L'amore e la paura
«Dammi retta, arrenditi!» suggerì la Paura all'Amore con voce lagnosa.
Quest'ultimo avanzava imperterrito, impugnando una lanterna in cui era racchiusa una fiammella blu, capace d'illuminare appena sufficientemente il condotto tenebroso.
«Sta' zitto, lasciami fare il mio lavoro!» reagì infastidito l’Amore, ricominciando a palpare le pareti di pietra ruvida, come alla ricerca di qualcosa.
«E tu lasciami fare il mio!» esclamò imbufalita la Paura.
I due, per l'ennesima volta, finirono per litigare e prendersi a botte, finché non ripresero il cammino attraversando la cavità destra, rassegnati sull'impossibilità di dividersi.
Di certo, l’Amore rappresentava il più risoluto della coppia, del resto era fortemente convinto di trovare il tasto che avrebbe risanato il Cuore indurito e avvolto nell'oscurità.
***
Alessandro, dal computer, avviò una playlist di canzoni di Marco Masini, per poi sdraiarsi sul letto guardando il soffitto con un'aria tra il sognante e il malinconico.
Da settimane usciva con Lavinia, una ragazza molto carina e dalla trascinante simpatia, conosciuta all'università.
Il giovane, seppur decisamente attratto da lei, tra l'altro ricambiato, teneva il cosiddetto "freno a mano tirato" a causa di una recente delusione amorosa.
A un tratto gli arrivò un messaggio sul cellulare proprio da parte di Lavinia, che lui lesse immediatamente.
«Salve salvino Mister Freeze. Visto che siamo in inverno, immagino che io debba aspettare l'estate affinché tu ti sciolga.
Colgo l'occasione per dirti che vali assai. A mio avviso, lo sai anche tu. Non reprimere questa consapevolezza perché ti aiuterà a dissipare quella sfiducia che ti perseguita.
Sicuramente hai presente la tecnica del Kintugi, perciò ti chiedo: posso essere il tuo oro per riparare le tue fratture?»
***
«Toh, eccolo!» esultò l’Amore nel premere il tanto agognato pulsante.
In un attimo un bagliore accecante rischiarò il buio, ne seguì un fortissimo terremoto che distrusse interamente le pareti pietrose. Tutte le zone cavernose si tramutarono in incantevoli giardini che si estendevano lungo il Cuore rinvigorito.
«Bravo, ci sei riuscito. Addio, o forse, chissà, arrivederci» disse la Paura, scomparendo gradualmente in una nuvola di fumo. Nel mentre, la lanterna si ruppe in mille pezzi, dalla fiammella blu si materializzò la Fiducia che, insieme all'Amore, corse verso la porta spalancata di quel Cuore d'un fulgido rosso abitato da bei sentimenti.
***
Ad Alessandro iniziò a battere il cuore all'impazzata, accorgendosi così che le catene della diffidenza si erano spezzate.
«Principessa, vediamoci a Parco Corona, in una delle panchine vicino la Fontana Clementana, dove ieri abbiamo ripassato fisica e geometria. Ma stavolta senza libri. Le tue parole mi hanno permesso di riacquisire quella fiducia che, unita alla tua, sarà il perno sul quale fonderemo la nostra storia, la nostra favola» le scrisse, abbandonandosi a un pianto liberatorio.
Per tutta risposta, nel display del suo dispositivo ricevette una miriade di emoji di natura romantica.
Un'ora dopo entrambi si presentarono all'appuntamento emozionati come non mai.
«Non mi sembra vero» sussurrò Lavinia ad Alessandro perdendosi nei suoi occhi.
E tra baci, carezze ed abbracci, un meraviglioso tramonto fece da cornice al loro amore finalmente sbocciato.
Franco Colandrea, "A mio figlio Paolo"
Franco Colandrea
A mio figlio Paolo (Dialoghi d’amore)
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede si può definire come il diario di un’anima, di un padre che ha perduto prematuramente un figlio, e così la morte del figlio Paolo diviene per Franco Colandrea occasione di uno scritto che virtualmente è indirizzato al figlio stesso; non un monologo, ma Dialoghi d’amore, come suggerisce il sottotitolo del volume.
Il tema della morte di un figlio è stato già oggetto di opere letterarie come per esempio il libro di poesia Il dolore di Giuseppe Ungaretti e la letteratura diviene così strumento per la rielaborazione del lutto e del resto scrivere è sempre qualcosa di salvifico.
Il libro presenta una prefazione esauriente e ricca di acribia di Floriano Romboli intitolata L’intensità di un amore senza confini.
A livello strutturale il testo è costituito da una sequenza di brevi frammenti tutti forniti di titolo e il linguaggio usato da Colandrea è chiaro e icastico.
