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NATO: the Age of Russia – un'interpretazione di Avengers: the Age of Ultron [2015]

30 Aprile 2017 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #le prese per il deretano di umberto bieco, #cinema, #fantascienza

 

 

Avengers: the Age of Ultron è una chiassosa storiella piena di effetti speciali, costumi e calzamaglie il cui scopo è quello di educare subliminalmente i ragazzini, e non solo, sulla situazione geopolitica mondiale.

La Comunità Internazionale [gli Avengers] deve salvare il mondo un'altra volta. Il complesso Militare-Industriale [Tony Stark, alias Iron Man] ha sbadatamente creato una nuova, potente ed ostile entità [ovvero una forza, un'arma], mentre tentava di utilizzare risorse rubate al nemico. Il suo nome è Isis [Ultron]. Gli anti-americani, i critici dell'Occidente e della Comunità Internazionale [sempre Ultron] accusano gli Avengers di essere i veri distruttori, il vero ostacolo alla pace mondiale. Ciò sembra confermato dall'alleanza di Ultron con due superstiti dall'Europa orientale [guerra del Kosovo/Serbia], i cui genitori sono stati uccisi dalle bombe costruite da Tony Stark. Ma no, non può essere. Capitan America [il volto idealizzato dell'America], infatti, si preoccupa costantemente dei civili e costantemente li salva e li protegge.

Nonostante ciò, inizia egli stesso a dubitare della natura positiva degli Avengers e del loro effetto sul mondo: che abbiano ragione i loro critici? Come se non bastasse, l'Incredibile Hulk va fuori controllo e distrugge elementi architettonici di una città americana, insieme ad Iron Man, nel tentativo di fermarlo, e, persino, ferisce lievemente alcuni civili: ma la colpa, ovviamente, è dei nemici che hanno manipolato la sua mente. Ciò contribuisce ad alimentare dissidi interni agli stessi Avengers: c'è una crisi [i componenti della Comunità Internazionale non vanno sempre d'accordo].

Alla fine, la Russia [anch'essa rappresentata da Ultron] solleva un'intera città dell'est europeo nel cielo con tutti i suoi cittadini [l'annessione della Crimea/la questione Ucraina] ed è pronta a lasciarla precipitare sulla terra, distruggendola e sterminando l'intera popolazione umana – Ultron dice di voler la pace, ma, evidentemente, non vede differenza tra pace e totale distruzione: quindi, in definitiva, gli Avengers [USA/NATO/Comunità Internazionale] sono davvero i Buoni, e i loro critici e avversari sono i Cattivi – che possono nascondersi persino dietro speciose motivazioni pacifiste.

Mai fidarsi di un pacifista!

Trionfo finale: gli Avengers si ricompattono e distruggono Ultron e i suoi tirapiedi, salvano tutti i cittadini e riportano delicatamente la città sulla terra, esattamente dove era stata sottratta.

Come al solito, siamo dalla parte giusta della Storia.

Molti spettatori si sono chiesti se Scarlet Johansson desiderasse consumare un rapporto completo con il dottor Bruce Banner nelle fattezze dell'incredibile Hulk.

 

 

 

NATO: the Age of Russia - an interpretation of Avengers: the Age of Ultron [2015]

 

Avengers: the Age of Ultron is a boisterous subliminal little story designed to educate the kids, but not only them, on international politics.

The International Community [The Avengers] must save the world once again. The Military-Industrial Complex [Tony Stark, a.k.a. Iron Man] headlessy created a new, powerful and hostile entity [=force, weapon], while trying to use resources stolen from the enemy. His name is Isis [Ultron]. The anti-americans, the critics of the West and of the International Community [Ultron] accuse The Avengers of being the real destroyers, the real obstacle to world peace. This seems confirmed by Ultron's alliance with two east-european survivors [Kosovo/Serbian war], whose parents were killed by Tony Stark's bombs. But no.
Captain America costantly worries about civilians and costantly protects them and saves them.

In spite of that, he begins himself to doubt The Avengers' nature and effect on the world.
Moreover, the Incredible Hulk spins out of control and destroys architecture elements of a city [along with Iron Man trying to stop him] and even slighty wounds some civilians: but the fault is the enemy's, of course, who manipulated his mind. Now there are contrasts and rifts among The Avengers. There's a crisis. [The International Community's members don't always agree].

Eventually, Russia [Ultron] lifts an entire eastern Europe town in the sky [Crimea's annexation/the Ukrainian issue], with all its citizens, and he's ready to drop it on the Earth, destroying it and killing all the human population: he wants to bring peace, but he sees no difference between peace and total destruction: so, The Avengers [International Community/NATO/USA] really are the Good Ones, and their critics and opponents are the Bad Ones - who can hide themselves even behind the specious pacifist justification.

Never trust a pacifist!

Final triumph: The Avengers unite again and destroy Ultron and its minions, save all the citizens and bring back the city to its place on Earth, and very delicately put it back exactly where it belongs.

As usual, we are on the right side of History.

Many spectators wondered if Scarlett Johansson's character [Romanoff] wanted to have sexual intercourse with dr. Bruce Banner while he's the Incredible Hulk.

