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patrizia poli

#immaginieparole : Turkimera

13 Giugno 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #poesia, #walter fest, #arte, #pittura, #vignette e illustrazioni

Immagine di Walter Fest

Immagine di Walter Fest

 

Turkimera                                                       

 

"Un occhio di Allah per te, uno per lei".

Una tartaruga di pietra, una con gli occhi blu.

Un punto sul foglio con tante frecce che s’irraggiano,

che vorrebbero espandersi, che pulsano un ritorno

d’amore su di sé.

Il bisogno è così grande che non si può colmare,

come un grande lago salato, amaro, refrattario,

che si asciuga da solo per farsi del male.

Una paura infantile, dilagante, dilatata.

Vorrei baciare ad uno ad uno tutti i fiori blu

della tua camicia

e la tua mano che mi rialza (allegra)

dal tappeto della moschea.

I baci al telefono mi stridono nelle orecchie.

Vorrei perdermi nel muezzin delle cinque a Santa Sofia

Nell’attesa delle navi che passano il Bosforo.

 

Immagine di Walter Fest, poesia di Patrizia Poli

 

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#immaginieparole : Sotto la cenere

12 Giugno 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #poesia, #walter fest, #arte, #pittura, #vignette e illustrazioni

Immagine di Walter Fest

Immagine di Walter Fest

 

Sotto la cenere

 

Ti ho lavato

dove tu lavavi me

ti ho lavato

dove ora io lavo i bambini

che non ti piacciono

che non capisci.

Ti ho imboccato

con la bava

e la lingua

di traverso.

Farfugliare esasperato

Rabbioso

occhi come lampi d’impotenza

anche tu diventi figlia

anche tu ritorni figlia

il mio niente si fa paura

il primo fremito di un dolore ritrovato

che c’era

che c’è

 

 

Immagine di Walter Fest, poesia di Patrizia Poli

 

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#immaginieparole : Cuore di uomo

11 Giugno 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #poesia, #walter fest, #arte, #vignette e illustrazioni

Immagine di Walter Fest

Immagine di Walter Fest

 

Cuore di uomo

 

Mano lieve sulla porta
sorriso imbarazzato.
Come tutti i piccoli uomini
cammini sulle punte
in un’angosciata simpatia
che sprizza triste dagli occhi umidi
di cane malizioso.
Un fremito di nervi incontrollato
contro l’allegria degli occhi
e il sommo della bocca
a contrastare il moto di anni
che scendono giù
dove non ci sarà più fremito
né occhi, né bocca
dove il mio amore ti cercherà
sfondando le barriere fra i mondi.
Succhia col palato
i sapori della terra
pane, vino e odori di donna.
Pedina della dama, carta, tg2,
figura degli scacchi, mago Zurlì
così io ti vedo.
Brucio di gelosia fuori di te.
Ma se pungessi
con le mie maledette antenne
il tuo concreto cuore di uomo
forse non troverei quello che cerco.

 

Immagine di Walter Fest, poesia di Patrizia Poli

 

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#immaginieparole : Non sei morto e io sto così

10 Giugno 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #poesia, #walter fest, #arte, #vignette e illustrazioni

#immaginieparole : Non sei morto e io sto così

 

 

 

Non sei morto e io sto così

 

Non sei morto e io sto così

respiro nella mia paura

sopporto quello che non si può sopportare. 

Nella tua stanza c’è chi è convinto di essere a casa,

e ogni giorno crede di passeggiare sul lungomare

e descrive le onde, piccole e chiare.

Pensavo dov’è la nostra vita

 dove siamo noi

 dov’è tutto quello che avevamo

 che ci spettava,

da qualche parte ci devi essere ancora

 forse in cielo, su una stella.

Mi manchi in casa, fuori, in ogni gesto.

Eri come un  padre, ora sei mio figlio

Sei un pezzo di me anche se non lo ricordi più.

C’è una mano dietro tutto questo, c’è una regia,

ci deve essere un senso, una malignità, un destino cattivo.

Però oggi ti ho visto ridere, era la tua espressione, erano i  tuoi occhi.

 

 

Immagine di Walter Fest, poesia di Patrizia Poli

 

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#immaginieparole : Il faro

14 Maggio 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #walter fest, #poesia, #pittura, #arte, #immaginieparole

Disegno di Walter Fest

Nell’aria un sottile odore di osso succoso

seguo la scia sbavando e leccandomi

ma il mio padrone ha solo alzato la mano

 e fatto un gesto indefinito

l’osso ce l’ho messo io.

Adesso non c’è nemmeno più quel “vedrai”.