Ricorre il tema del ricordo del sorriso di Paolo e il padre rievoca momenti felici a contatto con la natura passati insieme.
L’interlocutore dell’io-narrante è Paolo al quale Franco si rivolge come se gli mandasse lettere o messaggi in bottiglia, come se fosse una presenza-assenza e Colandrea, con queste missive destinate al figlio scomparso, ne riattualizza il ricordo attraverso la memoria involontaria in modo positivo e costruttivo per rivivere nello scatto e scarto memoriale i momenti belli passati con lui.
Si può considerare architettonicamente questo volume come una serie di flash che descrivono situazioni profonde a livello affettivo tra un padre e un figlio molto legati tra loro e le situazioni descritte sono ambientate soprattutto nel tempo dell’infanzia di Paolo, anima in formazione sensibile e felice, anche perché ha la fortuna di avere un padre lungimirante, buono e intelligente che gli vuole veramente bene, e credo che ogni lettore-genitore può identificarsi tout-court con l’io narrante.
Una natura idilliaca fa spesso da sfondo, da cornice al binomio padre-figlio e anche il sogno e il sogno ad occhi aperti fanno parte delle tematiche espresse dall’autore.
Molto suggestivo il frammento intitolato Un fiore nella notte dove è presente il tema della metamorfosi quando l’autore dice di vedere gli occhi scuri e profondi di Paolo e l’Io del figlio mostra al padre un fiore nero e Franco gli svela l’enigma dicendo che quel fiore è il fiore della notte, del buio e dell’oblio ed è egli stesso.
Libro intelligente e felice che, pur partendo dal dato incontrovertibile del dolore, tramite l’esercizio di conoscenza e la riattualizzazione di situazioni passate, diviene salvifico e serve a rinnovare la gioia dell’amore nella sua inscindibile relazione proprio con la stessa morte.
Raffaele Piazza
Franco Colandrea, A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-40-0, mianoposta@gmail.com.
Wanda Lombardi, "Tempi inquieti e altre poesie"
Tempi inquieti e altre poesie
Wanda Lombardi
Guido Miano Editore, Milano 2024
Torno a visitare il mondo di Wanda Lombardi, poetessa di Morcone, in provincia di Benevento, che mi sembra di conoscere da sempre. Ho percorso il viaggio a ritroso nel suo lirismo e nella sua esistenza attraverso l’Opera Omnia (2023), e sono consapevole che si tratta di una voce polifonica e di rara purezza, che ruota attraverso l’inquietudine, il misticismo e la natura.
La presente raccolta poetica ci riconduce alla sua fuga interiore, segno di un’intensa, inesausta vitalità dell’anima, mai paga del quotidiano, tesa a una meta degna dei suoi sforzi e dei suoi ideali, pur consapevole, per dirla con Vincenzo Cardarelli e la lirica Gabbiani, che il suo destino è «vivere balenando in burrasca». La cittadina nella quale l’autrice vive da sempre ha intriso la sua indole di vicoli che cercano spiragli, di scale che vorrebbero arrivare al cielo, ed è divenuta un tutt’uno con la sua intensa spiritualità: «…Il cinguettio di uccelli, / un gorgogliante rio / e da presso i rintocchi lieti / di campane della vicina chiesa / mi scuotono al loro ritmo / si affianca il cuore / in una sorta di condivisione e amore…» (La musica della vita).
Il tessuto artistico della Nostra è cucito alle radici, che rendono melodia i suoi versi; ella trae forza per affrontare le fatiche del vivere dalle atmosfere morbide, variegate del Sannio, territorio campano che raggiunge il litorale del Molise e del basso Abruzzo. Forse la sua stessa scrittura caratterizzata da una molteplicità di suoni trae origine dalla struttura variegata della regione. Il tempo di Wanda Lombardi è stato travagliato, il lirismo ne è calda, superba testimonianza, e mi viene da pensare a un’ulteriore similitudine con l’asprezza e il coraggio atavico dei sanniti, che seppero evitare le sottomissioni ai romani e opporsi ai periodi difficili. Non a caso la poesia Nell’andare recita: «Nei giovanissimi anni / ho camminato con immane dolore / che stretto ho serrato nel cuore / dinanzi a muri di ferro…».
