Fabio Volo, "Un posto nel mondo"
Un posto nel mondo
Fabio Volo
Mondadori, 2006
Non avevo mai letto nulla del “famigerato” e “vituperato” Fabio Volo. Alcuni sostenevano che “tocca il cuore del lettore”, altri ne parlavano come della peste bubbonica della letteratura. Non sono d’accordo né con l’elegia né con la demonizzazione. Devo dire, però, che almeno questo singolo romanzo ha ribaltato tutte le mie aspettative.
Pensavo di trovarmi di fronte a una mal scritta storiella d’amore alla Federico Moccia, che mi avrebbe, in ogni caso, inevitabilmente coinvolta e intrigata. Invece, la pecca principale del testo non è il linguaggio che, tralasciando alcune ripetizioni, è scorrevole, personale, né migliore né peggiore di tanti altri; ciò che non ho gradito è stato proprio il contenuto, sebbene il testo si faccia leggere velocemente.
Storia vagamente alla Paulo Coelho – autore che aborro per i temi trattati – d’improvvisa e raffazzonata conversione interiore. “Percorso” lo chiamerebbe qualcuno, con un termine abusato e detestabile.
Michele tira tardi a bere in piazza con l’amico Federico che, ad un certo punto, si annoia e gli suggerisce di dare un senso a giorni sempre uguali che un senso, come direbbe Vasco, non hanno. Federico parte per Capo Verde. Torna cambiato e innamorato di Sophie, mentre, nel frattempo, Michele si è invaghito e poi stufato di Francesca. Federico riparte di nuovo, definitivamente, nel senso che muore in un incidente. Allora Michele va in pezzi, comincia a sentire, oltre al dolore per la scomparsa dell’amico fraterno, che qualcosa nella sua vita davvero non va, che il suo lavoro è monotono e privo di slanci, che non ha niente da offrire alla ragazza e per questo la lascia. Si trasferisce a Capo Verde anche lui, conosce la fidanzata di Federico che aspetta una figlia, ha un incontro che fa da deus ex machina con una sciamana locale, e torna in Italia un uomo nuovo.
Io a queste conversioni improvvise, alla vita che si accende senza l’aiuto degli antidepressivi ma con la famosa mindfulness, - cioè l’assaporare il qui ed ora, che è poi il centro stesso della meditazione - non credo e mi infastidiscono pure. Non credo neppure agli amori che risorgono dalle ceneri. Se una persona non ti interessa più non è – come sostiene l’autore - perché non hai ancora trovato te stesso, ma è perché ti ha scocciato e basta. Il rapporto d’amore fra Michele e Francesca sa di minestra riscaldata e trovo infantile, peterpanesca, la scelta finale dei due di mettere al mondo una figlia senza convivere, pur amandosi e sentendosi una famiglia unita.
Comunque, il centro positivo del romanzo è senz’altro la necessità di portare in superficie i nostri bisogni più autentici, qualunque essi siano, anche i più elementari.
Il libro manca totalmente di ambientazione, forse non indispensabile in una storia di formazione spirituale, ma la cosa lascia i protagonisti sospesi in un limbo dove mare, ufficio, città, auto sono solo nominati ma mai resi palpabili o visibili.
Ho trovato assolutamente non indispensabili e fini a se stesse certe descrizioni di gesti volgari, come il modo in cui il protagonista è solito tagliarsi le unghie dei piedi o masturbarsi negli asciugamani degli alberghi. Particolari, frutto di un morboso bisogno di dire tutta la verità, che non aggiungono un tocco di realismo né di crudezza alla narrazione, ma rappresentano solo tremende cadute di stile. Uno stile, a tratti, più da post di Facebook che da romanzo, infarcito di frasi costruite a tavolino per essere sottolineate e copiate in un diario.
BERLINO ULTIMO ATTO di Heinz Rein (1906 – 1991)
Il romanzo di Heinz racconta le ultime settimane di Berlino come capitale del Reich nazista, nell’aprile del 1945; i sovietici premono sulla città e si respira un clima da finis mundi. I cittadini vivono sotto i bombardamenti, fanno lunghe code per prendere un po’ di cibo, si muovono schiacciati tra gli assedianti e gli scherani del regime hitleriano, sempre pronti a trovare e punire oppositori veri o presunti.
