di campagna, senza telefono, senza televisore, solo molto tardi deciderò di comprare un frigorifero, ma quando è fresco basta tenere fuori il cibo che mi va di conservare. Carla rifiuta di sposarmi. Non ci vengo a seppellirmi in mezzo ai campi, dice. Restaci tu. Restaci con la tua gatta. Farò a meno anche di lei, tanto ho i miei libri, il mio cavallo, le mie vigne, di puttane ne trovo quante voglio … poi però ci ricado e m’innamoro, non mi fa bene innamorarmi, ormai lo so, quando finisce resto ancor più triste e solo. Che amore d’Egitto! Lei scappa al Cairo e io comprendo che non era amore, la scaccio via dalla mia vita, non la voglio proprio più vedere, meglio le mie giovenche, le mie mucche, la mia campagna in fiore. Roland Barthes e Umberto Eco sono i nuovi miti, accanto a un sacco di letture che parlano di laici e cristiani, poi scrivo Un dramma borghese, lo mando in lettura, solo Sereni risponde per la Mondadori. Non va bene, peccato. A Moravia piace ma non ha il potere di farlo pubblicare. Non me ne curo, prendo un po’ di appunti, ché voglio scrivere il mio romanzo più importante, Il Comunista, dove metto dentro persone vere e fantasie d’autore. Leggo e rispondo a chi scrive che il romanzo è morto, che non è tempo più di far romanzi, dico che la narrativa è l’unica possibilità per la letteratura. Non mi pubblica nessuno, neppure gli articoli, passo per un tipo un po’ bislacco, dal carattere impossibile, litigo con un sacco di persone mentre scrivo Contro-passato prossimo e finisco Il Comunista. Le donne mi fanno soffrire, gli editori pure, nonostante Sereni lo proponga, nessuno vuole Un dramma borghese, io sprofondo ne La nausea di Sartre e mi faccio ancor più male. Scrivo un nuovo testamento. L’ultima illusione è Il Comunista, ché Rizzoli lo pubblicherebbe, firmo un contratto ma non viene rispettato, sciolto dopo un anno e mezzo, senza motivo. Scrivo senza speranza Roma senza Papa, lo accetta solo Rebellato, tra i tanti editori da me selezionati, ma solo se pagherò la stampa. Leggo Il mestiere di vivere di Cesare Pavese e annoto un sacco di appunti sul suicidio. Il testamento è pronto, ormai da tempo. E scrivo sempre meno sul diario, soltanto poche note. Passeggiare in montagna insieme a Maria Bruna è la sola cosa che mi resta. È il 1973, il 31 luglio, trovo tra la posta due manoscritti di Dissipatio H.G., rifiutati. Troppo per continuare ad accettare. La pistola militare Browning è sempre carica. La uso. Sulla mia testa. Nel bagno. Seduto su una sedia a sdraio di tela. La mia ragazza dall’occhio nero non fallisce. Forse la sola che non mi ha mai tradito. Non ho rancori. Non ne ho mai provati. Abbiate solo cura dei miei libri.

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Antonino Stampa, "Fiori di Calendula maritima"

13 Maggio 2024 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Fiori di Calendula maritima

Antonino Stampa

 Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Il titolo Fiori di Calendula maritima (pianticella salvata dall’estinzione che cresce solo in una piccola parte costiera della Sicilia trapanese) ci colloca subito nella terra di Antonino Stampa, alla quale lo scrittore ci trasporta attraverso i suoi occhi innamorati. Perché, come recitano i versi introduttivi, riecheggiando quanto Goethe diceva della bellezza: «La poesia / non è nelle cose, / ma negli occhi / di chi / le guarda». Ed è così che l’autore ci accompagna lungo le cinque parti che compongono l’opera. Le prime quattro (Come un battito d’ali, Noi e gli altri, Quel che lasciamo, Universo) sono tanto connesse tra loro che le poesie che le compongono sono numerate in sequenza dalla I alla XXXI; la quinta (Belice 1968-2018) è una sorta di poemetto interamente dedicato, a cinquant’anni dall’evento, al drammatico terremoto che colpì Gibellina e dintorni.