Un muro, col cuore di calcina,

di pietra refrattaria, insensibile.

Sento il mio amore contrarsi

come la materia di un buco nero.

Finché la luce di questa estate mi vorrà viva

vedrò la vita dal crepuscolo,

ma, se posso scegliere, voglio un faro,

una torre in mezzo al mare,

con una piccola spiaggia.

Sentirò il rumore delle onde

dalla mia finestra

la risacca laverà via il dolore

mi purificherà.

Ogni granello di sabbia

 ogni guscio di granchio seccato al sole

saranno intrisi del mio amore.

Dimenticherò il magro raccolto della mia vita

Dio scenderà a toccarmi

 e non avrò più bisogno di nessuno.

Disegno di Walter Fest, poesia di Patrizia Poli

 

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Simona Friio, "Magar Mulieres"

24 Aprile 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni

 

 

 

 

Magar Mulieres

Simona Friio

2016

pp 291

 

Il bello di questo romanzo è l’ambientazione, che richiama una pagina dei Promessi Sposi, fra l’assalto ai forni di Milano, la peste e l’inquisizione. Catapultati in atmosfere alla Rembrandt, fra venefici, torture inenarrabili, lugubri prigioni, e polverosi grimori pieni di arcane formule magiche, ci lasciamo avvincere da una vicenda dalle tinte gialle e cupe.  

Chi ha ucciso Alfonso Della Favilla? A indagare è l’inquisitore spagnolo Manuel Idalgo Raya, affascinate e atipico uomo di chiesa desideroso della verità – non solo quella dei dogmi ecclesiastici – precursore di una libertà di coscienza e di spirito che già prefigura il successivo secolo dei lumi.

Attorno all’assassinio di Alfonso e ad altre morti sospette, ruotano diverse figure, da Antonio Della Favilla, giovane marchese omosessuale, a Gian Mattia Oli, untuoso e subdolo clericale, alle due sorelle di Antonio, Anna e Caterina, d’una bellezza quieta e gentile la prima, sfolgorante e lasciva adescatrice la seconda.

La narrazione sposta ad ogni capitolo il fuoco del punto di vista, immergendoci di volta in volta nei pensieri nascosti di tutti i protagonisti, nessuno escluso. Ma al di là della storia poliziesca, ciò che colpisce è la ricostruzione d’epoca, dal vestiario, alla descrizione particolareggiata delle torture, ai documenti ufficiali, alle pozioni venefiche. Un bell’affresco seicentesco, insomma, che ammalia e cattura il lettore, proprio come uno dei malefici della “magar mulier”, la diabolica quanto bella Caterina Della Favilla.

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Imma Tataranni

18 Aprile 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv

 

 

 

 

Non amo i gialli, specialmente quelli che si risolvono nell’arco di un episodio, e il personaggio principale di questa serie italiana a colpo d’occhio non mi attirava, perciò non avevo ancora visto Imma Tataranni, serie tratta dai romanzi di Mariolina Venezia. Poi, complice la noia di alcune recenti serie americane (tipo Outer Banks), ho deciso di dare una possibilità al sostituto procuratore di Matera.

Sono rimasta folgorata. Era dai tempi di Lucifer che una serie non mi coinvolgeva emotivamente a tal punto. Non per la splendida location lucana. Non per la comicità da commedia all’italiana o la fantastica caratterizzazione dei personaggi. Non per l’ironia della sceneggiatura e, allo stesso tempo, per la partecipazione empatica alle vicende di sospettati, vittime e colpevoli. No, è perché si tratta della più bella storia d’amore degli ultimi anni. Imma e Calogiuri hanno persino un loro gruppo di fan su Facebook. Pura quintessenza amorosa, straziante come tutti gli amori impossibili, il loro legame è reso struggente dalla bravura stratosferica della protagonista Vanessa Scalera.

Lei è Immacolata Tataranni, sostituto procuratore di Matera, spauracchio della procura, dal carattere rigido e intransigente circa i valori della legalità. È, comunque, una donna buona, empatica e profondamente femminile. Il suo piglio da iena, le sue movenze sgraziate, la sua lingua tagliente che non fa sconti a nessuno, contrastano con i vestiti coloratissimi e i tacchi che le conferiscono un’andatura goffa e traballante.  Possiede una famiglia normale e felice, una figlia adolescente con la quale ha ordinari contrasti, una suocera arcigna e impicciona e, soprattutto, un bravo marito, comprensivo, premuroso e innamorato. Si capisce che lo ha sposato in gioventù perché lo amava e non se ne è mai pentita.