La narrazione si incentra sul ruolo di alcuni cittadini che, pur nell’angoscia di quei giorni, aspirano a costruire un domani migliore; sono naturalmente degli oppositori del nazismo e appartengono alle forze politiche che in passato si sono infruttuosamente opposte a Hitler. A queste persone che tentano di sollecitare la popolazione a reagire, si aggiunge il soldato disertore Lassehn che rappresenta un giovane stanco della guerra e della propaganda, ma ingenuo e privo di formazione politica tanto da dover essere guidato dagli altri personaggi ben più maturi di lui. Si dovrà puntare su individui come lui per l’avvenire della Germania, sembra questo uno dei messaggi del libro, dato che il giovane ha la fermezza di contestare il regime per aver fatto credere a tutti che nazismo e nazione tedesca siano la medesima cosa.
È un romanzo appassionante e che sa emozionare, con meticolose descrizioni della città martoriata, ma l’opera ha non pochi limiti. Alcuni evitabili, legati alla traduzione che usa termini fuori posto e fuori tempo come sfangare, financo, zompo. Non ho apprezzato le lunghissime filippiche messe in bocca ai personaggi molto critici verso il popolo che si è accodato al dittatore. Sono passi molto pesanti e ripetitivi, da opera scopertamente didascalica, figli di una insistita superiorità verso la massa pavida dei cittadini. Evidentemente lo stampo etico-politico dell'opera pubblicata nel 1947 giustificava questo; però a tratti sembra un romanzo ottocentesco con frequenti descrizioni di ambienti e persone, con finestre in cui si giudica con durezza la moralità o la mancanza di moralità delle masse, spezzando il ritmo narrativo.
L’arrivo dei russi è visto come il sospirato arrivo dei liberatori; c’è solo un debole accenno nel finale alle numerose violenze da loro compiute sulle donne dopo la vittoria. Perciò è un libro sicuramente da leggere, ma usando lo scudo della pazienza.
Rebecca Kauffman, "La casa dei Gunner"
La casa dei Gunner
Rebecca Kauffman
Big Sur, 2020
Credo che alla fine i libri ci dicano davvero qualcosa quando vanno a toccare qualche oscura corda interiore. Non che gli altri non ci dicano nulla, semplicemente a volte toccano corde mute, a volte corde che ancora non abbiamo, magari con un effetto ritardato di anni rispetto al momento in cui li leggiamo. Questo libro, che in un altro momento non mi avrebbe detto nulla, letto in questo periodo, ha posato il suo sguardo dentro di me. Dico che non mi avrebbe colpito granché perché non amo particolarmente queste storie corali stile Grande Freddo di amici che si ritrovano dopo anni per occasioni ferali e si vomitano addosso segreti e bugie. Questo caso però fa eccezione perché le confidenze scambiate dal gruppo dei Gunner hanno tutte a che fare con la morte di Sally, amica suicida, il cui funerale è motivo del rimpatrio, la quale 15 anni prima aveva abbandonato il gruppo di amici senza una spiegazione. E ognuno dei sopravvissuti ritiene di essere a conoscenza, addirittura essere il responsabile, del motivo per cui Sally troncò i rapporti con tutti. Le rispettive confessioni inevitabilmente ribaltano il punto di vista di ognuno, nel momento in cui ci si rende conto che la propria visione della realtà era falsata dal mancato confronto con gli altri, dato che ognuno taceva per pudore. E Sally, silenziosa e lontana, conosceva i segreti di tutti loro. Perché a pensarci è proprio cosi che va: la nostra percezione di un fatto è sempre pesantemente affetta dal nostro bagaglio di esperienze, dalle nostre convinzioni e dai nostri schemi. E parlarne con gli altri ci può aiutare a cambiare le nostre convinzioni, a volte a ribaltarle, e paradossalmente questo ci fa sentire stupidi, fragili, inadeguati. Perché