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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Roberto Mistretta, "Rosario Livatino - L'uomo, il giudice, il credente"

25 Settembre 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #storia, #persoanggi da conoscere

 

 

 

 

Roberto Mistretta
Rosario Livatino - L’uomo, il giudice, il credente
Edizioni Paoline - Pag. 440 - Euro 22

 

Dopo l’ottimo libro su don Ferdinando Di Noto e la sua battaglia in favore dei bambini, Edizioni Paoline affida a Roberto Mistretta un lavoro altrettanto importante - direi quasi indispensabile - sulla figura del giudice Rosario Livatino, già pubblicato sette anni fa, ma rivisto e ampliato dopo la beatificazione di un uomo definito martire di giustizia e della fede. Roberto Mistretta è scrittore conosciuto per i piacevoli romanzi gialli che vedono protagonista il pacioso commissario Bonanno (Premio Tedeschi, 2019), ma anche di racconti per bambini e saggi divulgativi a tema sociale. Rosario Livatino è un personaggio che affascina lo scrittore siciliano, perché è un uomo coraggioso e indomito, appassionato difensore della legalità, profondo conoscitore del diritto e della società, sorretto da una fede forte, convinto che il suo unico compito fosse quello di servire lo Stato. Livatino, il giudice ragazzino, ha compiuto il suo dovere fino in fondo, contro tutto e tutti, questo libro gliene dà merito, sin dalla presentazione evangelica, scritta da monsignor Russotto, che lo definisce l’uomo delle Beatitudini, un giudice santo pur se profondamente uomo, un coraggioso eroe del Vangelo e della giustizia. Mistretta prosegue sul solco tracciato dalla fede, perché avvisa il lettore che il suo libro - oggi più di sette anni fa - è dedicato soprattutto a chi crede nel Vangelo e si propone di mettere in evidenza l’umanità e la profonda spiritualità del giudice ragazzino. Prima di cominciare a scrivere su Livatino, l’autore si reca in pellegrinaggio ad Agrigento e sosta in raccoglimento davanti alla camicia intrisa del suo sangue, quella che indossava il giorno del martirio. Il libro è dedicato a un Beato, a un giudice integerrimo, eroe della fede, servitore dello Stato, che pone sempre Dio e la legge al centro del suo lavoro. Trentotto anni ancora da compiere, il più giovane magistrato ucciso in Italia, il primo a essere dichiarato Beato. Il libro si sviluppa in cinque parti: L’uomo e il magistrato, Le agende specchio dell’anima, Sangue innocente, La vita oltre la morte: i miracoli, Interventi pubblici di Rosario Livatino. Mistretta racconta vita e opere di un uomo cresciuto a pane e diritto, destinato a compiere grandi cose sin dai tempi del liceo e di una doppia laurea, magistrato zelante e meticoloso che indaga su uomini intoccabili e pericolosi, su potenti mafiosi che ne decretano la condanna a morte. Livatino era un uomo schivo, non si lasciava intervistare, non amava la ribalta, neppure le fotografie, preferiva lavorare con passione (persino in ferie!) e compiere il suo dovere senza esibire successi e impegno. Il giudice ragazzino, dopo la morte si è meritato gli onori di un film girato da Alessandro di Robilant tra Comitini, Naro e Agrigento, per narrare la vita e la figura di un magistrato ucciso da quella mafia che aveva cercato di combattere. Mistretta racconta il metodo di lavoro, approfondisce l’uso delle agende che contengono elementi importanti per ricostruire il suo pensiero e il lato umano di un personaggio che soffriva un grande senso di isolamento, cercando rifugio nella fede in Dio. Terribile il capitolo intitolato Quel cornuto lo dobbiamo ammazzare, dove da buon scrittore di thriller l’autore ricostruisce l’organizzazione dell’omicidio e l’agguato a un uomo indifeso, vittima sacrificale di un sistema corrotto. Cosa vi ho fatto, picciotti? Ha appena il tempo di sussurrare il giudice ragazzino, finito da cinque colpi di pistola. Tieni, pezzo di merda! È la terribile risposta che accompagna gli spari. Mitra e pistola, poi un colpo in pieno volto. Mistretta racconta tutto, con stile piano e suadente, grazie a capitoli brevi e testimonianze, con umile partecipazione alla vita di un Beato, di un futuro Santo. Non mancano le parole dei pentiti e i miracoli compiuti, ma anche se non credete al soprannaturale e se non avete fede, il più grande miracolo di quest’uomo è aver affrontato la vita come la morte, convinto di fare il proprio dovere e di servire lo Stato fino in fondo. Leggete questo libro e approfondite la sua esistenza. Vi sarà utile.

