Alcyone 2000 Quaderni di poesia e di studi letterari: volume 19
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Volume 19 di “Alcyone 2000 - Quaderni di poesia e di studi letterari”
Guido Miano Editore, Milano 2025
“Benedetto Croce, alla fine de La poesia di Dante, la giustamente celebre monografia del 1921, dopo aver a lungo discorso del rapporto fra tradizione filosofico-culturale, problematiche teologiche e dottrinali, e valori artistico-letterarî nella Commedia, concludeva sottolineando il significato universale del poema dantesco poiché in esso prontamente si riconosce «quella voce che ha il medesimo timbro fondamentale in tutti i grandi poeti ed artisti, sempre nuova, sempre antica, accolta da noi con sempre rinnovata trepidazione e gioia: la Poesia senza aggettivo. A coloro che parlano con quel divino o piuttosto profondamente umano accento, si dava un tempo il nome di Genî; e Dante fu un Genio» (….).
FLORIANO ROMBOLI
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“Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, Cuba, 1923 - Siena, Italia, 1985) è stato uno dei pochi scrittori italiani del Novecento che ha saputo conciliare, nella sua vita così come nelle sue opere, esigenze della ragione e sentimenti di umanità, istanze ideologiche e politiche con impulsi onirici e libertà di creatività fantastica. Non dovrebbe esser stato per lui impresa ardua poiché tutte le sue dimensioni mentali, esistenziali, culturali paiono risultare innate, congenite alla sua natura. Tale è l’impressione che si è formata in me nell’attenta lettura di alcune sue opere, come Il sentiero dei nidi di ragno (1947); la famosa trilogia degli antenati: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959); Le cosmicomiche (1965); Le città invisibili (1972) ed anche Il castello dei destini incrociati (1973). Libri che consiglio vivamente ai lettori, non solo per il valore intrinseco letterario e tematico - sono di Italo Calvino, al quale il Premio Nobel andava assegnato - ma anche per quel che viene chiamato il piacere della lettura a tutto tondo, cioè un viaggio serio e divertente allo stesso tempo nel mondo concreto, storico e nel mondo dei nostri sogni, capace di farci evadere dalla tirannia del dato di fatto, dall’iperrealismo che spesso ci tarpa le ali. Per dimostrare l’ipotesi iniziale – se ce ne fosse bisogno – di questo articolo, frughiamo ora nella vita e negli scritti dell’intellettuale cubano-sanremese, in modo paradigmatico, senza pretese di completezza. (…)”
ENZO CONCARDI
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“Era l’anno 960 d.C. nel mese di marzo quando si istruisce un processo in pubblica piazza secondo l’uso longobardo… Eh sì!!!! In quell’epoca erano i Longobardi i Signori di Capua e delle terre limitrofe. Capua assurge a Contea e Principato della Longobardia Minor, dopo il distacco da quelli di Salerno e Benevento. La giustizia e le varie contese venivano, amministrate e discusse nell’area antistante il Palazzo dei principi Longobardi, nel perimetro delimitato proprio dalle tre chiese a corte: San Michele, San Giovanni e San Salvatore; ed ecco che proprio davanti alla chiesa di San Salvatore, la rediviva Pricipessa Adelgrima, ne apre le porte agli studiosi, alle scolaresche ed a tutti i convenuti alla manifestazione. Il processo in questione riguardava una vertenza tra il Nobile Rodelgrimo, che rivendicava, come sue, le terre avute in eredità dal padre, ed i monaci benedettini che, a loro volta, ne rivendicano il possesso perché le lavoravano da oltre 30 anni. Lo storico Nicola Cilento ricostruisce la vicenda trasmessaci dalla “carta capuana” (…)”.
ANGELA RAGOZZINO
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Già ho “incontrato” gli scritti di Don Gianni Carparelli: sì, perché quando un autore pubblica uno scritto – di qualunque genere sia – offre ad ogni lettore l’occasione di incontrarlo personalmente; altrimenti, a cosa servirebbe scrivere, se non per affermare sé stessi? E non mi pare che questa sia la ragione per cui scrive Don Gianni, che lo fa per aiutare chi crede a credere meglio, cioè con una maggiore maturità – per quanto la semplicità di cuore sia di per sé più che sufficiente per riconoscere la presenza di Cristo nella propria vita ‘normale’.
Questa volta il sacerdote viterbese ci pone di fronte ad una bella questione: siamo Illuminati di Dio per diventare semi di vita? La forma di questo sottotitolo del libro, intitolato Come un girasole (Ed. APS Amici del Beato Domenico della Madre di Dio, Viterbo 2024) non è interrogativa, ma suscita in chi legge l’interrogativo. Vediamo, dunque, di cosa si tratta.
