ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI RIGUARDO WANDA LOMBARDI A cura di Enzo Concardi
ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI
RIGUARDO WANDA LOMBARDI
A cura di Enzo Concardi
Recensione di Maria Rizzi
L’analisi ragionata dei testi critici riguardo la Poetessa Wanda Lombardi, di Morcone, in provincia di Benevento, condotta dall’ottimo Enzo Concardi, seguendo i commenti di autorevoli colleghi come Giuseppe Manitta, Monica Rubino, Carlo Onorato, Rossella Cerniglia, Marcella Mellea, Fabio Amato, Nazario Pardini ed altri, equivale a una navigazione attraverso il lirismo dell’artista, nella quale è messa in rilievo la sua tendenza a evocare il neoclassicismo nella forma e nei contenuti. Quasi tutti i critici citati riscontrano tratti in comune con Leopardi, Pascoli, non solo per il ricorso al metro classico, ma per l’ossimorica visione dell’esistenza, spesso tendente al nichilismo. Altro tratto evidenziato dagli esegeti è il rapporto con il divino, la tensione alla verticalità presente nei versi della Nostra e l’empatia con madre natura.
Tra tutti solo il professor Nazario Pardini accosta la poetica della Lombardi a quelle di Umberto Saba e Vittorio Sereni. E leggendo le liriche della Nostra lo stesso Concardi conviene circa le corrispondenze con Saba «per lo stile spezzato, frammentato» e con Sereni per il «malum vitae, il tormento, la percezione della labilità dell’esistere». Molte altre disamine vengono prese in esame dal relatore, ma la mia scelta, dopo aver navigato tra tanti illustri esperti di ermeneutica, cade sulla lettura dell’antologia essenziale delle poesie di Wanda Lombardi.
Il saggio critico, a mio umile avviso, è di per sé esaustivo; in appendice al libro è riportata una antologia essenziale di poesie scelte da varie raccolte e che coprono un periodo di vent’anni, dal 2001 al 2021. Le prime, tratte dalla silloge Sensazioni del 2001, ci consentono di annegare nel mare intimistico della Poetessa, che dimostra, una volta di più, che il mondo esterno non è che un riflesso del nostro universo interiore. I ricordi degli amori sono il tessuto della nostra identità. La Lombardi dedica al padre versi di velluto, che echeggiano i grandi della letteratura. «… Ma tra i molti visi, / come in un dipinto incastonati, / emerge il tuo, padre, / a sbiadire e sovrastare gli altri...» (Ricordi). La fede, elemento cardine del lirismo della Poetessa, è presente in questi primi versi come fonte di gioia di vivere e come unico presupposto per la pace. Nel leggere Ritrovare la pace, ho pensato alla meravigliosa asserzione di Khalil Gibran: «Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola». Dalla silloge Nel silenzio (del 2002) sono tratte liriche sul mondo dell’adolescenza, così simile a una malattia esantematica per i giovani e per i loro genitori. L’autrice affresca con versi meno classici, incisivi, colloquiali e infinitamente teneri l’universo dell’epoca in cui si conquista a morsi l’esperienza. «…I tuoi problemi, / che problemi non sono, / crisi profonde ti creano, / irritabilità, depressione…» (Cuore di adolescente). Il rapporto con i miracoli poetici del creato è evidente in alcuni testi dal tono selvaggio come carezza… mi si perdoni l’ossimoro, che stanno a dimostrare come la natura può divenire il medium nella relazione tra il conduttore e la persona, agevolando i momenti di relazione empatica che consentono la crescita nell’intersoggettività. In effetti la Lombardi allude a tale connessione, mette in risalto che quando lo stato climatico risuona in noi è proprio perché si è sferzati dallo stesso vento, guidati dalla stessa «invisibile mano».
Nella poesia Soffio divino, tratta dalla raccolta Luce nella sera del 2011, natura, esistenza e fede divengono un tutt’uno, dimostrando che l’essenza divina che si manifesta nella natura non è altro che la natura stessa che si palesa, si mostra e si impone all’uomo come un ente divino. Nell’antologia essenziale troviamo anche liriche di impegno civile, che spingono a pensare alle assonanze riscontrate dal professor Pardini tra la Nostra e Umberto Saba. A livello stilistico si notano la riduzione del lessico, la semplificazione della sintassi, la frammentazione del ritmo. «Corpi innocenti pestati, vinti / da chi fa della violenza / ideale di vita, / degli abusi mezzo per emergere…» (Tempi assurdi, da Gocce di rugiada, 2017).
Il timbro, caratteristica pregnante della poetica di Wanda Lombardi, diviene il colore vividissimo delle liriche più recenti. Spesso sottovalutiamo il valore di questa antica categoria poetica, rimasta ignota all’estetica classica, ma è proprio grazie a essa che il ritmo può mutare di continuo, anche all’interno della stessa lirica. Con il trascorrere del tempo l’Autrice esprime in modo sempre più incisivo la sua sete di interiorità e la capacità di possedere un linguaggio che è specchio dello spirito. Lei ha l’attitudine a parlare di Dio e a persuadere che la fede è molto umana e molto umanizzante, crea un clima nel quale ci si sente sollecitati a dare il meglio di se stessi. E illumina ancora sul concetto che l’incanto della natura, il mistero affascinante che la avvolge sono forse l’unica chiave di cui disponiamo per cercare di aprire la porta che ci separa dalla verità. «Commuoversi / dinanzi a una distesa marina / che brilla come diamante / o a vette maestose / che parlano col cielo / è dolce momento per il cuore. / Svegliarsi / tra concerti d’uccelli, / sorridere al sorriso di un bimbo / o dinanzi a un foglio bianco / inseguendo un nuovo sogno, / è sollievo per l’anima / che si inchina / alla Tua grandezza, Signore» (Piccole, grandi cose, da Gocce di rugiada, 2017).