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Il fantasma di Alessandro Appiani (2022) di Stefano Simone

24 Settembre 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #cinema, #recensioni

 

 

 

 

Stefano Simone si conferma autore interessante e versatile, cambiando del tutto genere dopo gli ultimi lavori che spaziavano dal fantastico al thriller, con alcune incursioni nel tema sociale e dei diritti umani. Il fantasma di Alessandro Appiani è commedia thriller, qualcosa che in Italia si fa davvero poco, in parte riferibile a lavori internazionali come IT, per il tono e per la presenza dei ragazzini che indagano, fatte le debite proporzioni. Qui ci troviamo di fronte a un lavoro a basso budget che fa del cinema teatrale la sua maggior forza, con interpretazioni credibili da parte dei giovani attori, un cast interessante nel quale spicca la protagonista Rosa Vairo, per espressività e naturalezza. La sceneggiatura di Matteo Simone, Roberto Lanzone e Giuseppe Bollino parte da un romanzo di Gordiano Lupi, senza stravolgerlo nella storia, ma calandolo alla perfezione in un mondo popolato da adolescenti. L’operazione può dirsi riuscita, perché Silvia Lepri (Vairo) resta la ragazza sognatrice che sin dall’infanzia ha la straordinaria capacità di sentire le voci a grande distanza (idea di Aldo Zelli, dal racconto Le voci lontane). Nella versione del cineasta di Manfredonia si avvale della complicità di due amici come Luigi (Mangiacotti) e Carlo (Balta) per investigare su una serie di omicidi che sembrano collegati alla leggenda del fantasma di Alessandro Appiani e del suo castello abbandonato. Spinti dalla curiosità, i tre adolescenti iniziano un’indagine personale, basandosi sui libri di leggende popolari del professor Luisi, uno storico locale che cerca di riabilitare la figura del principe. Mentre la polizia brancola nel buio, sarà proprio il trio a risolvere il mistero. Non diciamo altro sulla trama, perché il film è un vero e proprio giallo con ben quattro omicidi e un colpevole, che lo spettatore scoprirà soltanto verso la fine, nel corso di una sequenza ad alta tensione. Veniamo ai pregi della pellicola, che sono molti, a partire da un cartone animato inziale che racconta la storia del delitto di Alessandro Appiani (episodio storico, avvenuto a Piombino nel 1580) avvalendosi di un singolare quanto originale rap in sottofondo. Pare di essere tornati nel cinema degli anni Settanta, quando spesso le commedie italiane venivano introdotte da un divertente disegno animato. Sara Strafile e Lucia Zullo sono davvero brave e realizzano un prodotto di godibile freschezza. Il film è ben fotografato da Tommaso Visentino, che conferisce le atmosfere giuste alla narrazione, passando senza soluzione di continuità dai toni cupi e giallastri dei notturni ai luminosi esterni. Stefano Simone dimostra di aver raggiunto un buon livello di maturità tecnica, che lo rende capace di affrontare sia i piani sequenza che i campi e controcampi per gestire i dialoghi di un film in gran parte teatrale, come impostazione narrativa. Non mancano le annotazioni d’autore come la scena del dialogo tra il nonno (Potito, molto bravo) e Silvia, dove il vecchio discetta sul valore dei sogni e sulla crudeltà della guerra, senza dimenticare il valore simbolico del binario (ricorrente nei film di Simone) con gli adolescenti che camminano lungo la linea ferroviaria, pronti per affrontare la vita. Il film ha un tono da commedia che non ha precedenti nel cinema del regista pugliese, alcuni personaggi sono volutamente grotteschi e caricaturali, come il giovane scrittore Paolo Lanfranchi (Simone), che parla senza capire il senso delle parole e usa piuttosto che a sproposito (come fanno in molti!). Per non parlare dell’inetto ispettore di polizia (Tricarico) e del suo assistente (Di Trani) che deve sopportare la prosopopea del superiore e la sua arroganza nell’imputarsi meriti inesistenti. Da notare alcune riuscite gag all’interno del castello abbandonato, dove gli sceneggiatori si prendono gioco degli stereotipi del cinema horror di bassa lega. Ottimo Matteo Mangiacotti nella parte dello studente secchione innamorato di Silvia e molto bene Simone Balta, il più giovane del terzetto che porta un tocco di leggerezza alla formazione dei giovani detective. Rosa Vairo è perfetta come indagatrice dell’incubo dotata di poteri soprannaturali, che confida solo al giovane amico Carlo, espressiva e sorridente, mai in difficoltà con la gestione del personaggio. Tra i pochi adulti, spicca l’interpretazione di Carlo Cinque, nei panni di un allucinato professor Luisi, scrittore ossessionato dalla figura di un principe calunniato dalla storia. Nota di merito per Stefano Simone, perché non è facile dirigere giovani attori e farli recitare in maniera spontanea e naturale, senza incertezze di sorta. Termino con il montaggio serrato, che contribuisce a creare suspense nelle sequenze più importanti, come durante la visita notturna al castello abbandonato. Ottima la scelta del suono in presa diretta che conferisce veridicità e spontaneità al materiale narrativo. Colonna sonora come sempre (sin dai tempi di Cappuccetto Rosso) del fido Luca Auriemma, una costante positiva nei film del regista sipontino. Attendiamo novità sulla distribuzione, che crediamo sarà soprattutto televisiva, anche se il film meriterebbe attenzione da parte di cinema indipendenti, festival e rassegne a tema.

