Stefania e Giuseppe Berton, "Il tempo dell'universo e altre piccole storie"
/image%2F0394939%2F20250830%2Fob_813e36_berton-stefania-e-giuseppe-2025-il-tem.jpg)
Il Tempo dell’Universo
Stefania e Giuseppe Berton
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Nel silenzio immenso dell’universo, il tempo scorre come un respiro antico, invisibile ma onnipresente. È il battito di un cuore cosmico, il filo sottile che unisce la nascita delle galassie al sussurro dell’anima umana. Il Tempo dell’Universo e altre piccole storie nasce proprio da quel mistero: un desiderio di esplorare il tempo non come freddo concetto scientifico, ma come esperienza vissuta, interiorizzata, interrogata. Ogni poesia è una stella: brilla di luce propria, ma partecipa a una costellazione più ampia di emozioni, riflessioni e intuizioni. Stefania e Giuseppe Berton ci guidano in un viaggio intimo attraverso la percezione del tempo – un tempo che a volte si dilata come l’universo in espansione, e altre volte si contrae, come un ricordo che pulsa improvvisamente nel petto.
Il volume è strutturato in dieci capitoli ognuno con cinque poesie. Come ha notato correttamente Marcella Mellea in merito al precedente volume Time - Forty Italian poems: «ogni capitolo sembra rappresentare un momento o un aspetto differente del rapporto dell’autore con il tempo: dall’infanzia alla maturità, dal tempo inteso come memoria al tempo che fluisce inesorabile verso l’ignoto», così possiamo confermare che anche la presente raccolta accompagna il lettore in un viaggio quasi esistenziale, scandito da tappe emotive e filosofiche. In questo cammino poetico, il lettore non troverà risposte definitive, ma frammenti di verità raccolti come polline tra galassie lontane e battiti quotidiani. È un invito a fermarsi, a respirare, a contemplare. E forse, a sentirsi parte di qualcosa di infinitamente più grande, senza per questo perdere il senso dell’istante. Emblematica di tutta la produzione e significativa la lirica Il Tempo:
Questa sera, l’ultima sera dell’anno,
ho messo la legna
nella stufa di montagna,
e miracolosamente la casa si è scaldata,
ed è l’ultima sera dell’anno,
ed il tempo passa, e qualche volta vola.
E pensavo come pensiamo il tempo,
che i fisici misurano, i poeti soffrono,
i religiosi credono infinito.
Io penso che il tempo è un’illusione,
è solo un’illusione in questa vita sconosciuta.
E vale meno di un bacio.
In questo componimento ritroviamo quasi tutti gli elementi caratterizzanti la poesia di Stefania e Giuseppe Berton delicata e profonda, e il tono che la attraversa è un intreccio affascinante di intimità, riflessione filosofica e tenerezza malinconica.
L’atmosfera è raccolta, quasi sussurrata: un momento ordinario - «la legna/ nella stufa» - diventa l’occasione per meditare sull’incommensurabilità del tempo. Il quotidiano si fonde con l’universale, e il tono invita il lettore a entrare in uno spazio privato, caldo, vulnerabile. Il verso «il tempo passa, e qualche volta vola» ha quasi un sorriso malinconico, come una verità accettata con dolce rassegnazione «E vale meno di un bacio». Qui il tono è teneramente disilluso, come se, dopo tutte le elucubrazioni umane, restasse solo la realtà vissuta dell’amore, dei gesti, dei sensi. Il tempo, allora, diventa una costruzione meno importante del calore umano. Struggente poi la lirica Fratello:
Abbiamo visto il sole
scendere sui tuoi occhi
e le labbra
chiedere pietà.
abbiamo visto la tua anima,
vestita di tristezza,
camminare
per le strade dì Philadelphia.
Abbiamo visto i tuoi fratelli
come schiavi
E noi pelli bianche, quasi lieti,
per le strade di Philadelphia.
Sono passato accanto
alla tua anima,
sospesa, dimenticata, calpestata.
