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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

"Le Metamorfosi" di Ovidio

27 Agosto 2018 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende, #sezione primavera

 

 

 

 

Le Metamorfosi (Le Trasformazioni), sono un poema in 15 libri e comprendono miti e leggende di origine greca e romana: in circa 250 racconti, Ovidio riassume tutto l'antico mondo della mitologia, che va da Omero fino ai poeti dell'età di Augusto. Ovidio infatti si propone di narrare una «storia dell'universo» attraverso le trasformazioni che in esso sono avvenute, e per far questo, si ispira a tutta la mitologia classica, ma soprattutto a quella dell'età ellenistica.

La letteratura dell'età ellenistica ebbe, infatti, un interesse molto vivo per il tema delle trasformazioni e in particolare per l’eziologia (dai greco «aition» = causa), cioè la ricerca della causa, dell'origine di alcuni fenomeni. I racconti eziologici erano destinati a spiegare fatti sorprendenti: cerimonie particolari, strane usanze, nomi di luoghi, di piante, di animali ecc., dei quali si era perduto il significato e che perciò apparivano misteriosi, incomprensibili.

Partendo dall'osservazione dei fenomeno e tenendo conto delle sue particolari caratteristiche, si costruiva una storia fantastica che ne dava una spiegazione e una motivazione.

La letteratura ellenistica, inoltre, utilizzava la tecnica di incastonare racconti in altri racconti o di raggruppare una serie di storie indipendenti l'una dall'altra ma con in comune uno stesso tema.

Nelle Metamorfosi, Ovidio usa queste tecniche narrative e rielabora con la sua fantasia i racconti mitici tradizionali, nelle loro versioni più rare, raffinate e sconosciute.

I miti, in realtà, hanno ormai perduto da tempo il loro valore religioso. Gli dèi descritti da Ovidio non regolano le sorti dei mondo dall'alto dell'Olimpo, ma scendono spesso sulla terra, amano, sono gelosi, si adirano, hanno sete di vendetta; queste passioni, così umane, coinvolgono e travolgono giovani, donne, fanciulli, e sono spesso causa della loro trasformazione. La metamorfosi, quindi, crea un legame fra il mondo degli dèi e quello dei mortali che dà nuova vita ai miti perché li fa diventare storia della natura e dell'uomo: infatti in ogni fiore, in ogni scoglio si nasconde una storia che ha per protagonisti amanti infelici, donne innamorate, fanciulli  imprudenti.

La metamorfosi può essere un premio (ad esempio Ercole, per il suo coraggio, viene trasformato in divinità e assunto in cielo); il rimedio a un errore commesso dagli déi o a un'ingiustizia degli uomini (ad esempio Giacinto, ucciso involontariamente da Apollo, e Leucotoe, condannata a morte dal padre infuriato, divengono piante odorose); una punizione (ad esempio il feroce tiranno Licaone è mutato in lupo): in ogni caso, anche se sotto nuova forma, buoni e cattivi continuano a esistere come elementi della natura.

Inoltre, questi esseri trasformati, anche dopo la metamorfosi non dimenticano chi erano e perché sono diventati così: il girasole continua ad amare il Sole, la pernice non ha più il coraggio di volare in alto, lo scoglio di Perimele desidera ancora gli abbracci del suo innamorato. Animali, piante, rocce conservano quindi la loro umanità.

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Arte al bar: ALBERTO BURRI Il grande cretto di Gibellina

25 Agosto 2018 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #arte, #arte al bar

Il cretto di Burri e l'omaggio Walter FestIl cretto di Burri e l'omaggio Walter Fest

Il cretto di Burri e l'omaggio Walter Fest

 

 

Eccoci, amici dell'arte, ad un nuovo appuntamento, la signoradeifiltri si arricchisce di una nuova opera, nel suo genere una delle più grandi al mondo. Oggi parleremo di un artista italiano, Alberto Burri, e del grande cretto di Gibellina. 

Sto aspettando Bice e Alice, le due sorelle ex maestre in pensione, prima di recarsi al nostro bar devono fare il loro abituale giro fra i gatti di strada. Come in quasi tutti i quartieri, nei nostri paraggi vive una colonia felina: detto fra noi, oltre l'amore e la simpatia che si ha per tutti per gli animali, il gatto può considerarsi al servizio della società, detenendo un'importanza strategica perché, quando manca il gatto, si sa che i topi ballano, quindi, anche se non a tutti piacciono, in realtà sono anche molto utili. 

Ecco vedo arrivare le due sorelle.
 

- Walter, possiamo salutare anche noi i nostri amici lettori del blog? Carissimi amici della signoradeifiltri, siamo felici di essere qui con voi e vi auguriamo buona lettura.
 

- Bice e Alice, come stanno i nostri amici con i baffi a quattro zampe?
 

- Walter, sono sempre affamati e, con questo caldo, non possiamo fargli mancare l'acqua, a nessuno deve mancare l'acqua. Senti, ma oggi di chi parliamo?
 

- Di un medico.
 

- Un medico? Ma guarda che noi stiamo benone, eh!
 

 - Ma non è per voi, e poi, diciamo che in questo caso la medicina ha perso un medico ma noi abbiamo acquistato un grande artista, parleremo di Alberto Burri (Città di Castello, 12 marzo 1915 – Nizza, 13 febbraio 1995), vissuto in un periodo storico nel quale gli eventi belligeranti dominavano la vita di tutti i giorni. Era un giovane medico e venne arruolato nell’esercito. Volete sapere perché un medico sia divenuto artista?
 

- Beh, sì, se era un medico doveva curare i malati.
 