 

Regia: Stefano Simone. Soggetto: Gordiano Lupi (romando), Aldo Zelli (idea). Sceneggiatura: Roberto Lanzone, Giuseppe Bollino. Musiche: Luca Auriemma. Fotografia: Tommaso Visentino. Animazione: Sara Strafile, Lucia Zullo.  Aiuto Regia: Francesco Trotta. Fonici di presa diretta: Giovanni Casalino, Robb MC. Produzione: Running TV International. Genere: Commedia / Thriller. Formato: DCP / Colore. Durata: 84’. Paese di Produzione: Italia, 2022. Interpreti: Rosa Vairo (Silvia), Matteo Mangiacotti (Luigi), Simone Balta (Carlo), Bruno Simone (Paolo Lanfranchi), Antonia Notarangelo (amica di Lanfranchi), Carlo Cinque (Mario Luisi), Sara Pellegrino (amica di Lanfranchi), Gianluca Di Trani (assistente di polizia Righetti), Cory Di Pierro (madre di Silvia), Antonio Potito (il nonno), Pasquale Tricarico (ispettore Franceschini), Moussa Camara (senzatetto che vive nel castello), Isabella Gentile (madre di Lanfranchi).

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Aldo Dalla Vecchia, "Diabolik dietro la maschera"

22 Settembre 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #persoanggi da conoscere, #saggi

 

 

 

 

Diabolik dietro la maschera

Indagine sul Re del Terrore

Aldo Dalla Vecchia

Graphe.it, 2022

pp 102

9,00

 

 

 

Il mio unico ricordo di Diabolik coincide con le scenette che Johnny Dorelli recitava in Johnny sera, uno spettacolo del 1966, dove impersonava Dorellik, parodia, appunto, del fantomatico Diabolik. Ah, i mitici varietà della tv in bianco e nero, dove risaltava la faccia pallida e fintamente sardonica di Dorelli avvolto nella calzamaglia!

Al fumetto Diabolik, Aldo Dalla Vecchia dedica la sua ultima fatica, un saggio intitolato Diabolik dietro la maschera. Diabolik è un personaggio nato nel 1962 dalla fantasia delle sorelle Giussani, per la casa editrice Astorina. Si rifà a illustri predecessori del calibro di Fantomas, Rocambole e Arsenio Lupin.