 

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Tredici: qualche parola sulla serie Netflix che parla in modo crudo di suicidio e bullismo

29 Aprile 2017 , Scritto da Federica Cabras Con tag #federica cabras, #televisione

 

 

“13 Reasons Why” – meglio conosciuta come “Tredici” – è una delle ultime serie prodotte da Netflix.

Prima scena. Un comunissimo liceo americano. Tutto sembrerebbe normale – corridoi gremiti di studenti, zaini in spalla e professori dall’aria distinta – se non fosse che, in quell’infinita accozzaglia di alunni, appaia chiaro che manca un’anima. Clay Jensen si aggira per gli anditi con aria smarrita. È cordoglio, il suo, ma anche mancanza e tristezza. È sapore di perdita, più che altro; è la sensazione che manchi qualcosa unita all’amara certezza di non poter fare nulla al riguardo: ecco cosa colora i suoi occhi chiari mentre si volta verso un particolare armadietto. È addobbato, fiori e foto e lettere e disegnini. Hannah Baker. E allora gli sembra quasi di vederla, nella sua testa e in tutto quell’ambiente così familiare e così ostile insieme. Gli sorride, poi volta il viso, timida e un po’ impacciata. Poi si riprende da quell’allucinazione: lei è morta. E tutto torna grigio, amaro e terribile.

Tornato a casa, trova una scatola. Dentro, sette cassette. Ma sì, quelle che andavano in voga prima dei CD ROM. Appena mette la prima, lato A, in un vecchio lettore, capisce. O meglio, sa che capirà.

Hannah Baker, prima di suicidarsi, ha inciso tredici audio, in quelle sette cassette; una per lato. Un lato è rimasto vuoto.

«Ciao, sono Hannah. Hannah Baker. Esatto. Non smanettate sul… qualsiasi cosa stiate usando per ascoltare. Sono io. In diretta e stereo. Nessuna replica, nessun bis, e questa volta assolutamente nessuna richiesta. Mangia qualcosa e mettiti comodo, perché sto per raccontarti la storia della mia vita. Anzi, più esattamente, il motivo per cui è finita. E se tu hai queste cassette, è perché sei uno dei motivi.»

Clay non sa che fare, è paralizzato.

Scopre presto che ci sono dei colpevoli, per quella morte così ingiusta e piena di perché. Per la precisione, ogni lato è destinato a qualcuno che ha contribuito a ucciderla. La ragazza si esprime con chiarezza al riguardo: dopo averle sentite tutte, la persona che le ha ricevute deve passarle a chi è dopo di lei nella narrazione.

Non si può fare i furbi, no: qualcuno vi controlla, dice Hannah, controlla che voi ascoltiate tutto.

Allora anche Clay inizia. Mette Play.

Non riesce a sentirle tutte insieme. Si deve fermare spesso, occorre che si blocchi per non perdere il senno. La vede di fronte a lui, impazzisce attraverso la sua voce. Vive con lei tutto ciò che è accaduto. Gli amici-nemici, le menzogne, le voci, le foto. Molto di più. Cose terribili, abomini. Tutta quella sofferenza. Lui la amava, malgrado non fosse abbastanza coraggioso da dirglielo. La amava da morire, e quella certezza viene infranta da tutti quei segreti. Da quegli scheletri. Da quei muri. Se avessi detto, se avessi fatto. Ha le allucinazioni, Clay, non vede l’ora di arrivare alla sua parte. Non vede l’ora di scoprire come ha ucciso Hannah Baker, malgrado desiderasse solo poterle tenere le mani. Intanto cerca di punire i colpevoli. In un universo di silenzio – molti le hanno già ascoltate, seguendo le regole della ragazza, prima di passarle al successivo individuo – lui vuole gridare che delle colpe ci sono, ci sono eccome. Nonostante quegli sguardi innocenti, nonostante quelle belle parole, nonostante le lettere scritte… nonostante tutto questo, qualcuno l’ha portata a morire. Lentamente. Sola.

Sono molte le prove che Hannah deve sostenere; macigni troppo pesanti per quelle deboli spalle da ragazzina.

Ecco cos’è il bullismo. È emarginazione, è pesantezza. È voglia di fuggire, di finirla. È avere la luce spenta dentro, nel cuore.

Confesso di aver guardato la serie intera con un senso di inquietudine nel cuore. L’ho guardata sentendomi persa, triste. Quando l’ultima puntata è finita, ero come svuotata.

Avete presente quando guardate un film? Quando accade qualcosa di brutto ci si ripete, come fosse un mantra: «Va be’, è solo un film.»

Qui non riuscivo. Paralizzata dalla visione, mi sono domandata in che mondo siamo finiti. Queste cose accadono, accadono tutti i giorni e in tutti gli istituti scolastici. A sedici anni si è bravi a calpestare pur di arrivare più in alto. Gli adolescenti sono cattivi, ridono e puntano le dita gli uni verso gli altri. Sparlano, offendono. Non capiscono che molte volte basta poco per spezzare una vita. Ecco perché, per quanto cruda e un po’ macabra, consiglierei la visione di questa serie nelle scuole.