Mi hai regalato i brandelli
di una bandiera, ancora bagnati
dalle lacrime di domani.
Lotteremo insieme.
Perderemo insieme.
Vinceremo insieme.
E quando scenderà la sera
sui nostri occhi,
sulle nostre ferite,
sul silenzio delle nostre parole,
guarderemo il mondo
coricarsi dolcemente
E la nostra anima avrà ristoro.
Poesia che ha una forza narrativa e simbolica che colpisce nel profondo. Il tono, pur diverso rispetto a Il Tempo, mantiene una coerenza nella tensione tra intimo e universale, ma qui si addensa in una dimensione più storica, civile e profondamente empatica. Si confronta con la sofferenza altrui non con distacco, ma con volontà di condivisione. Il tono è profondamente solidale, attraversato da un senso di colpa trasformato in promessa di alleanza: «Lotteremo insieme./ Perderemo insieme./ Vinceremo insieme». Le immagini sono potenti ma delicate: «la tua anima/ sospesa, dimenticata, calpestata» evoca un dolore esistenziale e storico insieme. La bandiera strappata, le lacrime del domani - questa è una visione poetica del trauma e della speranza, in cui il linguaggio si fa quasi liturgico. Poesie che sono in dialogo tra loro dove si evidenzia una poetica dell’intimità cosmica e dell’umanità condivisa, in cui il tempo e il dolore si rifrangono in riflessioni sobrie, piene di calore umano. E se molti critici si sono soffermati spesso solo sugli aspetti più lirici e intimistici della poesia dei coniugi Berton, l’attuale prefatore suggerisce una visione più dedicata alla coscienza, alla giustizia, al senso della cura per l’“altro”. Lo evidenzia soprattutto la lirica Lottare:
Forse il primo dovere del poeta
è lottare.
Forse il più grande privilegio del /poeta
è lottare:
contro il potere,
l’oppressione,
l’ingiustizia,
lo sfruttamento degli altri,
degli ultimi,
di noi.
Per la libertà di tutti.
Certo è, questo lo sanno bene Stefania e Giuseppe Berton: non si tratta solo di una raccolta di poesie, ma di un dialogo a due voci che respirano all’unisono, un percorso condiviso che intreccia l’amore, l’esperienza e la consapevolezza maturata attraverso il contatto con il mondo grazie ai loro innumerevoli viaggi. Le poesie che compongono questo libro nascono dall’unione di due voci, ma anche da uno stesso sguardo sul mondo. Autori e compagni di vita che hanno attraversato insieme paesi vicini e lontani, incontrato volti, ascoltato storie, abitato silenzi. I loro viaggi non sono stati solo spostamenti nello spazio, ma passaggi attraverso la complessità dell’essere umano: il dolore e la speranza, la bellezza e la disuguaglianza, la meraviglia e il dubbio.
Questa raccolta è figlia di una sensibilità coltivata insieme, nel tempo, e maturata lungo le strade del mondo. È da lì che nasce quel senso profondo di solidarietà: da ciò che loro hanno visto e soprattutto da ciò che hanno sentito. Le poesie non vogliono offrire risposte, ma condividere il cammino, le contraddizioni e la bellezza fragile che ci unisce tutti.
I coniugi Berton svolgono attività medica, sempre a contatto con chi soffre. Ciò ha permesso loro di acquisire un profondo senso etico ed esistenziale: non è uno sguardo dall’esterno, ma una vicinanza quotidiana alla fragilità umana, una sensibilità maturata nel contatto diretto con il dolore, la speranza, la fine, e la rinascita.
Michele Miano
Stefania e Giuseppe Berton, Il Tempo dell’Universo e altre piccole storie, pref. di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp.92, isbn 979-12-81351-68-4, mianoposta@gmail.com.