Precursore e capostipite del fumetto nero italiano, Diabolik è stato un fenomeno trasversale che ha resistito dal 1962 fino ai giorni nostri. Ha come protagonisti un ladro capace di spettacolari trasformazioni, la sua amata compagna di nome Eva Kant – bella, algida e sensuale – e la controparte che gli dà la caccia, il nemico storico, l’ispettore Ginko, affiancato da Altea.

Avvenente, con un fisico scolpito e gli occhi gelidi, spietato ma innamorato e geloso della sua Eva – con la quale costituisce una coppia convivente non sposata, scandalosa per gli anni in cui il fumetto fu concepito – Diabolik è maestro del travestimento, grazie alle maschere con cui riproduce i lineamenti di chiunque. Ha una sua morale ma non è un personaggio positivo e in questo sta il suo fascino perverso.

Sebbene l’argomento sia trattato in modo didascalico e rigoroso, trabocca la passione di Dalla Vecchia per questo fumetto tutto chiaroscuri, patinato, forbito nel linguaggio e sottilmente sensuale senza mai essere volgare. Capitolo dopo capitolo vengono studiate le origini dell’opera, la storia delle sorelle che lo idearono, il personaggio di Diabolik, quello del suo avversario e delle due donne. Si analizzano poi le imitazioni e le parodie – mitica quella di Paperinik –, i tentativi di riproduzione cinematografica, dal trash di culto di Mario Bava alla versione vincente del 2021, il merchandising.

Un saggio ricco di dettagli, aneddoti, curiosità per cultori del fumetto elegante.

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Franco Buffoni, "Betelgeuse e altre poesie scientifiche"

21 Settembre 2022 , Scritto da Pietro Pancamo Con tag #pietro pancamo, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Betelgeuse e altre poesie scientifiche

Franco Buffoni

collana «Lo Specchio»

 Mondadori Milano 2021

 pp. 160, € 20,00

 

 

Come lo spazio-tempo che abitiamo è costantemente attraversato dall’eco residua del Big Bang, così i componimenti di Betelgeuse e altre poesie scientifiche sono percorsi in ogni istante da un’ironia pervasiva, che assume le sembianze ubique di una vera e propria radiazione di fondo. Quest’ultima l’autore sa gestirla con maestria; anzi, ben conscio del fatto che l’ironia è solitamente in grado di trasformare in filosofia persino il dolore, Franco Buffoni (fantasticando sulle numerose crudeltà – frivole e frizzantine, si sa! – che l’esistenza quotidiana non manca mai d’infliggere, spietata al volo ed en passant come soltanto lei, e nessun altro, riesce ad essere di norma) si mette a ragionare alacremente, e con humour tanto didattico quanto didascalico, sui molti guai combinati nei secoli dalla nostra ridicola arroganza e ci indica, nella morte, non l’estrema (f)unzione, ma l’estrema autoironia della vita stessa. Il tutto sulla falsariga di un poetare sempre inscritto entro i saldi confini di una mente davvero acuta che, prendendo a pretesto le nozioni scientifiche più disparate, le trasforma in altrettanti simboli della nostra condizione, dandosi a riflettere in piena sagacia sulle sventure pandemiche – nonché gli smisurati vizi e vezzi (mortalmente finanziari) – che affliggono le giornate di noi esseri umani:

«Mentre da Roma cercavo sul Corriere/ Le notizie sul contagio a Gallarate,/ L’occhio mi è caduto sul servizio/ Con le foto da Marte. Trentaquattro istantanee/ Inviate da Curiosity, il rover della Nasa/ che da otto anni vaga sul pianeta./ Il Sole da Marte in un tramonto blu,/ Mount Sharp e il cratere di Gale,/ I sedimenti di un antico fiume/ Rocce meteoriti e dune/ E poi ad un tratto quel pallino chiaro/ The Earth/ La Terra vista dal cortile del vicino/ con le fidejussioni i rogiti i contratti/ Le zone rosse ed arancioni/ Le bare bianche senza estreme unzioni» (p. 141).