Ma in procura arriva lui, Ippazio Calogiuri, giovane e timido appuntato, poi maresciallo, con il quale non riesce a essere brusca ed esigente come con tutti gli altri. Lui è bello come il sole, gentile, intelligente, coraggioso, professionale. Soprattutto, ha la metà dei suoi anni, al punto che lei viene persino scambiata per la madre. La Tataranni è il superiore, è più vecchia di lui ed è felicemente sposata. S’innamorano, tuttavia, perdutamente l’uno dell’altra, nonostante le convenzioni e le regole. Lui ammira in lei la donna volitiva, super-intelligente, dotata di intuito e memoria di ferro, sebbene più anziana e non particolarmente bella. Lei vede in lui l’innocenza, la purezza del cuore, la possibilità di rinascere, di lasciarsi travolgere da un presente che annulla il passato ma non ha futuro. Più sono costretti a stare divisi, a non sfogare la crescente e traboccante passione, più essa cresce, li dilania, li tormenta.

Il loro amore appassionato è declinato in un duplice registro: da una parte la struggente sofferenza, ben resa dalla magistrale recitazione degli attori, dall’altra un’amabile ironia che trasforma le apparizioni di lui in spassosi richiami cinematografici, come la divertentissima citazione da Top Gun.

Per ora siamo alla seconda stagione e in trepidante attesa della terza. Non per il bozzettismo gustoso o gli intrighi polizieschi, e nemmeno per i tanti spassosi e curiosi personaggi secondari, ma in quanto tutti speriamo che Imma e il suo bel maresciallo finiscano prima o poi insieme, perché la fedeltà, i buoni principi, il senso della famiglia vanno pure bene nella realtà, ma il sogno vuole altro, vuole la carne e il sangue, vuole le stelle e il firmamento. E in questo bellissimo sogno lucano, per un amore come quello fra Imma e Calogiuri non c’è logica o razionalità che tenga.    

 

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Mare Fuori

24 Marzo 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

Si sentono le tre diverse regie nelle rispettive stagioni di Mare Fuori. Asciutta, cruda e bellissima la prima, a firma Carmine Elia; coinvolgente ma melodrammatica la seconda, dove si avverte la mano femminile di Milena Cocozza; fin troppo ingolfata di lacrime e abbracci la terza, a mio avviso la peggiore, diretta da Ivan Silvestrini.

Mare Fuori piace perché ribalta tutte le prospettive. La vera libertà è l’IPM, sembra dirci, lo spazio ristretto del penitenziario minorile affacciato a pelo d’acqua. Lì dentro succede di tutto ma in specie avvengono cose buone: rivolgimenti interiori, pentimenti, crescite. Fuori, invece, c’è il male, ci sono persone malvage che ti obbligano a delinquere, a diventare quello che in cuor tuo non vorresti essere, a finire schiacciato dagli ingranaggi del sistema camorristico. “Fuori è pieno d’infami”. Al punto che non si capisce perché si continuino ad accordare permessi premio quando poi, una volta usciti, i ragazzi compiono, volenti o nolenti, gli atti più crudeli o rischiano la pelle. “Siamo più liberi qui dentro”, dice Naditza a Filippo. In carcere, infatti, le differenze si appianano, si diventa uguali, la zingara napoletana può sognare l’amore con il Chiattillo, il figlio di papà milanese.

La figura più affascinante non è, appunto, il fighetto milanese, per quanto coraggioso e determinato, ma Carmine di Salvo, figlio della boss Wanda, il quale cerca di svincolarsi dalla melma deterministica che lo avvolge e impastoia, che gli impedisce di vivere una vita semplice e onesta, che gli uccide la giovane e innocente moglie. Mediterraneo, con le labbra carnose e lo sguardo malandrino, tormentato e buono, è il vero eroe del penitenziario. Carmine passa attraverso ogni genere di ribellione e sofferenza. Ha un rapporto padre- figlio col comandante – altro personaggio romantico – un tenero legame con la figlioletta, che non a caso ha chiamato Futura, una sorta di bromance con il Chiattillo, amico fraterno disposto a tutto per salvarlo, e una passione alla West Side Story per Rosa Ricci, rampolla del clan avverso.

All’opposto di Carmine c’è Viola, il male assoluto, fine a se stesso e incarnato, per cui non si prova compassione. Quando cade dal tetto della prigione nessuno si dispiace per lei e tutti i telespettatori tirano un sospiro di sollievo.