Gli affetti, la malinconica nostalgia dei giorni trascorsi con loro, ricorrono nella poetica di quest’Arista e la sottoscritta non può che ammirarla e condividere i suoi slanci. Mantenersi, ovvero tenersi per mano, da napoletana, è il mio verbo preferito. Può bastare per la vita intera sapere di aver provato quell’amore senza tempo. Rinunciarvi rappresenta una follia. La mitologia dell’infanzia è radice di ogni nostro comportamento, e i genitori, i fratelli, quando sembrano morti sono solo svenuti. Possono riprendere a vivere nel miracolo della memoria e, come insegna la Lombardi, in quella “poesia che sa salvare il mondo”. «…Ma ancora oggi, nel tuo cinquantesimo, / piango pensando a te, alla tua storia / e intatta rivedo la tua eleganza, / il corpo tuo perfetto che invidiavo quasi. / Quante cose vorrei dirti, / quanto rivederti / per respirare con te aria d’amore!...» (Mamma, da Volo nell’arte, 2021). In famiglia si impara la grammatica dell’amore, il linguaggio attraverso il quale Dio comunica con noi. Se è vero che nel mare dell’esistenza siamo tutti naufraghi di una carezza, sento di poter affermare che le liriche di questa Poetessa dalle origini non lontane dalle mie, sono state l’isola, il ponte nel silenzio, il porto di sicurezza. Le anime si sono mescolate, la carezza l’ho avvertita e desidero restituirla.
Maria Rizzi
Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 84, isbn 978-88-31497-48-0, mianoposta@gmail.com.
Il fantasma di Alessandro Appiani, un film che non ti aspetti...
Il regista sipontino Stefano Simone ritorna con un nuovo film e questa volta lo fa, più che mai, in maniera inconsueta e sorprendente. Il titolo del film - Il fantasma di Alessandro Appiani - potrebbe trarre in inganno gli spettatori, inducendoli a pensare a una pellicola horror o velata di mistero, come spesso il regista ci ha abituati in questi anni. E invece ecco la sorpresa: il lungometraggio, di circa un’ora e mezza, è una bella commedia, leggera e con un paio di gag spiritose.
Un film che scorre senza pause e che rende la visione godibile per lo spettatore. Non mancano i riferimenti ad altri film del camaleontico regista, in particolare a L’uomo col cilindro. Infatti, in una scena viene mostrato alla protagonista un libro intitolato Luoghi arcani e misteriosi con l’immagine di Villa Rosa che campeggia sulla copertina (Villa Rosa è la location dove è ambientata la narrazione de L’uomo col cilindro). Altro riferimento al medesimo film è la camminata dei protagonisti sui binari morti.
Pur essendo una commedia, un filo di mistero percorre tutta la pellicola e annoda le morti di alcuni personaggi alla presenza di un fantasma, quello di Alessandro Appiani. Il finale è un piacevole colpo di scena. Come le location risultano appropriate al contesto, anche la musica si mostra funzionale, coinvolgendo lo spettatore e creando suspense. Ben curati i dialoghi. Ma a fare alzare l’asticella del livello qualitativo del lungometraggio è senza dubbio la bravura di tutti gli attori, specialmente dei giovani protagonisti Rosa Vairo e Matteo Mangiacotti, veri talenti naturali.
Giacomo Telera
AA.VV A cura di Alberto Figliolia, "Tifosi interisti per sempre"
AA.VV – a cura di Alberto Figliolia
Tifosi interisti per sempre
Il grande racconto della passione nerazzurra
Edizioni della Sera, 2022 - Euro 14- pag. 160
www.edizionidellasera.com
Alberto Figliolia raduna attorno a sé un gruppo di scrittori innamorati della grande Inter, praticamente due squadre al completo, ben 22 autori, oltre lui stesso nelle vesti di allenatore - giocatore. Tra gli autori dei racconti citiamo Claudio Agostini, Federico Zanda, Giovanni Marrucci, Nicola Colombo, Lorenzo Meyer, Francesco Rota, Giulio Ervino, Albert Borsalino e un grande prefatore come il centravanti Renato Cappellini. Luigi Garlando scrive: “È dallo stile, dall’eleganza del cuore che si riconoscono gli interisti. Noi interisti siamo artisti pazzi, nati sotto la luna piena di marzo, ma il nostro cuore è una spugna immersa nel coraggio”. Come posso non dargli ragione? Sono interista da un lontano giorno del 1966 quando mio padre era in poltrona e bestemmiava per colpa d’un dentista che eliminava l’Italia dai mondiali d’Inghilterra. Sono interista dai tempi del mago Helenio Herrera che vinceva campionati e coppe, al cinema gli facevano la parodia sia Franco Franchi che Alberto Sordi, ma in campo non ce n’era per nessuno, altro che Mouriño! Sono interista da quando scalpitavo sin dal venerdì sera per andare la domenica con mio padre, pronto prima dell’alba in attesa del treno, a Firenze o a Roma per veder giocare Mazzola, Suarez, Jair e Vieri. Sono interista da sempre, anche se perdiamo con il Bologna per colpa d’un portiere che non raccoglie un passaggio, anche se non vinciamo campionati per anni, insomma, non sono juventino, il nerazzurro è una fede. Pure la squadra della mia città (Atletico Piombino) indossa identica maglia e fa parte - proprio come l’Internazionale di Milano - dei miei amori inossidabili. Il libro è una raccolta di racconti, l’impostazione è sentimentale, si viaggia sulle ali del ricordo, con un pensiero unico espresso a più voci, guidate da un direttore d’orchestra come Alberto Figliolia, che lega i ricordi con il filo sottile della nostalgia. Renato Cappellini firma l’introduzione, la sua figurina Panini è una mia personale madeleine, me lo ricordo con la maglia della Roma, del Varese, persino del Como e della Fiorentina, ero un bimbo quando segnò un gol al Real Madrid, vestito di nerazzurro, in Coppa dei Campioni. Alberto Figliolia lo conosco come esperto di calcio e di basket, critico letterario, giornalista sportivo, persino poeta (ottime le sue liriche nel mondo dello sport), ma in questo lavoro è anche ottimo selezionatore di talenti. I racconti ci portano a spasso nel tempo, fanno conoscere stagioni diverse della nostra Inter, ci ricordano che ha vestito la gloriosa maglia anche Vastola, non solo Meazza, Skoglund, Facchetti, Sarti, Burgnich, Lorenzi … Tifosi interisti per sempre è un libro che non può mancare nella biblioteca del tifoso nerazzurro, bello sin dalla copertina a colori che raffigura Spillo Altobelli, palla al piede, pubblico in dissolvenza, il centravanti che mi porta indietro nel tempo alla riscoperta della giovinezza.