Don giovanni Mangiapane, "Poesie del Santo Rosario e della via Crucis"
/image%2F0394939%2F20250828%2Fob_c5452c_mangiapane-don-giovanni-2025-poesie-de.png)
Don Giovanni Mangiapane
Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Giovanni Mangiapane, nato a Cammarata (AG) nel 1944, è stato sacerdote e parroco della diocesi di Agrigento per cinquantaquattro anni, ordinato nel 1970 e parroco fino al 2023.
Ama scrivere in lingua italiana e in vernacolo, anche versi, con piccoli messaggi augurali, concorsi parrocchiali, epitaffi, ricorrenze di vita.
Preliminarmente nell’addentrarci nella poetica del Nostro, si deve sottolineare che nella sua coscienza di letterato e poeta (e questo è un messaggio fondante per la corretta comprensione dell’ordine del discorso che si vuole trasmettere al lettore), il punto di partenza è il fatto che le poesie sono state scritte in lingua siciliana e poi tradotte in italiano dall’autore stesso.
Nel contesto è doveroso mettere in luce che per Mangiapane quella che lui usa ha una vera e propria dignità di lingua e non (e questo sarebbe riduttivo) di dialetto e ovviamente i lettori siciliani saranno felicissimi di poter leggere ogni componimento con il testo a fronte e avranno una marcia in più per addentrarsi nei meandri del senso.
È presente una acuta e centrata prefazione di Marco Zelioli che afferma che si tratta di un’opera poetica e nello stesso tempo un esempio di devozione che ci guida ad una meditazione fresca (come è fresca e genuina la lingua siciliana), ma assolutamente e rigorosamente valida dal punto di vista pastorale.
Le due parti della raccolta si possono considerare un continuum di riflessioni e di stile.
Le caratteristiche formali e stilistiche del poiein di Don Giovanni sono leggerezza e icasticità e nelle strofe l’uso sapiente della rima crea un piacevole ritmo, una musicalità che è veramente affascinante.
I versi della sezione dedicata al Rosario, che seguono lo schema canonico di questa preghiera con i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, nei quali protagonista è Maria Regina sgorgano come purissima acqua di primeva sorgente gli uni dagli altri e incantano il lettore e per chi è credente sono veramente un refrigerio per la mente e l’anima.
Tutto è improntato ad una fortissima chiarezza e trasparenza e i tessuti linguistici sembrano essere stati creati senza sforzo pur avendo una certa quota di complessità che si ritrova in ogni singola strofa.
«Betlemme che tu chiami,/ col sapor del vero pane,/ ti ci porta Re Tiberio,/ con il suo calendario.// Non c’è posto, troppa gente:/ voglion essere presenti/ e una grotta li ripara/ per l’evento della storia…» (Terzo mistero gaudioso: Gesù nasce a Betlemme).
La figura centrale della Madonna emerge felicemente nell’essere nominata con la sua duale identità creaturale e divina nel suo partorire il figlio di Dio del quale come scrisse Petrarca nell’Inno alla Vergine è anche figlia.
Come si diceva nei versi affabulanti si ritrova una notevole freschezza nei dettati e una forte quota di sospensione e magia anima queste mirabili pagine.
Per i cattolici che recitano il Santo Rosario questi versi divengono un segno di meditazione profonda per ogni singolo mistero.
Molto toccanti e profondi anche i versi della Via Crucis dai quali emerge un Gesù in bilico tra trascendenza e immanenza.
«Non è colpa di Pilato/ se Gesù è condannato:/ ci va Lui con il cuore/ a morire con amore…» (Prima stazione: la Condanna) e colpiscono per profondità i versi in rima: «…O gran Vergine Maria,/ la vostra pena è colpa mia» (ibid.).
Una straordinaria trasfigurazione in versi delle vicende evangeliche che diviene esercizio di conoscenza e bellezza nella sua felice armonia.
Raffaele Piazza
Don Giovanni Mangiapane, Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, testi in lingua siciliana con traduzione italiana a fronte; prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 72, isbn 979-12-81351-52-3, mianoposta@gmail.com.
