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fabio dainotti

L’ITALIANISMO DI ANTONIO CRISCI NEL VOLUME L’UOMO DI GHIACCIO

12 Aprile 2023 , Scritto da Fabio Dainotti Con tag #fabio dainotti, #recensioni

 

 

 

 

 

 

 

«Una terra desolata pare divenire il luogo dell’immane tragedia inconcepibile per chi è nato ed è presente nel nostro liquido e alienante postmoderno occidentale», scrive in una sua recensione Raffaele Piazza. Dal canto suo Michele Miano nella Introduzione al libro parla di «una sorta di Anabasi dei nostri giorni».

In effetti è questa l’ambientazione dell’immane tragedia toccata all’ARMIR durante la ritirata di Russia, e descritta nel volume L’uomo di ghiaccio di Antonio Crisci, con prefazione di Michele Miano, seconda edizione edita da Guido Miano nel 2022. I reduci raccontano a perdifiato le loro peripezie, cosicché la loro storia personale e privata si in incrocia con la grande Storia (la spedizione in Russia, l’8 settembre). Il libro si compone di vari capitoli, che sono altrettanti racconti, tasselli che cospirano a disegnare un grande affresco. Per certi versi L’uomo di ghiaccio si configura come romanzo-denuncia, presentando punte polemiche nei confronti di chi ha preferito voltarsi dall’altra parte di fronte alle sventure e alle traversie dei sopravvissuti. Rivelatrice la citazione che Crisci fa di quello che può essere considerato un classico sull’argomento Centomila gavette di ghiaccio, che in qualche modo diventa l’ipotesto o almeno un punto di riferimento del libro. Un libro importante per il suo valore di testimonianza. Grande spazio narrativo è occupato dalla vicenda, che attraversa tutto il libro, di Natasha, che è una delle voci narranti. Si staccano infatti dal quadro alcune figure maggiori, come appunto Natasha, che raccontano la storia di un difficile inserimento, diventando così narratori di secondo grado.

Il narratore alterna la durata dei tempi; a volte ad esempio il TD (tempo del discorso) è più breve del TS (tempo della storia); in tal modo si ha il sommario o addirittura l’ellissi, soprattutto nel capitolo “La vita nell’Isba”.

Non mancano aneddoti gustosi, come quello del soprannome Garibaldi, “affibbiato” a un artigiano per il solo fatto di avere affilato il coltello del “vero Garibaldi”. Di quando in quando fa capolino la nostalgia per il tempo preterito, per i cambiamenti, che non giovano “ai ricordi”; e sembra riecheggiare il grido del Poeta: «Paris change».

Trattandosi di una ritirata rovinosa, è inevitabile la cifra della morte giovane: «Nel corso degli anni era riuscito ad avere notizie sia sulla tragica battaglia di Nikolaevka, in cui persero la vita quasi 50000 giovani, sia sulle altre tragiche battaglie».

Fabio Dainotti

 

 

Antonio Crisci, L’uomo di ghiaccio, introduzione di Michele Miano, II° edizione, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 136, isbn 978-88-31497-91-6, mianoposta@gmail.com.

 

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Enza Sanna, "Nei giorni"

17 Febbraio 2023 , Scritto da Fabio Dainotti Con tag #fabio dainotti, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Si può affermare senza tema di smentite che la poesia di Enza Sanna si inscrive nel novero di quei poeti di pensiero che hanno abitato da sempre la repubblica delle lettere. Anche per questo l’autrice appare dedita a una incessante ricerca di senso. Il suo libro Nei giorni (pref. di Maria Rizzi, G. Miano editore, Milano, 2022), è infatti una vera e propria miniera di osservazioni e considerazioni; sull’accelerazione tecnologica (Quando la sera), su “un mondo passato troppo in fretta / dalla campagna all’industrializzazione”; sull’impoverimento dei “rapporti umani”;  sulla differenza che passa tra la musica, che è alleanza con le parole, e la poesia, che “vive nella propria autonomia”; sull’alterità e il totalmente altro; sul consumismo e la sottocultura (Adolescenza dell’anima); sulla caducità e il concetto sotteso dell' uomo come ‘essere-per-la-morte’; sul tramonto della civiltà contadina e le illusioni sul progresso. Ci si sofferma altresì sulla differenza tra mito e storia (Un arcobaleno con i piedi nel mare). Insomma, una poesia pensante.

