"The neverending history"
Umile sasso di terra
spaccata e detrita,
logoro, noioso,
avulso di vita.
Sbiancato nel Tempio
di un mare profondo
o rosso del sangue
di angosce del Mondo.
Lavato da lacrime
di Anime inquiete,
per Mano Divina
a raggiunger le mete.
Anelita impronta
erosa dal vento,
scia futura
nei pianti del Tempo.
Umile sasso,
inanime corpo,
restituisci alla vita,
la Vita che hai.
Dedicato a Martina, Sara e Giulia
Riflessioni a cielo aperto
Non esiste poter razionalizzare sempre e comunque il pensiero o i pensieri degli altri…
Scrivere è per me la sensazione di benessere o di sofferenza che nasce dall’emozione, dall’istante mentre è già passato. Questa è la mia vita!
Ciò che conta per me, quello che provo vivendo, non si può pretendere di capire e giudicare semplicemente… leggendo. Quindi, mi dico sempre: Uomo, non pretendere per forza di voler capire ciò che non potrai capire mai.
Il mio pensiero va sempre per i miei Amori che spero non tradiranno mai il mio cuore: Martina, Sara e Giulia chiedendo loro, solo per Amore, di amare e di non tradirsi mai.
Il Mondo può essere bello,
prima da scoprire
e poi da vivere,
anche se ciò e soprattutto chi ci circonda potrebbero non farcelo credere.
Buona Vita a Voi e a tutto il Vostro Mondo,
dove spero sempre essere presente anch’io.
Ripeto: solo per Amore,
babbo.
The truth out there
Che i tuoi occhi
inseguan sempre
spazi aperti e l'orizzonte
e le orecchie non si fermino
ad ascoltare i silenzi.
Cerca e trova
i profumi, quelli più inebrianti
l’aurea tua non li confonda
dai baci amari e tradimenti.
Tendi sempre le tue mani
a sorrisi e sguardi onesti.
Con mente sana poi rifiuta
gli egoismi degli stolti
la cattiveria delle genti
e poi…
ama, ama, ama…
…e fallo solo per Amore,
E non buttarti via al momento
credendolo migliore,
per diventare un oggettino
tutto usato, senza valore.
Fuori c’è ancora tutt’un mondo da scoprire
che ti cerca e ti vuol bene;
tu non perderlo di vista,
è il tuo Mondo, ti appartiene.
E se poi ricorderai
la triste storia tua con me;
forse allora capirai:
nessuno s'è fermato
neppur davanti a te.
Un piccolo cielo ci sarà sempre
guardiano di quei mali,
prigioniero tra quei monti.
nella favola negata
ai più maestosi orizzonti.
Non fidarti di nessuno
a segnare il tuo destino,
neanche quando di rimorsi
avrai segnato il tuo cammino.
La tua vita è una sola,
importante e tu lo sai,
ma potrai aver vissuto
quando rimpianti non avrai.
Se la tua Anima è pulita
prova a chiederti il perché;
forse, anche solo un poco,
tu somigli tutta a me.
Scegli di viver l’emozione
che non genera vergogna
quella che non si nasconde
quando il tuo pensiero…
sogna.
Sogna, Amore e sogna ancora,
sogna sempre Cosa Buona
scegli solo Buona Vita
Ama, ascolta e poi perdona.
Non vorrei perdermi i tuoi anni
perciò non crescer troppo in fretta,
però cresci bimba mia,
c’è il tuo babbo che ti aspetta!
Livorno Magazine - Periodico di Informazione
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Dedicata alle distanze…
Ricordi?
Cielo terso e troppo azzurro
per poter pensare male di quel vento
che nell'alto in fretta ripuliva
spingendo e rincorrendo via
i nostri pensieri e le nostre più grigie paure.
Tanto spazio liberato
per gli assolati raggi d'estate
illuminanti di calore
che bruciano ancora la terra
e la pelle.
Fuggire correndo fino al nostro rifugio,
in quel verde tranquillo
che riparava la mente
adagiava le membra
sull'amico sottobosco, morbido e cullante
che invitava gli occhi a chiudersi
sulle perseverate inquietudini
figlie delle tristezze quotidiane.