L’espressione è affidata a versi brevi, che evocano più che descrivere. Versi tanto spontanei quanto meditati: ad esempio, l’immagine di una tenda da sole basta a richiamare la siepe dell’Infinito leopardiano, e lo scrittore ne fa scaturire una asciutta meditazione sulla vita: «Scorrono ombre / sulla tenda / da sole. // Oltre, / nel limpido azzurro, / voli d’uccelli» (Oltre, poesia IX di Come un battito d’ali). Proprio con una citazione dell’Infinito di Leopardi si apre poi la lirica XXIX della sezione Universo: «Nero, / infinito silenzio / solitudine di spazi / ove smarrirsi…», quasi una personale nota esplicativa della citazione. Leopardi è citato anche nella breve ultima lirica XXXI (della stessa sezione), quasi a testimoniare una fonte d’ispirazione ricorrente.

Antonino Stampa ci offre un’osservazione disincantata della realtà, presentata in genere solo per accenni fugaci, come in una apparentemente placida contemplazione del reale: le parole del poeta, infatti, sono sempre lineari, non ‘aggrediscono’ il lettore con immagini disturbanti. Neppure quando descrivono (nell’ultima parte) le ore drammatiche del terremoto del Belice; né quando accennano ad autentici drammi dell’esistenza, come qui: «…Quanti / in ordinati governi, / ignorati, / senza lasciare traccia / nella nera terra / chiusero / una vita di stenti?» (poesia XXVIII di Quel che lasciamo). E nemmeno quando, con pungente ironia, ricorda: «… Non tingerti la canizie, / non questo / ti renderà giovane» (poesia XXV, ivi), perché: «Di Dio / è il futuro / dell’uomo, / forse, / il presente. // Giorno dopo giorno / affronta la vita, / più non è dato» (poesia XXIII, ivi).

Si può certamente sottoscrivere quanto considerato da Enzo Concardi nel presentare l’opera poetica di Antonino Stampa nell’ampio saggio I motivi lirici predominanti della poetica di Antonino Stampa: «Le opere poetiche di Antonino Stampa percorrono l’essenziale tragitto della condizione umana attraverso una meditazione spesso in solitudine sul senso del tempo, sulla presenza magica e simbolica della natura, sul mistero dell’Incarnazione, riferito alla storia come interprete della perenne lotta tra il Bene e il Male, sul senso della sofferenza».

Al di là della scorrevolezza quasi pacificante dei versi di Antonino Stampa, però, affiorano molti tratti di sofferenza da diverse liriche. Tratti quasi nascosti, ma non trascurabili; ad esempio in Siciliano (lirica XIII di Noi e gli altri), il cui incipit allude a sofferenze secolari, storiche, di vasta portata e non solo individuali: «Sono / di questa terra, / zattera a genti in fuga / nel vasto mare / o qui venute / per sete di dominio…» (il corsivo del testo è mio). La leggerezza dei versi fluenti, liberi da metrica e rime, quasi copre anche sofferenze più intime, forse taciute per timore del disinteresse altrui, come nella lirica XVI di Noi e gli altri, che per intero recita: «“Ciao, / come stai?”. / “Bene…”. // Abbiamo l’obbligo / di stare bene. / Dovrei aprirti il mio privato, / forse quello dei miei familiari…? / E tu? / Ascolteresti attento, / qualche parola / di solidarietà. / Poi ti allontaneresti. / Per i tuoi urgenti impegni».

La sofferenza emerge più esplicita nell’ultima parte della raccolta, Belice 1968-2018, con undici Quadri di un terremoto e del prima e del dopo – come recita il primo dei due sottotitoli. Qui si palesa come condizione vissuta da un intero popolo, cui il poeta dà personalissima voce: si veda la poesia VI (Ruderi di Poggioreale) che chiude con questi versi struggenti: «… Il vento / fra i muri / urla, / piange nel mio cuore». Un’altra immagine, in particolare, può farci focalizzare su quanto dolore c’è in eventi come il terremoto che colpì il Belice; un dolore intenso, che il poeta sa rievocare con poche asciutte parole: «… il muro di una casa / aperta, / memoria / d’intimità perduta …» (poesia III, Gibellina nuova - Le tre piazze). Parole non tese solo a documentare quella sofferenza, ma «… perché ti si pieghino / i ginocchi / e ascolti nel vento / le voci di quanti / qui ebbero / forma d’uomini …» (poesia VIII, Gibellina - ‘Cretto sui ruderi’ di Burri); parole scritte soprattutto per ricordarla ai giovani - e ce n’è motivo - perché: «… Non hanno memoria / i giovani / immersi in un eterno / presente» (poesia X, Con arroganza).