Nessun lieto fine, qui; nessun “E vissero felici e contenti”. C’è solo la morte, fredda e spenta, e qualcuno che ha pagato un prezzo troppo alto perché stanco. Stanco di sopportare, stanco di non sorridere, stanco di stare da una parte come un cane rabbioso.

“Tredici” non è solo una serie TV ma è quello che può accadere quando le cose precipitano.

Hannah Baker è vittima di una cultura maschilista che ci insegna che se una ragazza si mostra gentile verso un ragazzo, lui potrà fare quello che vuole. Sparlare, chiamarla cagna, inventare chissà quale scenario hot. Toccarla, tenerla, violentarla. D’altronde, tutte le ragazze sono facili, sono calde. No? Non è questo, quello che ci viene insegnato?

Hannah Baker è vittima di un mondo superficiale e materialista, dove basta un niente per togliere di torno chi è scomodo… un mondo dove si resta in disparte non di rado.

Hannah Baker è vittima di un ambiente scolastico che non sa ascoltare, che non sa domandarsi perché. Che non si occupa abbastanza dei suoi studenti.

Non vuole essere dolce, questa serie, e non vuole creare divertimento. Non si sorride e non si guarda a cuor leggero nessuna scena. È crudo, forte. Le prese in giro, il restare da soli, l’amarezza. La scena dello stupro è forte, quella del suicidio è terribile. Credo fosse proprio questo, l’intento. Creare disagio. Portare alla riflessione in modo pesante, certo non con leggerezza.

Perché la morte non è mai leggerezza, soprattutto quando si hanno diciassette anni.

Ed è importante vedere che anche qualcosa che non si fa – e non solo qualcosa che si fa – può contribuire a mettere la parola fine a un’esistenza.

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Jean- Michel Guenassia, "Il valzer degli alberi e del cielo"

28 Aprile 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #pittura, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

Il valzer degli alberi e del cielo

Jean Michel Guenassia

 

Salani, 2017

pp 280

 

 

Il valzer degli alberi e del cielo, di Jean Michel Guenassia, avrebbe, e dico avrebbe, tutte le carte in regola per essere un meraviglioso e affascinante racconto romantico, invece - vuoi perché a scriverlo è un uomo, vuoi perché continuamente intramezzato da riferimenti a lettere e diari che sortiscono sul lettore un effetto di straniamento - se si eccettuano rari momenti nel finale e le descrizioni appassionate dei quadri, il pathos che sprigiona è scarso e l’interesse è tutto documentaristico. Indubbiamente, grazie a questo libro facciamo un tuffo in quella fine ottocento francese percorsa da slanci di emancipazione femminile e da fermenti artistici e sociali che partorirono i capolavori oggi racchiusi al museo d’Orsay e l’inconfondibile merletto di ferro della torre Eiffel.

La storia si basa su un’ipotesi intrigante, su “come potrebbe essere andata”. La trama ricostruisce gli ultimi sessanta giorni della vita di Vincent Van Gogh, quelli trascorsi ad Ausers sur Oise, investigando i dubbi che circondano la sua fine, e ipotizzando un amore, mai confermato, con Marguerite, la figlia diciannovenne del medico, mecenate d’impressionisti, Paul Ferdinand Gachet, colui che ebbe in cura il pittore olandese negli ultimi mesi e che si trovò a fronteggiare la fatale ferita d’arma da fuoco. L’ipotesi di Guenassia è che Gachet non sia stato l’amico degli impressionisti bensì un opportunista che ha contribuito alla morte di Van Gogh e alla diffusione di falsi sui quali ha lucrato.

Come dicevamo, la storia d’amore, pur tormentata e romantica, non ci cattura quanto la rappresentazione della pittura di Van Gogh. La descrizione dei quadri, tempestosi, mossi, tormentati, è più vivida e riuscita della caratterizzazione dei personaggi e dei loro sentimenti un po’ di maniera. Van Gogh stesso rimane sullo sfondo come persona, risaltando solo nell’atto di dipingere, anzi, di aggredire la tela.

In piedi di fronte al paesaggio – fra campi di grano, pagliai, voli di corvi, tetti e girasoli – Van Gogh dipinge senza gettare mai uno sguardo all’esterno, a ciò che deve ritrarre, concentrato su una visione solo mentale, seguendo l’onda di una burrascosa sinfonia interiore.

La personalità di Van Gogh ci sfugge, la sua malattia mentale non traspare, centrale resta il bisogno di dipingere tele su tele, inondandole di luce e colore con delirio ossessivo. Il suo carattere è un mistero, non capiamo se sia soltanto un egoista preda di demoni interiori o se, a suo modo, ami Marguerite e cerchi di salvarla da se stessa.

Marguerite, invece, è l’immagine della ragazza ingenua, libera, ribelle, che coraggiosamente e con incoscienza giovanile spezza per amore tutti i vincoli che la legano al mondo borghese e conformista rappresentato dal meschino padre e dal vile fratello. Per amore è disposta a tutto e vede nell’uomo di cui si è innamorata non solo l’incarnazione della passione romantica ma anche il maestro che potrebbe rivelarla a se stessa, plasmarla, scioglierla dalle catene e farla brillare della fiamma di un’arte che in realtà non possiede, perché lei sa solo imitare i pittori prediletti ma non riesce a dipingere qualcosa di originale. Vincent la chiama “mio piccolo girasole”, fanno l’amore nella pensione bohemienne dove lui alloggia e parlano fitto tenendosi abbracciati ma rimangono due solitudini inconciliabili.