Enza Sanna, "Nei Giorni"
Nei giorni
Enza Sanna
La raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una prefazione dal carattere molto acuto, scritto che è esauriente, centrato e ricco di acribia a cura di Maria Rizzi.
Il testo non è scandito e per la sua unitarietà stilistica e contenutistica potrebbe essere considerato un poemetto.
Scrive la prefatrice che con autentica ammirazione si è imbattuta nel canto elegiaco di una poetessa che affresca versi nei quali si respirano le pietre profumate d’antico, le chiese d’incenso, le botteghe di cuoio e le pasticcerie di canditi della sua Genova. Continua la Rizzi affermando che la poesia che apre la raccolta vola sul piano metafisico, disciplina la verità attraverso l’inventiva, stupisce nel dimostrare come il senso del nostro percorso terreno sia nella delizia del disordine, “nell’ingrandire così tanto il momento nel riuscire a fare dell’eternità un niente, e del niente un’eternità” (cit. Blaise Pascal).
Leggiamo l’incipit del componimento intitolato Certezza di cose vere: «Anche oggi è sorta l’aurora / calice di chiarità di luce / e con la luce la speranza, / certezza di cose vere / forza vitale a una realtà futura / per cogliere l’essenza dell’eternità. // È incontro di mente e cuore / passione e cautela / trascendenza e ragione / è rischio, è sfida di sopravvivenza / gioia prima della gioia / oltre ogni comprensione…». Un inno alla speranza, alla libertà, all’equilibrio e all’armonia, sotteso ad una vena intellettualistica di matrice filosofica.
Il senso e il sentimento del tempo sembrano essere i protagonisti della raccolta, categorie che fanno da sfondo a una natura elegiaca con l’aroma del pane ancora caldo e la danza dei fieni sulle aie: «… Dà vita il respiro del vento al mandorlo in fiore / in campi aulenti di mirto / ove è fiamma la ginestra posseduta dal sole…» leggiamo in Necessaria regressione». Una magia e malia della parola emoziona il lettore nel sogno a occhi aperti nel naufragare leopardianamente nel paesaggio che pare a poco a poco iridarsi per scendere fino all’anima e c’è un tu che è presente come la vita intensa dell’albero. Linearità dell’incanto pare pervadere questi versi precisi, leggeri e icastici nella loro intelligenza.
L’io poetante si apre a immagini e viene detta anche la parola stessa nel suo ripiegarsi su se stessa con un procedimento intrigante: «…Indocile ora la parola nella sua secchezza / quasi verbale prosciugamento / nella sua sofferta indecisione / che ogni iniziativa vieta / nella soluzione degli eventi…» leggiamo in Sopraggiunge il crepuscolo; componimento composito e complesso come tutti quelli della raccolta e uno dei pregi di questa poetica è proprio la chiarezza nella sua vera natura articolata e sublime che tra detto e non detto trova la propria forza nel debordare dell’ipersegno.
Al lettore pare di affondare nelle pagine, nelle composizioni che hanno qualcosa di scabro ed essenziale e solipsisticamente l’io-poetante molto autocentrato descrive situazioni che a tutti noi è capitato di vivere magari inconsciamente o preconsciamente ma che non avremmo potuto dire, delineare come riesce a fare la Nostra con urgenza e grande forza espressiva in quello che diviene un serrato esercizio di conoscenza in versi permeati da fascino, forza e nello stesso tempo dolcezza.
Raffaele Piazza
Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.
Francesco Rossi, "Scorie d'esperienza"
Scorie d'esperienza
Floriano Romboli
Guido Miano Editore, 2022
Si ritiene generalmente tramontata l’idea, legata in special modo alla stagione estetica e critica del Romanticismo, secondo la quale l’arte coinciderebbe con l’immediatezza intuitiva, farebbe tutt’uno con la schiettezza e la spontaneità fantastico-sentimentale, e sarebbe tanto maggiormente coinvolgente e riuscita, quanto meno appesantita da ingombranti bardature intellettualistiche, quanto meno subordinata a estrinseche finalità ideologiche, ad astratti presupposti culturalistici.
A ben vedere da sempre la poesia è sublimazione di cultura, frutto di attenta elaborazione stilistico-formale, occasione privilegiata per un confronto ponderato e sollecitante con figure e opere della tradizione storica e letteraria coeva o passata, momento impegnativo di una aemulatio rivolta alla precisazione di un nuovo punto di vista, alla prospettazione di opzioni ideal-problematiche diverse.
Infatti non casualmente la prima sezione della raccolta consiste nel richiamo sistematico a titoli della produzione lirica di Pier Paolo Pasolini menzionati nella loro specificità referenziale, da Le ceneri di Gramsci (1957) a L’usignolo della Chiesa Cattolica (1958), da La religione del mio tempo (1961) a Poesia in forma di rosa (1964) a Trasumanar e organizzar (1971); a Francesco Rossi lo scrittore di Casarsa appare intimamente contraddittorio, diviso fra il rigore della razionalità argomentativa e la passionalità immedesimante, istintivamente e vivamente partecipativa: «…/ In teatro strenuo s’esibisce / il voler che il viscere lacerato, / l’intelletto e il sentire rappresenta. // Vasta delle esistenze la distesa, / il brulicare di vite e passioni / onde il cerebro la tragedia incarna. /…» (A miglior vate le ceneri…).