 

Pietro Pancamo

(pietro.pancamo@alice.it;pipancam@tin.it)

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George Orwell, "1984"

20 Settembre 2022 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

 

Mi sento di consigliare vivamente ai pochi che, come me fino a poco tempo fa, ancora non hanno letto 1984 di Orwell, la versione audiolibro di Storytel. La narrazione è concepita infatti come i vecchi radiodrammi dove, oltre alle diverse voci dei protagonisti, si aggiungono i rumori di sottofondo quali le sirene, il gorgoglio della teiera, lo schiocco di due calici di birra che si incontrano. Come stare al cinema ad occhi chiusi, insomma. Sul libro, un classico contemporaneo tra i più citati nel genere distopico, posso dire che mi ha molto colpito l'utilizzo manipolatorio che si fa della parola: dal bipensiero, ovvero la diffusione di concetti opposti dati entrambi come veritieri, alla riscrittura della Storia e della cronaca, per dirigere l'odio del popolo verso il nemico del momento. E tutto ciò, fingendo che le precedenti versioni non siano mai esistite. In psicologia, parlando di rapporti abusanti narcisistici, questo modo di fare ha un nome preciso: gaslighting, ovvero traumatizzare la vittima dipendente distorcendo la realtà e convincendola che questa corrisponda alla verità ogni volta che il manipolatore lo desidera. Essere convinti di due evidenze opposte crea nel nostro cervello una dissonanza cognitiva che a lungo andare ci rende fragili e impauriti. Ripensando a fatti recenti, a come ad esempio tante persone paiono non ricordare più tante regole contraddittorie promulgate durante gli ultimi due anni, il Grande Fratello di Orwell pare avere fatto ogni tanto capolino anche nella nostra realtà. Del resto come spiegava il collega a Winston, la Neolingua si basa fondalmente in una riduzione drastica del numero dei lemmi, affinché ogni parola abbia un significato il più generico possibile. Meno vocaboli, meno possibilità di esprimersi, minore possibilità di sviluppare un pensiero critico. Basta accendere la TV e confrontarla con un programma di 30 anni fa per notare la semplificazione mostruosa che ha subìto la lingua parlata anche da parte di chi dovrebbe fare divulgazione. Più paura verso un nemico a volte inventato, meno parole disponibili, più confusione. Da secoli la ricetta perfetta.

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Maria Teresa Liuzzo, tra narrativa e poesia, nel solco dell’amore

17 Settembre 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #personaggi da conoscere, #poesia

 

Il nostro paese è ricco di intellettuali e di case editrici che lavorano nell’ombra, perseguendo un ben preciso programma culturale, non finalizzato a scopi economici. Maria Teresa Liuzzo, per esempio,  dirige la rivista Le Muse, edita da Agar Editrice di Reggio Calabria, si occupa di musica lirica, drammaturgia, scrive romanzi e poesie, insegna nelle università statunitensi ed è corrispondente per riviste internazionali. Tra i suoi romanzi - tutti editi da Agar - consigliamo E adesso parto! (2019), Non dirmi che ho amato il vento! (2021), La luce del ritorno (2022) e L’ombra affamata della madre (2022). La scrittura di Maria Teresa Liuzzo è intensa e ricca di simboli, finisce per fare poesia anche quando scrive prosa, il suo valore lirico è assoluto, così come molti passaggi sono ricchi di simboli espressionistici e surreali. Gli uccelli cantano con voce di pianto, la notte non ha pietà, il viola cangiante della sera si allarga a valle come un fiume, la sete morde le labbra in un gioco crudele, il sangue impazzisce dentro il ventre … La scelta lessicale è sempre molto accurata, quando si leggono queste pagine la mente vola verso la miglior scrittura ottocentesca, ricca di elementi descrittivi e di suggestioni romantiche. Tutto questo lo riscontriamo in misura superiore nell’opera in versi che abbiamo analizzato in maniera compiuta, Danza la notte sulle tue pupille, di recente pubblicazione, dove le tematiche amorose ed esistenziali sono sviscerate con passione e intensità. Parole musicali, termini insoliti, versi liberi dotati di una metrica intrinseca e di un andamento poetico naturale. Leggiamo il componimento che apre la raccolta.

Danza la notte nelle tue pupille
e sui nostri corpi avvinti
al candore di un fiato disperso
nel cuore che alita l’éllera di un sogno,

là dove l’incoscienza
s’impreziosisce del limite
lasciando dietro di sé
albe e mondi di sabbia
a farsi sangue di falene.

