Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

recensioni

Aldo Dalla Vecchia, "Vita da giornalaia"

2 Luglio 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #televisione

Aldo Dalla Vecchia, "Vita da giornalaia"

Vita da giornalaia

Aldo Dalla Vecchia

Murena editrice, 2015

pp 47

8,00

Ci siamo occupati ampiamente di questo testo, quando era ancora un brogliaccio di un’opera teatrale che stava per andare in scena. Vi rimandiamo perciò alla lettura della precedente e dettagliata recensione. Possiamo solo aggiungere che adesso questo atto unico è diventato un libro vero, con una copertina deliziosa, che richiama, appunto, la Vita da giornalaia, trascorsa dentro un'ipotetica, coloratissima edicola, piena di tutte le testate care all’autore.

Rispetto al copione teatrale, la voce fuori scena si è trasformata in un personaggio che pone domande. Sorge il dubbio che intervistato e intervistatore siano la medesima persona. È se stesso che Aldo Dalla Vecchia interroga, è dentro la sua memoria che fruga alla ricerca di pezzetti di vita dolceamari.

Gli argomenti sono quelli trattati abitualmente dall’autore: la gavetta come giornalista, la carriera in ascesa, che lo ha portato a lavorare come autore di importanti programmi televisivi e collaboratore di note testate, il contatto diretto con i più importanti e glamour personaggi dello spettacolo. Possono sembrare temi non particolarmente rilevanti o impegnati, ma a vivificarli ci sono la dolcezza e il garbo con cui Dalla Vecchia ne parla. La sua passione è profonda, tutto è permeato di nostalgia, dolce ma non zuccherosa, tenera e delicata come il suo animo da eterno ragazzo perbene.

Attraverso i ricordi, ripercorriamo tempi televisivi ormai scomparsi, divenuti quasi epici, incontriamo personaggi forse sopra le righe ma sempre signorili. Ci appaiono più attraenti, più puliti, più affascinanti di quelli di oggi. Oppure, chissà, magari è solo il rimpianto a farci sembrare bello tutto quello che ormai è solo reminiscenza. Come le puntate de La casa nella Prateria, come gli sceneggiati, i quiz del giovedì, il pappagallo di Portobello. Come tutto quello che ci ricorda come eravamo e come non saremo mai più.

Fondamentale il passaggio dalla tv di stato a quella sbarazzina delle reti commerciali. E ciò è tanto più significativo in questo momento in cui tutto sta di nuovo mutando in modo epocale, con l’arrivo dei canali digitali, della tv on demand e interattiva.

La fine degli Anni Settanta segnò, almeno per me che ero bambino e appassionato di televisione, un passaggio epocale e uno choc benefico, con l’arrivo dei programmi a colori e la nascita delle tivù private, una su tutte Telemilano 58, la futura Canale 5, dove ritrovai molti dei miei beniamini.”

Che rimane di quei tempi pionieristici? Il mondo catodico che conoscevamo sta sparendo, i grandi del passato se ne vanno, a uno a uno, ormai solo illustri fantasmi in Techetechetè, più simile ad un triste necrologio che ad un vivace preserale.

Mostra altro

La tua estate con Adelphi

1 Luglio 2015 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #cinema

La tua estate con Adelphi

Rodolfo Sonego e Il racconto dei racconti

Se c’è una Casa Editrice che fa andare sul sicuro il lettore questa è Adelphi, vera e propria garanzia di qualità, dalla narrativa alla saggistica, con un catalogo che presenta proposte interessanti e un’accurata selezione di classici. Qualche nome: Norman Lewis, Georges Simenon, Lawrence Osborne, Orson Welles, Guido Ceronetti, Alberto Arbasino, Abilio Estévez (I palazzi distanti è un capolavoro, ispirato a Lezama Lima e a Virgilio Piñera) e gli immancabili - complessi - lavori del direttore editoriale Roberto Calasso.

Adelphi è la dimostrazione vivente che la qualità (editoriale) paga, per questo se c’è una persona al mondo che invidio è proprio Calasso, che trasforma in oro quel che maneggia e sa scegliere il meglio della produzione mondiale. Mi piacerebbe vederlo all’opera con Heberto Padilla, Guillermo Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Il problema è contattarlo, perché il mio rapporto con Calasso non va oltre la relazione che si stringe tra lettore e autore. Un testo che andrebbe letto e studiato per far bene un mestiere che (da dilettante) tento di fare è L’impronta dell’editore (2013), conversazioni su libri e pubblicazioni, sempre targato Adelphi.