Le sue sofferenze hanno avuto inizio negli anni della giovinezza, quelli in cui tutti abbiamo potuto tenere aperti gli oblò della speranza, perché era considerato un diritto inalienabile. Anche i grandi della nostra Letteratura, ai quali l’Autrice si ispira, descrivono gli anni giovanili in modo lieto e luminoso. Molti critici hanno definito nichilista il versificare della Nostra, e non si può dar loro torto, sebbene io scorga dietro i «muri di ferro» il concetto eracliteo dell’armonia dei contrari, la capacità del suo mondo di reggersi, di rimanere in tensione, di continuare a stupirsi: «…Malgrado gli alti e bassi, / meravigliosa è la vita / ché anche i momenti bui / forza ridanno…» (La collana della vita).
I punti di debolezza si trasformano spesso in risorse, si distilla da essi la forza per affrontare le difficoltà. E l’equilibrio tra gli opposti consente alla Lombardi di calarsi nel sociale con sguardo caldo di pietas, valutando i pericoli del male, schegge di guerra in periodi bui come quello che attraversiamo. Si coglie nei suoi versi l’esortazione a non cadere nella trappola degli oltraggi, dei pregiudizi, delle offese. Il richiamo suadente a creare ponti verso il prossimo è adamantina esplicitazione della fede, che consente all’uomo di sentirsi saldo perché appoggiato a qualcuno molto più forte e giusto di lui. Ella crede nel Dio che ha creato gli uomini, non nell’idea del Signore creata dagli esseri umani: «…Rotte difficili da seguire / e delusa pensa che i segreti / del cielo e del mare / sono solo nella mente di Dio» (Desiderio d’infinito).
In questa nuova, breve raccolta di poesie la Lombardi si sofferma sul tempo che stiamo vivendo, sull’intelligenza artificiale, ovvero l’abilità delle macchine di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento e la creatività. Nella lirica Il tempo della velocità scrive: «…in un’epoca in cui sempre più veloci andiamo, / spesso dimentichiamo la necessità / di pensare, di usare il cervello / che tempi più lenti ha per lavorare…». Ed è evidente che per una poetessa il ricorso ai computer per pensare equivale a un’epidemia di sfiducia verso il futuro. Inoltre la sua lunga carriera di insegnante le ha dato modo di instaurare rapporti empatici con i ragazzi, di capire le loro esigenze, le loro fragilità. Non vuole credere che si potranno trasmettere valori alle nuove generazioni attraverso la robotica, sebbene le evidenze dimostrino che la maggior parte degli studenti faccia ricorso all’intelligenza artificiale.
La Lombardi sa dove rifugiarsi per rigenerare la mente e il corpo: tra i miracoli di madre natura. Albert Einstein asseriva che «Ogni cosa che si può immaginare, la natura l’ha già creata», e potremmo aggiungere che l’universo infinito del creato non rappresenta un luogo da visitare, è casa nostra. Purtroppo non siamo stati bravi nel rispettare un simile dono, lo abbiamo offeso, tradito, inquinato. L’Autrice dinanzi a un prato verde, a una vetta, ai fiori, al cinguettare degli uccelli si apre alla chiarezza, alla semplicità, cancella gli egoismi e pratica il rispetto. Nutre la consapevolezza che l’individuo diventa ciò che si lascia costruire attorno e che destrutturarsi equivale a restare se stessi: «Nella solitudine che deprime / amo percorrere sentieri / che non s’impongono; / essi ti ascoltano con pacatezza, / a fidarti ti invitano e a riflettere…» (Sentieri).
Struggenti i ricordi degli amori volati in cielo; l’assenza, già compagna di vita dell’Autrice, si materializza di fronte alle perdite, ma subentra il suo senso eracliteo laddove recita che la sofferenza degli addii è compensata dalla gioia di aver potuto vivere gli amori. La memoria li rende immortali. In A mio fratello Ubaldo si leva il canto più straziante: «Tenero germoglio / maldestramente strappato, / piccola goccia d’acqua / nell’aere dispersa / tu, Ubaldo, che della mamma il volto avevi e il cuore…».
Alla silloge Tempi inquieti fa seguito una breve raccolta dal titolo indicativo: Perché nulla vada perduto, quattordici componimenti estratti da opere precedenti al fine di rendere esaustiva la sua melodia. La poesia che spalanca le isole del passato la conosco bene e la reputo un gioiello a livello contenutistico e formale: «Eri venuto da lontano / a portare il tuo messaggio di speranza, / a ravvivare la nostra fede spenta…» (A Papa Wojtyla). In questi versi la Lombardi dimostra che colui che ha fede avverte l’esigenza di incontrare una persona illuminata, di sperimentare la gioia di essere di fronte a qualcuno che permetta di vibrare sullo stesso registro.