 

Ma lui sapeva che il nostro tempo era contato. Io no. Lui sapeva, d’istinto, molto prima che io l’ammettessi, che siamo soli sulla Terra e che contro questo non possiamo fare nulla. Soli di fronte a noi stessi. Soli in mezzo agli altri. Qualunque cosa ci si possa inventare per far credere il contrario. E Vincent è riuscito a dipingere proprio la bellezza di questa profonda solitudine” (pag 271)

 

 

 

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Andersen a Carrara

27 Aprile 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #luoghi da conoscere

 

 

Dopo avervi raccontato le esperienze di Hans Christian Andersen a Livorno, vi proponiamo un gustoso bozzetto del suo passaggio a Carrara.

 

A cura di Vibeke Worm e Patrizia Poli

 

 

Venerdì 4 ottobre 1833.

Il cavallo era malato, il nostro onesto vetturino disse che dovevamo cambiare carro e cavalli e riportarci a Pisa. Era un giovane molto bello che ci guidava, luminosa la luna e gloriosa l’aria. Abbiamo incontrato molte persone a piedi, passato una vecchia fortezza dei tempi romani.

Per vedere la cava in Carrara abbiamo fatto una deviazione. Abbiamo sentito dei colpi di pistola, era l’anniversario di matrimonio del duca. Tutti i soldati avevano rami di mirto nel berretto, c’erano ghirlande appese su un grande edificio. (…) un piccolo fiume chiaro, vicino alla strada, correva oltre. Il marmo era bianco brillante, attraversato da venature verdi. La montagna stessa era una grossa cava di marmo bianco e grigio, vi si trovavano cristalli. Mi sembrava di essere in una montagna incantata dove dei e le dee sedevano imprigionati in grandi masse di roccia bianca e aspettavano potenti artisti come Thorvaldsen e Canova.

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L’ANIMA LETTERARIA DI FERRARA ATTRAVERSO I SUOI ANGOLI SEGRETI

26 Aprile 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #luoghi da conoscere

 

 

 

 

Sabato 13 e domenica 14 maggio, due giorni dedicati ai curiosi, a quelli che davanti a un portone chiuso iniziano a sognare i giardini che non possono vedere.

 

 

Eleganti corti rinascimentali, orti medievali, oasi fiorite di tranquillità e pace domestica, geometrie zen e labirinti di siepi, rari alberi secolari e arboreti insospettabili, celati alla vista dei passanti dalle facciate degli antichi palazzi: Ferrara custodisce gelosamente uno spettacolare patrimonio di giardini privati. Un patrimonio che eccezionalmente, grazie alla manifestazione Interno Verde, si metterà a disposizione della collettività: ferraresi e turisti sabato 13 e domenica 14 maggio potranno esplorare cinquanta giardini privati. Interno Verde intreccia lo spirito ecologico a quello indelebilmente culturale del capoluogo estense e svela quanto questi angoli di quiete siano stati fondamentali per raccogliere secoli di fantasia. Le impronte degli artisti che hanno raccontato la città sono rimaste vivide sull’erba.

 

LUOGHI D’ISPIRAZIONE

La mattina di sabato, alle 11, il Festival stesso sarà inaugurato dalla presentazione di un libro particolare. Le pagine di Questo non è un ikebana (Renape), di Francesca Popolizio, introdurranno i visitatori all’arte giapponese dell’arrangiamento dei fiori, della ricerca dell’equilibrio e della perfezione. Le tavole originali del volume, insieme ad altre opere dell’artista, saranno in mostra nel luogo dov’è sbocciata l’idea di Interno Verde. Al civico 39 di via del Turco s’incontra un giardino che faceva parte di un antico hortus conclusus, oggi frazionato in più aree verdi, ognuna con un proprio carattere peculiare, dal giardino alimentare, coltivato con i tipici alberi da frutto della tradizione agreste ferrarese, al labirinto zen, contemplativo e minimale. Si accede su un tappeto di trifoglio nanissimo che circonda il labirinto tracciato dal vialetto in ghiaia rossa: caratteristico dell’insieme di ambienti è il gioco prospettico dato dal susseguirsi di varie aperture, cancelli e pergolati, architetture che gli alberi scavalcano e confondono.