Insomma, con Antonino Stampa siamo introdotti quasi con dolcezza (la dolcezza del suo linguaggio che scivola via leggero) nell’aspetto forse meno amato, ma più presente in ogni vicenda umana nel mondo: la sofferenza. Che resta tale, anche se la si guarda con animo pieno di speranza perché la speranza permette di collocare tutto il male del mondo all’interno di un disegno positivo, ma non toglie dalla vita la dura esperienza del dolore. Speranza non declamata con pur giuste asserzioni teoriche, ma sommessamente suggerita al lettore con l’immagine umile e concretissima del contadino che «… Apre il solco / e vi depone il seme / e in giugno / campi fecondi / di giallo grano / falcia nel sole, / quel pane / che Dio / con l’uomo ha diviso …» (poesia V di Belice 1968-2018): è la speranza che chi semina possa anche raccogliere.

Dobbiamo essere grati a chi, come Antonino Stampa, con suoi versi pensati «con voce scabra» (come egli stesso scrive nell’ultima poesia XI, Congedo) aiuta a meditare sul dolori e sui mali piccoli e grandi della vita, con una visione sofferente, sì, ma serena, consapevole che tali dolori e mali non dicono l’ultima parola sull’esistenza umana. Uno scrittore che ci dona i suoi pensieri con una poesia rara come i Fiori di Calendula maritima.

Marco Zelioli

 

 

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L’AUTORE

 

Antonino Stampa è nato nel 1946 a Trapani dove attualmente risiede; laureatosi in Filosofia presso l’Università di Palermo, ha insegnato Lettere nelle scuole medie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Marine. Trasparenze in frammenti (1995), Specchio nascosto (2002), Distesi silenzi del mare (2003), Nei gorghi del tempo (2012), Chiedersi (2014), E non distinguo approdi (2017).

 

 

Antonino Stampa, Fiori di Calendula maritima, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 84, isbn 979-12-81351-29-5, mianoposta@gmail.com.

 

 

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Francesco Salvador, "Il dono dell'alba"

12 Maggio 2024 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

Il dono dell’alba

Francesco Salvador

Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

La poesia di Francesco Salvador va visitata come se contenesse un mosaico di occasioni che la vita presenta, ma che spesso tuttavia si trasformano in illusioni e poi delusioni, lasciando un fondo amaro per mancanza di prospettive a lunga scadenza. Si tratta di testi di non facile lettura ed interpretazione, sia per la presenza di numerose espressioni, immagini, allocuzioni bipolari, antitetiche, opposte (motivo linguistico), sia per un’incertezza dell’anima che si riflette sul messaggio letterario del poeta veneto (motivo contenutistico).

Il suo pregio maggiore può essere ravvisato nella capacità di creare atmosfere suggestive ed accattivanti attraverso la cifra della sintesi: bastano pochi versi, alcune pennellate metriche, altri coinvolgenti ossimori, per conferire ai suoi ritmi ed alle sue scansioni armonie, emozioni, suoni che proiettano il lettore nel mondo della poesia. Anche il titolo della raccolta - Il dono dell’alba - corrisponde a tali caratteristiche, lasciando tuttavia in sospeso l’aspettativa creata con un’immagine molto lirica; nel testo conclusivo, Volti, ecco gli ultimi due versi («…Tutti nell’attesa / di un dono all’alba») che sospendono la definizione del domani, del futuro: viviamo una speranza forse troppo vaga per essere chiamata tale. E, in tutto il libro, un crepuscolarismo strisciante avvolge la visione del mondo dell’autore.

Non per nulla uno dei temi più ricorrenti nel suo ventaglio creativo è quello esistenziale, dall’interrogarsi sull’essenza del tempo fino all’incombente senso e realtà della morte. Ciò lo possiamo evincere visitando le più significative pagine a proposito dell’essere o non essere. In apertura molto ci dice Una mano sulle pietre. Qui il poeta vorrebbe fermare il tempo, ma vano è lottare contro tutto ciò che è «già scritto nel palmo di una mano», ovvero il nostro destino. Sorte che si concretizza con un’intuizione interiore: «come chi sente la vita andare»; ed altri versi testimoniano l’illusione di restare qui più del dovuto, «perché l’ignoto fa tremare», cioè il pensiero della morte («casa fredda») e di quel che ci aspetta dopo.