I miei consigli Adelphi per l’estate riguardano il cinema italiano che amo così tanto da passare il tempo compilando monografie - mai uscite per editori importanti -, recensioni e piccoli studi su personaggi minori del cinema bis. Adelphi pubblica un libro irrinunciabile di Tatti Sanguineti (peccato non abbia capito subito la grandezza di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ma ha recitato da tempo un convinto mea culpa) intitolato Il cervello di Alberto Sordi - Rodolfo Sonego e il suo cinema (Pag. 590 - Euro 26). Il testo ha il merito di far parlare Sonego, grande sceneggiatore della commedia all’italiana, inventore del personaggio Sordi così come lo conosciamo, non la macchietta dei penosi birignao radiofonici, ma l’italiano medio pieno di difetti e contraddizioni. Un libro di cinema come non se ne leggono, nel senso che questo si legge con passione e trasporto, non è un mero esercizio di stile per addetti ai lavori, ma è scritto con linguaggio sobrio ed essenziale, come un romanzo d’altri tempi. Sanguineti aveva già pubblicato Il cinema secondo Sonego (Transeuropa, 2000), che per l’occasione amplia e rende definitivo, inserendo vita, opere, dichiarazioni, aneddoti e commenti critici su film importanti come Il vedovo, Il boom, L’avaro, Assolto per non aver commesso il fatto, La donna del fiume, In viaggio con papà, Un eroe dei nostro tempi, senza dimenticare pellicole meno note come Ida e i porci, Il disco volante, Io e Caterina, Marechiaro… Ci sono anche i film non realizzati e i non accreditati, così come non manca un breve manuale di sceneggiatura. Un libro utile che l’appassionato di cinema non deve perdere, per capire quanto l’Italia della commedia debba a un geniaccio come Sonego (1921 - 2000), uno che Sordi considerava imprescindibile. L’attore romano accettava un film a scatola chiusa se l’aveva scritto il collaboratore di una vita, incontrato per caso sul set de Il seduttore (1954). Gustosi anche i capitoletti iniziali dove Sanguineti cita le opinioni di Sonego su attori, produttori e sceneggiatori, realizzando una galleria di ritratti cinematografici.

A proposito di cinema è doveroso riscoprire Il racconto dei racconti di Giambattista Basile (1575 - 1632), ovvero Il trattenimento dei piccoli, tradotto dal napoletano da Ruggero Guarini. Adelphi non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di compiere un’altra grande operazione culturale di taglio popolare. Matteo Garrone ha riportato d’attualità il libro sceneggiando da maestro quattro storie fantastiche, ma il lettore avido di suggestioni fiabesche dal tono fantasy ai limiti dell’horror, non devono mancare di approfondire la materia. La lingua usata per la traduzione non è facilissima, serve un minimo di cultura letteraria per apprezzare l’opera, ma dopo un poco di fatica se ne esce soddisfatti. Molto di più che dopo aver gustato l’opera omnia di Fabio Volo e l’intera serie del Bar Lume. Ve lo garantisco.

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

Mostra altro

Vincenzo Calò, "In un bene impacchettato male"

23 Giugno 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #poesia

Vincenzo Calò, "In un bene impacchettato male"

In un bene impacchettato male

Vincenzo Calò

deComporre Edizioni, 2014

pp 80

8,00

Rispetto a “C’è da giurare che siamo veri”, in “In un bene impacchettato male”, Vincenzo Calò, classe 1982, opera un tentativo di uscita dal sé, sebbene un autore che ringrazia se stesso nel libro non sia propriamente centrato sull’esterno. Qui, tuttavia, lo sguardo è sul mondo, sulla società moderna, consumistica, arida, meccanizzata, sulla politica corrotta che non dà risposte ai bisogni di un’umanità imprigionata “nel presente bancario”.

La cosa più tremenda e pericolosa è essere normali, quindi non si può neanche poetare in modo comprensibile o lirico. Non ci si può amalgamare alla massa che non si pone domande. Ma nei versi di Calò non ci sono nemmeno simboli surreali, piuttosto un realismo esasperato e disperato, fatto di oggetti della vita quotidiana e vocaboli mutuati dal linguaggio dell’informazione: “con la forza sovrumana degli esodati”, “alla minima curiosità del precario”.

Il privato della prima silloge rimane, ma spalmato sul pubblico. Rimane la “solitudine votata a nessuna spiegazione”, rimane l’amore. “Mi torni in un saluto/di cui non si scusa il ritardo”.

Anche l’impegno civile è considerato da una prospettiva angolare, vissuto in una stanza, attraverso uno schermo.

Come afferma Roberto Baldini nella prefazione, le “sue parole devono scorrere liberamente, se le analizzerete una per una capirete la frase ma non il suo discorso, comprenderete la grammatica ma non il suo pensiero. Vi sembrerà di guadagnare qualcosa, quando invece perderete tutto.”

I versi diventano sempre più lunghi, gli enjambement si susseguono e le poesie, diciamolo, alla fine stancano. Questo profluvio di parole e concetti finisce per nascondere i rari guizzi di poesia autentica sparsi qua e là, come “gli occhi spettri” e “il silenzio tattile”.

Mostra altro

Domenico Vecchioni, "Dallo spionaggio all'intelligence"

20 Giugno 2015 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

Domenico Vecchioni, "Dallo spionaggio all'intelligence"

Domenico Vecchioni

Dallo spionaggio all’intelligence

Storia degli agenti segreti

Greco&Greco - Pag. 362 – Euro 14 - ISBN 9788869807135

Domenico Vecchioni è un divulgatore culturale instancabile. Dirige la collana Ingrandimenti della Greco&Greco e ha pubblicato come autore: Richard Sorge - la più grande spia del XX secolo, Pol Pot - l’assassino sorridente, Kim Philby - il terzo uomo, Felix Kersten - il medico di Heinrich Himmler, Ana Belén Montes - la spia americana di Fidel Castro, La saga dei 3 kim - la prima dinastia comunista della storia.Molto interessanti alcune biografie, scritte con stile accattivante, tra le quali cito un testo su Raúl Castro e uno su Evita Perón.