Questo è soltanto l’incipit di un cammino ideale che si addentra nell’anima letteraria della città. Ludovico Ariosto coltivava le idee migliori nel giardino rigoglioso della sua parva domus. Appena superato l’ingresso, un piccolo melograno e un romantico pozzo incorniciato dall’edera accolgono il visitatore, insieme ai gelsomini e ai rosai rampicanti; gli stessi che gli saranno valsi qualche verso dell’Orlando Furioso, a cinquecento anni dalla sua prima edizione. I più sognatori si avventureranno alla ricerca de Il giardino dei Finzi Contini: a un secolo dalla nascita di Giorgio Bassani non si è ancora estinto il quesito: esiste o non esiste? Non va tralasciato il pergolato del Tennis Club Marfisa: qui sfidavano gli amici Michelangelo Antonioni e Bassani, che senza dubbio si ispirò alle svariate partite disputate per descrivere i giovani Giorgio e Micol. Il giardino più equivocato di Ferrara è quello custodito tra via Ugo Bassi e via Cisterna del Follo. Vox populi vuole che l’imponente magnolia centrale sia il celebre esemplare descritto da Bassani nella lirica Le leggi razziali:

«Costretta fra quattro impervie pareti / piuttosto prossime crebbe / nera, luminosa, invadente, / puntando decisa verso l’imminente cielo / piena giorno e notte di bigi passeri».

La casa natale dello scrittore si trova nello stesso complesso architettonico, ma l’albero che osservava dalla finestra non è questo, si trova in un cortile interno, invisibile dalla strada. Bassani, però, non fu l’unico a immaginare la penombra di un giardino segreto: quello che si incontra in via Palestro nemmeno si riesce a intuire dalla strada. Solo quando si apre il portone del palazzo cinquecentesco, s’illumina la bellezza del fazzoletto verde che racchiude. Nel Settecento la proprietà passò alla famiglia Scacerni, la stessa a cui è dedicata Il mulino del Po, di Riccardo Bacchelli. Il romanziere spesso si rifugiava a scrivere tra la magnolia e il frassino del loro giardino; perciò decise di attribuire ai protagonisti del suo capolavoro il cognome dei suoi ospiti, in segno di riconoscenza.

Il cerchio si chiude in via Coperta, in un lotto paradisiaco che nel Quattrocento apparteneva al convento di Sant’Agostino, un piccolo eden in mezzo ai ciottoli. I frammenti di vetro incastrati nel muro di cinta rimandano appositamente ai «cocci aguzzi di bottiglia» di Eugenio Montale, al suo «meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto».

 

L’Associazione Ilturco, che ha ideato e curato l’iniziativa, ha raccolto la disponibilità delle famiglie che per un weekend apriranno porte e portoni, permettendo a chi vorrà partecipare all’evento di esplorare il capoluogo estense in modo inedito. Un’occasione unica per scoprire dietro il rosso dei cotti ferraresi un’anima verde tanto ricca quanto capillarmente diffusa. Interno Verde è patrocinato dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, e realizzato grazie all’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e al Comune di Ferrara. È sostenuto inoltre da Toyota, Coop Alleanza 3.0, Emil Banca, Zerbini Garden, la cartotecnica Cartesio Fullcard, Ceramica Sant’Agostino, Silla - Materiali e servizi per l’edilizia, Engel&Völkers Italia, Raggio Verde Incoming Italy e Zazie.

 

Per conoscere il programma completo dell’iniziativa e restare aggiornati sugli eventi collaterali si può fare riferimento al sito www.ilturco.it/interno-verde oppure seguire la pagina Facebook dell’associazione Ilturco:https://www.facebook.com/ilturco.it/.

 
L’ANIMA LETTERARIA DI FERRARA ATTRAVERSO I SUOI ANGOLI SEGRETIL’ANIMA LETTERARIA DI FERRARA ATTRAVERSO I SUOI ANGOLI SEGRETIL’ANIMA LETTERARIA DI FERRARA ATTRAVERSO I SUOI ANGOLI SEGRETI
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C'ERO UNA VOLTA..., MA...

25 Aprile 2017 , Scritto da Luca Lapi Con tag #luca lapi, #le riflessioni di luca

 

 

     C'ero una volta..., ma...
     ...ho perso la chiave.
     Non riesco ad aprirmi.
     La porta è chiusa.
     Non importa a nessuno d'aprirla.

     Aspettano Aprile.
     Aspetto e spero, ma l'ora non s'avvicina.
     Nessuna faccetta nera, nessuna bella abissina all'orizzonte.
     C'ero una volta..., ma Alessandro s'è scordato di me.
     E' nascosto da una pila di libri che sta leggendo.
     Anche Enrico s'è scordato di me, anche lui, nascosto dalla sua pila di libri.
     Pare che dica:"Fermi tutti: nessuno mi distolga dalle mie letture preferite!!!"

          Luca Lapi

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Cavalieri, marinai e crociati

24 Aprile 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #storia

 

 

Viveva con sua madre in Cornovaglia:

un dì trasecolò nella boscaglia.

Nella boscaglia un dì, tra cerro e cerro

vide passare un uomo tutto ferro.

Morvàn pensò che fosse San Michele:

s'inginocchiò: Signore San Michele,

non mi far male, per l'amor di Dio!

Né mal fo io, né San Michel son io.

No: San Michele non poss'io chiamarmi:

cavalier, sì: son cavaliere d'armi.

Un Cavaliere? Ma che cosa è mai?

Guardami o figlio e che cos'è saprai.

Che è codesto lungo legno greve?

La lancia: ha sete, e dove giunge, beve.

Che è codesta di cui tu sei cinto?.

Spada, se hai vinto; croce se sei vinto.