Il percorso verso la spiritualità è un cammino di crescita e di apprendimento permanenti. Il misticismo rivela un modo per avere conoscenza. Si può considerare vicino alla filosofia, tranne per il fatto che in quest’ultima il metodo di indagine è orizzontale, mentre nel misticismo è verticale. Ho già avuto modo di soffermarmi sulle concezioni religiose della meravigliosa poetessa sannita, mettendo in rilievo che i mistici non sono pensatori, ma artisti segreti: poeti senza versi; pittori senza pennello, musicisti senza note. Lei possiede la forza granitica dei versi e sa distillarla anche per la scrittura in prosa.
La cifra stilistica di Wanda Lombardi è priva di ogni figura retorica, eccezion fatta per le similitudini. Ricorre in alcune occasioni all’adozione di splendidi endecasillabi, che dimostrano la sua conoscenza delle basi della poesia. La musicalità è assordante. Stordisce i sensi, li addestra a nuovi tipi di ascolto. Il merito è soprattutto del ritmo, dato dalla posizione degli accenti tonici sulle vocali più evidenziate nella pronuncia. Nel suo caso il ritmo è naturale, i suoni sono aperti, tremano, aumentano la tensione emotiva. Si può senza dubbio parlare di un’artista ispirata. E il pensiero va ai greci che ritenevano il poeta ispirato quando cadeva in estasi e veniva trasportato vicino ai pensieri di Dio.
Pur non potendo parlare di condizione estatica, credo sia evidente che la Lombardi possieda la funzione mentale che consente di percepire le cose materiali e spirituali senza passare attraverso la logica. Non concepisce i tecnicismi, sa guardare oltre le cose ed è visionaria nel senso positivo del termine, in quanto sa anticipare ciò che deve nascere elaborando disegni che possono dirsi rivelazioni. Non credo possa esistere un poeta realista, è ossimorica la stessa definizione. Il motore del visionario è il coraggio, oltre alla creatività. E la cara, carissima poetessa delle valli che conosco bene, porta in sé il coraggio delle ferite. In natura l’ostrica produce la perla se viene offesa e resa inabitabile da corpi estranei. La conchiglia produce la madreperla per proteggere il corpo indifeso; e forma splendide perle lucenti, pregiate e diverse l’una dall’altra. Senza il dolore l’ostrica non produrrebbe perle. Si tratta di una metafora ardita, ma a mio umile avviso adatta a una donna che si è rivelata combattente in ogni giorno della sua esistenza e ha trasformato le lesioni dell’anima in perle lucenti che scaldano i giorni e le vite di coloro che le leggono e le trattengono nei cuori.
Io mi ritengo una prescelta e voglio ringraziare l’artista che sa «lenire l’altrui dolore», «avvicinarsi agli umili» e comprendere la parola di Dio. Se i critici sono deputati alle esegesi del suo dire, io entro in comunione con la sua essenza, respiro le sue storie, imparo la danza lenta del tempo e m’inchino a ogni perla deposta sul greto del Calore.
Maria Rizzi
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L’AUTRICE
Wanda Lombardi è nata e vive a Morcone (Benevento), città dell’Alto Sannio. Laureata in Pedagogia, ha insegnato Materie Letterarie nelle scuole secondarie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Sensazioni (2001), Nel silenzio (2002), Luce nella sera (2011), Oltre il tempo (2015), Voci dell’anima (2016), Gocce di rugiada (2017), Attimi lievi (2018), Il senso della vita (2019), Nel vento dell’esistere (2020, con traduzione in inglese), Volo nell’Arte (2021), Miti e realtà (2022), Opera Omnia (2013). I libri di narrativa: Proverbi e modi di dire morconesi (2008), Racconti fiabeschi, letture per la scuola (2011). I romanzi: L’eco del passato (2012), Sulla scia del destino (Poppi 2016). I testi teatrali: La fortuna dietro l’angolo, commedia in tre atti (2013), Una volta… c’era, commedia in tre atti (2014), Ce la faremo, commedia in tre atti (2016).
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Wanda Lombardi, Tempi inquieti e altre poesie, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 60, isbn 979-12-81351-38-7, mianoposta@gmail.com.