Nel suo nuovo ambizioso lavoro cerca di tracciare una storia dello spionaggio, a partire dal V secolo avanti Cristo, con L’Arte della Guerra di Sun Tsu, passando per egizi, ittiti, assiri, persiani, greci e romani. Vecchioni racconta la storia degli infiltrati, degli spioni, degli agenti segreti, chiarendo che intelligence non è una parola anglosassone ma deriva dal latino intus legere, cioè leggere dentro, attività volta a scoprire e valutare informazioni per evitare una guerra. Lo spionaggio è il secondo mestiere più antico del mondo, afferma l’autore, ed è un concetto diverso da intelligence, perché serve a vincere una guerra, mentre la seconda attività informativa viene messa in atto per prevenire un conflitto. L’autore utilizza il consueto stile giornalistico e divulgativo per accompagnare il lettore in un viaggio alla scoperta delle spie, fino alle due guerre mondiali, alla guerra fredda, all’intelligence tecnologica, economica e femminile, senza omettere informazioni sullo spionaggio del futuro. Moltissimi i personaggi analizzati, le schede ricche di dati, curiosità e aneddoti: l’imperatrice Teodora, vista come l’Evita Perón dell’antichità, Gengis Khan, la tradizione Ninja giapponese, il caso Maria Stuarda, Richelieu, Mazarino, l’Ovra, il Sifar, il Sim, Richard Sorge, gli agenti segreti della guerra fredda e la pirateria informatica. Un testo consigliato a chi vuol conoscere una materia poco affrontata in letteratura, scritto in maniera agile e scorrevole, ma capace di soddisfare ogni curiosità.

Mostra altro

Marino Magliani, "Il canale bracco"

18 Giugno 2015 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

Marino Magliani, "Il canale bracco"

Marino Magliani
Il canale bracco
Euro 12 – Pag. 130 – Fusta Editore

Il vento qui ha le sue pause, nulla del rumore di un torrente gonfio in Val Prino. Non si espande, non rotola, di fatto agonizza, e non è neanche il vento della Patagonia di Chatwin, che assomiglia all’avvicinarsi di un camion che non arriva mai. Qui il vento si ferma e riprende, arranca, frena e stride come se trovasse dei semafori.

Solo un breve assaggio estrapolato dalla quarta di copertina dell’ultimo lavoro di Marino Magliani, 54 anni, ligure come Orengo e Sbarbaro, Biamonti e Novaro, trapiantato in Olanda, dove svolge i lavori più impensati sul Mar del Nord. Traduce ispanici, scrive racconti, di tanto in tanto - soprattutto in primavera - torna nella sua Liguria che non dimentica. Ottimo romanziere, abile nel trasmettere emozioni e capace di raccontare sia la terra natale che il luogo d’adozione grazie a una prosa forbita, raffinata e molto letteraria.

Il canale bracco, segue la sceneggiatura del romanzo per immagini Sostiene Pereira, soggetto di Tabucchi, disegni di Marco D’Aponte. Magliani racconta la storia sentimentale di un canale che da tempo segna la sua vita, come aveva fatto in opere precedenti, si sofferma su istanti e solitudini che scorrono nei lunghi inverni del Noordzeekanaal, tra il Mar del Nord e Amsterdam. L’Olanda è per l’autore la terra dove scrivere, ricordando il tempo perduto della sua Liguria, ma anche narrando il quotidiano olandese, come un lungo viaggio in bicicletta per raggiungere Amsterdam. La biografia di un canale diventa materiale da romanzo, il lettore si appassiona alle vicissitudini di acque silenziose e sognanti - né dolci né salate ma brak, come dicono gli olandesi - dove vivono pesci ignoti ad altre latitudini. Un nuovo esperimento letterario riuscito, non molto commerciale, visto il vento che tira in Italia, ma il prezzo (12 euro) e la veste editoriale sono invitanti. Non perdetelo.

Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi

Mostra altro

Angela Caccia, "Il tocco abarico del dubbio"

8 Giugno 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #poesia, #angela caccia

Il tocco abarico del dubbio

Angela Caccia

FaraEditore

pp 93

10,00

Non aver paura delle emozioni, dei sentimenti e della bellezza è una buona cosa, troppo spesso considerata fuori moda.

Il tocco abarico del dubbio” è una silloge di Angela Caccia che riesce ancora a commuoverci. Il titolo si rifà a quel punto - il punto abarico - a gravità zero, dove l’attrazione della terra e della luna si annullano. Lì risiede il dubbio, che ci permette l’indagine, la quale, a sua volta, istrada verso il sé, verso un esserci nel mondo, un Dasein di heideggeriana memoria.

Queste poesie, divise in sezioni e precedute da brevi introduzioni in prosa lirica, toccano argomenti universali che ci accomunano tutti.

La morte, in primis. “Gli occhi di una lapide mettono sempre malinconia: non guardano più nessuno”, “il sangue resta tiepido dei tanti sogni interrotti.” Da una parte essa ci limita, dall’altra, come in Heidegger, ci rende più liberi, permettendo di ripensare la nostra vita e sceglierne una più autentica.

Altro tema è il rapporto filiale, inteso come distacco dal genitore defunto, memoria dolce inasprita dall’assenza, ma anche continuazione di sé nei figli, progetto. Ma i figli, scopriamo, sono altro da noi, sono alterità e futuro, pur portandosi dietro i geni e il ricordo delle generazioni passate. Un ulteriore motivo è la nostalgia di tutto ciò che era e che non torna.