Ester Franzil, "Abies alba e altre poesie"
/image%2F0394939%2F20250828%2Fob_f198f5_franzil-ester-2025-abies-alba-fronte3.png)
Ester Franzil
Abies alba e altre poesie
Guido Miano Editore, Milano 2025
Uno scrigno di gioielli è questa silloge di poesie di Ester Franzil dal titolo Abies alba cioè abete bianco, un albero gigantesco, amico della sua infanzia, che ora, giacendo a terra abbattuto dal vento, le procura una profonda trafittura di dolore. Possiamo allora subito notare la sensibilità e la compassione che albergano nell’animo della poetessa, maestra di scuola primaria e animatrice nelle Case di riposo.
Colpisce immediatamente lo stile latineggiante della sua poesia, costante nell’intera opera, come ad esempio in “Ora che crepuscolo i bagliori / del vespro in dolci ombre culla / i tuoi piagati, luminosi piedi abbraccio...” (Tramonto), e anche la sua capacità di sintesi che si rileva soprattutto nelle sue definizioni, epigrammatiche, incisive ed efficaci: “Cosmo in miniatura, / gioiello acquatico…” (Isola).
Ester Franzil è poetessa ma è anche ammiratrice dell’arte della pittura; dedica poesie a Picasso e alla pittrice messicana Frida. Di Picasso scrive “…terribile planetaria visione... sopravvissute vicende / di terrificante, mostruoso secolo / nel segreto di “Guernica” ibernato:/ …anelito spasimato di redenta liberazione” (Picasso). Di Frida: “…riflessiva e silenziosa / sofferta, sanguinante passione...” (Frida Kahlo).
Una poesia, pregna di tenerezza, coglie la scenetta in cui, quando Ester Franzil era piccolina, ad una mostra di pittura, proprio di Picasso, sfugge alla sorveglianza paterna: “Di un lustro bimba /…/ Fuggente, ridente rondinella / corre, s’arresta, rapita contempla…/ Guizzante di bellezza radiosa, …/ a paterna vigilanza sfuggita, /…/ divertita reginetta…/ Indomita monella…” (Prima infanzia).
In morte del padre, gli dedica la poesia Le calle: “…Primaverile puro cuscinetto sulla / chiara bara del papà gioiosamente / evangelico, trombe d’angeli dormienti, / nell’attonito, morto giardino / oscurità folgorante di risurrezione gravida.”
Presente qua e là nei versi il tema della Redenzione: “…Dal giogo dell’oppressore/ mi hai liberata, dalla / devastazione del tentatore salvata.” (Tramonto).
Non c’è staticità nella sua poesia e come la Redenzione è un moto perché passaggio, dal male al bene, così nei suoi versi traspare dinamismo, sia nella natura che nell’animo inquieto dell’autrice. “Si culla il mare / danza coi raggi sulle onde /… Vorrei… / sui flutti dell’oceano riposarmi / nelle amorose braccia del vento cullarmi.” (Anelito).
Oltre che il dinamismo, Ester Franzil coglie della natura pure il cromatismo. “Graniti rosa arrotondati e / lisciati da distratte carezze del vento / d’impossibile rosso si incendiano” (Stupore). Pennellate di colore ricorrono spesso nei suoi versi. “Abbraccio tronchi / variopinte erbette accarezzo / antica fanciulla incantata / tenero il turchino contemplo…” (Romitaggio).
Ester Franzil, da poetessa e da persona di fede, persegue il bene, alimentato in lei dalla sua religiosità.
Il senso della fratellanza la induce, sulle orme di San Francesco, a rivolgersi così: “fratello prato” (Meditatio) oppure “fratello fuoco” (Sacra Vampa). Definisce Assisi “pacificante del divino / giullare culla” (Assisi).
Calzante e attuale ci giunge la poesia Dialogo. Preziose le esortazioni dell’autrice: “Sii te stessa, “gnosce te ipsam”, / interfacciati nella verità / accetta conflitto, dissenso / nella luce dello Spirito Santo / trova punti di contatto…”.