Tommaso Tommasi, "Poesogni"
Tommaso Tommasi
L’argomento dei sogni, della vita onirica, è l’esclusività di questa pubblicazione dello scrittore marchigiano, vivente nella bergamasca, Tommaso Tommasi. Il libro è stato edito nel luglio 2024 a Milano dalla Casa Editrice Guido Miano, nella collana di testi letterari “Alcyone 2000”. Reca come sottotitolo “Poesie e sogni”: si tratta infatti di un’opera costituita dall’alternanza di prosa e poesia, dal racconto dei sogni personali dell’autore, intervallati da brevi liriche. La prefazione è stata scritta da Michele Miano il quale colloca “Poesie e sogni” come la continuazione delle due opere precedenti, Ripamaro (2020) e Lamodeca (2022), in una trilogia ideale a formare “... un percorso di vita e sperimentazione linguistica”. In esergo l’autore presenta quattro versi che forse vogliono essere una traccia di lettura di tutto il complesso dei suoi testi che si sviluppano in seguito: “Vivo per sognare. / Il sogno è poesia. / Ma poi mi sveglio e trovo / intorno a me il mondo”. Il racconto della vita onirica notturna si avvale di una prosa semplice, diretta, senza pretese letterarie, ricordando i sogni che lo hanno visitato nelle fasi di sonno dell’esistenza, quasi una scrittura a briglia sciolta che sembra essere un outing dovuto ai prodotti immaginari del proprio inconscio, mentre le poesie che si intervallano posseggono un valore lirico superiore, un’intensità elevata, uno spettro immaginifico e creativo di grande suggestione ed attrattiva, pur lasciando spesso il lettore alle prese con l’interpretazione del maggior numero di esse.
Una parte delle narrazioni svela che si tratta di sogni interrotti ed il risveglio è di natura bipolare, così come il contenuto delle vicende oniriche: in altre parole il mondo dei sogni di Tommasi ha sia delle caratteristiche rosee, romantiche, amorose, positive, sia delle connotazioni contrarie, ovvero ha più senso parlare, in quei frangenti, di incubi, trame noir, situazioni angosciose (forse un po’ alla Edgar Allan Poe), negatività. Tant’è vero che abbastanza di frequente ricorre la frase: “per fortuna mi sono svegliato” (allocuzione posta anche al termine del libro, dopo l’ultimo sogno, Il mare di plastica, nel cui finale l’autore scrive: “... E poi mi trovai a galleggiare insieme a tanti oggetti di plastica. Intorno alla mia barca non c’erano più pesci, ma tanti oggetti colorati, che avevano trasformato il mare in qualcosa di orribile”). Dunque ecco che il contrasto fra sogni e realtà si può invertire rispetto a quel che comunemente si pensa: la vita onirica non è solo un viaggio beato tra le nuvole, ma si può trasformare – l’esperienza lo insegna ed anche nell’autore è così – in un viaggio all’inferno, con notti agitate e improvvisi risvegli accompagnati da stati di panico. Un altro aspetto che appare dai racconti di Tommasi è quello dei sogni-presentimento, come l’esempio sopra citato del mare di plastica, rischio di un inquinamento ambientale reale.
Narrando dei propri sogni l’autore si tiene lontano da ogni interpretazione psicanalitica (scuola freudiana, adleriana, junghiana) ma, come recita chiaramente il titolo del libro, ne trae ispirazione poetica, anche se il legame tra un sogno e la relativa lirica non è quasi mai evidente, dal momento che la raffigurazione traslata dei significati è estremamente soggettiva e quindi conosciuta in ultima analisi solo da chi la compie. Occorre ancora tener conto del linguaggio criptico, esoterico, ermetico dei testi per completare il quadro dell’irrazionalismo imperante nell’opera, del resto già insito nella materia onirica, la quale deriva da una dimensione della nostra psiche per definizione illogica, inconscia e quindi non controllabile dalla volontà e dalla ragione. Ne sono testimonianza diverse composizioni che rappresentano il sentire del poeta, il cui lessico – pur affascinante e intrigante – può sconcertare per la sua enigmatica natura: “Il diapason del merlettaio / ramifica l’ossequio del poliglotta / e gorgheggia sul monolite d’acciaio” (senza titolo); “L’apparenza sconquassa / come un cacciatore / che racconta di sommergibili / arrugginiti dell’isola / dove il tramonto dell’eloquenza / emana un iter istintivo” (senza titolo). Altrove invece il messaggio si comunica con più comprensione: “Mi sono allontanato / dal cerchio di fuoco: / non seguirò più / le lunghe strade / che non hanno / orizzonti limpidi: / resterò solo / sulle strade del cuore” (senza titolo). Tommasi ha sentito il bisogno di dar luce ai propri sogni sognati traendone poesia: potrebbe essere una nuova strada per il futuro.
Enzo Concardi
Tommaso Tommasi, Poesogni - Poesie e sogni, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-36-3, mianoposta@gmail.com.