“Nei tuoi occhi

i resti di una assenza

che tu ignori e

io non perdono

-non l’ho pianta né sepolta

È lì in una leggenda

E annotta oltre le mie croci.”

Grande spazio è dato alla poesia stessa, all’atto del poetare vissuto come imprescindibile, come sfogo ma anche ricerca, genesi difficile di ogni parola: distillata, irrinunciabile, capace d’incarnare un singolo pensiero e solo quello.

“- Non serve lavorare in sottrazione –

incedono chiari i versi

si prendono per mano

le parole esatte”

“bisognerà che scavi

nelle consonanti

tra le vocali

associare al suono

odori canto immagini”

Ma la parola è comunque insufficiente (“parola che non sani”).

Le poesie nascono da riflessioni, osservazioni, quadri, accadimenti: una vita che si spezza, un funerale, una bambina che non ha conosciuto il nonno, un giorno in ospedale, lo sbarco dei migranti a Lampedusa, un cane morente, una rimpatriata con i compagni di scuola. Eventi spiccioli che diventano ispirazione poetica per un animo sensibile. La Caccia non si accontenta di viverli, ma vuole analizzare le emozioni che essi suscitano, esperirle, ricrearle con fine gnoseologico. Le poesie arginano l’emozione, la incanalano, fenomenologicamente avvalorano l’esistente perché sono scorciatoie intuitive.

Uno solo

il vocabolo giusto che

aderisce all’attimo

e trova il bandolo

di un groviglio lanoso

in petto”

Una parte non minore ha la ricerca religiosa, il bisogno di superare la morte nella fede.

C’è poi una storia antica che parla di vita oltre, di resurrezione, di eternità. Racconta che nessuno riposa nella morte, ma procede imperterrito nel suo slancio vitale, più vivo che mai. A volte questa è la risposta più adeguata.”

Concludiamo riportando una poesia, semplice e molto bella, dove l’autrice, più che trasfigurare gli eventi, è capace, attraverso la sua sensibilità, di coglierne l’aspetto poetico e la non scontata commozione.

Per i tuoi occhi

Resisti Nina

resisti da sola

così curva

in questa pozza di dolore

ci fosse un dio dei cani…

Non ho parole sacre

per i tuoi occhi

stelle senza capanna

sullo stesso meridiano dell’umano:

privilegio di chi vive

è la morte!

Laghi castani

appannati da un fondale

che la sabbia sconvolge

atolli

dove il mio amarti

ha perso le chiavi

Mostra altro

Claudio Fiorentini, "Grido"

7 Giugno 2015 , Scritto da Claudio Fiorentini Con tag #claudio fiorentini, #recensioni

Claudio Fiorentini, "Grido"

La Silloge di Claudio Fiorentini "Grido", pubblicata da Rupe Mutevole intriga già nel titolo. Conoscendo l'Autore, infatti, si conosce la sua attitudine a non alzare mai il tono della voce, a esprimere anche i sentimenti negativi con toni che oserei definire più inglesi che italiani.
La sua Opera mi ha indotto a riflettere sul moto ondoso che ribolle sotto tanta calma. La splendida prefazione del Professor Nazario Pardini allude proprio a una forma di 'sdoppiamento'. L'interiorità dell'Autore si potrebbe definire con la metafora del mare: s'infrange contro gli scogli del quotidiano con voce nutrita di sdegno e rabbia e, sulla cresta dei versi, ruggisce verso la pochezza, verso le miserie, verso la rassegnazione, lanciando un 'grido' di amarezza, di sfida e di speranza.
Non si tratta di una Raccolta di poesie imperniata sui sentimenti inflazionati. I testi sono privi di titolo e danno al lettore l'impressione di un romanzo in versi. L'altro uomo che Claudio porta in sé, nascosto dalla valva di un'educazione rigida, che non gli consente di svuotarsi in entusiasmi facili, é libero e vola:

"Giuro e rigiuro: vivrò fino alla fine
senza che un solo attimo si sprechi!
fino alla fine in me, con me, di me,
così come son fatto
cercando l'altro Me, finché con Lui
ritornerò c
ompleto, e sarò Uomo"

La mia attenzione é stata rapita dalla forza espressiva dei versi, dal progetto che raccontano, dalla musica che li contraddistingue, ma anche dall'uso delle maiuscole per connotare l'altro se stesso. V'é in Claudio, forse, una sorta di slancio verso il lido dell'anima libera dalle catene dei giorni, alienati da sterili alluvioni di parole e dalla rassegnazione, che induce a camminare a testa bassa come greggi di pecore. Il 'Me', il 'Lui' che l'Autore insegue, è l’uomo che ha il coraggio di vivere in stormo, di volare!
'Gioia' é il termine che troviamo più volte nella Silloge. Non felicità. Claudio è senz'altro consapevole che la felicità esiste solo in forma frammentaria, é formata da attimi, da emozioni, da momenti di follia... La gioia ha altra accezione: di piena e viva soddisfazione, di allegria, di letizia. Non a caso l'Autore é amante della musica classica e l'Inno alla gioia composto dal poeta e drammaturgo tedesco Schiller, e divenuto famoso in tutto il mondo per essere stato usato da Ludwig van Beethoven nel finale del quarto movimento della sua Nona Sinfonia, sembra il sottofondo ideale al suo Canto.