Di che vesti? La veste è pesa e dura.

E' ferro. Figlio, questa è l'armatura.

E tu nascesti già così coperto?.

Rise e rispose il cavalier: No, certo.

E chi la pose, dunque, indosso a te?

Chi può. Chi può?. Ma, caro figlio, il re! (Giovanni Pascoli, Breus)

 

Attorno all’anno Mille la scala sociale prevedeva cavalieri, artigiani, commercianti, contadini e servi della gleba. Se i contadini erano costretti alle angherie, cioè a servire il feudatario in cambio di protezione, i servi della gleba erano poco più che schiavi, non potevano lasciare i terreni che coltivavano e venivano venduti con essi.

Raggiunto un minimo di pace e stabilità, cominciarono a diffondersi le coltivazioni introdotte dagli Arabi e tornarono ad essere usati alcuni vecchi sistemi di irrigazione e bonifica. Si produsse un po’ di più di quanto si consumasse e perciò ripartirono scambi e commerci. Tornò in auge una cosa quasi dimenticata: la moneta. Le strade furono nuovamente popolate da viaggiatori, le fiere si animarono di mercanti.

All’incrocio delle strade nascevano mercati, attorno ai mercati si raccoglievano artigiani e, pian piano, si formavano i borghi. Alcuni erano completamente nuovi, altri erano antiche città romane che risorgevano. Nei borghi vivevano i borghesi, cioè i commercianti e gli artigiani della lana, del ferro, del legno, del cuoio. Spesso in una stessa strada si radunavano coloro che praticavano lo stesso mestiere.

In Italia i primi centri abitati a diventar ricchi attraverso i commerci furono alcune città di mare, quelle che successivamente saranno dette repubbliche marinare: Venezia, Genova, Pisa, Amalfi, più altre più piccole, che commerciavano via mare stoffe, pietre preziose, spezie per insaporire e conservare i cibi. I mercanti delle repubbliche marinare andavano in Oriente a comprare merci e le rivendevano in Europa a caro prezzo. Con l’oro importato dall’Africa, con l’argento scavato nelle miniere di Spagna, Francia e Germania, vennero coniate nuove monete che cominciarono a circolare, sostituendo denari e bisanti arabi e bizantini. Nuove scoperte illuminarono questi secoli a torto considerati bui, fra queste la bussola.

I viaggiatori raccontavano storie meravigliose sui costumi dei popoli orientali, sulle ricchezze che si trovavano in quei paesi, sugli animali esotici che li popolavano. Raccontavano però anche dei luoghi che avevano conosciuto la passione e la morte di Gesù ora in mano agli infedeli, dei musulmani che uccidevano i pellegrini cristiani in Terrasanta. Si fece strada così l’idea di una riconquista di quei luoghi sacri e nacquero le Crociate. Al grido di “Dio lo vuole” furono compiuti parecchi misfatti.

Verso Gerusalemme partivano persone veramente spinte dalla fede. È da notare come persino anime devote e pie come la stessa santa Caterina da Siena incitassero alla guerra in nome di Dio. Partivano però anche cavalieri senza feudo, figli cadetti, gente qualsiasi che sperava in un ricco bottino. Si partiva soprattutto via mare e le repubbliche marinare si arricchirono ancor più con il trasporto dei Crociati, cioè quei combattenti che partivano per la Palestina con una croce rossa appuntata sul petto.

Gerusalemme fu conquistata ma la conquista durò poco e i musulmani si ripresero le terre dalle quali erano stati cacciati. Altre crociate furono organizzate da papi, imperatori, re, se ne ebbero sette nel giro di duecento anni. Ma turchi e Musulmani ebbero la meglio.

Le Crociate fallirono il loro scopo, che era quello di conquistare definitivamente la Palestina, ma aumentarono i traffici con l’Oriente e importarono da quelle terre nuovi sistemi di coltivazione dei campi e di lavorazione nelle officine.

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Calciomania – Libri sul calcio Madeleine calcistica

23 Aprile 2017 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #sport

 

 

Calciomania che mi contagia e che mi ha sempre contagiato, in fondo, visto che il mondo del calcio è stato il mio mondo dai 16 ai 39 anni. Adesso non seguo più il calcio importante, credo che sia una crisi di rigetto perché ha occupato troppo tempo della mia vita. Ma non posso fare a meno di seguire le gesta eroiche della squadra della mia città - l’Atletico Piombino - che disputa l’Eccellenza Toscana e quest’anno si trova a un passo dalla Serie D. Come non posso resistere alla tentazione di sfogliare libri di ricordi calcistici che mi riportano al passato, cavalcando al contrario il percorso del tempo. E allora se arriva La religione granata di Nicola Morello (Yume Edizioni, 15 euro, pagine 180) corro subito a sfogliare le pagine che riguardano Aldo Agroppi e Lido Vieri, calciatori piombinesi che hanno fatto grande il Torino, protagonisti di alcuni miei libri di fiction (Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino), e mi dico che quando vedo Agroppi magari glielo regalo, questo libro, ché sono sicuro gli farà piacere. La religione granata non è consigliato per coloro che vedono il mondo in bianco e nero, ma è un affresco imperdibile che racconta l’universo granata, dalla strage di Superga ai tempi di Sala, Pulici, Graziani, Mondonico, Radice e compagnia cantante…

Fabio Belli e Marco Piccinelli, invece, pubblicano Calcio e martello - Storie e uomini del calcio socialista (Rogas edizioni, pag. 105, euro 10,90), un libro un tantino più ideologico e meno di cuore, ma interessante per come compone un affresco storico - sociale che va dall’Ungheria di Puskas alla Polonia di Lato, passando per il Perugia di Sollier e l’Urss del portierone saracinesca Lev Yashin. Indovinatissimo il titolo.