ci troviamo ad amare persone che fino a poco prima avevamo disprezzato o a capire che il nostro sentirci responsabili per le azioni di un'altra persona e metterci al centro del mondo era una ridicola forma di egocentrismo. Ognuno dei protagonisti scende cautamente da un piedistallo di azioni miserabili che però lo aveva fatto sentire importante e responsabile di una certa catena di eventi, perché sempre meglio stare sotto i riflettori da cattivo che in disparte da buono o sfigato, no? Quante masturbazioni mentali, quante inutili sceneggiature di film inesistenti ci raccontiamo pur di sentirci vivi! Per evitare di guardare in faccia una realtà dolorosa, a volte insipida, o che più semplicemente non ha noi come protagonista. Quando potremmo accettare la vita, anche quando ci pone di fronte a destini spaventosi, decidendo che tutto può essere affrontato, proprio come fa Mikey, schivo, timido e consapevole di ciò che lo attende. Un'accettazione che può passare anche da confessioni imbarazzanti, perché il punto è che a renderci liberi è sempre la consapevolezza. Un libro che mi sento di consigliare a chi ha bisogno di stravolgere il proprio punto di vista sulle cose. Stando attenti: si può scoprire che la felicità è già fuori dalla porta e non era per nulla come la immaginavamo. Ma va bene così.
I gialli di mastro Leonardo e la sua banda: il mistero dell'acqua sparita ma non del tutto
Stephenie Meyer, "Midnight Sun"
Midnight Sun
Stephenie Meyer
Atombooks, 2020
pp 756
Dovevo comprarlo per forza. Ho letto tutta la serie di Twilight e ho visto tutti i film, dal primo all’ultimo. Questo nuovo capitolo della saga dei vampiri vegetariani non potevo perdermelo. Non è un sequel, non è un prequel, Midnight Sun, è qualcosa di inaspettato e sicuramente inusuale. È il primo libro della serie, Twilight appunto, riscritto da cima a fondo con un cambio di prospettiva.
Tutte le vicende del libro, l’archetipica storia de La bella e la bestia, l’incontro alla scuola superiore di Forks, fra Bella Swan ed Edward Cullen, la scoperta che lui non è un ragazzo qualsiasi ma un vampiro, l’entrata di Bella nella famiglia Cullen, la caccia da parte del sanguinario segugio James e il salvataggio, non sono più viste dalla parte di lei ma di lui. Non c’è più il punto di vista di una ragazza goffa ma intelligente, ruvida ma sensibile, bensì quello di Edward, l’adolescente centenario, il vampiro ribelle che non si accontenta di essere un mostro e sceglie di vivere fra gli umani.
Il romanzo ha due difetti. Il primo è che la capacità di leggere nel pensiero di Edward, e quella di prevedere il futuro di sua sorella Alice, combinate insieme, in certi momenti rendono faticosa la lettura. Anche l’azione finale è un po’ troppo meticolosa e accentuata, come se il romanzo fosse diviso in due parti distinte, la prima romantica e la seconda di pura azione. L’altro difetto è che, forse, mi sarei aspettata un'operazione un po’ più alla Anne Rice, con maggiore spazio dato alla vita precedente di Edward, al suo lungo secolo da vampiro. Ma Stephanie Meyer non è Anne Rice. Lei punta sul qui ed ora, sullo sviluppo di un sentimento impossibile, sull’attrazione negata e contrastata, sul senso di colpa e sulla paura del rifiuto.
Edward ha già rinunciato al suo passato da killer, lo ha fatto grazie a Carlisle, il personaggio della saga che amo di più in assoluto, le cui caratteristiche principali sono l’empatia, la dolcezza e l’umanità. Il secondo mutamento lo farà grazie all’incontro con Bella, un’anima generosa e sensibile, una persona buona e disinteressata, capace di sacrificio e dedizione. Sono i due poli Carlisle e Bella a trasformare il vampiro Edward da mostro in essere umano, in grado di compiere scelte etiche.