"Gioia,

se vera, anche nell'abisso vive

e dovunque vada lascia il suo seme"

Si potrebbe dire che Claudio é teso ad arco verso questo seme, difficile da piantare, tant'è che i suoi versi martellano convulsamente sulle pareti dell'anima, non esitando a sfidare 'il bozzolo che la protegge'...

La poesia, pur mantenendo carattere di narrazione, non ha uno sviluppo logico, com'é giusto che sia. Il poeta tenta e ritenta inizi che poi non svolge. Questa serie di approcci all'inesprimibile, di piccole minute non occultate, costituisce il coagulo testuale definitivo del testo.

Egli, infatti, passa, con funambole capacità liriche, dall'inno alla gioia, al sentimento panico dell'esistenza.

L'io narrante é uomo innamorato; è figlio di un oscuro ventre materno, descritto, forse inconsapevolmente, con il 'taglio che incide in rosso sangue' in cui egli 'si trastulla... in attesa di trascendere una vita / che più non lo contiene/ e lo rigetta"; è, soprattutto, essere umano pronto a sfidare l'impossibile per realizzare il sogno.

Tema ricorrente quello del sogno anche nelle Opere di narrativa di Claudio. Novello Lancillotto, pronto a mettersi in gioco ‘mille volte’ pur di avvertire sull'anima nuda, il soffio del sogno.

"Vivi, voce che ancora non è

ma che vorrebbe essere.

Vivi senza pietà, non una mille volte

e con te porta il destino

a tessere nuovi momenti

a far di me futuro e sogno"

La poesia é il filo teso tra l'oggi incerto, la paura, la solitudine, le valve dell'ostrica e il mondo.

"Con tenacia bovina

e forza tellurica

io amo"

E in questi tre versi diviene inevitabile andare con il pensiero a Neruda. Il Poeta cileno che leggeva le liriche 'con voce strangolante di boa' e faceva l'amore con i versi e con il filo spinato. Cattedrale tonante' venne definita la sua voce ... 'la forza tellurica' di Claudio echeggia gli scenari selvaggi e composti di linee essenziali, che caratterizzarono le "Odi" del grande Pablo. E il suo grido silenzioso e inafferrabile, rende la Silloge un'opera imbevuta di originale e inconfondibile magia.

Maria Rizzi

Mostra altro

Ida Verrei, "Arràssusìa"

5 Giugno 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #ida verrei, #recensioni

Arràssusìa

Ida Verrei

Fabio Croce Edizioni, 2015

pp. 166

15,00

“Lei è ancora con noi, Santino. Nei profumi e nelle voci del tuo vicolo antico, nelle crepe dei muri di tufo della tua casa, nel canto della risacca sugli scogli di Mergellina, nel colore del glicine scordato. Nel riso di figli non suoi.” (pag 166)

Se Napoli oggi ha un cantore, è Ida Verrei, un’autrice che s’identifica con la sua città, anzi, è la sua città.

Non è la Napoli di Gomorra, la sua, ma nemmeno quella delle cartoline illustrate col pino, il Vesuvio e Pulcinella, è una città sotterranea, cimiteriale, scavata nel tufo. È una città che, anche in superficie, conserva lo stesso mistero, lo stesso collegamento arcano fra vita e morte. È, semmai, la Napoli del rione Sanità di Antonio De Curtis, e, soprattutto, di “Questi fantasmi” di Eduardo de Filippo, fatta di palazzi bellissimi e fatiscenti, di nobiltà decaduta, di collegi, di porticati, di meravigliosi scaloni opera dell’architetto Sanfelice, di parati scoloriti, di stucchi, di librerie raffinate, polverose e blasè, frequentate da vecchie glorie letterarie. Anche di popolo, però, di bassi affacciati su strade che costituiscono un ecosistema aparte, una cultura nella cultura. Una Napoli che c’era prima e ci sarà anche dopo Scampia e Gomorra, perché fatta di radici, di sangue, di archetipi culturali, “il nutrimento, ‘o sanghe, Manù, il sangue.”

Il collegamento fra la vita e la morte è il filo conduttore del libro. La morte non fa paura ai napoletani, anzi, ha una funzione consolatoria. Come avviene per Maruzzella, la coprotagonista, e le sue visite al cimitero delle Fontanelle, luogo incredibile, straordinaria cava di tufo con le sue cataste di teschi vittime della peste, oggetto di devozione e cura da parte dei cittadini di ieri e di oggi. Come avviene anche per Manù e la sua amicizia con il fantasma del piccolo Oreste, che appare nei momenti di passaggio, di trasformazione, di perdita, pronto a confortare e rincuorare.

Il protagonista è Vittorio Emanuele, detto appunto Manù, un ragazzo degli anni settanta. Ma la storia rimane al margine, le contestazioni studentesche sono vissute dal giovane con una sorta di isolamento scontroso. Inutile cercare nel testo la resa di una Napoli proletaria e problematica, sarebbe una forzatura ideologica. Manù appartiene, piuttosto, a una Napoli astorica, accettata così com’è senza giudizio e senza riserve, fatta non di accadimenti ma di emozioni: la paura del distacco e della perdita, l’amore filiale, l’amicizia, il perdono, la passione, i turbamenti del cuore e del corpo.

Altro tema è la nostalgia. Il tempo fugge, rotola via, lo si capisce anche dagli sbalzi temporali dati nei capitoli, ci trasforma fino a quando non ci voltiamo indietro e ci accorgiamo di quanta vita sia passata, di come le cose siano cambiate senza che nemmeno ce ne rendessimo conto. Il passato appare pieno di fascino e daremmo tutto pur di tornare indietro. È ciò che accade a Manù quando ripensa alla vita in collegio, dura, difficile, ma pur sempre collegata alla giovinezza, a tutto quello che non può riavere.