Soccorrono dei versi compresi nel poemetto eponimo del primo libro pasoliniano rammentato poco sopra: «Mi chiederai tu, morto disadorno, / d’abbandonare questa disperata/passione di essere nel mondo?» (corsivo mio, come sempre in seguito); il nostro autore vi si richiama esplicitamente («…/ Disperata vitalità s’afferma / il valore del personale obiètto, / onde nell’Inferno / si brucia e perde / d’autostrade e di città degradate, / burelle orrende al brulicare ostesse. /…», Trasumanar in forma d’inerte rosa…) e ne fa spunto per un interessante approfondimento della contraddizione alla quale si è fatto cenno: Pasolini è testimone invero vigile («…/ ma nella condizione fuor di speme / s’assedia al proprio tempo il Testimone, / scontrosa erma di corrucciato orgoglio / contro il reo disperdere armonia», La religione del tempo), non nasconde la propria forte vocazione pedagogica: «Smania il Poeta di parlare al mondo, / di raccontare, di offrire se stesso, / a un contesto sociale di valori! // Religioso oscuro cerimoniale, / lugubre cattolico sensuale / per l’ossessione di barocca tinta, / involve ìtere d’Ideologia, / dai riti della tradizione avita, / attraverso la colpa per il vizio, / fino alla scoperta d’agito Vero. /…» (L’usignolo che stonato canta…); nondimeno approda infine a una condizione di disorientamento, di ripiegamento etico-intellettuale, di scacco: «L’abiura scocca come al giovanile / errore, al mondo perso d’ideali, / belle bandiere per sempre vanite. // Rimorde allor l’oratoria all’impegno, / trasumanar organizza l’esistenza, / flusso che non s’arresta al personale / d’occasioni e d’incontri all’abbandono, / polemica riflessa condizione / di qual difficile uman sia salto» (Trasumanar in forma d’inerte rosa…, op. cit.). […].
Floriano Romboli
(dalla prefazione)
L’AUTORE
Francesco Rossi è nato nel 1973 a Jesi (AN); nel 1997 si è laureato in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Perugia. È docente di Materie Letterarie e Latino c/o il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Jesi (AN). Ha al suo attivo in campo letterario le seguenti pubblicazioni: Controcanto pasoliniano (antologia poetica); Il cerchio dell’ombra (antologia poetica), 2010; CredereRicordareRiflettere! (romanzo storico), 2010; Eccezioni del tempo (racconti), 2011; Il gigante di Dio (antologia poetica), 2012; La divisa del prefetto (romanzo storico), 2012; Immemoriale (romanzo autobiografico), 2012; Proprietà transitiva. Autobiografia su commissione (romanzo autobiografico), 2015; Anch’io sono figlio della Crisi (romanzo autobiografico), 2015; L’assalto al treno e oltre (romanzo storico), 2019; Una medicina per l’anima (romanzo giallo), 2021.
Francesco Rossi, Scorie d’esperienza, pref. di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 188, isbn 978-88-31497-90-9, mianoposta@gmail.com.
Javier Marias, "Domani nella battaglia pensa a me"
Tutto in questo libro è ingannevole a partire dal titolo, tratto da una citazione di Shakespeare che recita "Domani nella battaglia pensa a me, cada la tua spada, dispera e muori". Quello che pareva un romantico arrivederci di una sposina lasciata a casa dal suo guerriero, si tramuta in una spaventosa maledizione di un fantasma: pensa a me, al male che mi hai fatto, che la tua forza ti abbandoni e che tu possa morire soffrendo. La storia è abbastanza nota: Marta invita Victor a casa sua in assenza del marito, a Londra per lavoro, per una cenetta e una possibile avventura extraconiugale che non verrà mai consumata perché la donna, seminuda dopo i primi approcci, ha un malore e dopo poco muore. Victor nell'agitazione della consapevolezza che chiunque troverá il cadavere capirà che la donna era in gentile compagnia, i sensi di colpa per lasciare il bimbo che dorme nella cameretta a fianco insieme alla madre morta, dopo alcuni goffi tentativi di rintracciare il marito per avvertirlo, fugge. Ma poi cerca un contatto con la famiglia di lei: troppa è la curiosità di sapere chi e come hanno trovato il corpo, cosa hanno capito e se sono riusciti a risalire a lui, se hanno scoperto che la donna aveva in realtà anche un amante fisso, dettaglio che Victor conosce ma per il quale si è portato via le prove. In realtà come spesso accade nei libri di Marías non succede molto: tante riflessioni, minuziose descrizioni del quotidiano, conversazioni, congetture, ricordi e digressioni che ampliano il tema principale e che devono condurci al fatto finale, totalmente inatteso e che rovescia tutto quanto sapevamo dall'inizio. Victor è un uomo comune messo di fronte a un fatto eccezionale, sgradevole, di cui si rifiuta di accettare la responsabilità, per non uscirne in maniera ancora più miserabile, perché teme l'ira dei familiari della donna e del marito. Ma Victor, come tutti noi, si arroga il diritto di conoscere tutta la realtà quando ne immagina uno spicchio corrispondente a ciò che lui con i suoi limitati strumenti può limitarsi a percepire e al massimo immaginare, dimenticandosi che quasi mai le cose sono come ce le prefiguriamo. Troppe sono le variabili in gioco: le nostre motivazioni, fatti che ci vengono nascosti, i moti dell'animo altrui. Come viene ripetuto in più punti del romanzo, viviamo nell'inganno e non dobbiamo dolercene o sentirci stupidi per questo, essendo la nostra condizione normale. Come dice un antico adagio "la vita è una tragedia vista da vicino e una commedia vista da lontano". Se per ogni nostro pensiero, desiderio, progetto o interazione ce ne ricordassimo e ci prendessimo con più leggerezza e ironia, riusciremmo a ridere degli inganni che subiamo e di quelli che più o meno volontariamente causiamo negli altri, e riusciremmo ad amare di più il prossimo, consci del fatto che siamo tutti attori e spettatori nel medesimo teatro. E forse tutti vittime e carnefici allo stesso modo.
ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI RIGUARDO WANDA LOMBARDI A cura di Enzo Concardi
Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi
a cura di Enzo Concardi
Guido Miano Editore, 2022
Questa pubblicazione si prefigge lo scopo di presentare il materiale costituito dalla produzione della critica letteraria sulle opere poetiche di Wanda Lombardi, in relazione alle tendenze principali contemporanee, alle sue metodiche e analisi filologiche, agli aspetti comparativi testuali, alle interpretazioni dei vari apporti provenienti da diverse impostazioni culturali. Mi pare importante precisare che, quando un autore – in questo caso autrice – si preoccupa di porre ordine in tutto quello che è stato scritto su di lei, avverte il bisogno di lasciare un messaggio ai suoi lettori ed estimatori: è come se volesse dire che la sua poesia è vita vivente e che l’attenzione riservatale dagli specialisti del campo contribuisce a incrementare il suo valore, perché approfondita, spiegata, sviscerata, dipanata, chiarita nella sua complessità e ricchezza stilistica e contenutistica. In altre parole Wanda Lombardi affida al confronto critico un sigillo importante di autenticità sulla propria opera e tale aspetto della sua personalità umana e artistica torna a suo onore.
Se analizziamo i contributi critici scritti sotto diverse forme – prefazioni, recensioni, saggi, articoli – sui libri di Wanda Lombardi, possiamo notare come essi nel loro sviluppo rispondano a quella tendenza contemporanea che definirei critica multifattoriale, ovvero che tiene conto dei vari apporti del settore avvenuti dal Novecento ad oggi, in epoca post-crociana. Ciò non significa per nulla un passo verso il relativismo culturale o un tentativo di facile sincretismo, ma, al contrario, ci si è resi conto da più parti che è opera intelligente non chiudersi in steccati ideologici, e che le diverse scuole di pensiero spesso non sono alternative, ma piuttosto complementari tra loro, ottenendo così risultati più completi, interpretazioni più autentiche, perché attinte da più approcci: da quelli idealistici a quelli estetici, storici, sociali e altro. Se la critica odierna non può ancora prescindere, e forse mai lo potrà, dalle grandi lezioni del passato – che rispondono soprattutto ai nomi di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce – ha tuttavia sviluppato altre acquisizioni che, consapevolmente o meno, tutti noi applichiamo. (…).
I saggi critici su Wanda Lombardi – compresi quelli da me scritti e che dovrò autocitare – analizzano la sua opera sia con la lettura delle strutture interne dei testi, sia con una visuale diacronica, ovvero che ne osservano lo sviluppo attraverso il tempo. Oggi il critico si muove sempre di più in una direzione gnoseologica, cercando di non essere semplicemente un ‘recensore’ che emette giudizi solo estetici, ma uno studioso-specialista che agisce anche con metodi scientifici cognitivi, senza ricadere nell’errore del dogmatismo. (…).
Enzo Concardi
(dall’introduzione al libro)
L’AUTRICE
Wanda Lombardi è nata e vive a Morcone (BN). Laureata in Pedagogia, ha insegnato Materie Letterarie nelle scuole secondarie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Sensazioni (2001), Nel silenzio (2002), Luce nella sera (2011), Oltre il tempo (2015), Voci dell’anima (2016), Gocce di rugiada (2017), Opera Omnia (2018), Attimi lievi (2018), Il senso della vita (2019), Nel vento dell’esistere (2020), Volo nell’arte (2021); i libri di narrativa: Proverbi e modi di dire morconesi (2008), Racconti fiabeschi, letture per la scuola (2011); i romanzi: L’eco del passato (2012), Sulla scia del destino (2016) e i testi teatrali: La fortuna dietro l’angolo (2013), Una volta… c’era (2014) e Ce la faremo (2016).
Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 84, isbn 978-88-31497-48-0, mianoposta@gmail.com.
Maria Giovanna Massironi, "Cronache della terra di nessuno"
Cronache dalla terra di nessuno di Maria Giovanna Massironi (Albaccara - Casa editrice, 2020 pp. 112 € 12.00) è una raccolta poetica intensa che assorbe dalla consapevolezza del dolore la linfa vitale e compassionevole della memoria. La poesia di Maria Giovanna Massironi accoglie testi arrendevoli al disagio emotivo e resistenti al vincolo della speranza. L'autrice genera, attraverso una persistente confessione quotidiana, l'apprensione del proprio stato d'animo, la sofferenza dei giorni e delle notti, scandita dall'irrequietezza dei pensieri, in balìa del segnale della frattura esistenziale. Coglie la lesione dell'anima, una ferita accompagnata dalla malinconica amarezza di ogni sospensione della vertigine e dal profondo tormento per gli incubi e i fantasmi che si aggirano, crudeli e magnetici, nella sua mente. Maria Giovanna Massironi abita la terra di nessuno, il territorio conteso dai timori e dalle incertezze del vivere, il non-luogo della fluidità sensibile, il confine interpretativo della propria identità. Il libro confessa la rapida e spontanea evidenza dello smarrimento emozionale, sintonizza il fruscio segreto dell'umore, il silenzio nascosto dell'inadeguatezza. I testi, solo apparentemente frammentari, elaborati con la lealtà dell'impulso, donano il senso compiuto e graduale di una scrittura senza impedimenti, la libertà sincera di una funzione liberatoria, la capacità creativa di orientare le energie soffocate dall'affanno della perdizione. Cronache dalla terra di nessuno esprime una forma di premonizione istintiva, avvinta alla soglia del mondo interiore e all'esperienza delle sensazioni, collega l'ipotesi indefinita e disorientante delle difficoltà al riscatto di un orizzonte vagheggiato, varca la soglia della malinconia osteggiando l'inquietudine. Maria Giovanna Massironi resta “in limine”, sulla soglia dell'espressione, dona al lettore il suggerimento sentimentale per affidare alla vita sempre una straordinaria opportunità di rivendicare il proprio tempo. L'occasione letteraria di sollevare le proprie riflessioni evidenzia il privilegio di tradurre l'oggettività delle pagine dense di significato, di comprendere l'avvicendarsi degli eventi patiti, di condividere l'importanza del vissuto, la commovente e indecifrabile percezione della grazia. La poesia gratifica ogni ispirazione individuale, estende la consistenza del respiro universale, sfiorando la complicità della resistenza. La provvisorietà di una bruciante esistenza collega l'influenza dei versi, disgiunge la frattura dell'anima, il duro scontro inevitabile con la realtà, coglie la complessità delle vicissitudini, l'enigma delle illusioni. La poetessa, con uno stile originale, convincente e attuale, segue sempre l'eco di una psicologica attenzione al monito della coscienza, nell'individuare la riparazione del torto, nel consolidamento temporale dello spirito.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Notte dieci. Giorno undici.