La serie attrae perché dà una spiegazione al male, sempre figlio di altro male. Perché implica un riscatto, anche per gli atti più atroci, come accoltellare una madre o violentare una ragazza. Basta pentirsi, piangere e abbracciarsi, basta non averlo voluto davvero. E qui, forse, nasce il pericolo, il messaggio sbagliato, cioè che tutto si possa perdonare, dimenticare, archiviare, relegare nel passato, persino l’azione più efferata in stile Erica e Omar. Solo l’oggi ha valore, esistono esclusivamente il presente e un futuro sognato. Così il male viene sminuito a favore di altri valori, molto esaltati nelle serie televisive odierne, siano esse fantasy, storiche, poliziesche o drammatiche: amicizia, lealtà e amore hanno più importanza di omicidi, violenze e faide di sangue, e le intenzioni sono più forti delle azioni.

Chiunque di noi, suggerisce inoltre Mare Fuori, può trovarsi nella situazione di questi ragazzi, messo a nudo e costretto a delinquere per finire poi circoscritto nel limbo di un carcere, luogo più dell’anima che fisico, dove le differenze si annullano, dove bene e male sono ingigantiti oppure appiattiti, dove si formano alleanze e si giurano odi eterni. 

Una carrellata di personaggi forti, ben disegnati e indimenticabili: la direttrice, il comandante, Carmine, Filippo, Naditza, Cardiotrap, Pirucchio, Pino, Ciro, Kubra, Edoardo e tutti gli altri sono destinati a rimanere nel cuore, così come i vicoli tortuosi di una Napoli affacciata su un mare che può stare fuori, sì, ma anche perforarti l’anima.  

 

 

 

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Vikings

7 Marzo 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

Serie molto ben confezionata, a firma Michael Hirst, Vikings, anche se troppo moderna nell’impianto visivo, nelle acconciature, nel trucco e parrucco. I protagonisti sembrano più rock star, per le movenze e le espressioni, piuttosto che antichi norreni. Ma le ricostruzioni di ambiente sono minuziose ed efficaci, i personaggi tanti e ben disegnati: l’indovino cieco, i cinque figli di Ragnar, il pazzo visionario Floki, la volitiva Lagertha, la cattiva Aslaug, il giusto e forte Ragnar Lothbrok e una miriade di altri.

Su tutti, però, spicca Athelstan, il monaco che viene preso prigioniero dai Vichinghi e vive con loro. Man mano che passano gli anni, si trasforma da cristiano convinto a uomo del compromesso e del sincretismo. In lui albergano più anime, quella cattolica e quella contaminata dalla frequentazione pagana. Athelstan comincia a intravedere la bellezza e la spiritualità anche in certi riti di sangue violenti e raccapriccianti. “Amo Gesù e amo Odino”, dice. Dopo la morte per mano di Floki, continua a essere presente sotto forma di visione e assume sempre più un’immagine salvifica e cristologica. La sua eredità sarà assunta dal figlio naturale Alfred, futuro re del Wessex, la figura più nobile e giusta di tutta la serie. Athelstan è irrisolto, tormentato e tuttavia completo, frutto proprio del suo lasciarsi andare a una molteplicità di pulsioni, da quelle più religiose a quelle terrene e lascive. “La loro morale è diversa”, dice ormai scevro di giudizi o pregiudizi parlando dei suoi catturatori che definisce “la sua famiglia”.

L’ammirazione e l’amicizia che Ragnar Lothbrok, il personaggio più importante, ha per lui, sono assolute. Ragnar, a sua volta, agisce spinto non da mera ambizione ma da curiosità: la voglia di sapere cosa c’è oltre il mondo conosciuto, la voglia d’imparare usi e costumi diversi, di parlare altre lingue. 

Altro personaggio controverso è re Ecbert, uomo dai continui rivolgimenti etici, pronto a tradire ma anche a soffrire per averlo fatto. Amico sia di Athelstan che di Ragnar, diventa l’amante della moglie del figlio, alleva Alfred nel ricordo del padre monaco e lo prepara a diventare un futuro re saggio e pio. La sua amante sarà la madre di Alfred, avuto dalla relazione di lei col monaco Athelstan, che ne difenderà l'ascesa al troino anche a costo di uccidere il proprio primogenito.

Diverso il caso di Lagertha, coraggiosa, tenace, da sempre innamorata di Ragnar, dolce con i familiari ma spietata e inflessibile con chi merita di morire.

Inevitabile in confronto con Game of Thrones. Ma qui c’è una base storica, molti dei personaggi sono realmente esistiti e c’è parecchia spiritualità. Si fa un gran parlare di dio, della sua differenza con gli dei nordici, di paradiso e di Valhalla. Esistono l’inferno e il paradiso? Esistono gli dei? E, se non ci fossero, la vita avrebbe più o meno senso?