Molti progetti del passato avevano perso d’un tratto il loro fascino. Il loro posto pareva essere stato preso dal desiderio che il tempo si fermasse, che non corresse troppo, dalla paura che qualcosa potesse andare perso, senza che lui avesse avuto il tempo di assaporarne il gusto fino in fondo” (pag 145)

Quello della Verrei è uno stile connotato, poetico, che indulge nell’aggettivazione, che non ha paura dei sentimenti e della bellezza, che unisce parole e cose, alto e basso, sublime e plebeo. C’è un uso nobile della lingua napoletana.

Arràssusìa è’ na parola napulitana bella assaje, vuol dire “lontano sia”, “non sia mai” o anche “caso mai”. E ha origini antiche. Vedi, Manù, i dialetti sono la storia dei popoli, il loro passato, non bisogna mai dimenticarli. E il nostro, in particolare, ha dentro tutto il bene e il male della terra partenopea. L’arte di arrangiarsi, per esempio, o la necessità del risparmio. Visto che simmo tutti puverielle, tutti poveri, noi facimme economia pure e ‘nu scioscio, anche di un soffio. Un solo vocabolo ci basta per raccontare un mondo, e una lettera, ‘na vocale ha il vigore di un’orazione. Impara bene la lingua italiana, sissignore, guagliò, ma pienza e suonna c’o napulitano, pensa e sogna in napoletano”. (pag 31)

Un libro ricco di fascino e di atmosfera, che ha un sapore antico, che riconcilia con la lettura e fa ritrovare quel gusto raro e quasi dimenticato di perdersi nei luoghi e nella trama di un racconto, di accarezzare personaggi ai quali voler bene come a una parte di noi stessi, come alle povere anime “pezzentelle” del rione Sanità.

Anime sante, anime purganti

Io sono sola e voi siete tanti.

Andate avanti al mio Signore

E raccontategli il mio dolore.

Prima che oscuri questa santa giornata,

da vuje e da dio voglio essere cunzulata.

Mostra altro

Massimiliano Nuzzolo, "La felicità è facile"

3 Giugno 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

Massimiliano Nuzzolo, "La felicità è facile"

La felicità è facile

Massimiliano Nuzzolo

Italic Pequod

pp 115

14,00

Un bravo scrittore è come un attore, interpreta, non ti dà per forza la sua visione, s’immedesima nei personaggi anche quando la pensano in modo opposto. E Massimiliano Nuzzolo è un bravo scrittore, le sue novelle hanno una lingua precisa e studiata, “sorvegliata” come si usa dire, di grande effetto, ed hanno anche una buona impalcatura e degli argomenti originali. “La felicità è facile” è una raccolta che riconcilia con il genere del racconto breve, accantonato negli ultimi anni, oppure usato come espediente da chi non riesce a esprimersi con un respiro più ampio. Qui, invece, ci sono contenuti - persino messaggi convogliati in modo subliminale - c’è sviluppo strutturato e armonico della trama, c’è, infine, uno stile caustico e divertente ma anche lirico.

una rugiada sottile pronta a fissarsi alle ossa e a raschiar via una notte anonima come mille altre, in graduali variazioni di luminosità e colore che, avvicinandosi senza alcuna fretta al mattino, sembravano seguire l’incerto cammino di Gio, impegnato a tornare a casa dopo una notte a dir poco bianca.” (pag 13)

“Quando sto là da solo, cioè praticamente trecentocinquantasei giorni netti quest’anno, tolta la settimana a Cuba, guardo il muro del cimitero, le lucine che scintillano nella notte e penso a quanti cazzo di morti ci stanno in un cimitero, a quanta gente è morta in tutti questi anni, da quando hanno fatto il cimitero di Mestre ad oggi, a quando quelle tombe fatiscenti e semi sprofondate erano nuove e pronte per l’inaugurazione, penso a quanti cadaveri e resti umani più o meno grandi possa contenere un metro cubo di terra grassa, a quanti milioni di vermi scivolino lenti e bonari alla ricerca di carne fresca… Poi arriva Marika e mi fa un pompino. Grazie a Dio” (pag 32)

I motivi ricorrenti in questi racconti sono vari, spiccano tra gli altri l’emarginazione del diverso, la malattia e la morte. La morte è un tema che percorre tutta la narrativa contemporanea e anche la poesia. Mai come adesso i giovani la sentono vicina, con l’incremento dei tumori e degli incidenti stiamo tornando alle aspettative di vita dell’ottocento e la fine ridiventa compagna. La morte è scelta ne “Il volo”, è pensiero inquietante ne “Il parcheggio accanto al cimitero”, è assenza straziante in “Economia di parola”, è riflessione in “Ma e pa sdraiati sepolti morti”

cosa può avere un senso qui? Parlare con il Nulla? Parlare a una foto? A una pietra? Forse ha più senso dire qualcosa all’erbetta o ai fiori”. (pag 40)

Il messaggio, l’ideologia, il contenuto sono spalmati su tutte le storie e lasciati emergere per contrasto. La situazione stessa fa scaturire le idee, l’etica e le emozioni. Ecco quindi la ragazza che si suicida per non diventare come gli adulti che disprezza, per non venire assimilata al sistema. Ecco il down, il tossico e lo psicolabile che ci mostrano la realtà dalla loro angolazione, capace di far apparire la nostra “normalità”, persino la nostra religione, come distorta.

