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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Everything Everywhere All at once

27 Marzo 2023 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #cinema

 

 

 

 

Se questo film meritasse o meno gli Oscar, se è stata la vittoria del politicamente corretto, non lo so.  So solo che chi me lo ha consigliato lo ha trovato deludente. Io l'ho trovato pazzesco in tutti i sensi. La trama non è riassumibile, è a suo modo un viaggio dell'eroe (eroina in questo caso) ma invece che svolgersi in orizzontale si svolge in verticale, ovvero tra i numerosi universi paralleli. Evelyn, una donna ormai apatica in una famiglia abbastanza sfigata, scopre che può accedere al Multiverso, saltando da un piano all'altro e assorbendo le capacità sviluppate in mondi paralleli: questo le servirà per salvare il Multiverso stesso da Jobu Tupaki, un mostro che lei stessa ha creato nel Mondo in cui era una scienziata, facendola saltare talmente tanto da averla frammentata e averla resa ubiquitaria. Jobu nella sua follia vuole che tutto venga divorato dal caos ed Evelyn è la prescelta per un motivo molto semplice: in questa Realtà ha fallito ogni singola cosa abbia fatto, dalla vita privata, al lavoro, agli hobby. Centoquaranta minuti di citazioni, combattimenti pirotecnici, scene assolutamente ridicole, nonsense che possono anche essere goduti semplicemente così, lasciandosi trasportare da un film che capisco possa sembrare girato da due che si sono presi una dose di allucinogeni scaduti. Se però si scende nei piani di lettura, si può trovare molto di più. La multipotenzialitá in ognuno di noi: non a caso per accedere ad un altro universo occorre fare "qualcosa di assurdo che non faresti mai" (lascio a voi scoprire i metodi esilaranti che i protagonisti hanno di volta in volta messo in atto) perché sperimentarci nelle novità può consentirci di accedere ad abilità che ignoravamo di avere. Le coincidenze e la serendipitá come veri e propri stati di coscienza: in ogni universo Evelyn è circondata sempre dalle stesse persone ma con rapporti diversi. E anche dove decide di non fidanzarsi con il futuro marito, lo ritrova comunque. Perché come diceva Rumi "ciò che cerchi ti sta cercando" e a questo non si sfugge. La Gentilezza come stile di combattimento. Si può essere campionesse di Kung fu e abbattere tutti con la forza dei mignoli ma la sua Maestra le ricorda che tutto è Kung fu, anche un biscotto: se offerto alla persona giusta si possono ottenere lo stesso i risultati. L'Amore come unica Forza universale che può opporsi al Caso, ristabilire i rapporti, impedire la devastazione. La Leggerezza come modo di vivere: senza preoccuparsi troppo, cercando sempre il lato buono, ridendo durante un combattimento che si trasforma in una enorme seduta di psicoterapia di gruppo. La vita è caos, vero. Ma non saremo noi con i nostri sforzi a darle un senso. Godersi una baracconata simile rischia di farci avere la vera illuminazione.

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Mare Fuori

24 Marzo 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

Si sentono le tre diverse regie nelle rispettive stagioni di Mare Fuori. Asciutta, cruda e bellissima la prima, a firma Carmine Elia; coinvolgente ma melodrammatica la seconda, dove si avverte la mano femminile di Milena Cocozza; fin troppo ingolfata di lacrime e abbracci la terza, a mio avviso la peggiore, diretta da Ivan Silvestrini.

Mare Fuori piace perché ribalta tutte le prospettive. La vera libertà è l’IPM, sembra dirci, lo spazio ristretto del penitenziario minorile affacciato a pelo d’acqua. Lì dentro succede di tutto ma in specie avvengono cose buone: rivolgimenti interiori, pentimenti, crescite. Fuori, invece, c’è il male, ci sono persone malvage che ti obbligano a delinquere, a diventare quello che in cuor tuo non vorresti essere, a finire schiacciato dagli ingranaggi del sistema camorristico. “Fuori è pieno d’infami”. Al punto che non si capisce perché si continuino ad accordare permessi premio quando poi, una volta usciti, i ragazzi compiono, volenti o nolenti, gli atti più crudeli o rischiano la pelle. “Siamo più liberi qui dentro”, dice Naditza a Filippo. In carcere, infatti, le differenze si appianano, si diventa uguali, la zingara napoletana può sognare l’amore con il Chiattillo, il figlio di papà milanese.

La figura più affascinante non è, appunto, il fighetto milanese, per quanto coraggioso e determinato, ma Carmine di Salvo, figlio della boss Wanda, il quale cerca di svincolarsi dalla melma deterministica che lo avvolge e impastoia, che gli impedisce di vivere una vita semplice e onesta, che gli uccide la giovane e innocente moglie. Mediterraneo, con le labbra carnose e lo sguardo malandrino, tormentato e buono, è il vero eroe del penitenziario. Carmine passa attraverso ogni genere di ribellione e sofferenza. Ha un rapporto padre- figlio col comandante – altro personaggio romantico – un tenero legame con la figlioletta, che non a caso ha chiamato Futura, una sorta di bromance con il Chiattillo, amico fraterno disposto a tutto per salvarlo, e una passione alla West Side Story per Rosa Ricci, rampolla del clan avverso.

All’opposto di Carmine c’è Viola, il male assoluto, fine a se stesso e incarnato, per cui non si prova compassione. Quando cade dal tetto della prigione nessuno si dispiace per lei e tutti i telespettatori tirano un sospiro di sollievo.