Più esplicita e lapidaria è la poesia All’asta dell’addio: «Inventari / rimangono al vecchio / solitario malato / dalle forze spremute / domani chi / verrà alla soglia / della casa / per dare sorrisi? / Re Mida della morte / ad ogni passo stanco / sarà solo all’asta / dell’addio». La senilità è dunque vissuta come l’anticamera della morte, e non come una stagione della vita con le sue luci ed ombre. Si può inserire in questi contesti tematici anche Non sei più tornata, un sogno – incontro immaginario con la madre tacita («madre perché non mi parli?») nella sua dimensione ultraterrena: non si crea così un dialogo, una “corrispondenza di amorosi sensi” tra madre e figlio. La ricerca filosofica, da parte dell’autore, di approdi o comunque di direzioni sicure è di difficile ed ostica esperienza, poiché non riesce a distinguere tra ciò che appartiene alla realtà abitata dall’uomo o alla dimensione metafisica e divina: «...Così potremmo / sperare di scorgere / l’amalgama tra l’immanente / e il trascendente / nell’ultima libertà di pensiero...» (Non oltre il mare).

In un’altra delle sue metafore (un certo simbolismo abita i testi di Francesco Salvador) appare – insieme al suo – il pianto di un neonato e di un gatto e ci dice: «…È il pianto di chi / non sa gestire l’ignoto, / e quella disperazione / ci accomuna, rende noi tre / fratelli per sempre: / io, il neonato e il gatto, / una triade terrena / che non aspira / alla conquista dell’eternità» (Verso la città morta). Dunque siamo giunti alla rinuncia, non c’è alcun risultato, sbocco apparente alla ricerca dell’autore, fino al punto di svilire anche la ragione, dal momento che l’uomo è inserito in una «triade terrena» disperante, in cui non si è sviluppata un’evoluzione qualsiasi. Stesse note troviamo ne Il mare della vita, in cui una similitudine sorregge versi sia dubitativi che affermativi, ma dove regna ancora un’atmosfera di desolazione: «È dunque questo / il mare della vita? / Un eterno oblio / che cerca per compagno / lo stordimento? / E quante oasi false / prima di giungere / alla fine che fine non è!...».

E troviamo ancora parole che suggeriscono «il disagio di essere uomo» (Per le parole dei poeti), forse quel ‘male di vivere’ o quel ‘male oscuro’ che è di casa in molta parte della letteratura contemporanea di derivazione ideologica. Ed anche parole di solitudine, inevitabili in una condizione umana giocata sul minimalismo ribassista: le Nuvole grigie che vestono il cielo sono paragonate ai fantasmi della nostra mente, ma in soccorso giungono «i carillon delle giostre» che proiettano il poeta in uno stato letargico, «nel tepore rassicurante di una fiaba».

Vi sono tuttavia, tra le poesie della presente raccolta, parentesi, pause, soste - rispetto ad un certo pessimismo antropologico e filosofico - che potremmo definire di ‘realismo magico’, ovvero sulla base descrittiva di realtà tangibili s’innesta la fantasia immaginifica del poeta, in parte di derivazione naturalistica. Sono tali le seguenti composizioni, paradigmatiche ed esemplari di questo genere. Citiamo allora Insegnami, dove si segnala la scomparsa di personalità artistiche con forti identità e radici, vicine al popolo e alla gente autentica, poiché hanno preso il loro posto creature evanescenti e anonime: «Chiedimi cosa / potrei raccontare / alle sedie occupate / dei bar / sono scomparsi i poeti d’osteria / e non da oggi / come poter instaurare dialoghi / con i fantasmi / insegnami». Indi la più articolata e lirica Ciò che resta nei paesi, che può essere assunta anche come rappresentante della tipologia salvadoriana dei testi d’atmosfera, come si diceva nel secondo capoverso di questa prefazione; il poeta infatti crea immagini lampanti e segrete della vita di borgo: lo sguardo da certe finestre, le vie più nascoste, l’aria fresca della domenica, un bar invecchiato negli anni, finestre di cucine illuminate… dove l’elemento onirico è dato da un improbabile ‘genio del luogo’ o ‘sognando un folletto’ nelle sere sprigionanti talora calore umano, talaltra situazioni di solitudine.