Personaggi spietati, barbarici, che non ci pensano un secondo a infilarti un’ascia nello stomaco ma si pongono questioni filosofiche, parlano di Odino e Thor, ma anche di Gesù Cristo e di Budda. Fazioni e nazioni a contrasto, per le quali, come in Game of Thrones, di volta in volta parteggiamo.

L’unico personaggio assolutamente sgradevole, almeno per me, è Ivar the Boneless, interpretato benissimo dall’attore Alex Høgh Andersen. Invasato, megalomane perché frustrato, cattivo fino al midollo, finisce per perdere il senno credendosi un dio, prima viziato dalla madre altrettanto malvagia e poi adulato dalla moglie che lo manipola e tradisce. Ultimogenito di Ragnar, nato sotto una cattiva stella senza l’uso delle gambe, cresce forte, arrabbiato e vendicativo. “Vorrei non essere sempre così arrabbiato” afferma.

Il padre gli spiega che è speciale proprio per il suo handicap ma lui avrebbe preferito essere normale e amato come i suoi fratelli, i quali un po’ lo sostengono e un po’ lo disprezzano. Tutti indistintamente lo temono, per la sua forza, per la tenacia con cui cammina sulle mani, per la malvagità che non lo abbandona un istante.

Non giocano a favore delle ultime stagioni una subentrata tendenza melodrammatica e la presenza di personaggi nuovi di poco interesse, dopo l’uscita di scena di altri di grande spessore come Rollo – in continua tensione odio e amore nei confronti del fratello Ragnar – o Judith– madre capace di uccidere uno dei figli a favore della regalità dell’altro. Uno di questi caratteri insipidi è o storico vescovo Heamund, che non è ben sviluppato nelle sue potenzialità di personaggio. Grande guerriero e principe della chiesa, non si capisce perché dal giorno alla notte s’invaghisca di Lagertha, salvo poi respingerla preso da un’improvvisa paura della dannazione. Si salva solo Gunnhild, sorta di regina valchiria di grande impatto anche fisico sullo schermo.

Certe crudezze vichinghe nelle ultime fasi della narrazione vengono sostituite da un tono epico quasi arturiano, non sgradevole, specialmente nelle bellissime scene del funerale di Lagertha, che ricorda le esequie di Artù nel film Excalibur, o della morte di Bjorn Ironside che riporta alla mente il Cid Campeador.

Alcuni nodi della narrazione non vengono spiegati e vanno accettati per quello che sono, vedi la presenza dell’indovino cieco anche dopo la sua morte, la somiglianza estrema fra Freydis, moglie uccisa di Ivar, con la russa Katia, la vera paternità di Bjorn, la vera identità di Othere, la misteriosa natura di Harbard e via discorrendo.

Tutto sommato, nonostante i difetti, se si pensa che quasi tutto quello che viene narrato e quasi tutti i personaggi sono storici o semi storici, una saga bella e potente.

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Dark

15 Gennaio 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

Binge watching forsennato per questa superlativa serie basata sul time travel. Incastri, incroci e rimandi difficili quanto un cubo di Rubic, filosofia allo stato puro e continue interrogazioni sul tempo, sul determinismo, sul libero arbitrio, sul senso della vita e della morte.

Tutto è adesso, il presente non esiste perché frutto di interconnessioni con passato e futuro, il futuro condiziona il presente quanto il passato, ciò che deve accadere accadrà comunque. Il tempo è Dio, e non è compassionevole.

Persone che incontrano e magari uccidono il proprio doppio più giovane o più vecchio, o il corrispondente di sé nell’altra dimensione. Madri che sono figlie delle proprie figlie. Figli che conducono nel passato il proprio padre bambino. Un rompicapo affascinante quanto arduo da ricostruire.

Nella terza stagione scopriamo che ci sono anche più realtà parallele e che i personaggi tanto amati in realtà non esistono, ma questo ci piace meno, preferiamo le prime due.

Un applauso comunque agli autori che – almeno loro – non hanno perso il filo, e al cast di bravi attori, numeroso poiché per rappresentare molti singoli personaggi si sono usate tre persone diverse. Ridotto, invece, il luogo in cui si svolge la storia e veramente poche, quasi claustrofobiche, le location, ma ciò non inficia la profondità spazio-temporale della trama.

Molto si basa su un dualismo manicheo, luce e buio, Eva e Adamo, ma tutto si risolve col ritorno allo status quo ante – una eucatastrofe triste e malinconica - prima che la creazione della macchina del tempo a opera dell’orologiaio (Dio? Il Big Bang?) scindesse l’universo creando altre due realtà parallele.

Un ottimo lavoro che dà da pensare, come tutta la buona fantascienza.

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