La serie attrae perché dà una spiegazione al male, sempre figlio di altro male. Perché implica un riscatto, anche per gli atti più atroci, come accoltellare una madre o violentare una ragazza. Basta pentirsi, piangere e abbracciarsi, basta non averlo voluto davvero. E qui, forse, nasce il pericolo, il messaggio sbagliato, cioè che tutto si possa perdonare, dimenticare, archiviare, relegare nel passato, persino l’azione più efferata in stile Erica e Omar. Solo l’oggi ha valore, esistono esclusivamente il presente e un futuro sognato. Così il male viene sminuito a favore di altri valori, molto esaltati nelle serie televisive odierne, siano esse fantasy, storiche, poliziesche o drammatiche: amicizia, lealtà e amore hanno più importanza di omicidi, violenze e faide di sangue, e le intenzioni sono più forti delle azioni.

Chiunque di noi, suggerisce inoltre Mare Fuori, può trovarsi nella situazione di questi ragazzi, messo a nudo e costretto a delinquere per finire poi circoscritto nel limbo di un carcere, luogo più dell’anima che fisico, dove le differenze si annullano, dove bene e male sono ingigantiti oppure appiattiti, dove si formano alleanze e si giurano odi eterni. 

Una carrellata di personaggi forti, ben disegnati e indimenticabili: la direttrice, il comandante, Carmine, Filippo, Naditza, Cardiotrap, Pirucchio, Pino, Ciro, Kubra, Edoardo e tutti gli altri sono destinati a rimanere nel cuore, così come i vicoli tortuosi di una Napoli affacciata su un mare che può stare fuori, sì, ma anche perforarti l’anima.  

 

 

 

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Grazia Marzulli, "Nella carezza del vento sbocciano fiori"

22 Marzo 2023 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 Per la collana di testi letterari Alcyone 2000, della Casa Editrice milanese “Guido Miano”, è stata recentemente pubblicata la raccolta poetica Nella carezza del vento, sbocciano i fiori. L’autrice è la professoressa Grazia Marzulli, la prefazione è stata curata da Michele Miano. In copertina disegno di Fabio Recchia dal titolo Abbraccio. Con questo lavoro la poetessa barese ha voluto realizzare una scelta antologica di liriche già edite in passato - tratte da Il volo di Penelope (1998); Salsedine (1999); La luce verticale (2001); Il velo di Maya (2004); Selva di dissonanze (2000); Anfratti fioriti, conchiglie (2003) - corroborata da poesie inedite che appaiono nell’ultima parte del libro con i sottotitoli di Anemoni e Fiori della Resilienza. Anche i testi editi sono stati suddivisi in diverse parti: Viole del pensiero, Fiori di roccia, Visioni.

I fiori in poesia sono solitamente stati utilizzati in funzione simbolica e metaforica, come immagini di caratteristiche personologiche, aggettivazioni tipologiche, realtà di vario genere. Tra le più famose ed importanti opere letterarie che li richiamano con una forte e dirompente potenza emblematica, si annoverano I fiori del male (1857) di Charles Baudelaire. L’autore stesso scrisse in una lettera alla madre: «Questo libro, il cui titolo dice tutto, è rivestito di una bellezza sinistra e fredda… È stato fatto con furore e pazienza». Infatti la sua volontà era quella di “estrarre la bellezza dal male”, ovvero il fare poesia su argomenti cupi, scabrosi, talvolta immorali: perfettamente in linea con le visioni del “poeta maledetto” francese (“poète maudit”) che rigetta i valori borghesi dominanti e diventa ribelle e trasgressivo.

Il riferimento a Baudelaire ci introduce - per contrasto - ai “fiori” che sbocciano dalla carezza del vento, sempre simbolici ma di segno opposto, cioè che rappresentano la bellezza autentica ricercata là dove risiede: nella natura, nell’anima, negli ideali, nella spiritualità, nell’amore, nella speranza, nella coscienza del destino di grandezza dell’uomo, nella serena memoria del passato, nel senso religioso della vita che conduce all’abbraccio con Dio. Sono questi ed altri i “fiori” visitati dalla poetessa, la quale non ignora le ombre del presente e della storia umana, ma con l’intento di denunciarne la negatività e superarle. Non per nulla il libro è disseminato di dotte citazioni illuminanti sull’argomento, tra cui, come incipit, quella di Cesare Pavese («È una gioia vedere tanti rami verdissimi nel vento e tanti fiori prepotenti, sboccianti, è una gran gioia perché nel sangue pure è primavera» e quella di Tagore («Il fiore si nasconde nell’erba, ma il vento sparge il suo profumo»). Letterariamente sono le umili tamerici pascoliane (Myricae - 1891) e La ginestra leopardiana (1845) ad avvicinarsi maggiormente al sentire e allo stile classico della Marzulli. Myracae, in quanto l’intento del Pascoli - ribaltando il concetto virgiliano sulla poesia delle grandi tematiche - è quello di parlare invece delle piccole cose della vita quotidiana, che tuttavia poi assumono un significato universale: per alcuni aspetti è questa una caratteristica dell’autrice; La ginestra, poiché nel Leopardi è Il fiore del deserto (altro titolo) che vince le avversità dell’ambiente esalando i suoi profumi nella desolazione tragica del paesaggio lavico del Vesuvio e nell’autrice esistono i Fiori della Resilienza (ultima parte, con citazione di alcuni versi proprio de La ginestra) che hanno lo stesso significato: leggasi, ad esempio, La coerenza (Lettera ad un giovane studente), dove pone i valori umani come pietre miliari e in tal modo lo esorta: «Vivi secondo coscienza… così saprai resistere a lusinghe e raffiche di vento...».