Riecheggia ancora, vicino
quel ruffiano sciacquio del fiume,
dove ieri ubriachi di musica,
nascondevamo la smania di prendersi
e il groviglio dei corpi
sbattuti dalla tempesta.
Oggi provo a trovarvi riposo
e non pace.
Tutto il resto del mondo continua a vivere
con o senza di te.
Noi,
sempre così troppo vicini o lontani;
vicini e lontani, sempre!
A Cuba non c’è droga? Di Yoani Sanchez, traduzione di Gordiano Lupi
tratto da La Stampa
Il mio occhio sinistro soffriva una cheratite piuttosto aggressiva. Era il risultato della scarsa igiene dell’ostello dove vivevo e di successive congiuntiviti mal curate. Mi prescrissero un complesso trattamento, ma dopo un mese che somministravo collirio non si notava alcun miglioramento. Mi bruciavano gli occhi quando guardavo le pareti dipinte di bianco e i luoghi dove si rifletteva la luce del sole. Le righe dei taccuini apparivano sfumate e non riuscivo a guardare neppure le mie unghie. Yanet, la ragazza che dormiva nel letto a castello di fronte, mi raccontò cosa accadeva. “Ti rubano l’omatropina per bersela, la usano per sballare, poi ti riempiono il flacone con un’altra sostanza”, mi disse sussurrando davanti alle docce. Cominciai a sorvegliare di notte il mio armadietto e mi resi conto che diceva la verità. La medicina che avrebbe dovuto curarmi veniva consumata da alcune mie colleghe dell’ostello mescolata con un po’ d’acqua… ecco perché la mia cornea non guariva.
Elefanti azzurri, percorsi di plastilina, braccia che si allungavano verso l’orizzonte. Scappare, volare, saltare dalla finestra senza farsi male… verso un abisso, erano le sensazioni che ricercavano quelle adolescenti allontanate dai loro genitori e che vivevano secondo gli scarsi valori etici trasmessi dai professori. Alcune notti, nella zona sportiva, i maschi estraevano un infuso dal fiore conosciuto come “campana”, la cosiddetta droga del povero. Alla fine del mio decimo grado, cominciarono a circolare anche in quel liceo di campagna le polveri da inalare e l’“erba” in piccoli pacchetti. Certi prodotti venivano spacciati soprattutto dagli studenti che vivevano nel poverissimo quartiere de El Romerillo. Dopo averli ingeriti, si udivano risatine nelle aule, guardi smarriti oltrepassavano la lavagna e la libido andava a mille grazie a tutti quegli “incentivi per vivere”. Assumendo dosi regolari non si sente più lo stimolo della fame nello stomaco, confermavano alcune amiche già “adescate”. Per fortuna, non mi sono mai lasciata tentare.
Finito il periodo della scuola in campagna (1), seppi che fuori dalle pareti di quel collegio accadevano cose simili, ma su scala maggiore. Nel mio quartiere di San Leopoldo, imparai a riconoscere le palpebre semichiuse dei “fatti”, la magrezza e la pelle smorta del consumatore incallito e il comportamento aggressivo di alcuni che dopo aver preso “una dose” si credevano padroni del mondo. Quando arrivarono gli anni duemila aumentarono le offerte sul mercato dell’evasione: morfina, marijuana, coca - attualmente costa 50 pesos convertibili al grammo - pasticche di vario tipo; Parkizol rosa e verde, Popper e ogni genere di sostanze psicotrope. I compratori appartengono ai più variegati strati sociali, ma la maggior parte di loro cerca una fuga dalla realtà, un momento piacevole, vuole uscire dalla routine e lasciare alle spalle l’asfissia quotidiana. Inalano, bevono, fumano, e dopo puoi vederli ballare una notte intera in discoteca. Passata l’euforia si addormentano proprio davanti a quella stessa televisione dove Raúl Castro assicura che “a Cuba non c’è droga” (http://mexico.cnn.com/mundo/2013/01/28/raul-castro-pide-combatir-el-narcotrafico-cuando-esta-naciendo).
Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
Note del traduttore
(1) Quando Yoani parla di ostello, liceo in campagna, collegio, si riferisce all’esperienza della beca, che quasi tutti gli studenti cubani hanno fatto: un periodo di preparazione al lavoro in campagna, lontani dalle famiglie. Era la cosiddetta scuola al campo, prima dell’università, basata sull’idea - di per sé formativa - che lo studio dovesse andare di pari passo con il lavoro. Gli alunni venivano separati dalle famiglie per un certo periodo di tempo e vivevano in ostelli (albergues) di campagna - di solito poco igienici - dove studiavano e lavoravano. La scuola al campo è stata abolita da una recente riforma di Raúl Castro. I cubani non la rimpiangeranno.
(2) Traduzione vignetta di Garrincha (fumettista cubano).
- Cosa ha detto Raul in Cile?
- Che a Cuba non c’è droga.
- Secondo me s’è fumato uno spinello...
Tiziana Silvestrin, "Le righe nere della vendetta"
Le righe nere della vendetta
di Tiziana Silvestrin
Scrittura & Scritture
Pag 295
14,50
Ritorna Biagio dell’Orso, già protagonista de “I leoni d’Europa”, intraprendente capitano di giustizia dal piglio moderno, in un giallo storico ambientato nel cinquecento fra Mantova, Venezia e Milano. Biagio deve investigare sulla morte del prefetto delle fabbriche Oreste Vannocci, ucciso da una camicia avvelenata nella sua casa. Indagando sull’omicidio, e cercando contemporaneamente di salvare la giovane Lucilla, esperta di erbe e medicamenti, dalle grinfie del crudele e lussurioso Inquisitore Giulio Doffi, Biagio, per il quale
“prudenza era parola che non amava molto, il suo significato gli sembrava troppo simile a quello di vigliaccheria”
sarà costretto a scavare nel passato del famoso architetto Giulio Romano, allievo di Raffaello Sanzio, attivo alla corte dei Gonzaga circa sessanta anni prima, e autore di numerose ed imponenti opere, come il celebre palazzo Te. La vicenda, quindi, si snoda in due blocchi distinti e paralleli, fra il 1524 e il 1585, con indizi che collegano gli avvenimenti, per poi accumularsi, sovrapporsi e confluire nel finale a sorpresa.
Il romanzo ha tutte le caratteristiche del giallo storico e non disattende le aspettative
degli amanti del genere, mescolando personaggi di fantasia con altri realmente vissuti, della portata, solo per fare qualche esempio, di Baldassarre Castiglione, Isabella d’Este, Federico Gonzaga, etc.
Se la parte avvincente è quella strettamente poliziesca - che possiede, tuttavia, un tono forse un po’ troppo disinvolto e moderno - l’atmosfera più riuscita è fornita dalla ricostruzione storica e d’ambiente, accurata e didascalica, frutto di minuziose ricerche e sedute in archivio dell’autrice.
Oltre Biagio dell’Orso, Lucilla, il cupo Giulio Doffi - topos dell’inquisitore ammaliato dalla presunta strega cui dà la caccia – oltre il boia Pedron, i tenebrosi domenicani, Omero, custode della lugubre chiesa frequentata da lebbrosi, o il medico all’avanguardia Samuele, oltre questa folla di personaggi pittoreschi e stereotipati, protagonista assoluta è la Mantova rinascimentale - più ancora di Venezia o della Firenze medicea - con le botteghe degli artisti, le opere del Mantegna, i lazzaretti, il tribunale dell’Inquisizione, i conventi, le farmacie degli speziali, le taverne, le “stufe” dove si andava per sudare.
L’arte fa da filo conduttore a tutta la storia, in una profusione di architetture, scorci, vedute, dipinti, in una galleria museale che ci accompagna pagina dopo pagina. È come se i personaggi storici balzassero fuori dai ritratti, animandosi all’improvviso, per raccontarci le loro avventure dal vivo, con i tratti fisici in evidenza e i costumi d’epoca indosso.
Le scene hanno un buon impatto visivo, sono ben disegnate, narrative e, ovviamente, pittoriche. Lo stile è lineare, una lingua al grado zero della comunicazione, senza connotazioni particolari o poetiche, ma funzionale, aderente alla sostanza e con poche sbavature.