Il colore dei tuoi occhi
veste la solitudine dell’ora
e sgomitola la sapienza dei corpi

ombre di un desiderio mai dissolto,
sulle labbra graffi di memoria, che geme
in lenzuola di geometrie allo specchio.

Leggiamo un’altra lirica che affronta con efficacia e intensità il tema della solitudine umana, la fine di un amore, la passione perduta che si stempera in un ultimo abbraccio, un cesto di ricordi che contiene una rosa aggrappata a brividi di sangue.

Sola
come la notte e la morte …
Nel cesto dei ricordi l’ultima rosa
aggrappata a un brivido di sangue.
Piango al lume del silenzio
perché nessuno veda
il dolore dell’ultimo abbraccio,
il calore dell’ultima sfida.
Forse il profumo dell’ombra
mi è daccanto
nel suo lembo di cielo
ancora intatto.

La poetessa veste trine di spume, è il mare, se in lei ti perdi. Ricompone acque perché i sogni non anneghino, fa delle rocce pagine di parole innamorate, tiene ben stretto tra le mani il tessuto della vita. Mentre scrive un vento di gabbiani solleva orli di mare e molecole di sangue scompongono il tempo. Vera poesia, senza ombra di dubbio, che deve soltanto essere letta, senza alcun bisogno di forbite spiegazioni che fior di critici (Mauro D’ Castelli) hanno comunque dedicato a questi versi. Concludiamo il nostro intervento da lettore appassionato con una lirica sul senso del passato.

Ritornare fanciulli,
inventare amori senza volto
nelle strette dell’angoscia.
Il carminio dei gerani
dipinge bocche nuove
su ferite di nubi immacolate.
Geometrie cristalline
in un soffio di pula;
sorrisi e insidie,
io pensieri fatti sangue.
l’oro dei raggi
disegna le finestre
tra sinfonia di voci
e specchi di bottiglia.

Una considerazione finale la dedichiamo alla rivista Le Muse, giunta al ventiduesimo anno di pubblicazione, un bimestrale di grande formato che si occupa di arte e cultura, che in questo numero estivo approfondisce le figure dei classici Novalis e Vittorini, oltre alla contemporanea Antonella Di Siena, per finire con ospitare racconti, poesie, interventi critici e recensioni. Per informazioni la mail è rivistalemuse@libero.it.

 

 

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Ricordando Franco Micheletti

12 Settembre 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

Venerdì 16 settembre – ore 17

SALA UNITRE di Via Torino

Piombino (LI)

RICORDANDO FRANCO MICHELETTI

 

Gordiano Lupi, Lucilla Lazzarini, Stefano Tamburini e Patrizia Lessi ricorderanno la figura di uomo e di scrittore di Franco Micheletti, ripercorrendo e rileggendo pagine tratte dai suoi testi principali, da Cronache maremmane a Piombino in bianco e nero, passando per Piombino tra storia e leggenda e Piombino com’era. Tutti i libri dello scrittore piombinese sono stati ristampati e resi disponibili dal Foglio Letterario Edizioni, che ha donato una copia di ogni volume - vista l’importanza ai fini della memoria storica locale - all’Archivio Storico e alla Biblioteca Civica Falesiana. Gordiano Lupi ha ricordato l’amico scrittore (tra i primi collaboratori della rivista Il Foglio Letterario) in Amarcord Piombino – I ragazzi di via Gaeta, con questo brano.

 

Franco Micheletti e la memoria del passato

 