Cesare Verlucca e Michela Mirici Cappa, "Quando la poesia incontra l'arte"
Quando la poesia incontra l'arte... di Cesare Verlucca e Michela Mirici Cappa (Hever Edizioni, 2024 pp. 88 € 18.00) accorda, con meravigliosa corrispondenza artistica, la vivace e brillante complicità degli autori, nella relazione fortunata di rappresentare e interpretare l'evocazione poetica, nell'intensità delle parole e nell'incantevole scenario dei dipinti. Il libro racchiude poesie molto significative, dettate dalla fervida e appassionata personalità di Cesare Verlucca, animate da un sentire autentico, assiduo, consolidate dalla qualità della gratitudine e della pienezza presente della vita, ancorate all'eco sentimentale dei ricordi e alla libertà irrinunciabile dei desideri. L'incontro felice e propizio tra Cesare e Michela è la solida e luminosa dimostrazione di un percorso favorevole, tratteggiato dalla speciale e accogliente espressione di un'unica mano e un unico pensiero, nella combinazione positiva dell'attività creativa, nel nobile ed esclusivo panorama idilliaco. Cesare Verlucca elogia la preziosa e coinvolgente affinità esistente tra poesia e pittura, abbracciando la natura intimamente connessa delle immagini che rinnovano la scrittura, propone il disegno di una poesia commemorativa, capace di spiegare la raffigurazione dinamica e inquieta dell'anima, di trasmettere l'equilibrio commovente degli affetti, la percezione smarrita e apprensiva della realtà. La poesia di Cesare Verlucca evolve sempre la sua finalità letteraria nello sviluppo stilistico di una colloquiale e familiare confidenza, in cui il verso è sintesi originaria del movimento interiore, intonazione introspettiva, tensione esatta delle corde romantiche. Descrive lo svolgimento della persuasione emotiva, il passaggio esistenziale della conoscenza, adotta la sensazione esplicita della comprensione, suggerisce il dettaglio delle suggestioni, completando l'identità inscindibile tra l'estetica della fantasticheria e la verità delle riflessioni. I dipinti di Michela Mirici Cappa rivestono la poesia silenziosa delle emozioni, traducono l'indelebile capacità celebrativa degli elementi spirituali, arredano, con i colori ricchi di riflesso inconscio e di contenuti delicati e toccanti, la rivelazione della nostalgia, effige dell'impronta malinconica di ogni indugio del cuore. Trasferiscono, con ogni superba pennellata, l'osservazione e fanno emergere la complessità della condizione umana, immedesimando il lettore nello spirito segreto e crepuscolare delle cose, nella dimensione lirica che tinge la sfumatura degli stati d'animo. Cesare Verlucca utilizza ogni metafora elegiaca per comunicare la vocazione di una identità saggia e lungimirante, caratterizzata dal valore dell'esperienza e dei sentimenti, testimonia l'alleanza personale e riservata con l'avventura eccitante della vita, nell'intreccio intimo, privato, autobiografico del proprio attento e meditato pensiero. La poesia di Cesare Verlucca offre un'indagine umanistica del vissuto, contempla la struggente espressione dell'istinto e della passione, si fa portavoce di un sensibile miracolo, nella volontà di andare oltre e superare il confine della speranza. Cesare Verlucca e Michela Mirici Cappa condividono il valore oraziano nella locuzione latina “Ut pictura poesis” (Come nella pittura così nella poesia) nell'essenza divinatrice della sovrapposizione delle arti sorelle, nella loro energia eloquente.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
L'incendio
Una stufa incustodita. Rimase soltanto cenere.
La minestra
«Ah, alla buonora!» bofonchiò la madre rivolgendosi a Luca. Quest’ultimo, senza proferire parola, si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto di carta, per poi appallottolarlo e gettarlo dentro il cestino della spazzatura.
«Sappi che quegli scapestrati perdigiorno non li vedrai più. Da domani starai con tuo padre in officina, almeno imparerai qualcosa» aggiunse la donna squadrandolo severamente.
«Seh, seh!»
«Non mi rispondere così!»
«Uffa!»
«Una sciacquata in bagno, no, eh? Sei proprio uno zulù!»
Il ragazzino, ignorando quei rimbrotti, si sedette a tavola con un'aria pensierosa. Anziché rincasare per il pranzo, desiderava rimanere ancora al campetto con i suoi amici a calciare l'amato pallone. Era l'estate del 1994, l'anno dei Mondiali di calcio negli Stati Uniti.
Sopra la tovaglia raffigurante una serie di teste di moro siciliane, era sistemato un cucchiaio, un tovagliolo, una rosetta di pane, un bicchiere, una bottiglietta d’acqua e un piatto coperto da un alro piatto che venne sollevato quasi svogliatamente.
«Minchia, non lo sai che mi fa schifo la minestra?» protestò Luca.
«Che credi? Non siamo mica al Grand Hotel!» reagì la madre, pronta a mollargli un ceffone. «O mangi la minestra o salti dalla finestra!»