Solo nel dialogo si può alimentare la speranza, molto viva negli esseri fragili e indifesi, l’unica virtù cui possono aggrapparsi. “Amoroso sacramento” (Speranza) la chiama Ester Franzil e accoratamente e dolorosamente, la connota come il grido dei poveri. Speranza: “dei poveri grido”!
Maria Elena Mignosi Picone
Ester Franzil, Abies alba e altre poesie, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 52, isbn 979-12-81351-66-0, mianoposta@gmail.com.
Giuseppe Benassi, "Cinque più uno"
/image%2F0394939%2F20250810%2Fob_ac02fa_9791259902627-0-0-536-0-75.jpg)
Cinque più uno
Giuseppe Benassi
Transeuropa edizioni, 2025
Pp 137
Ho letto tutti i libri di Benassi e questo Cinque più uno mi pare il migliore. Non per la storia, semplice e ingarbugliata allo stesso tempo, non per il messaggio, frutto dell’indignazione personale e giuridica di Benassi di fronte alla quarantena del 2020, non per il finale, che non si può svelare trattandosi di giallo simil metafisico, ma perché qui, quelli che negli altri romanzi erano solo accenni lirici alla natura e al paesaggio toscano, diventano, forse malgrado l’autore, protagonisti.
Il solito avvocato livornese Leopoldo Borrani, un po’ meno caustico, meno acido, meno volgare e incattivito – tanto da far sospettare una censura da parte dell’editore o un ammorbidimento tardivo dell’autore, dopo l’ultimo romanzo in cui aveva dato fiato al degrado e ai più biechi istinti animaleschi di un’umanità depravata – si trova alle prese con la morte di un amico, Cosimo Erba, avvocato pure lui, attivista nelle cause contro lo stato che, nel periodo del Covid, ci ha chiusi tutti in casa con il lockdown.
Omicidio? Incidente di caccia durante una battuta al cinghiale? Complotto dei poteri forti per spargere il virus e vendere vaccini letali? Tutte le possibilità sono aperte.
Intorno al morto gravitano vari personaggi. La moglie Matilde, ex bella della facoltà, svampita per davvero o per beffa. Zoran, un giovane kossovaro “tanto ammodo”, Bertha, una tedesca filonazista. Fanno capolino anche la fantapolitica e la distopia in questo giallo dove tutti sono colpevoli perché hanno un tornaconto dalla morte di Cosimo e nessuno forse lo è davvero. Ma, soprattutto, ci sono i luoghi. Venturina, Campiglia Marittima, le terme del Calidario e i boschi dove si caccia il cinghiale. Immagini che paiono uscite dalla penna di Fucini o dal pennello di Fattori. Immagini belle, pulite, che, come al solito in Benassi, contrastano con la corruzione umana.
Un libro strano e stratificato, ben scritto e che, con un continuo effetto di straniamento, richiede l’assidua partecipazione del lettore.
Gilberto Vergoni, "Frammenti d'anima, di senso e spigolature sparse"
/image%2F0394939%2F20250805%2Fob_cc14cb_vergoni-gilberto-2025-frammenti-d-anim.jpg)
Frammenti d’anima, di senso e spigolature sparse
Gilberto Vergoni
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Questo interessante lavoro di Gilberto Vergoni indirizza il lettore, fin già dal titolo – emblematica ed estrema sintesi della sua ricerca esistenziale e spirituale – sulla strada di un cammino personale ed interiore, all’interno della problematica fondamentale della condizione umana, ossia l’indagine sulle origini, il significato e il destino della vita, tout court: è il terreno propedeutico al senso religioso del nostro essere che, tuttavia, pare non sia raggiunto nei testi elaborati dall’autore nel presente libro, anche se talvolta certamente egli s’avvicina molto ad esso o, quanto meno, nasce in lui il desiderio di un simile approdo. È la perenne domanda che qualifica antropologicamente l’uomo e che ha appassionato le menti pensanti d’ogni epoca storica. Vergoni, tuttavia, scopre che il cammino della conoscenza attraverso la ragione, la scienza, la razionalità – che gli ha consentito di conseguire successi brillanti come neurochirurgo – non è sufficiente per dipanare il mistero della nostra presenza sulla Terra: rimane allora in attesa, con una onestà intellettuale che gli va riconosciuta, di quella luce che la dea ragione pare non possa definitivamente sprigionare, tanto da definirsi paradossalmente con un ossimoro: «…Io mi sono sempre ritenuto un filosofo cristiano cattolico non credente» (Un giorno a Cambridge, Novembre 2002).