Franco Micheletti non era soltanto un autore del Foglio Letterario. Era un amico. Era un amico vero. Soltanto la malattia è riuscita a fermarlo. Da qualche tempo non era più lo stesso, si vedeva sempre meno alle nostre iniziative. Non ce l’ha fatta neppure per la festa dei vent’anni. So quanto ci avrebbe tenuto, sempre così presente, trasmetteva entusiasmo, ci sosteneva. Franco amava la sua Piombino, conosceva ogni angolo della città, ricordava vizi e virtù dei personaggi simbolo del recente passato. Rimpiangeva le cose perdute, quelle che non sarebbero potute tornare, sottolineava il cambiamento, lo smarrimento d’una città vitale, pronta a lottare per i propri diritti, per un futuro migliore. Franco ha scritto libri bellissimi sui personaggi piombinesi e sulla piccola storia quotidiana, veri capolavori di provincia da riscoprire, da far leggere alle nuove generazioni. Ricordo la dolente e nostalgica narrazione del suo Cronache maremmane, contenitore di storie della Piombino anni Cinquanta e Sessanta, cui sono seguiti i racconti anni Settanta di Piombino in bianco e nero, fino al recente Piombino com’era, ricco di aneddoti e ricordi del tempo passato. E adesso che pure lui è entrato a far parte dei ricordi vado fiero di averlo conosciuto, di aver pubblicato i suoi libri, di averlo convinto a continuare, perché c’è tanto bisogno di memoria storica in questi tempi tristi. Abbiamo scritto pure un libro a sei mani: Piombino tra storia e leggenda, che ci ha visti assieme alla pittrice Elena Migliorini per raccontare (piccoli Proust di provincia) la nostra città perduta.

Oggi mi sento un poco più solo, piango un amico, ricordo uno scrittore vero, uno che intingeva la penna nelle ferite della vita, operazione più complessa - di certo più utile - che scrivere gialli, noir e thriller alla moda. Franco Micheletti ci ha permesso di non dimenticare Zoccolino, Fischione, Isa dei gabbiani, Cecco Nero, Bruno Tiradiritti, Netto, Remo, il Conte Scoglio, Pino il cenciaio, l’ammiraglio Curione e molti altri personaggi che popolano i suoi libri, resi immortali dalla sua memoria enciclopedica, rivitalizzati dalla sua fantasia di scrittore. Pare ancora di sentirlo parlare davanti al Bar Cristallo, far vibrare la sua voce inconfondibile per narrare la vita delle persone che un tempo passavano da corso Italia dirette verso piazza Bovio e Trastevere. Franco sapeva raccontare storie come i narratori d’una volta, gli intrattenitori davanti a un focolare, solo per fermare le parole che uscivano come un fiume in piena dalle sue labbra si è convinto a scriverle. Ed è stato un bene, perché adesso sono un patrimonio comune, piccola storia quotidiana, racconti della nostra comunità. Non so davvero dove tu sia, caro Franco. Spero che esista un Paradiso, un luogo capace di unire scrittori, pescatori e cacciatori, tutte cose che ti sono appartenute, le tue vere passioni. Spero che esista un Dio - pure se sono povero di fede, scettico come sempre, incapace di certezze - e resto in attesa di rivederti.

 

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Lo steccato

9 Settembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

Nell'aldilà il Paradiso e l'Inferno rappresentano due proprietà private e separate da una chilometrica staccionata, oltretutto con la presenza di migliaia di cartelli nella parte paradisiaca con su scritto "Adeguate recinzioni fanno buoni vicini", mentre gli incalcolabili "Attenti al Cerbero!" appaiono nella parte infernale.

Dio e Satana, nel Bene e nel Male sembrano andare d'accordo; inoltre, sia le anime malvagie che quelle pie hanno mai provato a scavalcare lo steccato per curiosare o per cambiare aria, evitando così incidenti diplomatici.

Succede poi che Satana, per il suo compleanno, una sera organizzi una super grigliata, invitando miliardi di dannati, tra cui l'innominabile cancelliere dai famosi baffi a spazzolino che, nel pomeriggio, si era occupato personalmente di preparare, assieme a dei crucchi con la svastica, una titanica torta di carne, per di più cotta in uno smisurato forno crematorio collocato sotto una tenebrosa montagna. Per il trasporto della tortona si sono avvalsi di due fortissimi giganti: Gargantua e Pantagruel.

A un certo punto, la maxi festa si trasforma in un autentico pandemonio, gli invitati bevono all'eccesso e si prodigano a fare fuoco e fiamme nel vero senso del termine, difatti la palizzata viene irrimediabilmente danneggiata, fino ad essere completamente distrutta. Dio, incazzato come un satanasso, sbraita contro Satana e gli intima un indennizzo. 

Dio - «Provvedi, oppure ti farò passare l'inferno!»

Satana - «Aspetta e spera!» 