I testi ci segnalano ancora le suggestioni dei paesaggi e delle architetture in Valle d’Itria, tra muretti a secco, trulli, mulattiere, pietre millenarie, corrosioni carsiche… e il sogno di una «…Naiade scalza / tra fiori di lavanda…» (Ortica e giunchiglia) e attese oltre i recinti interiori. Ci narrano di miti ellenici antichi, delle leggende del mare, di una natura sopraffatta dal cemento. Rimembrano le dolcezze dell’infanzia al tempo delle more e delle ciliege, la nostalgia delle liete ore del passato, l’esempio di «madre Coraggio» (Ultimi battiti) dalla granitica fede, il dolore e la paura dei tempi di guerra. Ricercano ardui scavi interiori, il non perdere il significato della vita, il combattere l’indifferenza, l’Io unico e indivisibile, il giardino dell’anima, la fanciulla antica dall’eterna giovinezza nel cuore. E un grido: «Sei tu, speranza, mio rifugio» (La speranza). In un mondo alienato perseguono orme dell’infinito e le vette del cuore, che si trasformano in una preghiera al Signore. E mistiche visioni cristiane, francescane, implorando Dio per «un’altra possibilità di ricominciare» (Fuoco).

Enzo Concardi

 

 

 

Grazia Marzulli, Nella carezza del vento, sbocciano fiori, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 96, isbn 978-88-31497-98-5, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

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Grazia Marzulli, "Nella carezza del vento, sbocciano fiori"

16 Marzo 2023 , Scritto da Michele Miano Con tag #michele miano, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

La silloge di Grazia Marzulli Nella carezza del vento, sbocciano fiori, pubblicata per i tipi di questa Casa Editrice, risulta un florilegio dei suoi volumi precedenti in aggiunta a vari testi inediti.

La sua poliedrica personalità ci induce ad una particolare valutazione della produzione che abbraccia ormai più di un ventennio. Dotata di una vasta e approfondita cultura di matrice classica, la poetessa ci presenta il meglio della sua attività letteraria. Un verso strutturato il suo e non sempre di immediata e facile lettura proprio perché attinge dal mondo classico. La sua è una poesia caratterizzata da un’acuta sensibilità e che lascia emergere la forza e l’intensità delle sue emozioni; componimenti sempre sorretti da un equilibrio strutturale e dalla consapevole cadenza del ritmo. Lo stesso titolo della raccolta è significativo e riprende quel momento magico in cui spira il vento ineffabile dell’ispirazione, quel quid pluris, quasi un soffio divino che permette ai versi di sbocciare come fiori.

Nel Dizionario Autori Italiani Contemporanei, terza edizione, 2001 edito da questa Casa Editrice, lo scrittore Giovanni Chiellino evidenziava come «Da percorso a percorso, da porto a porto, la Marzulli ci conduce dalla materia allo spirito, dalla memoria agli affetti familiari sino all’orizzonte dell’amore che si solleva su remote rive e sulle spiagge dell’oggi, si proietta nel futuro…».

Passato e presente sembrano essere le coordinate più significative della sua ispirazione artistica. Si legga l’inedita Nostalgia dove la poetessa racchiude radici profonde con la ricerca di se stessa, del proprio pensiero e della propria personalità: «… Mi mancano con te le liete Muse / i miti e le leggende del passato / i giochi a nascondino con il tempo, / il rincorrere anelanti l’avvenire / e il divertente muoversi a ritroso, / fingersi adolescenti / compagni di banco / di attese di sogni di avventure. // Ma è tardi ormai. / La vita guarda avanti».

Ella trae - soprattutto nelle sue ultime liriche - dalla viva realtà del vissuto gran parte della sua ultima opera, ma non disdegna le istanze del pensiero, quando presa dalla forza creativa stilla concetti che nascono da una profonda meditazione sugli eventi e sui fatti umani. Se da un lato si riscontra come già evidenziato l’aggancio al mondo culturale classico, dall’altro non sfugge la capacità di essere tutt’uno con la natura che la circonda, dalla quale elabora una poesia ricca di immagini suggestive. Si legga a titolo esemplificativo la lirica In un tempo sospeso:  «Maggio. La natura in festa / si veste d’armonia. / Si tuffa il sole tra le spume e / al mare evoca lavacri lustrali. // Ma nell’aria v’è qualcosa d’irrisolto / sospeso vaga un senso di sgomento / un trasalimento del vento / nel lambire sentori / da un’eco di gemiti lontani…».

Severa con se stessa, Grazia Marzulli infonde nel verso i segni della spiritualità con un amore che può sposarsi soltanto con la gioia della mente e del cuore. L’inconsueta spontaneità rivela il dono ancestrale della poesia, che per Lei diventa forse, trasparente e sognante e ce la porge con forte sincerità. Le tematiche coinvolgono la totale conoscenza della vita, tuttavia la poetessa giunge sempre a felici soluzioni di stile e di composizione proprio in virtù dell’impegno con cui persegue l’immagine e la metafora. Poesia dai toni a volte didascalici come monito alle nuove generazioni. Al riguardo è esemplare la lirica La coerenza dove la poetessa denuncia i limiti della società moderna ipertecnologica, dove spesso gli opportunisti di turno, privi di valori etici morali, sono pronti a cambiare “bandiera” al soffiare del vento: «Pare che la coerenza oggi / non sia più di moda / - se pur di moda per lei / si possa parlare - // Dello scrigno si è persa la chiave. //…// E nel diffuso bla-bla da Babele / nell’aria s’agita una gran confusione. / Vuoti a perdere le alte questioni. // Ma c’è sempre la speranza / a fare capolino dietro l’angolo». Una poesia che rivela una sfiducia nel presente, nella società odierna, nel dominio tecnologico, simbolo di annullamento della libertà individuale. Si avverte la consapevolezza lucida ed amara della ineluttabilità del male, ma anche la gioia di chi vive serenamente la fede cristiana.