Il desiderio di verità è in lui una sete mai spenta, anzi, sempre più urgente e quotidiana. Sotto questo aspetto possiamo arrischiare due accostamenti letterari, non tanto formali quanto contenutistici, con Leopardi e Pascal, due autori altrettanto insoddisfatti della ragione umana. È nota la “conversione filosofica” leopardiana che lo porta dalla “ricerca del bello” alla “ricerca del vero”, fase in cui scopre gli inganni e le illusioni della vita, sfociando in un pessimismo disperante: ciò invece non accade in Vergoni, che conserva una visione aperta alla speranza, circondato dagli affetti familiari (si leggano le liriche Figlia, Figlio, Era di maggio, Elena, Avrei voluto che tu fossi, Mamma, Silvia …) e consapevole dell’utilità umana e sociale della sua professione. A proposito dell’indagare doloroso del Leopardi sono rimasti celebri alcuni versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1831): «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,/ silenziosa luna? /…/ Dimmi, o luna: a che vale/ al pastor la sua vita,/ la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende/ questo vagar mio breve,/ il tuo corso immortale?».
Anche la vicenda pascaliana è nota. Matematico e fisico, si converte al Cristianesimo, scommettendo sull’esistenza di Dio, scrivendo la sua apologia ne I Pensieri (1670), attuando il “salto” nella fede in modo irrazionale: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» (Pensiero 277). Questo è il “salto” che nel nostro autore non è ancora avvenuto, ma di cui si trovano le premesse in diverse sue liriche e meditazioni, tratte da Frammenti d’anima, di senso e spigolature sparse, tra cui: «Verità, dove sei?/ No, non splendi in mezzo al prato./ Come sui monti all’inesperto/ ciò che copre l’orizzonte sembra la cima,/ come l’alta onda t’illude esser l’ultima/ anche nell’infinito oceano,/ così l’occhio miope dell’uomo/ che non sa,/ non vede.// Verità, dove sei?/ Quante lacrime ancora dovranno lavare,/ amare e salate,/ gli occhi dell’uomo perché veda?/ Dall’alto tutto sembra pace. Non c’è ragione per il male./ Dall’alto non si sente il grido e non si distingue/ il colore, l’accento, l’odore. / Né l’altare. / Dio, perché sei così lontana?» (Verità, dove sei?). Ed anche: «Scrivo di me, della vita;/ ho cercato e pensavo d’aver capito,/ ma non so perché il mare è salato!/ L’acqua è dolce e scende e scorre./ E così la vita.// Forse scrivo per essere dove non sono/ o forse perché vedo dove non guardo./ Come in un sogno che sembra più vero/ perché altro e altrove./ Là,/ dove andrò e dove andrà la mia mente.// Il dove,/ l’era,/ il sarà,/ sono confusa percezione che/ l’adesso dilata./ Resta solo il ricordo di un’emozione./ E non so perché il mare è salato!» (Perché).