Dio - «Mi hai letteralmente stufato! Chiamo il mio avvocato e ti faccio causa!»

Satana - «Adesso capisco il detto "Gli avvocati sono un male necessario." Mi sa che dovrò chiamare pure il mio.»

Dio - «Per mille angeli! Pensi davvero di spuntarla?»

Satana - «Sì!»

Dio - «Come fai ad esserne così sicuro?»

Satana - «Perché ho... l'avvocato del diavolo!»

 

Nota dell'autore: questo racconto ha partecipato in un portale letterario a un contest dove bisognava citare il titolo di uno dei film preferiti dell'autore o dell'autrice partecipante, proponendo un brano di qualunque genere.

Le ultime tre parole dell'ultima riga de Lo steccato svelano un caposaldo del cinema hollywoodiano.

 

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L'esca

8 Settembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

 

La piccola Giusy se ne stava seduta con le gambe penzoloni su un molo tenendo tra le mani una canna da pesca. 

«Sei qui da ore e non sei riuscita a prendere nemmeno un misero pescetto» osservò il padre, deridendola, dietro le sue spalle. 

«A dirla tutta vorrei catturare una balena» gli rispose Giusy, imbronciata. 

«Che cosa hai agganciato all'uncino?» 

«Un dito mozzato!» 

La figlioletta, non volendo passare per bugiarda, riavvolse la lenza per far vedere l'esca al costernato genitore per poi rilanciare con nonchalance l'amo in acqua. 

«Dove hai "pescato" quel pollice?» gli chiese il padre, sentendo lo stimolo di rimettere. 

«Nel cimitero vicino casa nostra, mentre scavavo nel terreno» spiegò Giusy. «Stavo cercando dei lombrichi però alla fine ho trovato dieci dita sparse qua e là. Le altre nove le tengo in questa scatoletta metallica assieme ai vermi.»

«Vorresti mangiare un pesce catturato tramite un pezzo di cadavere?» urlò il padre dopo aver vomitato. 

«La balena non è un pesce, semmai un cetaceo!» precisò candidamente la bambina. 

«Ah già, è vero. Vabbè, dai, se ti servirà, emh, una... una mano per issarla, ti aiuterò io.»

 

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La capanna dello zio Tommaso

7 Settembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

Cinque anni fa la buonanima di mio zio mi ha lasciato in eredità questa deliziosa capanna situata nel bosco. In quel periodo stavo affrontando momenti difficili in quanto ero oberato dai debiti causati da un fallimentare matrimonio e da una cattiva gestione dell'azienda di famiglia. Ciò mi costrinse a vendere di tutto, dall'appartamento alla macchina, per far fronte ai guai, tranne questo rifugio, nonostante le numerose e cospicue offerte ricevute.

Stamattina ho sentito il bisogno di venire qui, in primis per staccare la spina dalla tediosa quotidianità di città.

Bene, la legna per il camino è pronta, ed essendo quasi sera mi accingo ad accendere un antico lume a petrolio. Guardandomi intorno, rievoco per l'ennesima volta i miei verdi anni legati a questo posto. Mi ricordo che con lo zio trascorrevo liete giornate a parlare, a giocare a carte, a preparare gustose focacce e tant'altro. «Mi manchi!» esclamo tra me e me, divorato dalla malinconia e osservando sulla parete la sua fotografia incorniciata che pende sbilenca. Odio le cose "storte", altra caratteristica ereditata da lui.

Nell'atto di raddrizzare la cornice, casca un foglio di carta da dietro, scivolando lentamente sul pavimento. Capperi, si tratta di una stringatissima lettera. Nel leggerla, inizio a piangere, coprendo la bocca con una mano.

--- Carissimo e adorato nipote, se non hai ceduto alla tentazione di vendere la capanna, sotto il parquet su cui stai poggiando i piedi ci sono nascosti centomila euro, soldi ottenuti dalla liquidazione di quando lavoravo in qualità di sottoufficiale dei carabinieri.

Con affetto.

 

Zio Tommaso. ---
 

 

Nota dell'autore: il titolo di questo racconto si rifà a La capanna dello zio Tom un celebre romanzo di Harriet Beecher Stowe.

 

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