Di solitudine non si parla mai esplicitamente in queste liriche come condizione esistenziale preradicata, ma come di un risultato indotto, conseguenza inevitabile di una società, quella moderna, che ha perduto il significato della gerarchia dei valori e il loro riscontro nella vita quotidiana. L’affievolirsi degli ideali più importanti quali l’amore, il senso della comunione, della fratellanza, della solidarietà trova il suo più drammatico esempio nell’insensatezza della guerra e del disagio e delle lacerazioni sociali: al riguardo significativa è la lirica Il globo in bilico: «… Vittime di ieri oggi carnefici / vittime a venire i carnefici di oggi / - anelli di catene incancrenite - // In bilico, superbo l’Occidente…».

Ma la speranza risulta essere per la nostra poetessa una valida scialuppa di salvataggio: «…Sempre dimori nell’animo / di chi, pronto al richiamo, / porge ascolto, dona conforto / e infonde fiducia nel buon Dio. // Speranza, tu che affiori dal dolore / e ti nutri d’amore / diffondi la magia di quell’amore / che invoglia a sperare» (La speranza).

Il percorso umano e letterario della poetessa si snoda attraverso una cronistoria che parte dal 1998 con la sua prima opera Il volo di Penelope e che consente al lettore di cogliere un’evoluzione dai caratteri stilistici e contenutistici con valori sempre positivi capaci di stimolare sottili recuperi di pensiero e di spiritualità.

Le ultime due sezioni di questo libro, Anemoni e Fiori della Resilienza, raccolgono i testi inediti; la seconda riporta non casualmente una strofa della celeberrima lirica La ginestra del Leopardi, quel fiore del deserto che diventa  simbolo del coraggio e della resistenza estrema di fronte a un destino inevitabile.

Michele Miano

 

 

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L’AUTRICE

Grazia Marzulli è nata e vive a Bari. Già docente di Lettere, ha trasmesso agli studenti interesse e amore per le belle arti. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Il volo di Penelope (1998), Salsedine (1999), Selva di dissonanze (2000), La luce verticale (2001), Anfratti fioriti, conchiglie (2003), Il velo di Maya (2004).

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Grazia Marzulli, Nella carezza del vento, sbocciano fiori, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 96, isbn 978-88-31497-98-5, mianoposta@gmail.com.

 

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29esimo Trofeo RiLL per il miglior racconto fantastico

13 Marzo 2023 , Scritto da Redazione Con tag #concorsi, #fantasy

 

 

 

 

La scadenza per partecipare al 29esimo Trofeo RiLL per il miglior racconto fantastico è prorogata al 20 aprile 2023.

 

Il Trofeo RiLL è un premio letterario bandito dall’associazione RiLL Riflessi di Luce Lunare, col supporto del festival internazionale Lucca Comics & Games e della casa editrice Acheron Books.

Il concorso è dedicato ai racconti fantasy, horror, di fantascienza e ad ogni storia sia (per trama e/o personaggi) “al di là del reale”.

Ogni autore/autrice può inviare una o più opere, purché inedite, originali e in lingua italiana.

Da un decennio i racconti ricevuti sono oltre 300 a edizione (nel 2022: 371 racconti), scritti da autori/autrici residenti in Italia e all’estero.

I racconti possono essere spediti, a discrezione di ogni partecipante, per posta oppure in via telematica. Per chi risiede all’estero è raccomandata la spedizione in formato elettronico.

I dieci racconti finalisti del 29esimo Trofeo RiLL saranno pubblicati (senza alcun costo per i rispettivi autori/autrici) in un e-book della collana “Aspettando Mondi Incantati”, curata da RiLL. Inoltre, i migliori 4-5 racconti fra quelli finalisti saranno pubblicati (sempre gratuitamente) nell’antologia del concorso (collana “Mondi Incantati”, ed. Acheron Books), in uscita a Lucca Comics & Games (novembre 2023).

Infine, il racconto primo classificato sarà tradotto e pubblicato in Spagna (su Visiones, antologia annuale di Pórtico - Asociación Española de Fantasía, Ciencia Ficción y Terror) e in Sud Africa (su PROBE, il magazine dell’associazione SFFSA - Science Fiction and Fantasy South Africa).

L’autore/autrice del racconto primo classificato riceverà un premio di 250 euro.

La selezione dei racconti finalisti sarà curata da RiLL. Tutti i racconti saranno giudicati in forma anonima (cioè senza che i lettori-selezionatori conoscano il nome dei rispettivi autori/ autrici).