Poi mi sono seduto davanti all’altare insieme agli altri bambini e a metà funzione ho ricevuto il corpo di Cristo per la prima volta. Era una cosa bianca sottile che mi si è appiccicata al palato e io ho pensato ma come è fatto Cristo di carta?” (pag 51)

Alcuni racconti sono molto belli, come "Siamo tutti uguali davanti a dio (basta pagare il canone), dove una apparentemente insignificante nota d’ambiente – la televisione accesa su una televendita – fa risaltare due situazioni sociali opposte.

I contenuti risentono del bagaglio culturale dell’autore, dei suoi gusti letterari, musicali, cinematografici. Nei racconti si parla di film come “Alien” ed “E.T.”, ma anche di musica elettronica, di Pavese, Wilde, Baudelaire, Camus, Hemingway, e queste forme d’arte servono per discettare, in accostamenti virtuosistici, di amore, campi di concentramento, pregiudizi, emarginazione.

Le parole di Nuzzolo non sono mai casuali, sono scelte con una pazienza che ripaga di ogni sforzo e regala un’impressione di scorrevolezza. Ma, dietro, intuiamo tutto il certosino lavoro di lima e ricerca. Si noti, ad esempio, la mancanza di punteggiatura in “Mestre tossica”, a mimare la confusione mentale e il ritardo motorio del personaggio imbottito di droga. L’alcol bevuto per dimenticare le assenze, la droga che stordisce e ottunde, gli antidepressivi del racconto finale, rappresentano l’unica possibilità di sfuggire ad una facile, facilissima, infelicità costante e diffusa.

Il puro raccontare comunque prevale, com’è giusto che sia in narrativa, la riflessione è lasciata al lettore, l’autore si limita a mostrare, e anche a divertirsi un po’ alle nostre spalle, sempre, però, con una partecipazione emotiva tenuta a freno, sottesa e tuttavia imprescindibile. Viva il raccontare, dunque, viva la narrativa.

Mostra altro

Alessandro Alberti, "Radio alternative. La destra che comunicava via etere"

2 Giugno 2015 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #giacinto reale, #alessandro alberti, #recensioni

Alessandro Alberti, "Radio alternative. La destra che comunicava via etere"

RADIO ALTERNATIVE

LA DESTRA CHE COMUNICAVA VIA ETERE

ALESSANDRO ALBERTI

ECLETTICA EDIZIONI

EURO 16,00

A cura di Franca Poli e Giacinto Reale.

Un libro ben scritto, con stile chiaro e scorrevole, ricco di notizie davvero interessanti e sconosciute ai più, esposizione circostanziata, un libro che mancava insomma, e del quale si sentiva l’esigenza. Si tratta del primo lavoro di Alessandro Alberti, che inizia la sua carriera di scrittore, con un esordio davvero buono, cercando di dar voce a quella parte di giovani che vissero esperienze ignorate dalla cultura ufficiale. Non è solo cronaca, né tanto meno cronaca limitata ad una iniziativa di quella giovane Destra che negli anni settanta e ottanta, pur tra mille difficoltà ed ostilità, seppe ricavarsi un suo spazio. E’ la narrazione di un pezzo del costume italiano, degli “anni di piombo” e di quell’impazzimento generale che costò tante giovani vite. Storia di cultura e militanza, nella quale compaiono nomi di politici destinati a un brillante futuro e di volenterosi giovanotti destinati a restare nell’anonimato.

Tutto cominciò con le due sentenze della Corte Costituzionale che nel ’74 stabilirono la “libertà di antenna”: bastavano pochi mezzi e tanta buona volontà per mettere su una “radio libera” (come allora si chiamavano), un mixer, due piastre, un revox, con impianto di diffusione e antenna e si poteva partire ... il pubblico non mancava. Un tentativo di abbattere il muro di gomma della comunicazione gestita fino ad allora esclusivamente dalla rete pubblica. Il vero problema, piuttosto, era trovare una frequenza che non fosse già occupata, nell’affollamento che subito si ebbe nell’etere, e innescò - come è stato detto - “un fenomeno che ha avuto conseguenze straordinarie sulle tecniche di comunicazione, sul costume, sulla politica del nostro Paese”.