Edizioni Incontropiede non finisce di stupirci con l’idea innovativa delle guide di secondo livello che affiancano le guide classiche, tascabili, guide di città europee che tratteggiano itinerari calcistici imperdibili per l’appassionato. Primi due volumi Zagabria e Lisbona, a cura di Alberto Facchinetti (factotum della casa editrice e grande esperto di calcio), Jvan Sica e Enzo Palladini (ha contribuito solo per Lisbona). Prezzo economico: 12,50 per 120 pagine in formato tascabile. Unica pecca: poche fotografie e piuttosto scure. Ma i librettini sono pieni zeppi di curiosità, dalla storia di Benfica, Sporting, Belenenses e il ricordo degli stadi dove giocò il Grande Torino, passando per il mito di Eusebio, per toccare i luoghi simbolo della Zagabria calcistica, narrando le stagioni della Dinamo di Jerkovic e Boban. Molte interviste.

Rileggere questi libri è per me fare un tuffo nel passato, addentare una madeleine, lasciarmi tentare dal sapore del tempo perduto. E per un attimo mi rivedo a correre sui campi della Terza Serie, magari quelli assolati e sterrati del Sud che ho sempre amato, campetti dove ho lasciato il cuore e che di tanto in tanto torno frequentare, in sogno o nei romanzi, grazie a personaggi che sono di fantasia solo per il lettore ma che rappresentano la mia vita. Tanto lo so che il tempo perduto non torna. E allora non resta che leggere e sognare.

 

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

Calciomania – Libri sul calcio Madeleine calcistica
Calciomania – Libri sul calcio Madeleine calcisticaCalciomania – Libri sul calcio Madeleine calcistica
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Mai dire mai

21 Aprile 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #moda

 

 

 

 

 

Ho trascorso una strana Pasqua, a riprova che “mai dire mai”, che si può sempre tornare sui propri passi, che sarebbe stupido e cattivo non farlo, che bisogna perdonarsi e perdonare, che non si sa mai cosa c’è dietro l’angolo.

Aprile è esploso ma poi è tornato il freddo, però le giornate sono comunque lunghe e luminose. Il mio cane corre nei prati e si bagna in ogni pozza, in ogni ruscello, in ogni cala marina. Il sole è un amante che penetra, proibito e clandestino, questa mia pelle che non potrebbe riceverlo, mi dà un piacere sensuale.

Fra le cose che vi presento oggi ce ne sono alcune che serviranno per il mio viaggio in avvicinamento. Lascio a voi indovinare oggetti e meta. È un itinerario immaginato da tempo, spero che non succeda niente che mi impedisca di partire, ho paura di parlarne per scaramanzia, ma sarà lontano, molto lontano.

 

Vediamo cosa abbiamo.

 

La camicetta fantasia, ormai un classico nel mio guardaroba. Non mi stanco di dire che non si stira, che copre i difetti ed è pratica ed elegante in ogni occasione. Speriamo che non passi di moda tanto presto. L’ho comprata insieme con un’amica e costituirà un bel ricordo.

Tre magliette, una color vino rosé, una sabbia e una verde militare, che a me servono un po’ per tutto, per stare in casa, come underwear o anche da sole.

La canotta bianca col logo, idem come sopra. Ormai sono un po’ restia a portarla da sola perché la carne flaccida deborda, ma non se può fare a meno quando è troppo caldo. Sotto una camicia aperta, o con uno di quei cardigan che vanno adesso, poi, fa un figurone.

Borsa e zaino in ecopelle lasciano intravedere quello che sarà il mio look in questo viaggio alla ricerca delle origini, in quello stile coloniale che mi piace tanto. Fanno pendant con il borsone che vi avevo già mostrato.

Scarpe da trekking e cappellino (e il cappellino l’ho trovato!) completano l’insieme e saranno indispensabili laggiù.

A risentirci

 

 

 

I have passed a strange Easter, proving that "never say never", that you can always go back on your steps, that it would be stupid and bad not to do it, that you have to forgive and forgive yourself, that you never know what is behind the corner.

April has exploded, but the cold is back, nevertheless the days are long and bright. My dog ​​runs in meadows, and baths in every pond, every brook, every marine cove. The sun is a lover who penetrates, forbidden and clandestine, this skin that should not receive it, and gives me a sensual pleasure.

Among the things that I present today there are some that will be useful for my approaching journey. I leave you guessing objects and target. It's a long-awaited itinerary, I hope nothing happens to stop me from leaving, I'm afraid to talk about it, but it will be far, far away.