La notte appartiene agli ubriachi
e l'alba conserva
il suo splendore di albicocca.
La rivoluzione resterà un sogno
perduto nelle chiacchiere del mattino.
Voce d'argano e ruggine
viene dal mare e vi si perde.
Non il velluto, ma la ruggine
ha invaso ogni cosa.
Ci ha preso cuore e cervello.
Nervi e sangue.
Al richiamo di quella voce
abbiamo inseguito chimere
e mille volte siamo morte.
Nel giorno undici
non c'è posto per noi.
Stiamo come in porto
a tagliare pomodori,
a prua della nostra
piccola casa rosa.
Solo le zanzare sono tornate.
Notte trentuno. Giorno trentadue
Nella notte abbiamo perso un calzino.
Il destro per l'esattezza.
Pensando di fare bene
ci siamo tolti anche il sinistro
e abbiamo sbagliato.
Alle ore 5,28 siamo completamente
svegli con tutta la nostra disperazione
e i piedi gelati.
Sotto le finestre, niente storie
di lupi e di pirati.
Il cielo è azzurro e le strade sono deserte.
Niente ci consola.
Il giorno trentadue inizia
pieno di ansie e preoccupazioni.
Spegniamo la radio.
Ci sono cose che
non si possono più ascoltare.
Notte quarantatré. Giorno quarantaquattro
Il buio non finisce mai.
Attraversiamo la città,
camminando sotto la pioggia.
I tetti sono lucidi
e noi siamo bagnati fino alle ossa
come le nostre carte
e i libri che portiamo a tracolla.
Sono bagnati i quaderni con le copertine
di cartoncino leggero che si slabbrano
e si abbandonano ad un'onda molle e pendula.
Siamo svegli dalle cinque.
Piove e non fa freddo.
Le nostre scarpe non tengono più la pioggia
e l'acqua arriva fino alle caviglie,
gonfia le calze che resteranno umide per ore.
L'ombrello ci avvolge floscio
e ci rende difficile vedere
dove mettiamo i piedi.
La tracolla ci taglia il respiro.
Tosse e fuoco nel petto.
Torniamo a casa
cercando una fuga
tra i buchi del selciato
che sono piccole voragini
di terra e sassi.
Nel giorno quarantaquattro
qualcuno si è preso la sua piccola vendetta.
I nani hanno lasciato il giardino
e con le scarpe infangate
sono entrati in casa
sporcando dappertutto.
Notte cinquantotto. Giorno cinquantanove.
Che parole usare nel giorno più buio?
Tronche? Piane? Sdrucciole? Bisdrucciole?
Piane, con cadenza di adagio.
Rassicuranti e confortevoli parole piane.
Casa. Libro.
No certo caffè oggi.
E neppure gioventù
e meno che meno libertà.
Le parleremo tutte piane.
Sommesse, quasi silenziose.
Piano. Piano. Forte.
Il presente è all'improvviso tronco.
Ricorderò.
Ricorderemo estati perdute.
Le città sul mare. I caffè turchi. I sogni.
I tuoi occhi bellissimi.
Le domeniche a san siro.
Le luci in galleria.
La sabbia umida. Le partire a pallone.
La salita ai bottini. Gli ulivi. I gatti.
Suonare insieme alle vocali.
Per una volta guardare indietro.
Enza Sanna, "Nei giorni"
Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.
Con autentica ammirazione mi sono imbattuta nel canto elegiaco di una poetessa che affresca versi nei quali si respirano le pietre profumate di antico, le chiese di incenso, le botteghe di cuoio e le pasticcerie di canditi della sua Genova. Mi sono trovata di colpo nel dedalo dei caruggi, scoprendo, sin dalle prime pagine della sua nuova silloge Nei giorni, che il mondo lirico di Enza Sanna tende a operare un distinguo tra fantasia e immaginazione. Se di consueto l’esistenza è votata ai fatti, l’immaginazione aiuta a conservare le illusioni, e in effetti non possiamo fare nulla senza averlo prima desiderato e idealizzato. «… / È incontro di mente e cuore / passione e cautela / trascendenza e ragione / è rischio, è sfida di sopravvivenza / gioia prima della gioia / oltre ogni comprensione /…» (Certezza di cose vere). La poesia che apre la Raccolta narra ciò che una profana come la sottoscritta non sa dire con le parole. Vola sul piano metafisico, disciplina la realtà attraverso l’inventiva, stupisce nel dimostrare come il senso del nostro percorso terreno sia nella delizia del disordine, «nell’ingrandire così tanto il momento da riuscire a fare dell’eternità un niente, e del niente un’eternità» (cit. Blaise Pascal).
L’Autrice sceglie di esistere in un non-luogo del pensiero, che concede tregue alle fatiche del tempo: «…/ Mi rifugio negli oggetti di casa / pezzi sinceri di verità / che narrano una loro storia / fatta di rapporti con chi la abitava / quasi impazzito innamoramento verghiano /…» (Sopraggiunge il crepuscolo). In una Poetessa visionaria è straordinario il rimando al neo-realismo dell’artista siciliano, definito come una scelta di follia, come il vano pascolo di uno spirito disoccupato. Interessante ed esaustivo il riferimento agli ‘oggetti di casa’ che testimoniano il rapporto ‘con chi la abitava’, non con colei che scrive. La Sanna dimostra che il poeta non traduce in parole una visione, in quanto la sua visione si elabora in esse. Ella crea la distanza dal mondo oggettivo mentre asserisce di trovare riparo in esso. Raramente ho letto liriche così esplicative dell’autentico universo poetico. L’incandescente purezza della nostra Artista dimostra che l’ispirazione permette di proiettare il proprio flusso di concezioni interiori in un mondo che ne è dannatamente privo.