La prima, a destra, fu Radio University di Milano (dicembre ’75), che, fin dall’inizio, individuò i canoni ai quali poi tutte le altre si sarebbero attenute: alternanza di parlato e brani musicali, professionalità dei responsabili dei due settori, libertà massima nella interpretazione delle notizie e nella scelta dei brani musicali. Rispetto alle radio “commerciali” preesistenti, l’ascoltatore che si fosse sintonizzato per caso avrebbe notato subito una differenza: lì c’era una ripartizione dei programmi che vedeva prevalere il “musicale” (65%) sul “parlato” (35%), qui predominavano le voci, le notizie, i commenti, le segnalazioni di libri ed iniziative e la partecipazione diretta degli ascoltatori ai dibattiti, ai programmi culturali. Queste furono le caratteristiche distintive delle radio “alternative”, più delle loro dirimpettaie “di sinistra”, dove i vincoli ideologico-settari erano molto forti, ed anche le selezioni musicali erano condizionate da precise scelte fatte “a monte”. Il tutto, però, senza trascurare una funzione essenziale – in tempi di ghettizzazione - voluta dagli organizzatori, ma reclamata a gran voce dall’utenza: quella della controinformazione. In un periodo nel quale logiche di “arco costituzionale” volevano relegare nel cattiverio “senza se e senza ma” tutto il mondo della destra, sintonizzarsi sulla radio alternativa della propria città e sentire le notizie voleva dire, per molti, rompere la sensazione di isolamento e sentirsi parte di una comunità. Questo un po’ dovunque, perché radio alternative sorsero dappertutto, nelle città più grandi, come (per citarne solo alcune) Torino, Roma, Bologna dove Radio Alternativa, ubicata in vicolo Posterla,18, provava a rispondere a radio Alice che spopolava in città e che, prima di essere messa sotto sequestro, con l'accusa di aver guidato la guerriglia urbana, il giorno della manifestazione in cui venne ucciso Francesco Lorusso aveva segnalato gli spostamenti delle forze dell'ordine e trasmesso in diretta tutte le telefonate che giungevano in redazione inerenti i disordini in città. Le registrazioni delle ultime fasi, con la concitazione dei momenti dell'arresto dei redattori, furono trasmesse a lungo da molte radio libere sia di destra che di sinistra.

La voce delle radio alternative non toccò solo le grandi città, ma giunse anche in piccoli centri, come, (sempre con una scelta assolutamente casuale) Rieti, Montesarchio, Massa e Viterbo. Non sempre le cose filavano lisce: i tentativi di mettere a tacere queste radio che erano “libere”, ma soprattutto “alternative” non mancarono. A Milano via Mancini, dove Radio University aveva sede (anche se solo pochi sapevano esattamente in quale stabile), era presidiata, nelle giornate “calde” dagli sprangatori della Statale e non solo, che controllavano i documenti ai passanti per identificare i non residenti, i quali avrebbero potuto essere potenziali redattori. A Roma, Radio Alternativa, animata da Teodoro Buontempo, ebbe sede nello stesso stabile di via Sommacampagna, dove c’era il Fronte della Gioventù e, solo per caso, una pentola a pressione imbottita di dinamite, posata sul davanzale di una finestra da mano “ignota” non provocò una strage. Anche a Torino fu la federazione del MSI ad ospitare la sede di Radio Blitz, e così avvenne un po’ dappertutto. Va però detto che, in genere, si trattò di ospitalità e basta, poichè (sia pure con qualche tentativo forse nemmeno troppo convinto) il mezzo sembrava ancora troppo “nuovo” ad un Partito i cui vertici non si distinguevano certo per giovanilistici entusiasmi. Infatti, sia pure in contemporanea con la crisi dell’intero settore, dovuta soprattutto all’emergere del più coinvolgente mondo delle tv “libere”, quasi tutte le Radio chiusero per mancanza di mezzi, non potendo contare, un po' per scelta, un po' per necessità, sul supporto “commerciale” di inserzionisti a pagamento. Finchè trasmisero, comunque, furono strumento divulgatore di idee, cultura, attività per tutto il mondo giovanile di destra, e consentirono l’approdo ai grandi numeri di vendita e notorietà di una musica “alternativa” che, per l’originalità dei testi, l’armonia dei suoni e la personalità degli interpreti avrebbe meritato successo maggiore. Qui la scelta si fa ardua, e non può non risentire dell’esperienza e dei gusti di ognuno: per quel che ci riguarda, di comune accordo, in cima alla classifica abbiamo scelto due complessi: La Compagnia dell’Anello (“Padova, 17 giugno 1974”) e gli Amici del Vento (“Vecchio ribelle”) Poi c’è solo la difficoltà di ricordarli tutti: gli ZPM, gli Janus, il Vento del Sud, e, tra i solisti: Fabrizio Marzi, Michele di Fiò, Francesco Mancinelli, Gabriele Marconi e con particolare affetto ricordiamo l’indimenticato Massimo (“Massimino”) Morselli (“Nostri canti assassini”)…e chiediamo scusa a tutti quelli che abbiamo dimenticato.

Un’ultima cosa c'è da dire: all’interno di queste radio, nonostante i pericoli e le difficoltà, regnava, incontrastata, un’atmosfera di allegria, di giovanile spensieratezza, che non incideva sull’impegno e la professionalità davanti al microfono e alla consolle. Questo emerge dalle molte testimonianze dei protagonisti riportate nel libro, che hanno conservato un ricordo incancellabile di quella esperienza, dei fatti, delle emozioni, e degli aneddoti. Chiudiamo proprio con uno di questi: tutti hanno ben presente la spiritosa invenzione di Fiorello di “Gnazio”, riferita a La Russa… ebbene pochi sanno - e il libro ce lo racconta - che il futuro Parlamentare di AN fu il primo a ridere della sua accentuata “sicilianità”. A Radio University andava in onda una trasmissione satirica che era una specie di “Alto gradimento”, e al microfono si alternavano vari personaggi che, con voce buffa, commentavano, a modo loro, i fatti del giorno. Uno di questi era “Siculio” il cantastorie stonato e dal marcato accento isolano interpretato - con grande successo, va detto - dal futuro Ministro della Repubblica. Questo lo abbiamo scoperto nel libro di Alberti, ma c’è molto altro….non vi resta che sfogliare la vostra copia.

Mostra altro