Let's see what we have.

 

 

The fancy blouse, now a classic in my wardrobe. I'm not tired of saying that it does not stretch, covers all defects and is practical and elegant at every occasion. I hope it does not get old fashioned so soon. I bought it with a friend and it will be a good memory.

Three t-shirts, a rosewood one, a sand one and a military green one, which are useful to stay home, to be worn as underwear, or even in open air .

The white shirt with logo, idem as above. By now, I'm a bit reluctant to wear it alone because the flabby flesh goes off, but one cannot help it when it's too hot. Under an open shirt, or with one of those cardigans, it makes a figurine.

Eco-leather bag and backpack let you glimpse what's going to be my look in this future journey to the origins. It’s the colonial style that I enjoy so much. They make pendant with the bag I had already shown to you.

Trekking shoes and hat (and the cap I found!) complete the outfit and will be indispensable over there.

 

See you soon

Mai dire mai
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L’amore quando si hanno quindici anni e si leggono libri strappalacrime

20 Aprile 2017 , Scritto da Federica Cabras Con tag #federica cabras, #psicologia

 

 

 

Ricordo quando ero ai primi anni delle superiori. Si sogna in grande, a quell’età. In tutti i campi… si è ambiziosi ed energici e si pensa di poter diventare tutto ciò che si vuole. Medici senza frontiere, astronauti, cantanti e attori. Nulla è precluso, nulla è troppo difficile o troppo lontano. Nulla è impossibile. Sì, tutto viene visto come ipotetico e distante, ma la frase “Non posso farlo” non esiste nel vocabolario mentale dei quindicenni. Grazie al cielo, aggiungerei – perché ci pensa l’età adulta a rompere molti sogni e smantellare gran parte delle certezze adolescenziali. Ma, benché questa voglia di arrivare in alto in ambito lavorativo sia tanto magica quanto preziosa, a quell’età il sogno più grande riguarda l’amore. Il cuore batte più forte, quando si hanno quindici anni, e tutto fa più male, tutto è più vivo e duole di più. Gli amori infiniti che poi terminano sempre lasciando un solco nell’anima; le lacrime davanti a un telefono; le uscite più o meno nascoste e un po’ temute; le bugie – perché non è amore, a quell’età, se non è condito da qualche menzogna – sussurrate a fior di labbra. I primi ti amo un po’ sofferti e un po’ lanciati al vento – quello stesso vento che poi li porta via e li disperde senza ritegno e senza conseguenze – e le prime cocenti delusioni. Un’altra che prende il tuo posto, quello che credevi fosse unico e speciale, e una nuova estate che nasce e che cresce. E finisce. Malgrado non si creda di poter aggiustare quel cuore, il futuro risana le ferite, sempre. Ecco a cosa penso, se cerco di ricordare quei tempi andati. Mi capita di sorridere, malinconica; tutto si viveva a mille, allora. Ora sarebbe impossibile buttarsi su qualcosa con quella foga, con quel bisogno. Perché è proprio questo che muove, a quell’età: foga e bisogno. Emozione. Passione.

Ieri, più di altre volte, mi è capitato di tornare indietro nel tempo. Navigando su Facebook, mi sono imbattuta nel nuovo romanzo di Federico Moccia, il seguito di “Tre metri sopra il cielo” e “Ho voglia di te”. Sono certa che la io di adesso non si perderà tra quelle righe. Sono cambiata e ho lasciato da parte sentimentalismi e cose affini. Non piango quasi più, sono molto pratica e molto poco romantica. Sono grande, insomma, e l’adolescenza è come un brutto sogno: sai che c’è stato e ne porti ancora addosso le conseguenze, ma non riesci più ad afferrarlo. So che Moccia non è King né Gazzola – i miei autori preferiti. So anche che le storie d’amore su carta stampata le sopporto poco. Troppi singhiozzi e troppi abbracci e troppi baci, ed è vero che nel mondo ne servirebbero sempre di più ma io ho bisogno di altro, di altre vette da esplorare e di altri stimoli che muovano la lettura. Lo so, conosco tutto questo, ma credo che lo leggerò comunque. Anche solo per capire se sono capace di essere un po’ come allora… di piangere e di ridere perché l’amore questo è, e lo è sia nella realtà che nella finzione di un libro.

Babi e Step mi fecero appunto piangere e ridere – soprattutto piangere, se non ricordo male – e muoio dalla voglia di capire se riesco ancora a innamorarmi di una scritta su un ponte. Di una fuga da una finestra. Di un mare che sa di cielo e di un cielo che sembra il mare. Di un dolce far pace… Un amore acerbo, breve ma forte come una tempesta. Un amore che non aveva senso di esistere e che quindi è morto con la fine dell’estate – che poi, chissà perché, le più belle storie iniziano quando il sole colora la pelle e tutt’intorno si sente profumo di mare. Un amore che è presente solo nei sogni più limpidi, quando si hanno i brufoli e si temono lunghe interrogazioni di latino.

Spero di sentirmi quindicenne per un attimo. E spero di piangere, almeno un po’. Se non altro per dimostrare a me stessa di non essere diventata troppo cinica da non riuscire a sognare.

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