Il pensiero di Sanna, che è stata docente di Lettere, è peraltro nutrito di ampie e meditate letture, che si innestano su una cultura solida. Si fa riferimento a un “innamoramento verghiano”, a un libro di viaggi di Carlo Levi, alle “tragedie greche”, a Pavese, a Moravia, solo per fare qualche nome.

La sua poiesi è quindi intessuta di citazioni: possiamo parlare di gusto citazionale; tutto il canone della letteratura occidentale viene convocato dalla scrivente. Tessere linguistiche e citazioni o allusioni rimandano a Dante, Ariosto, Leopardi, Carducci, Montale, D’Annunzio, Cardarelli, Baudelaire, Conrad e altri.

Scrive giustamente nella prefazione Maria Rizzi: «Vola sul piano metafisico… dietro l’apparente nichilismo».  Numerose sono infatti le metafore di sapore biblico o liturgico, sin dalla prima composizione. L’ultima parola che chiude la silloge, tra l’altro, è significativamente “Eterno”. La prefatrice sottolinea anche l’importanza dell’amore e la presenza del mare, percepito come una sorta di assoluto, di “metafora potente”.  I paesaggi marini della nativa Liguria e in genere di una natura mediterranea, di cui si avverte il fondo sensuale, vengono presentati a volte con una precisa referenzialità descrittiva, a volte trasfigurati; sono paesaggi inondati di luce; “luce” è un mot/clé, date le numerose occorrenze del termine e dei termini rientranti nel medesimo campo semantico.

L’io allinea inoltre riflessioni, sulla scorta delle vertiginose meditazioni di Sant’Agostino, sullo spazio tempo (Sentimento del tempo). Col tempo scompaiono le persone care, ma l’assenza può essere, come canta un grande maestro del 900, una “più acuta presenza” (La perdita e l’assenza). “Ha ali il tempo, volano gli anni”, si duole Enza, ripetendo il “ruit hora” di sempre. Inevitabile quindi il corredo di nostalgie per i luoghi (L’uomo del faro); per le persone care, che dimorano ormai “oltre la soglia” (si veda Natale in famiglia, dove si ricrea la magia di un caldo cerchio di affetti familiari); né va sottaciuto il rimpianto per l’infanzia fiabesca.

La poetessa non disdegna di affondare i suoi gangli conoscitivi negli “stati dell’inconscio”. Incontriamo da subito un titolo esemplificativo di tale tendenza: Necessaria regressione.

Una caratteristica fondamentale è senza meno l’attenzione ai problemi di tipo glottologico- linguistico. Si parla di “illocuzione”, in un testo che si sofferma sulla “parola”.  Si lamenta “l’impoverimento” del linguaggio in una società “omologata” (Le nuove solitudini).

In questo ambito si inseriscono le notazioni di poetica, consegnate eminentemente alle liriche Dello scrivere: “la letteratura è una menzogna… che dice il vero”, e Della poesia (“il come”, l’importanza dell’immaginazione).  Ma ci sono poi osservazioni sparse di poetica che attraversano il macrotesto. Allora leggiamo che la parola come sostituto dell’oggetto è inadeguata, ma sa “trasformare in fiaba il reale”, quindi ha un potere trasfigurante (si veda il prisma colorato attraverso cui passa la descrizione iniziale in Equinozio d’autunno). La poesia, la cui inutilità è “sublime” (Non ancora, forse), per Enza Sanna è verticale e attiene alla sfera del sacro; diventa patrimonio di tutti e non più del poeta; è considerata come una terapia; è frutto di ispirazione; predilige un linguaggio “allusivo” e gli intarsi versali; utilizza gli spazi bianchi; è pericolosa, a causa della sua “fascinazione”.

Non mancano i riferimenti agli eventi della cronaca. (Quando un ponte divide), con cenni alle problematiche legate a una stringente attualità, eventi passati in rassegna anche nell’ultimo, quindi importante, componimento, della raccolta.

Il lessico è ricercato e prezioso, anche in forza della presenza di termini appartenenti alla tradizione alta, di termini colti, aulici; di arcaismi, forestierismi, grecismi e latinismi e addirittura di nuovi coni o comunque di parole desuete.

Fabio Dainotti

 

 

Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.

 

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