La giuria del Trofeo RiLL sceglierà poi, fra i racconti finalisti, quelli da premiare e pubblicare nell’antologia “Mondi Incantati” del 2023. Fra i giurati dell’edizione 2022 del concorso: gli scrittori Donato Altomare, Mariangela Cerrino, Giulio Leoni, Gordiano Lupi, Massimo Pietroselli, Vanni Santoni, Sergio Valzania; lo sceneggiatore di fumetti e scrittore Roberto Recchioni; il sociologo e autore di giochi Luca Giuliano; l’anglista e saggista Cecilia Barella; la poetessa Alessandra Racca; i giornalisti ed autori di giochi Andrea Angiolino, Renato Genovese e Beniamino Sidoti.

Ogni partecipante al 29esimo Trofeo RiLL riceverà in omaggio una copia dell’antologia “QUEL SIGNORE IN SALOTTO e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni” (ed. Acheron Books, 2022, collana Mondi Incantati), che prende il nome dal racconto primo classificato del 28esimo Trofeo RiLL, scritto dal modenese Nicola Catellani.

Il libro propone tredici storie: i migliori racconti del 28esimo Trofeo RiLL e di SFIDA 2022 (altro premio bandito da RiLL) e i racconti vincitori di quattro concorsi per storie fantastiche organizzati all’estero (in Australia, Portogallo, Spagna e Sud Africa) e con cui il Trofeo RiLL collabora.

Tutti i libri della collana “Mondi Incantati” sono disponibili su Amazon, Delos Store, Lucca Fan Store e nell’Edicola del Fantastico di Fantasy Voice, oltre che (a prezzo speciale) su RiLL.it

Gli e-book della serie “Aspettando Mondi Incantati”, dedicata ai racconti finalisti del Trofeo RiLL, sono invece disponibili nel Kindle Store di Amazon e, come EPUB, su KOBO, La Feltrinelli e Mondadori Store.

La cerimonia di premiazione del 29esimo Trofeo RiLL si svolgerà a Lucca Comics & Games 2023, il prossimo novembre.

Per maggiori informazioni si rimanda al bando di concorso, all’e-mail e al sito di RiLL (che ospita ampie sezioni sul Trofeo RiLL e le connesse collane di antologie/ e-book).

 

Associazione RiLL - Riflessi di Luce Lunare

via Roberto Alessandri 10, 00151 Roma

https://www.rill.it/

info@rill.it

 

L’associazione RiLL Riflessi di Luce Lunare è attiva dai primi anni ’90.

La principale attività è il Trofeo RiLL per il miglior racconto fantastico, un premio letterario curato dal 1994 e che ha riscosso un interesse crescente fra gli/le appassionati e gli/le scrittori esordienti.

Dal Trofeo RiLL sono nate tre collane: “Mondi Incantati” (antologie con i racconti premiati in ogni annata di concorsi RiLLici), “Memorie dal Futuro” (antologie personali dedicate agli autori/ autrici che più si sono distinti nei premi organizzati da RiLL) e “Aspettando Mondi Incantati” (e-book che pubblicano i racconti finalisti di ogni edizione del Trofeo RiLL). Le antologie/ e-book curati da RiLL sono tutti realizzati senza alcun contributo da parte degli autori/ autrici.

Sul sito di RiLL sono on line molte informazioni sul Trofeo RiLL e le sue diverse edizioni, sugli altri concorsi e iniziative organizzate da RiLL e un vasto archivio di articoli e interviste.

 

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Vikings

7 Marzo 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #patrizia poli, #recensioni, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

Serie molto ben confezionata, a firma Michael Hirst, Vikings, anche se troppo moderna nell’impianto visivo, nelle acconciature, nel trucco e parrucco. I protagonisti sembrano più rock star, per le movenze e le espressioni, piuttosto che antichi norreni. Ma le ricostruzioni di ambiente sono minuziose ed efficaci, i personaggi tanti e ben disegnati: l’indovino cieco, i cinque figli di Ragnar, il pazzo visionario Floki, la volitiva Lagertha, la cattiva Aslaug, il giusto e forte Ragnar Lothbrok e una miriade di altri.

Su tutti, però, spicca Athelstan, il monaco che viene preso prigioniero dai Vichinghi e vive con loro. Man mano che passano gli anni, si trasforma da cristiano convinto a uomo del compromesso e del sincretismo. In lui albergano più anime, quella cattolica e quella contaminata dalla frequentazione pagana. Athelstan comincia a intravedere la bellezza e la spiritualità anche in certi riti di sangue violenti e raccapriccianti. “Amo Gesù e amo Odino”, dice. Dopo la morte per mano di Floki, continua a essere presente sotto forma di visione e assume sempre più un’immagine salvifica e cristologica. La sua eredità sarà assunta dal figlio naturale Alfred, futuro re del Wessex, la figura più nobile e giusta di tutta la serie. Athelstan è irrisolto, tormentato e tuttavia completo, frutto proprio del suo lasciarsi andare a una molteplicità di pulsioni, da quelle più religiose a quelle terrene e lascive. “La loro morale è diversa”, dice ormai scevro di giudizi o pregiudizi parlando dei suoi catturatori che definisce “la sua famiglia”.

L’ammirazione e l’amicizia che Ragnar Lothbrok, il personaggio più importante, ha per lui, sono assolute. Ragnar, a sua volta, agisce spinto non da mera ambizione ma da curiosità: la voglia di sapere cosa c’è oltre il mondo conosciuto, la voglia d’imparare usi e costumi diversi, di parlare altre lingue. 

Altro personaggio controverso è re Ecbert, uomo dai continui rivolgimenti etici, pronto a tradire ma anche a soffrire per averlo fatto. Amico sia di Athelstan che di Ragnar, diventa l’amante della moglie del figlio, alleva Alfred nel ricordo del padre monaco e lo prepara a diventare un futuro re saggio e pio. La sua amante sarà la madre di Alfred, avuto dalla relazione di lei col monaco Athelstan, che ne difenderà l'ascesa al troino anche a costo di uccidere il proprio primogenito.