«Salto dalla finestra!» esclamò il figlio con un sorriso tra l'impaziente e il beffardo. Alzandosi di scatto dalla sedia, mise il panino tra i denti a mo' di pirata e nel contempo afferrò la bottiglietta d’acqua per ficcarla sotto la maglietta. Dopodiché, corse in direzione della finestra aperta per... lanciarsi giù.
Il salto non gli procurò nemmeno un graffio anche perché abitava a piano terra. Nel mentre, alle sue spalle si udirono le urla della genitrice tra cui si accodava l'immancabile "disgraziato!"
Nel percorrere a passo svelto il marciapiede, sgranocchiò la rosetta, preservando l’intera bottiglietta d’acqua poiché prevedeva di berne dei sorsi tra una partitella e l'altra. Oltre a ciò, provò ad immaginare le conseguenze della sua bravata. Probabilmente all'imbrunire, una volta rientrato in casa, i suoi genitori l'avrebbero spedito a letto senza cena o, peggio presentandogli la stessa minestra riscaldata, per di più negandogli la TV e la paghetta settimanale di cinquemila lire fino in autunno. Ma tale preoccupazione finì per dissiparsi appena giunse davanti al campetto. Salvatore e gli altri erano sempre lì a giocare; assai stupiti, non si aspettavano di rivederlo il pomeriggio stesso, conoscendo di quanto fosse "rompi" la mamma del loro coetaneo.
«Forza, mezze seghe, passatemi la palla!» gridò Luca, euforico.
Tredici anni e... sentirli tutti.
Yuleisy Cruz Lezcano, "Di un'altra voce sarà la paura"
Di un'altra voce sarà la paura di Yuleisy Cruz Lezcano (Leonida Edizioni, 2024 pp. € 14.00) richiama il carattere atrocemente diffuso della violazione dei diritti umani delle donne ed evidenzia il terribile atto della violenza. La poetessa include nella brutale tematica il tormentato cammino di ogni espressione di discriminazione e di ogni minacciosa intimidazione, spezza l'urlo soffocante di dolore lacerando nei versi la paura trattenuta, condanna la persecuzione del ricatto psicologico, intimo e privato, che aggredisce il genere femminile, annientando la volontà e la dignità per l'ignobile crimine dei maltrattamenti subiti. Yuleisy Cruz Lezcano cerca un'altra voce, un accento per trattenere l'angoscia e dilatare la capacità di sussurrare l'intensità emotiva, liberare la propria identità, riconoscere l'impedimento fisico e sociale di un'ideologia maschile. Mantiene alta l'attenzione nei confronti della distruttiva e pericolosa impulsività, dell'esplosiva attualità negativa, dichiara colpevole qualsiasi forma di infido dominio all'interno delle relazioni umane, l'inganno per una comunicazione abusata dall'impetuosa e incontrollata imposizione di ogni crudeltà. Descrive la gravissima costrizione dell'isolamento dal mondo esterno e dalla propria indipendenza, narrando una poetica cruda, dannosa e fatale in cui la dipendenza maschile domina la persecuzione, trafigge il cuore e uccide l'innocenza profanandone il tragico smarrimento. La poesia di Yuleisy Cruz Lezcano espone la durezza delle parole con la sequenza di un realismo drammatico, cinico e ineluttabile, mette alla prova la fragilità paralizzante del trauma con le conseguenze stremate e silenziose dell'indifesa e disarmata situazione umana, abbraccia lo sgomento di un universo devastato e sconfessato le cui impronte sono rintracciate attraverso le efferate fenditure dell'anima, le malvagie e inequivocabili impressioni, le delittuose omissioni del presentimento. Yuleisy Cruz Lezcano percorre il dilaniante itinerario verso l'estrema epigrafe della sopravvivenza, esplora lucidamente la nitida e spaventosa testimonianza di tutto ciò che si insedia, inquietante e profetico, intorno alle vittime e ai carnefici. Provoca, con la commossa e intensa denuncia dei versi, l'ineluttabile tensione dei comportamenti ostili, suscita sentimenti di rifiuto contro la perversa direzione assillante e possessiva di un'esclusività innaturale dei sentimenti umani, indica lo sdegno dell'esasperazione, il motivo irreversibile, la distruzione rovinosa della sensibilità, l'emergenza nel disagio della soggezione nociva. La poetessa lenisce la straziante ferita, ricompone i frammenti dispersi di un corpo ammantato dalla spettrale ed emaciata inafferrabilità dell'amore, nella mancanza della ragionevolezza. Il libro racchiude il naufragio dell'umanità, tracima il solco profondo del male nella voce annientata dall'inevitabilità della violenza, ferma nella cristallizzazione dell'inchiostro l'insospettabile confine tra le lesioni dello spirito e le contusioni della distruzione morale. Arriva al lettore come un macigno intollerabile nella coscienza, sfibra e scuote il reticolo dei pensieri, rinnova la prospettiva faticosa e affannosa della desolazione e della sua resistenza, la curva fragile della speranza oltre la direzione tortuosa dello sconforto. La voce della poesia dona l'ampiezza della fiducia, amplifica il mormorio della commiserazione per ogni desiderio di risollevare dalla spietatezza dell'inumanità la generosità della compassione.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Urlo rosso
Stamane ho sentito un urlo
rosso parlare da urlo,
ed era sangue di lava
che bruciava, che parlava
come il mondo
e diceva: “Ora sei
libera! Come le corde
di un'arpa, che pur se vibra,
ha scordato il senso
della vita”.