CriticaLetteraria: "Le righe nere della vendetta" di Tiziana Silvestrin
Le righe nere della vendetta Ritorna Biagio dell'Orso, già protagonista de "I leoni d'Europa", intraprendente capitano di giustizia dal piglio moderno, in un giallo storico ambientato nel ...
http://www.criticaletteraria.org/2012/04/le-righe-nere-della-vendetta-di-tiziana.html
Normale?
Cara collega che dall'alto dei tuoi 40 anni di servizio affermi con decisione che "i disabili starebbero bene negli istituti piuttosto che a scuola", mi inchino dinnanzi alla tua decennale esperienza; però, mi dispiace, hai perso. Mi tengo la mia inadeguatezza e inettitudine, ma almeno a capire che il mondo non è dei belli, profumati, ordinati e cosiddetti "normali" ci sono arrivata.Tanto che adesso mi chiedo se tu sei normale. Io no, e - guarda un po' - non mi interessa pù esserlo.
Django Unchained (2012)
Regia: Quentin Tarantino. Soggetto e Sceneggiatura: Quentin Tarantino. Fotografia: Robert Richardson. Musiche: Mary Ramos. Scenografia: J. Michael Riva. Costumi: Sharen Davis. Trucco: Eba Thorisdottir. Produzione: Reginald Hudlin, Pilar Savone, Stacey Sher, William Paul Clark. Produttori Esecutivi: Bob Weinstein, Harvey Weinstein, Shannon McIntosh, Michael Shamberg, James W. Skotchdopole. Case di Produzione: Columbia Pictures, The Weinstein Company, Super Cool Man Shoe Too, Double Feature Films, Super Cool ManChu Too. Distribuzione: Sony Pictures Italia. Interpreti: Jamie Foxx (Django), Cristoph Waltz (Dr. Schultz), Leonardo Di Caprio (Calvin Candie), Samuel L. Jackson (Stephen), Kerry Washington (Broomhilda), Laura Cayouette (Lara Lee), James Remar (Ace Speck), Don Johnson (Big Daddy), Zoë Bell (Tracker Peg), Walton Goggins (Billy Crash), Jonah Hill (Bag Head), Bruce Dern (Curtis Carrucan), Franco Nero (Amerigo Vassepi), James Russo (Dicky Speck), Tom Savini (Tracker Chaney), Don Stroud (sceriffo Bill Sharp), M.C. Gainey (Big John Brittle), Cooper Huckabee (Lil Ray Brittle), Dennis Cristopher (Leonide Moguy), Quentin Tarantino (Frank), Tom Wopat (maresciallo Gill Tatum), Rex Linn (Tennessee Harry), Amber Tamblyn (cammeo), Nicole Galicia (Sheba). Doppiatori italiani: Pino Insegno (Django), Stefano Benassi (Dr. Schultz), Francesco Pezzulli (Calvin Candie), Massimo Corvo (Stephen), Daniela Calò (Broomhilda), Chiara Colizzi (Lara Lee), Domenico Maugeri (Ace Speck), Mario Cordova (Big Daddy), Andrea Lavagnino (Billy Crash), Simone Crisari (Bag Head), Franco Zucca (Curtis Carrucan), Franco Nero (Amerigo Vassepi), Carlo Valli (Dicky Speck), Dante Biagioni (sceriffo Bill Sharp), Renzo Stacchi (Big John Brittle), Sergio Di Giulio (Leonide Moguy), Franco Mannella (Frank), Dario Oppido (maresciallo Gill Tatum), Maia Orienti (Sheba). Genere: Western. Durata: 165’. USA.