Nell’Introduzione, spiegando il perché di uno scritto sulla Divina Eucarestia e la sua adorazione (concetti – anzi, realtà che ad ogni fedele minimamente istruito nel catechismo dovrebbero essere comprensibili), Don Gianni pone una domanda ‘secca’: «Ma è tutto qui?» – che credo significhi domandarsi sinceramente se si è capito ‘col cuore’ e non solo con l’intelletto cosa vela e insieme svela il segno dell’ostia consacrata. Insomma, un interrogativo non dissimile dal dubbio che ebbe a Bolsena il sacerdote Pietro da Praga nel 12632, ricevendo in risposta il miracolo del sanguinamento dell’ostia consacrata. Ma i segni ‘straordinari’ servono a rafforzare la fede vacillante (come i circa 142 miracoli eucaristici riconosciuti, ricordati en passant a p.16) (…).
MARCO ZELIOLI
ALCYONE 2000 – QUADERNI DI POESIA E DI STUDI LETTERARI, n°19; Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 106, isbn 979-12-81351-70-7, mianoposta@gmail.com.
Gilberto Vergoni, "Frammenti d'anima, di senso e spigolature sparse"
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Gilberto Vergoni
Frammenti d’anima, di senso e spigolature sparse
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Gilberto Vergoni, fanese di nascita ma vivente a Cesena, non è scrittore di professione: è Neurochirurgo. Ma scrive in modo tale da attrarre l’attenzione dei lettori, e anche della critica – a giudicare dai non pochi riconoscimenti ottenuti con le due raccolte fin qui pubblicate: Fragmenta Animae Meae (Ed. Persiani, Bologna 2018) e Le parole del tempo (Ed. peQuod, Ancona 2023).
In questo libro (Frammenti d’anima, di senso e spigolature sparse, Guido Miano Editore, Milano 2025) ci sono più di ottanta composizioni; poesia e prosa si alternano, quasi a voler significare la spasmodica ricerca di senso che muove l’Autore, due modi complementari di chiedere e di rispondere, di cercare e di sperare: di vivere, comunque. Enzo Concardi nella Prefazione cita il Vergoni che si definisce “…paradossalmente con un ossimoro: «…Io mi sono sempre ritenuto un filosofo cristiano cattolico non credente» (Un giorno a Cambridge, Novembre 2002)”. Una posizione “scomoda”, in quanto non basata su certezze; ma comprensibilmente umana, in quanto indice di una libera ricerca della verità, del significato di tutto: vita, affetti, gioie e dolori, morte (come quella del fratello Marco o dell’amico Stefano). Il tutto indagato – direi – quasi al di là dei confini della ragione, nel profondo; non a caso, a proposito di chi vuol ridurre tutto a ragione, si trova questa affermazione: “Non ho amato Kant perché ho sempre pensato che la ragione non basta; come nell’innamoramento. Come nella vita e come nella morte” (da Quelli che esercitano amore di sapienza fanno una meditazione continua della morte).
C’è proprio un po’ di tutto; e non si può condensare una presentazione in poche parole. Con uno stile sobrio, Gilberto Vergoni qua e là ammicca a stilemi classici che donano ai suoi scritti un senso di profonda ma dolce malinconia, come nell’ultima terzina della poesia dedicata alla moglie: “Ed ora la voluttà della piena estate fa suo / quell’orizzonte sinuoso, luminoso, stagliato e netto / com’io lo vorrei far mio fino a che, freddo, finirà anche ‘l mio inverno” (Silvia). A volte le parole sembra che scolpiscano nella pagina i tratti della persona descritta, come in Mamma: “Donna d’altri tempi e di sempre, / perno solido e malleabile / oppure colonna del tempio mai finito / che nei figli ha infuso i suoi numi. / Comunque sola. / Muta testimone di antichi suoni e perduti colori” (terza ed ultima strofa della poesia).
L’Autore riflette sul destino umano, consapevole che “Quando i fatti della vita sono troppo forti e troppi pensieri affollano la mente, occorre ricercare il filo attraverso il ragionamento ed il sentimento, attraverso l’allegoria” (dalla prosa All’ombra delle parole, le orme del mio viaggio). E fioriscono i “forse”, ipotesi di risposte adatte al senso di sproporzione tra l’altezza delle aspirazioni umane e la povertà degli esiti delle ricerche della verità del tutto (si veda la prosa Razionale sentimento, forse...). Subentra un senso di smarrimento che suscita domande profonde come: “Dov’è la mia casa, la nostra casa? // Nell’universo c’è l’ombra di me, / quel qualcosa o quel dove che lascio / perché da lì son partito? / Quando mi sentirò di nuovo a casa?” (da Casa); e come: “Perché la gioia è fugace? / Perché l’attimo parla di una intera vita / ma come il sogno sfuma e rimane, ora, / ruga, espressione, sguardo?” (da L’infinito viaggio); o altre volte solo apparentemente più leggere, come: “Chissà se il bianco può lenire il rosso! / Chissà quando comparvero i colori? / Chissà perché son nati i fiori? / E quando la rosa?” (da Rosa solitaria, o della mia professione): domande di verità, come in Verità, dove sei?