“Ora sei libera
come una poesia di riporto
che non sa dire “No”
al suo intenso sentire
passioni nel vuoto
con silenzi da urlo,
simili alle parole”.
Volontà inascoltata
Chiusa notte di vertici
bruciati, sottosuoli di canali
preannunciano tempeste, trasmigrazioni
di blocchi di nebbia sul grigio
sangue che sposta silenzio.
Mi anestetizza un grande
silenzio, due mani stringono
dove non mi concedo, dove
non voglio. Due labbra umide
cadono sulla mia impronta
e io che per morire non ero
pronta, sto morendo nel respiro
nero che evito di ascoltare
mentre dal mio cadavere
già eredito le ferite.
Conformità
Crea da un passato
la realtà pieno
di morte, pone
l'essenziale
divenuto diverso
nel falso vedere
una realtà capovolta
in uno specchio,
conosce dei giorni
l'inconfessato spazio,
nell'esercizio del sospetto
non c'è malessere
di fronte al reale,
è l'esistenza
tolleranza
della sua maschera.
Altrove
Lacrime veloci
mi portano via in luoghi
lontani, dove tutto quello che mi vede
mi riconosce in quello che si chiama donna
senza una patria, senza un nido
schiacciata da un brivido
come un fluido che perde
la forma dei pori
per poi scorrere
lontano
lontano.
Me ne vado
(ultimo saluto del poeta)
Me ne vado dove la mia accesa
indignazione non può squarciare
il mio petto. Me ne vado da queste dita
che fanno male indicando lo sguardo
che non vuole più guardare i tatuaggi
non voluti, da dove la violenza s'incammina
scuotendo la mia inerzia. Me ne vado
da questa tendenza a rimescolare
colpe che si agitano come una bestia
bagnata dalla pioggia che si scrolla
- conservando la puzza - ovunque
disseminando gocce di giudizi.
Me ne vado dalla parola, dalla voce
del nero che si contrappone all'aureola.
Me ne vado per paura d'essere la mano
dove invelenito il sangue prende forma.
Inutile
Giovanni è davvero un brav'uomo, viene a trovarmi quasi tutti i giorni. Proprio adesso sta utilizzando la scopa e la paletta per togliere di mezzo le tantissime cartacce, lattine, mozziconi di sigarette e altri rifiuti che le persone gettano a terra .'Sti zoticoni insozzano le strade e i marciapiedi senza rispetto per l'ambiente.
Io, un umile ma utile cestino della spazzatura, vicinissimo a una affollata rosticceria. I passanti spesso… mi rifiutano.
Che amarezza, quanto schifo che c'è “in giro!”
Gli innamorati di Umberto Tozzi
Gli innamorati di Umberto Tozzi, uno dei brani maggiormente impattanti della sua discografia.
Nel 1991, quando uscì, ebbe un immediato successo. Non possedevo la musicassetta, tuttavia ciò era compensato dal fatto che nell'autoradio della macchina di papà o nello stereo casalingo le emittenti la davano spesso, tra cui la superstation Radio Margherita.
In quell'anno avevo sette anni, pur non capendone appieno il significato, mi piaceva canticchiare il ritornello "innamorati, innamorati, innamorati," per di più ponendo un occhio, anzi, un orecchio di riguardo sugli accordi.
Poi, crescendo, quasi maggiorenne, la canzone gravitò sul paradossale. Se in quel periodo non ero innamorato, la ritenevo mielosa, magari sotto sotto per invidia di chi nutriva sentimenti di amore, mentre se lo ero, magicamente diventava la mia colonna sonora, complice anche l'ottimo videoclip trasmesso di tanto in tanto su MTV.
Ancora oggi, tutte le volte che ascolto Gli innamorati vengo travolto da belle emozioni alle quali si accoda un flusso di ricordi, difatti tali note hanno la capacità di abbattere le barriere del tempo con la leggerezza di una piuma e la delicatezza di una rosa senza spine.