Diverso il caso di Lagertha, coraggiosa, tenace, da sempre innamorata di Ragnar, dolce con i familiari ma spietata e inflessibile con chi merita di morire.

Inevitabile in confronto con Game of Thrones. Ma qui c’è una base storica, molti dei personaggi sono realmente esistiti e c’è parecchia spiritualità. Si fa un gran parlare di dio, della sua differenza con gli dei nordici, di paradiso e di Valhalla. Esistono l’inferno e il paradiso? Esistono gli dei? E, se non ci fossero, la vita avrebbe più o meno senso?

Personaggi spietati, barbarici, che non ci pensano un secondo a infilarti un’ascia nello stomaco ma si pongono questioni filosofiche, parlano di Odino e Thor, ma anche di Gesù Cristo e di Budda. Fazioni e nazioni a contrasto, per le quali, come in Game of Thrones, di volta in volta parteggiamo.

L’unico personaggio assolutamente sgradevole, almeno per me, è Ivar the Boneless, interpretato benissimo dall’attore Alex Høgh Andersen. Invasato, megalomane perché frustrato, cattivo fino al midollo, finisce per perdere il senno credendosi un dio, prima viziato dalla madre altrettanto malvagia e poi adulato dalla moglie che lo manipola e tradisce. Ultimogenito di Ragnar, nato sotto una cattiva stella senza l’uso delle gambe, cresce forte, arrabbiato e vendicativo. “Vorrei non essere sempre così arrabbiato” afferma.

Il padre gli spiega che è speciale proprio per il suo handicap ma lui avrebbe preferito essere normale e amato come i suoi fratelli, i quali un po’ lo sostengono e un po’ lo disprezzano. Tutti indistintamente lo temono, per la sua forza, per la tenacia con cui cammina sulle mani, per la malvagità che non lo abbandona un istante.

Non giocano a favore delle ultime stagioni una subentrata tendenza melodrammatica e la presenza di personaggi nuovi di poco interesse, dopo l’uscita di scena di altri di grande spessore come Rollo – in continua tensione odio e amore nei confronti del fratello Ragnar – o Judith– madre capace di uccidere uno dei figli a favore della regalità dell’altro. Uno di questi caratteri insipidi è o storico vescovo Heamund, che non è ben sviluppato nelle sue potenzialità di personaggio. Grande guerriero e principe della chiesa, non si capisce perché dal giorno alla notte s’invaghisca di Lagertha, salvo poi respingerla preso da un’improvvisa paura della dannazione. Si salva solo Gunnhild, sorta di regina valchiria di grande impatto anche fisico sullo schermo.

Certe crudezze vichinghe nelle ultime fasi della narrazione vengono sostituite da un tono epico quasi arturiano, non sgradevole, specialmente nelle bellissime scene del funerale di Lagertha, che ricorda le esequie di Artù nel film Excalibur, o della morte di Bjorn Ironside che riporta alla mente il Cid Campeador.

Alcuni nodi della narrazione non vengono spiegati e vanno accettati per quello che sono, vedi la presenza dell’indovino cieco anche dopo la sua morte, la somiglianza estrema fra Freydis, moglie uccisa di Ivar, con la russa Katia, la vera paternità di Bjorn, la vera identità di Othere, la misteriosa natura di Harbard e via discorrendo.

Tutto sommato, nonostante i difetti, se si pensa che quasi tutto quello che viene narrato e quasi tutti i personaggi sono storici o semi storici, una saga bella e potente.

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Departures

6 Marzo 2023 , Scritto da Altea Con tag #altea, #cinema, #recensioni

 

 

 

 

Departures

Giappone, 2008

 

Il destino spesso fa giri enormi, con tragitti improbabili e parecchi scossoni. E quello di Daigo, violoncellista disoccupato da un giorno all'altro, è uno di questi. Sentendosi perduto e fallito decide di tornare al paesello natale con la moglie e ricominciare. Peccato che l'unica opportunità che gli si presenta sia quella di "tanatoesteta", ovvero colui che cura e trucca i corpi dei defunti prima dell'ultima partenza, come dice il titolo. Nonostante tutte le famiglie in lutto lo chiamino per i suoi servigi, lo stigma presso i conoscenti e i parenti del morto è enorme, tanto che entrerà in crisi anche il suo matrimonio. Ma Daigo svolge il suo lavoro con una amorevolezza e una grazia impermeabile a qualunque giudizio, perché, nonostante la ritrosia iniziale, ha scoperto lo scopo della sua vita: accompagnare le spoglie mortali con dolcezza alla cremazione. Nei suoi servizi funebri incontra il dolore dei parenti rimasti ma anche la rabbia, la gratitudine, la leggerezza, l'amore che va oltre la morte. E la sua vicenda personale sarà un percorso di autoanalisi e consapevolezza (non a caso lo sceneggiatore ha scelto un artista per questa storia, sono le persone più a contatto col proprio sé) che lo condurrà, ma solo quando sarà pronto, a risolvere il più grande conflitto della sua vita, che si trascina come un pesante fardello da bambino: l'abbandono da parte del padre. Smarrito nel mondo per questo rapporto di rabbia inespressa verso il genitore, scopre, sotto diverse declinazioni, che la morte è solo un cancello, e che ogni genitore non lascia mai indietro nessun figlio. Come gli dice il suo datore di lavoro "Tutti alla fine vogliamo tornare da dove veniamo". E non credo si riferisse alla località geografica. Ci torneremo, e a fare la differenza sarà il sassolino che terremo nel pugno al momento dell'ultimo respiro.