È una vertigine: “Vivo nella vertigine della solitudine / di chi vede e sente / negli indifferenti attimi che passano / mentre cerco un perché” (da Guardando il silenzio). Tutto sembra lasciare nel cuore una grande “Nostalgia agrodolce di posti mai visti” (ultimo verso della breve poesia Frammenti di me): segni della coscienza della povertà dell’uomo e insieme della consapevolezza delle sue grandi potenzialità. Una sproporzione alla quale potrebbe dare risposta solo un quid novi, un fatto nuovo, un’amicizia che apra l’orizzonte umano alla coscienza del proprio destino. Per questa apertura non bastano i ricordi (“Come lo scirocco che vien da lontano, / il ricordo riscalda / sciogliendo il cuore e finalmente le labbra / in un sorriso sereno e, per un po’, senz’affanno”, si legge alla chiusura di Festa).
Affiora qua e là un acuto pessimismo, come quando l’Autore scrive che “il dolore è l’elemento più umano dell’uomo, accettato come condanna e destino, e riscattato da attimi d’amore” (in Razionale sentimento, forse...); ma c’è la consapevolezza che il pessimismo affonda le sue radici nella solitudine, superata la quale si può passare dal “Sento, ma non so cosa mi lega” al “Sento; sì sento qualcosa che mi lega. / Guardo e cerco di vedere. Ascolto e cerco di capire” – come ben espresso nella poesia Solitudo.
Siamo alle soglie di quello che si definisce ‘senso religioso’, che nell’uomo è innato, ma spesso viene soffocato – specie nell’epoca nostra – dalla somma preoccupazione delle ‘cose da fare’. Ma qualcosa succede; ad esempio, “Piove e mi lava via l’ansia del dover fare. / Il tempo sembra fermarsi, / pesante, / come il silenzio nella mancanza delle parole” (così inizia Nell’attimo che piove), e chi non si lascia prendere dalle cose da fare comincia a vedere in tutto qualcosa di interessante, di splendente, di nuovo: anche in un “umido naso” (Cane), in una Effimera brezza, in qualche paesaggio o luogo (ad esempio, Vulcano o Naxos o Lubriano o Peschici o Cesenatico); e soprattutto in un amico che, paziente come un libro che si lascia chiudere e poi riaprire per riprendere la lettura interrotta, “è lì a riprendere la storia / in effetti mai interrotta, come quando l’ho lasciato. / Anzi arricchito / della mia e della sua vita, / nel mentre scorsa” (finale di Leggero come un amico).
Allora sorgono le domande “ultime”, quelle sul senso della vita, i Perché: “… // Il dove, / l’era, / il sarà, / sono confusa percezione che / l’adesso dilata” – da cui la sensazione di una “Promessa uguale per tutti. / Incantesimo o Destino?” (da Promessa infranta – Le mani dei bambini), e l’urgenza esistenziale di una risposta che deve esistere e deve essere cercata, pena il rinunciare alla propria umanità: “Destino che voglio capire / prima che lui mi incontri” (da Bisturi e valigie).
Ma l’uomo non basta a se stesso, perché “La morte slega tutto / ed è notte per sempre” (finale di Un’amica se ne va), mentre resta sempre accesa la ricerca di un senso, anche “Di un senso che non c’è / come in queste parole / che cercano accordi per un’armonia nelle cose, / armonia che non trovo / ma che, mentre scrivo, mi solleva verso / una muta, inconsapevole, umana, disperata / speranza” (da Sogni nel sale del mare).
Il senso religioso è l’anticamera della fede; e la fede è il luogo di quell’incontro con la verità che riempie di senso tutta la vita; e la vita è il dono misterioso di Dio all’uomo di ogni tempo; e Dio è la Verità del tutto. Questo “circuito” di pensiero ci porta a capire che definirsi “filosofo cristiano cattolico non credente” è veramente un ossimoro, dacché Cristo è venuto nel mondo e si fa incontrare ogni giorno nella sua Chiesa, immagine imperfettissima (perché compagnia di uomini) della Sua presenza nel mondo. Lo scrittore lo percepisce, anche se si sente “testimone di cose che non so / ma che porto dentro” (da Nelle pietre di antiche chiese), dicendo di sé: “E scrivo, vivo, scrivo / per trovare / quella parola che mi sta aspettando” (da C’è una parola).
Sì, in fondo questa raccolta di pensieri e poesie di Gilberto Vergoni, invitandoci a riflettere su tutto, e senza quel “rispetto umano” che spesso ci tarpa le ali, è uno strano ma autentico libro di meditazione religiosa. Vale proprio la pena leggerlo, con calma.
Marco Zelioli
Gilberto Vergoni, Frammenti d’anima, di senso, e spigolature sparse, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 116, isbn 979-12-81351-67-7, mianoposta@gmail.com.
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