Il Poeta possiede il dono di vedere ciò che è invisibile agli altri. «…/ La mutevolezza dell’essere / la precarietà delle cose / crean un vuoto d’intorno / come andar fra estranei / tra chi le spalle ci ha volte / con una sola dolorosa certezza: / non ci si bagna nella stessa acqua / due volte. /…» (Bellezza d’anima e di sensi). Si sente ancora, forte, il senso della vita che sguscia come polvere nella clessidra, nei labirinti dei caruggi tra i quali è fin troppo facile perdersi, non sapere cosa si nasconda dietro la prossima curva. La chiusa eraclitea evidenzia che non ci si può bagnare ogni giorno, anzi, in ogni momento, nello stesso fiume, perché ogni cosa, ogni alba, ogni sole, sono sempre in movimento, forze dinamiche, dialettiche. La mente coincide con il passato, è memoria accumulata e se si guarda l’esistenza attraverso essa ogni cosa sembra polverosa, sporca, vecchia. Se si riescono a mettere da parte i ricordi, ogni esperienza, ogni amore diviene nuovo di continuo. Nessuno conosce mai nulla. Rimaniamo estranei, eternamente estranei. Schiavi del vortice dei giorni, che possono sembrare tutti uguali, come le aste sui quaderni dei bambini.
La Sanna vola alto, dietro l’apparente nichilismo, conosce l’armonia del creato e prova a guardare la vita affidandosi alla meditazione, all’armonia interiore. «…/ Improvviso il tempo si è fermato / su un’ombra che credevo cancellata, / sembianza vaga che mi fa pensare: / non si dissolve pur nel suo passare / il tempo che fu quello dell’amore / per ritrovarti ancora nella luce / quando il giorno tace / ché l’intesa perfetta non chiede consensi / neppure uno sguardo per sentirci accanto /…» (Improvviso il tempo si è fermato). L’amore trascende le visioni, è sentimento pulsante, che può fermare il senso eracliteo del fiume nel quale ci bagniamo, ma secondo l’Autrice non chiede parole, ‘consensi’, esiste e lo si riconosce, come recita Pablo Neruda: «E da allora sono perché tu sei, / e da allora sei, sono e siamo, e per amore sarò, sarai, saremo».
La Sanna varca con incredibile semplicità i limiti del concepibile, la sua non è poesia di confini, in compenso genera misteri, è evocativa degli stati dell’inconscio. Ed è tesa alla luce divina che è dentro di noi. Quella che non appartiene a una religione in particolare, ma a tutti i credenti. «…/ La solitudine, che ci fa amici di nessuno, / noi rivali persino a noi stessi, / pesa anche sul foglio bianco / inoperoso maggese a ritemprarsi / quando t’assale la paura della vecchiezza più della morte / e il pianto che non sgorga, non si vede / è silenzio di pietra. / Ma se improvviso sopraggiunge il canto / intenso bagliore splendido di luce / feconda è l’ora / e chiaro il giorno della festa» (Giorno di festa). La caducità del tempo che ci è dato in sorte, intesa in senso etimologico dall’Autrice, ovvero dal latino ‘caducus’ - cadere, che è destinato ad avere breve durata, la avvolge come sudario, soprattutto nei giorni di festa, ma esiste un modo per sentir cantare l’anima, per sollevarci al di sopra delle barriere della vita materiale: cedere alla verticalità. Il viaggio spirituale, che si può compiere in ogni momento, consente l’accettazione del ritorno della luce nei nostri cuori.
La Poetessa, lirica dopo lirica, trascina nelle spirali del suo disincanto, dei suoi dubbi e delle sue vivide, altissime illuminazioni, e rende consapevoli che la Poesia rappresenta un mezzo di comunicazione superbo e ‘terapeutico’, come ella stessa recita. Io non conosco Enza Sanna, ma attraverso i suoi versi ho seguito il ritmo dolce e profondo di un’arpa celtica, lo strumento che possiede le sonorità adatte a instaurare un dialogo tra chi suona e chi ascolta, e ho avuto la meravigliosa sensazione di percepire i ritmi di corporeità, le tensioni, la postura, il timbro vocale, la gestualità e la mimica di questa Musicista della parola. Mi è sembrato addirittura di vederla passeggiare nei luoghi che le sono cari, in quella Genova che sa unire più di molte altre città il passato, il presente e il futuro, crocevia di culture e di popoli fin dall’antichità. Sento di essere nel vero, la fusione d’anime si è compiuta: «…/ Frammenti di nubi vagano nel cielo / avanzi di abiti dismessi / che non oscuran i muretti a secco / della mia terra / né i morbidi profili dei colli / sui borghi raccolti. / Avara è la natura dei suoi doni / ma negli orti domina il carciofo / guerriero antico, / il pallido limone / raggio di sole convertito in frutto, / l’asparago turrito in carnosi germogli / dolce e selvaggio in uno. / Immersa in questa realtà vivo il mio tempo, / compagni la solitudine e il silenzio / quasi vertigine dinanzi all’abisso / mentre sulla pagina bianca gioca la parola / ora reale ora d’invenzione, / musicalità che segna tempo e spazio dell’assenza / a colmare il vuoto con effetti sonori d’armonia / nell’attesa di un’immancabile presenza» (L’immancabile presenza). La lirica ricorda le Odi nerudiane, per la capacità della Nostra di mostrare religioso rispetto e di descrivere liricamente attraverso metafore o frasi immaginifiche i frutti del creato. Non si riscontrano nella Sanna toni elegiaci rivolti alla natura, che è definita ‘avara’, simile all’esistenza, nello svuotarsi dell’amore. ‘La solitudine e il silenzio’ sono le note salienti di questo cantico, ma anche la lirica citata contiene la rivelazione nel titolo e nella chiusa. L’immancabile è un aggettivo femminile, e non può che riferirsi alla Fede, immenso eterno vagito del nostro tempo, morso di un’Eva che ha lasciato il giardino per risiedere in ogni eden che sappia accogliere la certezza di un Dio teso a credere in noi… nonostante quel morso.