Forse la parte del romanzo che preferisco è la vita di Edward con la famiglia, i suoi pensieri e gesti nei rari momenti in cui non è con Bella. Qualcuno ha persino fatto notare che la storia si fa più interessante quando Bella esce di scena e ci libera della sua presenza ingombrante, quando possiamo penetrare l’oscurità e il tormento di un essere immortale che aspira alla redenzione e lo fa per la propria anima, ma soprattutto per amore. Un amore che – per quanto quello di Bella ci fosse sembrato grande – è qui enorme: quando un vampiro ama è per l’eternità, quando un vampiro ama, cristallizza per sempre il celeste momento dell'inizio dell'innamoramento.
Benché questo ultimo romanzo non possa comunque competere col primo, rimane il fascino dell’amore strano e impossibile, rimane l’attrazione di una materia conosciuta e amata. In sostanza, un libro per fan della serie, che non aggiunge nulla di nuovo ma è comunque un gradevole approfondimento, uno sviluppo di motivi e sentimenti che ci riporta piacevolmente indietro, alla magia del 2008.
Paul e Virginie
Nel 1974 avevo tredici anni. Romantica, sognatrice e appassionata com’ero, m’innamorai dello sceneggiato Paul e Virginie, in onda di pomeriggio sulla Rai, tratto dal romanzo di Bernardine de Saint Pierre del 1788.
Un Laguna blu ante litteram. Infatti, il romanzo di Henry de Vere Stacpole – da cui è stato tratto il famoso e “scandaloso” film con Brooke Shields del 1980, - è stato scritto successivamente, nel 1908.
Niente bambini nudi, qui, niente corpi che nuotano in libertà, niente accusa di pedopornografia, Paul e Virginie veniva trasmesso durante la tivù dei ragazzi.
In una esotica colonia francese sbarcano due donne esiliate, una nobile e una plebea, con due figli, una bambina d’alto lignaggio e un maschietto plebeo, che crescono insieme. Va da sé che s’innamorano l’una dell’altro. Va da sé che il destino vuole separarli. Ma, quando lei sta per tornare da lui, una tempesta fa naufragare la sua nave e la giovane annega.
Ricordo, dopo l'ultima puntata, di aver singhiozzato per ore, di essere andata a letto orfana della storia che adoravo - avventurosa, patetica, esotica - soprattutto, straziata per l’amore tragico dei due protagonisti interrotto da un così fatale e crudele destino.
Aspettando il Cisterna Film Festival
Sabato 22 agosto, a partire dalle ore 21:00, la città di Cori ospiterà la serata di introduzione e inaugurale della VI edizione del Cisterna Film Festival. Nella suggestiva cornice medievale di piazza Sant’Oliva verranno riproposti alcuni dei cortometraggi internazionali che hanno fatto innamorare il pubblico o che si sono guadagnati dei riconoscimenti nelle passate edizioni del CFF:
● The boy by the sea (Olanda, 2016, 7’) di Vasily Chuprina - Premio Next Generation CFF2017;
● Clac! (Francia, 2017, 19’) di Fabien Ara - CFF2018;
● The death of Don Quixote (Regno Unito, 2018, 13’) di Miguel Faus - CFF2019;
● Fantasia (Finlandia, 2016, 10’) di Teemu Nikki - Premio del Pubblico CFF2017;
● Fantassút/Rain on the borders (Italia, 2016, 15’) di Federica Foglia - CFF2017;
● A father’s day (Regno Unito, 2016, 10’) di Mat Johns - CFF2018;
● Fauve (Canada, 2018, 16’) di Jeremy Comte - Miglior Film CFF2019;
● El inicio de Fabrizio (Argentina, 2015, 14’) di Mariano Biasin - Menzione Speciale per la Regia CFF2017;
● Marlon (Francia, 2015, 21’) di Jessica Palud - Menzione Speciale per l’attrice protagonista
● Flavie Delangle CFF2017.