Si nota in tali testi la metrica a forma libera scelta dall’autore, anche se nel complesso della struttura letteraria prevalgono terzine e quartine; l’uso di anafore, tecnica che rende più efficaci i ritmi di alcuni versi; l’utilizzo della metafora (frequente è quella del mare) che è quasi un’esca per il lettore, sollecitato così a cercarne l’interpretazione; la forma interrogativa, quasi d’obbligo in una poetica di ricerca a domanda e senza risposta. Un’altra scelta importante effettuata nel libro è l’alternanza fra poesia e prosa: ciò mi pare giustificato dal fatto che, mentre la poesia è soprattutto sintesi, la prosa tende maggiormente verso l’analisi, forma scritturale che serve all’autore per approfondire le sue riflessioni e dissertazioni filosofico-ontologiche, senza rinunciare a qualche abbozzo narrativo, ma anche prendendo di petto le questioni dal punto di vista teoretico per inviare messaggi chiari e definibili. La letteratura di Vergoni ha un’origine eminentemente autobiografica, ma, quando egli passa dalla visitazione dei sentimenti – dove sa comunicare con abilità stilistica le emozioni, le sensazioni, gli stati d’animo – o dalla contemplazione della natura, alla speculazione più intellettuale, il referente dell’io si trasforma in una profonda proiezione universale, data la sostanza cosmica delle tematiche prese in considerazione, che riguardano l’essere metafisico e storico, la mondanità e l’escatologia, la condizione femminile nella società odierna ed accattivanti tuffi nella dimensione memoriale, dove appaiono anche misteriosi dèjà vu.
Due pagine essenziali, per capire l’approccio dell’autore con la realtà, sono quelle scritte sotto il titolo: Razionale sentimento, forse…, nelle quali l’avventura umana, la storia dell’umanità e la loro interpretazione, vengono narrate all’insegna del mito, a partire dalla cacciata dall’Eden, la caduta iniziale che ci ha condannati ad una nostalgia perenne di ciò che abbiamo perduto: la felicità, la libertà e la conoscenza. Lo afferma egli stesso con queste parole: «Forse è per questo che la vera storia dell’uomo, quella immutabile del suo animo, è stata scritta e tramandata nel mito…». E così rievoca il destino di Ulisse, che in realtà non ha mai lasciato Itaca, perché è rimasta sempre nel suo cuore; quello del dio Osiride, fatto rinascere da Iside ricomponendo i frammenti del suo essere, paragonando Osiride alla verità e la funzione di Iside a quella che dovremmo assumere noi, nel nostro mondo. Vergoni si spinge ad affermare che: «…forse, la scintilla della conoscenza che ancora alberga in noi, meglio si vede nel sogno e, forse, è nel sogno che la vera vita parla e ci indica “ciò che è”». Quindi la dimensione onirica è quella che ci può suggerire maggiormente la vera conoscenza, ovvero: «Chi siamo, da dove veniamo; dove stiamo andando». Ma tutto è subordinato a quel forse, che lascia le questioni in sospeso.
E, simili a queste due pagine in prosa, troviamo diverse liriche in cui emerge il bisogno del ritorno a casa, la ricerca dell’identità, il destino dopo la morte, la vita che se ne va, la solitudine, il significato del Tutto. La Casa, nella visione del poeta, assume plurimi significati: il nucleo centrale degli affetti; il luogo dove si aspira a tornare dopo un viaggio; ma è soprattutto l’origine con la quale si brama il ricongiungimento definitivo: «Dov’è la mia casa, la nostra casa? … Quando mi sentirò di nuovo a casa? … Dove stiamo dunque andando se non sempre verso casa?». Il credente direbbe: «Ritorno alla casa del Padre». Il poeta presta la voce a Reyhaneh Jabbari, donna iraniana condannata a morte per l’uccisione di un uomo che voleva violentarla: anch’essa prega e spera di ritornare nella casa divina: «…Voglio che i miei occhi ormai chiusi/ vedano e vadano col vento/ perché mi porti/ là dove il Giudice sa». Nelle pietre di antiche chiese si compie «il mistero dell’essere qui,/ testimone di cose che non so/ ma che porto dentro»: è ancora il sentire l’Altro, senza saperlo riconoscere. E il chiedersi i perché comporta anche il trovarsi nel deserto: «…Vivo nella vertigine della solitudine/ di chi vede e sente/ negli indifferenti attimi che passano...» (Guardando il silenzio). La partita del senso sembra persa («... di un senso che non c’è…»), ma «alla ricerca infine di un senso» egli è pronto comunque a sperare contro ogni speranza (Sogni nel sale del mare).