Ed ancora Conchiglie, che ricostruisce il gioco dei mondi ascoltati ponendo l’orecchio su di esse, gioco tramontato appartenuto alle avventure sognate nella nostra adolescenza: «Portano dentro / il suono della nave pirata / le urla dei corsari / tutti i fantasmi / conservati dal mare. // In quel fruscio magico / vi è il mondo sparito / del capitano Nemo». E concludiamo le citazioni del ‘realismo magico’ con Canto di sabbia, il cui titolo è già un ossimoro, che prelude all’altro gruppo di poesie di Salvador, ossia quello della bipolarità. Canto di sabbia mi pare essere una delle più riuscite liriche del libro ed associa immagini forti a strutture linguistiche soavi, con un messaggio finale sull’aggressione perpetrata nei confronti del pianeta Terra: «Un canto di sabbia / viene da lontani deserti / lo spartito fatto di polvere / lancia le note fino a qui. / L’ululato feroce del vento / è la melodia che sentiamo / a volte dolce a volte selvatica / come artigli d’aquila sulla preda. / Sa consolare la ninna nanna / del suo fischio insistente. / Altrove sciacalli banchettano / confusi nell’ocra gialla / di una terra friabile e ferita».

Ed eccoci finalmente ad alcuni annunciati passi contenenti antitesi, che quindi affermano e negano allo stesso tempo. Di nebbia questo cuore si avvale di figure retoriche: c’è l’anafora «di nebbia questo…» come incipit delle due strofe; ci sono ossimori come «il cuore vestito di nebbia» e «canto muto»; c’è la sinestesia del «giorno dal respiro affannoso»; e l’antitesi consiste nella dichiarazione del poeta che, nonostante il «grigio inerme» e il canto inudibile, ringrazia «chi quella musica / ha scritto». Il significato del testo potrebbe nascondersi proprio qui, nel tentativo di apprezzare tutto ciò che rompe l’apparente non senso dell’esistenza. L’alba verrà (in sintonia con il titolo della raccolta) apporta tre antitesi: verrà l’alba a guidare i tuoi passi, ma sarà tardi per cantare; la confusione attuata dal soggetto fra il sangue (primo polo) e l’oro (secondo polo); bacerai le perle, ma sarai preda del marmo. L’autore vuole rappresentare indubbiamente le contraddizioni della vita e dell’animo umano, la sua natura scissa sempre tra due opposte tendenze, come nelle conclamate realtà: bene-male, luce-tenebre, vita-morte, piacere-dolore…

Chiarissima nella sua sintesi dualistica è Legami, che rimanda anche ad una tipica problematica pirandelliana: il desiderio di libertà ed il bisogno di avere nel contempo una vita d’affetti e sociale, la quale comporta appunto dei legami e delle responsabilità. Scrive il poeta: «In alcuni giorni / non vorrei avere legami. // Camminare per orti e stelle / sarebbe il mio sogno. // Anche un torrente lurido / mi darebbe allegria…». (Questa prima parte è il sogno della libertà senza condizioni e impedimenti, anarchica). Tuttavia scrive nella seconda parte: «…Ma poi penso / che senza certe catene / non avrei potuto vivere / e mi sarebbe ora impossibile / contare i passi del mio domani» (Accettazione delle sicurezze economiche, professionali, familiari, affettive: ciò che Pirandello chiama la ragnatela delle convenzioni sociali cristallizzate).

Pochissimi sono i riferimenti alla poesia amorosa ne Il dono dell’alba, mentre non poteva essere l’amore il più bel dono dell’alba? Forse non basta Un tuo capello perché il lettore possa pensare a ciò: «Un tuo capello / mi è rimasto / sulla spalla / di una camicia / da te stirata / in tempi lontani. / Era un tuo bacio / inconsapevole (così ho pensato) / ma prezioso ora per me / come le tue labbra / ora che sei lontana». In definitiva il poeta però recupera il valore della vita (Un treno in corsa) e valorizza positivamente quelle occasioni che anche per Montale costituivano lo stimolo per andare avanti, nonostante l’enigma esistenziale: «...Il treno non si chiede / a cosa vale aver vissuto / e neppure chi di noi / morirà in pace / ignorando il valore / degli attimi trascorsi».

Enzo Concardi

 

 

 

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L’AUTORE

 

Francesco Salvador è nato nel 1957 a Vittorio Veneto (tv); ha vissuto per molti anni a Venezia prima di trasferirsi a Padova dove attualmente abita e lavora come insegnante di scuola primaria. È autore di molte raccolte poetiche con le quali ha ottenuto diversi premi, riconoscimenti e lusinghieri riscontri di critica; ha pubblicato anche brevi racconti in riviste letterarie.