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Jøn Mirko, "Savant"

5 Marzo 2023 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

 

Savant

Jøn Mirko

Lupieditore, 2018

 

 

È un giallo ma senza la logica deduttiva, ci sono poliziotti ma non è un procedurale, alcune scene sono talmente splatter da fare trattenere il fiato ma non è un libro dell'orrore, si parla di angeli, Cabala e Tarot ma non è un libro sul soprannaturale, è ambientato negli USA e il nome dell'autore pare nordeuropeo ma nasconde due italianissimi autori. Quello che resta è Savant, un romanzo ibrido, americaneggiante ma non spaccone, una giostra di morti, torture, mostri con un atipico assassino seriale che oltre alla scia di cadaveri ne lascia una di indizi e un poliziotto abile ma condannato a morte dalle prime pagine che intuisce che dietro quella sequela di morti degne di un film slasher vi è un'unica mano. Occorre una buona dose di sospensione dell'incredulità (anche se tutte le teorie enumerate nel romanzo hanno solide basi scientifiche), un divano e possibilmente un pomeriggio piovoso perché sono più di 500 pagine e la storia è di quelle che ti fa attaccare le dita alle pagine per girarle in maniera febbrile. Un poliziotto di NY apprende di avere una malattia che lo ucciderà in pochi mesi. Si lancia nella sua ultima indagine, un cavallo fatto a pezzi, rimontato e lasciato marcire in una suite d'albergo. Unico indizio: l'assassino ha una mutilazione fisica particolare. Un'intuizione lo porterà nel cuore del Texas dove anni prima un'epidemia ha fatto impazzire uomini e animali provocando una strage che è rimasta sotto silenzio. Da lì, passo dopo passo, giungeranno a scoprire la mente perversa che ha creato tutto ciò. Molto pirotecnico, situazioni al limite del credibile, la suspense è creata con sapienza, finale apertissimo e ammiccante. Forse si poteva togliere un centinaio di pagine ma è veramente un romanzo godibilissimo, senza pretese ma che riesce nel suo scopo principale: divertire.

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Harry Macdonald

4 Marzo 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine su licenza Pixabay

 

 

 

Negli anni '40 del Novecento, un benestante centenario scozzese di nome Harry Macdonald viveva in solitudine in un piccolo dongione. Da tempo si dedicava appassionatamente a suonare il violino durante le ore notturne, ma, non essendo portato, il continuo strimpellare procurava fastidio all'intero e vicinissimo villaggio di campagna. La gente, non riuscendo a dormire, si lamentava vivacemente, tra l'altro era impossibilitata a parlargli faccia a faccia poiché non apriva a nessuno. Dal momento che il "violinista" usciva raramente dalla dimora, per i beni di prima necessità si serviva di un garzone che lavorava in un emporio, situato in una cittadina poco distante.

Dato che l'insopportabile situazione andava avanti da settimane, una mattina il sindaco, tramite il postino, gli spedì una missiva dove erano trascritte le proteste collettive dei villici con l'invito a smetterla.

«Suono quando e quanto vogliooooooooooo!» gridò il vecchio da una feritoia della struttura, riducendo in coriandoli quella che poco prima era una lettera.

La sera stessa un nugolo di abitanti incazzati come iene andò all'assalto della torre, sfondando facilmente il portone. Non toccarono Harry nemmeno con un dito, tuttavia gli distrussero il violino senza pietà.

Il vecchio protestò rabbioso e decise di vendicarsi. Innanzitutto, assunse una squadra di valenti operai di Edimburgo, pagandoli in anticipo per dei lavori particolari. Successivamente, dal solito emporio si fece consegnare viveri a lunga conservazione, ritenendoli sufficienti per circa sei anni, in quanto non sarebbe mai più uscito dalla torre, consapevole di non avere molto da vivere, data l'età.

Passarono dieci mesi, l'anzianissimo scotsman, attraverso una finestra, si mise a suonare una cornamusa. Per di più il dongione presentava la seguente novità: un'invalicabile e gigantesco fossato circolare colmo d'acqua in cui nuotavano una miriade di piranha, i quali furono importati dal Brasile ma comprati a Glasgow in un negozio di animali abusivo, sempre e comunque usufruendo della consegna a domicilio. Mister Macdonald come pensava di mantenere in vita i sanguinari pesci sudamericani? Semplicemente nutrendoli una volta a settimana con della carne in blocchi di medie dimensioni, conservata dentro una cella frigorifera.

Harry sorrise, e suonò nuovamente lo strumento più forte, sempre più forte, per farsi “sentire.”