Bisognerebbe poi leggere, sul tema della morte che si preannuncia, tutta l’allegoria della poesia Scacco matto, che può rievocare le sequenze del film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo, dove un cavaliere sfida la Morte ad una partita a scacchi per rimandare il suo destino; nella lirica di Vergoni i primi tre versi ne riformulano lo scenario: «Mi ha sfiorato il freddo sussurro di chi pensavo Sorella/ credendo anch’io di poterci giocare/ coi labili schemi, regole e strategie degli scacchi…». Ovviamente la conclusione è tutta a favore della Straniera, che sempre dà scacco al re: «Non capivo che il tempo/ semplicemente per Lei non è!». Altre frecce nell’arco della poetica vergoniana – come già accennato – sibilano nella memorialità dell’infanzia: Leggero come un amico ci narra del compagno di giochi, presenza indispensabile di tante giornate; Festa rievoca le suggestioni dell’età più bella e spensierata: «…Come lo scirocco che vien da lontano,/ il ricordo riscalda/ sciogliendo il cuore e finalmente le labbra/ in un sorriso sereno e, per un po’, senz’affanno»; anche Effimera brezza ci conduce nel passato, «di quando, bambino, la vita/ per quell’attimo che è, era immortale».
Ci soffermiamo ancora sull’aspetto d’ispirazione naturalistica dentro la poetica di Gilberto Vergoni, citando, ad esempio, Tappeto di foglie, delicata lirica dell’ambiente boschivo autunnale, contesto accattivante per un incontro d’amore: «…Il sapore rimase in un attimo immenso./ Senza ricordi./ Solo un inebriante sapore di te». E il verso anafora «abbiamo camminato su un tappeto di foglie» danza fra le strofe come il ritornello di una canzone. Ci sarebbero anche Rosa solitaria, Mare e altro… ma il nostro spazio è terminato, quindi invitiamo il lettore ad impossessarsi di questi frammenti e di queste spigolature, che meritano una visitazione per il livello estetico e culturale di notevole spessore.
Enzo Concardi
_________________
L’AUTORE
Gilberto Vergoni è nato a Fano (PU) nel 1955 e vive a Cesena (FC). Dopo la maturità classica ha conseguito la laurea Medicina e Chirurgia presso l’Alma Mater Studiorum (Università di Bologna), specializzandosi in Neurochirurgia (Università di Milano) e Radiologia (Università di Bologna). Lavora come Neurochirurgo presso la AUSL Romagna, Ospedale M. Bufalini di Cesena dal 1988. Da sempre appassionato delle materie umanistiche, trova nella scrittura un equilibrio tra l’irrequietezza, tipica di una professione che combatte una guerra mai finita, e la serenità che deriva dal fermare, fissare, anche solo per un attimo, la lenitiva leggerezza di una emozione. Da qui è nato il bisogno di scrivere, come possibilità di dare vita a pensieri, sensazioni e sentimenti che altrimenti rimarrebbero impalpabili ed effimeri frammenti di immagini. Ha pubblicato due raccolte di poesie: Fragmenta Animae Meae (2018) e Le parole del tempo (2023). Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali con importanti riconoscimenti e pubblicazioni in numerose antologie derivate dai concorsi.
________________
Gilberto Vergoni, Frammenti d’anima, di senso, e spigolature sparse, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 116, isbn 979-12-81351-67-7, mianoposta@gmail.com.
/image%2F0394939%2F20190531%2Fob_6113d1_61425960-10216728261030327-19684367693.jpg)