Quentin Tarantino torna a omaggiare il cinema italiano dopo Bastardi senza gloria (2009), ispirato all’omonimo film di Enzo G. Castellari, anche se il soggetto era del tutto diverso. Django Unchained parte dal Django (1966) di Sergio Corbucci e Ruggero Deodato (regista della seconda unità che dirige quasi tutto il secondo tempo), ma sviluppa un discorso originale. Cacciatori di taglie e razzismo ci sono anche nel film di Tarantino, espressi in contesti diversi, mentre non si ripropone la trovata della bara che il pistolero si trascina dietro con una mitragliatrice nascosta. L’omaggio al Django di Corbucci è sottolineato dalla presenza di Franco Nero in un cammeo nelle vesti di un negriero italiano che dialoga con il protagonista Jamie Foxx. Nero: “Come ti chiami?”. Foxx: “Django. Si pronuncia Giango. La D è muta”. Nero: “Lo so”. Come per dire - strizzando l’occhio ai cinefili - che è stato il primo a portare quel nome, quindi deve saperlo per forza. Un’altra citazione esplicita dal Django di Corbucci sono le strade fangose del villaggio dove si svolge l’azione durante le prime sequenze. Infine la musica, perché il tema di Django è il vecchio motivo di Luis Enriquez Bacalov, modificato in salsa moderna, mentre apprezziamo intermezzi musicali curati da Ennio Morricone, con Elisa che canta Ancora qui in italiano. Altre parti della colonna sonora sono tratte da film del passato come Lo chiamavano Trinità, I giorni dell’ira, Città violenta…. Tarantino è un cinefilo, appassionato di spaghetti western e in questa lunga pellicola (165 minuti) - niente affatto noiosa - lo dimostra con particolare evidenza. Il film narra la storia di Django (un convincente Jamie Foxx che non fa rimpiangere la rinuncia di Will Smith), uno schiavo nero che diventa cacciatore di taglie sotto l’abile guida del dottor Schultz, un ex dentista interpretato da un ottimo Christoph Waltz. La seconda parte del film, invece, cambia registro e narra la ricerca della moglie di Django da parte dei due uomini, ormai diventati amici. Altra citazione del cinema western italiano, più sottile, perché Tarantino racconta la ricerca dell’amata come se fosse la storia mitologica di Sigfrido e Brumilde. Chi non ricorda le sceneggiature di film come Il ritorno di Ringo (1965) di Duccio Tessari, ispirate alla mitologia classica? Come gli autori italiani raccontavano l’epopea del vecchio west tenendo presente Omero, così Tarantino ricorre al Cantico dei Nibelunghi. Broomhilda (Kerry Washington) è schiava del perfido negriero Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), ma ancor più terribile di lui è il capo dei servitori neri Stephen (un grandissimo Samuel L. Jackson), che rende la vita dura a Django. La pellicola è scritta con cura, senza buchi di sceneggiatura, vive di grandi colpi di scena e di emozionanti momenti di tensione. Impossibile raccontare la storia per filo e per segno senza sciupare la sorpresa allo spettatore che si vedrà sommergere da sequenze mirabolanti, una vera festa per gli occhi. Django Unchained è un film straordinario sotto tutti i punti di vista: ricostruzione storica, fotografia, scenografia, recitazione, montaggio…Soltanto pretestuose le polemiche razziali sull’uso eccessivo della parola negro (nigger) usata al posto di nero (black), perché il film è antirazzista, sono i bianchi a fare una pessima figura. Tarantino ridicolizza i razzisti con una scena comica ricca di dialoghi trash, al limite del fumettistico, quando un gruppo di proprietari terrieri incappucciati cerca di vendicarsi dei due cacciatori di taglie. La discussione sui cappucci tagliati male che non fanno vedere bene crea una situazione comica per stemperare un crescendo di violenza. La pellicola cita anche il cinema splatter perché il sangue schizza da ogni fotogramma, in maggior quantità che nel vecchio spaghetti western. Non manca anche un accenno al tortur - genere di gran moda - quando Django viene catturato e appeso per i piedi, rischiando di vedersi tagliare gli attributi.
Grande successo di pubblico negli Stati Uniti, il più grande successo di tutti i tempi per Tarantino, ma anche in Italia il film incassa 400.000 euro nel primo giorno di proiezione (17 gennaio 2013). Un successo meritato, comunque, perché siamo in presenza di cinema vero, non di una stupida commedia americana, né di un inutile television movie italiano. Il film è stato girato in California, tra il Melody Ranch di Santa Clarita e Mammoth Lakes, ma anche in Wyoming e a New Orleans (Louisiana). Attendiamo Tarantino alle prese con il prossimo lavoro che dovrebbe completare la trilogia dei tempi moderni: Killer Crow, la storia di un gruppo di soldati di colore che combatte nella Francia del 1944. Non ci deluderà.
Gordiano Lupi
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Lo storico Pietro Vigo da Livorno
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