 

 

Francesco Salvador, Il dono dell’alba, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-32-5, mianoposta@gmail.com.

 

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Stefano Tamburini, "L'uomo e il mare"

11 Maggio 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

L’UOMO E IL MARE

Storia di un sub ucciso da uno squalo e dei tentativi falliti di ucciderlo ancora

 Stefano Tamburini

 

L’uomo e il mare racconta una storia accaduta 35 anni fa, di per sé terrificante come può esserla quella di un uomo ucciso da uno squalo. Ma è soprattutto il racconto ancor più devastante del “dopo”, della crudeltà di uomini ancora più feroci di uno squalo che cercavano di far passare una verità alternativa a quella incontrovertibile dei fatti, infangando la reputazione dei testimoni e la memoria della vittima, Luciano Costanzo, 47 anni, lavoratore portuale ed ex calciatore di Massetana, Piombino, Acireale, Livorno, Savoia e Paganese. Fra i più attivi in quest’opera devastante di demolizione della verità c’erano i giornalisti della rivista specializzata Aqua e alcuni quotidiani nazionali, con Vittorio Feltri in prima linea. L’autore del libro è Stefano Tamburini, giornalista, già direttore di Corriere Romagna, Agl (l’agenzia dell’allora Gruppo Espresso che curava il notiziario nazionale per 18 quotidiani locali), la Città di Salerno e Il Tirreno.

L’uomo e il mare – pubblicato da Edizioni Il Foglio – è un romanzo-verità che racconta gli accadimenti terribili che seguirono il 2 febbraio 1989. Quel giorno morte e terrore emersero dal mare di un insolito inverno che sembrava maggio. Le fauci di uno squalo si presero la vita di un sub e fecero precipitare Piombino, l’Arcipelago e mezza costa toscana in un film dove tutti erano attori e spettatori. E purtroppo non era che l’inizio di una storia assurda: la straordinarietà degli accadimenti veniva presa a pretesto per metterli pesantemente in dubbio, per costruire una narrazione tossica, devastante, umiliante. In quello scenario, infatti, c’era chi cercava di infangare il sub attribuendogli una fuga per incassare una polizza sulla vita peraltro inesistente. O una battuta di pesca con gli esplosivi finita in malo modo. È la storia di un giornalismo sciatto e in malafede al servizio della menzogna sconfitto da quello più genuino e di qualità pronto a battersi perché un uomo già morto nel modo peggiore non fosse ucciso una seconda volta. E con lui anche un po’ del nostro vivere civile.

L’opera si pregia della prefazione di Giangiacomo De Stefano, produttore, autore e regista cinematografico, figlio di Gennaro, giornalista vittima in Abruzzo di un arresto illegale da parte di un poliziotto poi smascherato e condannato, grazie a un’estenuante opera di indagine alla quale Tamburini, pochi anni dopo la vicenda di Costanzo, prese parte con grande impegno. De Stefano scrive che «il libro di Tamburini ci mostra due diversi modi di intendere il giornalismo. Attraverso la storia tragica di Costanzo si parla di un appassionato lavoro d’inchiesta che contrasta chi vuole mistificare la realtà dei fatti per rovesciarli. Dalla parte opposta c’è infatti il giornalismo che cerca di sfruttare il clamore della vicenda, dando voce a coloro che hanno interesse a negare l’unica verità possibile e cioè che a uccidere Costanzo fosse stato uno squalo. È l’ignoto che ci spaventa e che dipinge come minacciosi elementi da sempre presenti in natura. Lo squalo nel mare, i lupi o gli orsi nei boschi. Tamburini mostra un giornalismo dal valore civile altissimo e lo fa attraverso un libro che ci fa immergere negli avvenimenti come se si trattasse di una serie televisiva, dove il finale aperto fa venire voglia di andare avanti pagina dopo pagina».

 

L’uomo e il mare (Storia di un sub ucciso da uno squalo e dei tentativi falliti di ucciderlo ancora), di Stefano Tamburini, prefazione di Giangiacomo De Stefano, 230 pagine, versione cartacea 14 euro (acquistabile on line o prenotabile in qualsiasi libreria), versione ebook 4,99 euro.