Tra le vertigini metafisiche, le visioni, il senso della perdita, non mancano i punti fermi, comuni a tutti, ma sempre nel segno della Fede, il dono gratuito di Dio, che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi. «…/ Ma la famiglia d’origine è per sempre / non ti lascia mai nel tuo cammino / è parte di te, rivive nei gesti e nei pensieri / è assenza fisica mutata in spirituale presenza /…» (La perdita e l’assenza). Gli amori non ci lasciano, si spostano in un’altra dimensione sensoriale, vegliano sui giorni e sulle storie, seduti ‘nella stanza accanto’, per dirla con Sant’Agostino, divengono angeli del nostro breve tragitto terreno. Il mare, compagno di vita della Sanna, eterno sogno di realizzare la libertà dell’impossibile, è presente in molte liriche, e scandisce proprio le assenze, che rendono gusci le conchiglie di ieri.
Tra i tantissimi versi dettati da ispirazione divina mi hanno indotto a intensa commozione quelli della lirica E tu non sai, che nella seconda parte recita: «…/ Al morir della luce il sentimento del tempo ti giunge / al lago del cuore, teso l’orecchio ai suoni della notte / impercettibili sospiri. / Da lungi una nenia struggente / che ha il fascino di un faro nella notte. / Il mio essere affido alla ruota del tempo / per strade che guidano al nulla. / Scava sempre la parola / nella miniera di significati altri / che, nell’infinitamente piccolo / spesso si cela l’infinitamente grande / e tu non sai». Sul pentagramma di Enza Sanna ricorre la volontà di trasformarsi in una rabdomante, che per stanare le impossibili certezze della vita è pronta a scavare anche nel vento con le note del suo canto. E attraverso la fisica ci riaccompagna sulla sponda della spiritualità. Macrocosmo e microcosmo coincidono nel mondo delle particelle elementari, un mondo che reclama naviganti pronti a cogliere il minimo segnale all’orizzonte, perché come sa ogni marinaio di vedetta, è proprio nell’impalpabile barlume che vacilla in lontananza la promessa della terraferma.
Una poetessa dalla cifra stilistica poderosa la Nostra, dotata di sensi ammaestrati per un mondo diverso da quello che conosciamo, e che è dono di pochi percepire. Ricca di voci che spesso non intende decifrare. Lontana da ogni schematismo, da effetti calcolati, tesa a scavare con lirismo e amore assoluti nel linguaggio. Le sue metafore, le assonanze, la musica che pervade ogni verso riportano al lido della grande Poesia del passato, che traccia la rotta di un giusto futuro lontano dalle sterili correnti avanguardiste. Sarò sognatrice, ma so che non porterei per sempre con me le poesie di quest’Artista se non avessi avuto l’onore di viaggiare sulle sue note con la sensazione di vederla, di viverla. E mi piace pensare di chiudere questa prefazione seduta accanto a Enza Sanna, di fronte al suo mare, mentre si compie, tramite «una pioggia di note sulla tastiera» (Terapia musicale), il miracolo dell’arco d’amore, ovvero di Un ponte arcobaleno: «… / Ma il ponte più bello, più prossimo al cuore / è all’infinito / quando la luce del sole, dopo il fortunale / scompone i colori nell’apparente trasparenza / d’una goccia di pioggia».
Maria Rizzi
L’AUTRICE
Poetessa, scrittrice, saggista, critico-letterario Enza Sanna è nata a Genova, dove vive, opera e ha svolto una lunga carriera di Docente di Lettere nella Scuola Media Superiore. Pluriaccademica, ha ottenuto molti Primi Premi Nazionali e Internazionali, partecipando più volte a numerosi Concorsi letterari. Tra la raccolte poetiche più recenti ricordiamo: Quando gemmano i pruni (2003), Amore di mamma (2004), Per vene d’acqua e di terra (2006), Gocce d’arcobaleno (2008), Viaggio nella parola (2009), Per segreti varchi (20109), Kaleidos (2012), Frammenti lirici… ai margini del viaggio (2014), Percorsi d’utopia (2017), Oltre la parola (2020).
Il biscotto della fortuna
Pino il falegname va in un ristorante giapponese, desideroso di mangiare nipponerie. Tutti i tavoli risultano occupati o prenotati, tranne un kotatsu, un tavolino in legno sopra il quale è posto un futon.
«Dice il faggio: persona “levigata”, persona rispettata. Benvenuto» lo saluta Ginkgo, il proprietario, accogliendolo gentilmente in tenuta medievale japanese che, trattandosi di un uomo basso per non dire bassissimo, agli occhi del cliente lo fa sembrare un bonsai più che un samurai.
Pino, da testone di legno che è, ignora la sapiente frase e ordina un vassoio di sushi. L'ordinazione non tarda a venire; tuttavia si dimostra contrariato.
«Per mille chiodini del cazzo! Ehi nanerottolo giallo, le bacchette non sono di legno ma di plastica!» impreca l'artigiano.
«Perdoni, portare quelle che volere lei» si scusa Ginkgo con un inchino, piegando il torso e la testa come gesto di rispetto verso il cliente legnoso, cioè lagnoso.
Il gestore del locale, risentito da tale scortesia e non potendo tradire la tipica e rinomata educazione giapponese a parole verbali, decide di rifarsi a parole scritte proprio al momento del dessert.
A fine pranzo, il bifolco chiede dell’anmitsu preparato con agar agar e fagioli azuki. Gli viene servito accompagnato da un Biscotto della Fortuna, nel quale è nascosta una Fortuna, ovvero un pezzetto di carta che, come vuole la tradizione del Sol Levante, riporta un motto oppure una frase profetica.
«‘Sto coso è duro come il mogano!» si lamenta stizzito il maleducato falegname nel mordere il Biscotto, tant'è vero che si scheggia un dente. In qualche modo, però, riesce a spezzare il dolcetto e a tirare fuori il bigliettino per leggere cosa c'è scritto.
--- Un giorno qualcuno ti segherà le gambe. Paga il conto e... "circolare"! ---