 

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Alessandro Angelelli, "Metallo pesante"

3 Marzo 2023 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Notte inoltrata, silenzio profondo, rotto di colpo, dal passare di un treno, metallo pesante su fragile legno”. La composizione tra la parola e l'immagine, metafora della vita e del senso dell'interezza, racchiusa in queste righe, appartiene all'autore Alessandro Angelelli nel libro Metallo pesante (L'Erudita, 2022 pp. 67 € 16.00). I testi contengono la densità dell'osservazione poetica sul mondo e sulla natura degli uomini, diffondono la consistenza dell'ispirazione, offrono una consapevolezza accogliente, piena di sensibilità e di intensa affettività. Il poeta risiede nella dimora dell'anima, percepisce l'intima relazione tra il proprio peregrinare alla ricerca di una dimensione familiare dove custodire ricordi ed emozioni e l'identità interpretativa delle sensazioni. Alessandro Angelelli indica la regione interiore dalla quale partire per percorrere l'essenza dell'itinerario esistenziale e ampliare l'orizzonte dell'appartenenza. Descrive attraverso l'inquietudine romantica del percorso di vita, lo smarrimento e la frantumazione dell'esperienza, espone la volontà di comunicazione, insegue il desiderio di riacquistare il sentimento perduto. La strada per condividere il viaggio introspettivo rimanda al valore originario dell'essere, incrocia lo svolgimento della memoria e collega l'elaborazione del vissuto con il senso di ogni destinazione. Metallo pesante svela una collezione privata di inafferrabili momenti e di sfuggenti impressioni, mostra il vincolo confidenziale tra la malinconia del passato e l'incertezza del presente, avverte il carattere instabile di ogni incognita del futuro, l'inesorabile vulnerabilità del dolore, ma anche la stabilità fiduciosa della speranza. La poesia di Alessandro Angelelli è simbolo di un archetipo del cammino umano, un attraversamento evolutivo tracciato nella necessità di realizzare una direzione per la felicità e rinnovare il proprio itinerario, inoltrandosi nella promessa di raggiungere nuovi approdi di comprensione per sentirsi a proprio agio con se stessi. Rivisita la località ispiratrice del pensiero, analizza il territorio suggestivo della realtà, da corpo all'equilibrio degli impulsi per orientare l'autenticità del discorso. Alessandro Angelelli conosce il modo di rilevare e abbracciare la consistenza sensitiva del proprio territorio di arrivo, oltrepassa il passaggio lucido del dolore e della finitezza dell'assenza, trasmette la propria fermezza creativa con il presentimento immaginario di ogni atmosfera onirica. “Metallo pesante” rinforza l'intento profondo di riconquistare la componente del benessere, illustra l'incantevole cronaca del tempo nel riassunto seducente del quotidiano, congiunto alla contingenza della fugacità, alla tenerezza della memoria e alla commozione dei significati. Indaga sull'accordo dell'intuizione elegiaca e sostiene l'eterna e inevitabile discordanza tra la crudele fragilità e la grazia della serenità. Il libro è il compimento letterario di una coinvolgente resistenza, la fusione naturale immersa nella nostalgia dell'altrove, sperimenta l'incertezza dei legami, assapora l'indugio dell'attimo vissuto, mantiene il radicamento dell'intima necessità di espressione, l'intenzione di ogni luogo in cui sentirsi a casa e ritrovare la beatitudine dello spirito.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

Heimat

 

Heimat è dov'è un ricordo lontano.

Qualcosa di nascosto che avevi scordato sopraffatto da

         mille profumi e pensieri dell'oggi.

Heimat è un ginocchio sbucciato, dopo una corsa

         per gioco.

Lo sguardo di lei mentre le sfiori la mano.

Quella rete, all'ultimo istante,

giocando per strada con gli altri bambini.

Heimat è una notte d'estate

e quelle campane che suonano i quarti.

Ogni essere umano ha un ricordo di Heimat.

          Cercalo a fondo in quel mare di nebbia.

Ricorda quel profumo che avevi oscurato.

          Il profumo della tua unica casa,

il tuo porto d'arrivo dove devi tornare.

 

Casa di bambole

 

Viviamo in una casa di bambole.

Delicati come porcellana, osserviamo il mondo, con occhi

di ghiaccio e un eterno sorriso.

La casa di bambole è sfarzosa e felice, ci protegge,

incurante di noi e dei nostri pensieri.

È bello vivere nella casa di bambole, immutabili al tempo,

           bambini per sempre.

Seduti sul nostro grazioso dondolo quel lungo sorriso

          comincia a mutare.

 

 

Istanti

 

Istanti, momenti di felicità, riempiono ogni angolo di te.

          Compensano la noia del resto,

confortano le ere di dolore che seguono.

Li aspetti come un bimbo a Natale, sai che arriveranno.

         Devono.

Istanti, ricordi, lampi di vita, caricano la tua anima e la

           stringono.

Non la lasciano andare, la proteggono, sai che senza di

         essi, tu non saresti.

Quanto manca

al prossimo istante?

 

 

Spiragli

 

Spiragli di luce da una porta socchiusa, memorie future

          costruite al momento

Qualcosa si muove dietro un fragile muro, mi guardo

          intorno e mi sento perduto

Fuggire, scappare, lo spiraglio si allarga; la porta cigola e

          la luce mi invade

Il tuo sguardo attraversa le mie molte paure e cancelli ogni

          falsa parvenza di uomo costruita nel tempo

 

 

Nota sbagliata

 

Sono una nota sbagliata,

musica infame e corrotta dal tempo.

Disarmonico e solo

come un mondo perduto.

E ti vedo osservarmi, senza farti notare, diffidente e

         bellissima quale luna offuscata.

Poi ti vedo ascoltar le mie inferme canzoni e ti ascolto

          parlar del tuo mondo distante.

Irreale e sbagliato è starti vicino, irreale e assurdo

          sfiorarti la mano.

Poi mi lascio avvolgere dalla tenue armonia, perché il mio

          paradiso è nelle rare parole,

è vedere sparire, alla fine, quella coltre di nebbia.

 

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