 

Stefano Tamburini nasce a Piombino (Li) il 25 febbraio 1961 da padre piombinese e madre elbana. Divoratore di libri e di strade dove consumare scarpe da marciatore, coltiva anche la passione per il giornalismo muovendo già a fine liceo i primi passi nella professione nella redazione piombinese del quotidiano “Il Tirreno”. Comincia poi un lungo viaggio nei giornali di mezza Italia. Di alcuni diventa direttore: Corriere Romagna, Agenzia Agl (che cura il notiziario nazionale per i 18 quotidiani locali del Gruppo Espresso), la Città di Salerno e Il Tirreno. Fra una direzione di testata e l’altra, c’è anche l’incarico di coordinare supplementi e inserti per i giornali del Gruppo, in particolare quelli legati ai grandi eventi sportivi (Olimpiadi, Europei e Mondiali di calcio) e alle tematiche dell’innovazione tecnologica. Fra le tante collaborazioni, quelle con il settimanale Autosprint e con il quotidiano abruzzese il Centro, per realizzare una serie di ritratti di “Ribelli” dello sport, che poi hanno contribuito a far nascere  il suo primo libro “Il prezzo da pagare”, pubblicato nel 2022, con lo sport scenario di lotta a favore dei diritti umani e civili. Il libro è stato semifinalista al premio Bancarella Sport 2023 e insignito del premio “Books for peace” 2023. Nel mese di novembre 2023 è uscito il secondo libro di Stefano Tamburini, dal titolo “Beati, dannati e sogni truccati”. L’opera rivela la commistione perversa tra la poesia delle grandi imprese sportive e i grandi affari non sempre puliti che si nascondono all’ombra della passione popolare.

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Antonio Piras, "Visioni di mutamento"

10 Maggio 2024 , Scritto da Silvio Sosio Con tag #silvio sosio, #recensioni, #fantascienza, #fantasy, #racconto

 

Immagine di copertina olio su tela di Antonio Piras

 

 

 

 

Recensione originariamente pubblicata su Fantascienza. com , Delos Books, a firma Silvio Sosio

 

 

Era un po' in effetti che non si sentiva il nome di Antonio Piras, che anni addietro aveva pubblicato l'ottimo romanzo Triguna per Delos Books e aveva collaborato per un po' con FantasyMagazine, e soprattutto aveva vinto i premi Alien e Robot. Da non molto è uscita una sua nuova raccolta di racconti, di difficile classificazione, per l'editore Dialoghi.

Il libro

Visioni di mutamento. Storie contaminate è una raccolta antologica che riunisce dieci racconti legati al concetto di cambiamento in varie sfaccettature. 

Alcuni cambiamenti sono relativi all’interiorità, oppure il mutamento riguarda la realtà esterna entro la quale i protagonisti si muovono. Il sottotitolo, Storie contaminate, slega le narrazioni dall’inquadramento in un genere puro, contenendo esse elementi appartenenti a varie branche del fantastico, dal paranormale al fantasy, dal fantascientifico al mitologico, dall’esoterico al simbolico. In sostanza, le storie contenute nell’antologia rientrano, più propriamente, nella categoria delle contaminazioni letterarie. I molteplici e originali riferimenti storici, filosofici e scientifici fanno sì che ogni racconto permetta al lettore di calarsi in un universo culturale differente.

L'autore

Antonio Piras è originario di Montenero Val Cocchiara (IS). Laureato in Giurisprudenza, appassionato di filosofie orientali ed esoterismo, ha ideato e condotto per Radio Luna una rassegna di letteratura fantastica, Frammenti dall’Archivio di Pok. Nel 1994 ha vinto il Premio Alien con il racconto Status judicandi e nel 2004 il Premio Robot con il racconto L'enigma del coniglio, finalista anche al Premio Italia nel 2006. La raccolta di racconti Sette ossi di rana (Il Cerchio) è stata finalista al Premio Italia del 1997. Il romanzo Triguna, uscito nella collana Fantascienza.com di Delos Books, è stato finalista al Premio Italia 2004. Sue storie, racconti e saggi sono comparsi in varie antologie, riviste cartacee e online. Ha collaborato con il portale Fantasy Magazine (Delos Books), per il quale è stato responsabile della selezione narrativa e ha curato la rubrica di esoterismo, simbolismo e miti L'iside svelata.

Antonio Piras, Visioni di mutamento, storie contaminate Dialoghi, 174 pagine, euro 18,70, ebook non disponibile.

 
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