Ospite del prefestival sarà Clara Galante, attrice, autrice e cantante, tra i cinque giurati scelti a valutare e votare i corti iscritti al concorso 2020. L’ingresso è gratuito fino ad esaurimento posti: pertanto si consiglia la prenotazione al numero 3281139370. Nel rispetto delle norme vigenti, i posti saranno distanziati e non sarà consentito l’accesso a chi si presenterà privo di mascherina.
Il Cisterna Film Festival è organizzato dall’Associazione Culturale Mobilitazioni Artistiche con la direzione artistica di Cristian Scardigno. Gode del sostegno della Regione Lazio e del patrocinio della Provincia di Latina, del Comune di Cisterna, della Proloco di Cisterna e del Comune di Cori, oltre a quello dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania e di German Films. Film4Life è media partner dell’evento fin dalla sua fondazione.
Al concorso quest’anno si sono iscritti 37 corti, in rappresentanza di 15 Paesi, tra cui un’anteprima mondiale, un’anteprima europea e cinque anteprime italiane; alcuni provenienti da festival noti come Cannes, Venezia, Berlino, Sundance, Toronto, Locarno, Rotterdam, Torino, Annecy, Giffoni, Sitges, Londra, Clermont-Ferrand; altri vincitori di premi che ne attestano l’eccellenza nel campo cinematografico, come gli Oscar, i David di Donatello, i Goya, i Bafta, i Nastri d’Argento.
Dopo l’anteprima di Cori, il CFF si svolgerà, come di consueto, a Cisterna di Latina, dal 27 al 30 agosto, con la proiezione in prima serata dei corti finalisti del CFF 2020, nella Corte di Palazzo Caetani, e repliche nella biblioteca comunale “Adriana Marsella”, compresa una mostra fotografica allestita nella Galleria di Palazzo Caetani. Per il programma completo della manifestazione consultare il sito www.cisternafilmfestival.com
Febbre da cavallo è ora un drink: 'La Mandrakata'
Grazie a un barman creativo e cinefilo diventa un drink il film Febbre da Cavallo, il cult movie firmato Steno e interpretato da Gigi Proietti, Enrico Montesano, Catherine Spaak e tanti altri attori e caratteristi che hanno reso grande il cinema italiano. A inventare il cocktail 'La Mandrakata', ispirato dalla famosa espressione di Proietti, Max La Rosa, proprietario e barman del Divan Japonais di Frascati (via Goffredo Mameli, 9, per info 3381133144), in provincia di Roma. Il drink si prepara con 3,5 cl di Jim Beam Rye Whiskey, 3,0 cl di Cherry Stock, 12 foglie di menta marocchina, 4 cl succo di limone, 3 cl sciroppo homemade allo Zafferano di Navelli, 3 splash bitter homemade agli agrumi e quanto basta di Gosling's Ginger beer. Per prepararlo, pestare delicatamente la menta in un bicchiere highball doppio da 450 ml, quindi versare tutti gli ingredienti, tranne la Gosling's Ginger beer e aggiungere ghiaccio. Versare quindi la Gosling's Ginger beer e mescolare ancora per completare, decorando con una fetta di limone e della menta cosparsa di zucchero a velo vanigliato.
Il whisky 'maschio senza rischio' o meglio 'teschio maschio senza fischio' evocato dal film è ingrediente principale del drink, in questo caso Jim Beam Rye, whiskey di segale del Kentucky, distribuito in Italia da Stock Spirits, caratterizzato da note di vaniglia e un finale pungente, con aromi di noce moscata, chiodi di garofano e pepe nero. Il tutto levigato nel drink dalla menta e dai sapori di agrumi e amarena. E attinente è l'ispirazione del cocktail a un grande classico, il Mint Julep, datato 1938 e servito durante la più famosa corsa di cavalli statunitense, il Kentucky Derby, dove veniva apprezzato da più di 120mila persone l’anno. Insomma, un drink da assaporare mentre si ascoltano le inconfondibili note del trio Bixio-Frizzi-Tempera, scommettendo su Soldatino o D'Artagnan e tifando per Mandrake e Pomata.
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