- Bice, hai ragione, ma nessuno di noi conosce in anticipo il proprio destino. La vita scorre da sé e, a volte, siamo obbligati a lasciarla andare al caso. Dopo essere stato impiegato su vari fronti di guerra, insieme al suo reparto venne fatto prigioniero dagli Inglesi in Tunisia ma, per uno scherzo del destino, fu trasferito nel Texas in un campo di prigionia Americano. Circondato da filo spinato, gli tolsero tutto l’armamentario medico, si ritrovò spogliato del giuramento di Ippocrate e la cosa non dovette piacergli affatto. Oltre che prigioniero, era un uomo sconfitto nell’anima. Ma, se voleva continuare a vivere con dignità, aveva un'unica ciambella di salvataggio, affidarsi alla fantasia e così, nel campo, approfittando delle varie opportunità offerte ai prigionieri di guerra per occupare il tempo, scelse di iniziare a dipingere. 
 

- Ma, scusa Walter, se era un medico perché nel campo di prigionia iniziò a dipingere?
 

- Alice, hai ragione, possiamo immaginare che Burri abbia iniziato a dipingere perché aveva bisogno di comunicare il suo disagio, alleviando il suo stato d'animo. Dipingere è stato, già dai tempi degli uomini primitivi, un mezzo di comunicazione naturale, anche i bambini sin da piccolissimi fanno gli scarabocchi proprio per esprimere quello che frulla loro per la testa. Forse poteva anche esserci un'altra motivazione pratica: tenendo presente che era un prigioniero di guerra, svolgere un'attività culturale, magari agli occhi del nemico, che lo teneva prigioniero, era un fattore che lo faceva passare maggiormente inosservato, e chissà se avrà anche ricevuto qualche trattamento di favore in cambio delle sue opere. Intanto il tempo passava più rapidamente e, piano piano, si innamorò di questo nuovo linguaggio, quello dell’arte.

L’essere prigioniero di guerra, oltre che farlo avvicinare all’arte, gli diede la consapevolezza di aver visto, fuori del suo paese, letteralmente un altro pianeta, gli Stati Uniti d’America, una nazione moderna che già allora si era dimostrata una grande potenza proiettata nel futuro, visioni che condizionarono non poco il suo lavoro. E così, terminata la guerra, si trasferì a Roma: la sua vita era cambiata e anche il suo io.
A Roma iniziò a frequentare gli ambienti artistici e a lavorare di fatto per creare opere d'arte, con la fame di esprimere il dramma utilizzando materiale atipico che però sprigionasse aliti di emozioni, sapeva che doveva uscire dagli schemi, andare oltre il passato e così, attraverso materiali di largo consumo, usati, laceri, diventava testimone e messaggero di un urlo di dolore, un'espressività moderna per esorcizzare la crudeltà. Era originale e sapeva farlo bene, rischiando molto, perché a quei tempi la critica legata alla tradizione schifava le avanguardie, ne soffrì ma ormai il solco era tracciato, era una persona mite ma, come un invasato, continuò a sperimentare. Nonostante la sua arte venisse definita “povera", Burri andò avanti per la sua strada con coraggio e convinzione; il materiale che usava per le sue opere era semplicemente parte di questa vita, quindi umanità, quindi essenza naturale, arte povera? No, era solo arte e fortunatamente ne venne ampiamente gratificato esponendo apprezzato in tutto il mondo.

 

- Walter, perché nessuno è profeta in patria?
 

- Bice, purtroppo è così, nessuno è profeta in patria, però nel 1985, proprio nel nostro paese, da un luogo che non ti aspetti, qualcuno lo chiamò. Era il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, una persona che voleva ridare una nuova luce al paese completamente distrutto nel 1968 da un tremendo e drammatico terremoto, e così chiamò a raccolta una serie di artisti e architetti a Gibellina, nel paese che venne ricostruito a circa 20 Km dal luogo originario. Risposero all'appello, fra gli altri, Guttuso, Accardi, Schifano, Burri, Paladino, Consagra, Quaroni, Mendini, Pomodoro, Thermes, Paladino, Isgrò, Lupertz, Boetti, Purini. 
 

«Andammo a Gibellina con l'architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l'idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest'avvenimento. »
(Alberto Burri, 1995)

 

E' così che si espresse l'artista umbro dopo aver visitato la città nuova. L'idea di Alberto Burri era di riciclare tutte le macerie abbandonate rigenerando nuova materia per la realizzazione della sua opera, il cui significato non era cancellare, ricoprire, nascondendo il dramma vissuto, bensì, come avviene per il terreno, ararlo per ossigenarlo e renderlo fertile. Il cretto era per lui una tecnica già sperimentata in passato in vari formati logicamente inferiori, questa sarebbe diventata un'impresa enorme ma necessaria per diversi motivi, doveva realizzare da un lato un monumento alla memoria, da un altro un monumento alla vita, questo grande cretto, un basamento di cemento intramezzato da profondi solchi.

All'epoca nessuno, viste le dimensioni, poteva immaginarne l'impatto visivo ma Burri, abituato agli scenari Americani, consapevole che la modernizzazione, come negli Stati Uniti, sarebbe sopraggiunta anche in Italia, già ipotizzava che le nuove generazioni avrebbero potuto osservare anche dall'alto questa grande opera, che poteva rappresentare un ricordo indelebile a rispetto della natura, e che il dramma sociale sarebbe rimasto nella memoria del luogo. Pertanto, dopo questo fatto, si doveva fare tesoro di questa triste esperienza e attuare nuove regole di costruzione, prevedendo norme antisismiche atte a scongiurare simili drammi.

Attraverso l'arte era possibile mantenere il ricordo per guardare al futuro con ottimismo.
 

-Walter, ma perché gli artisti sono così matti?
 

- Alice, non mi ricordo chi, forse Picasso, disse che gli artisti riescono a vedere quello che gli altri non possono vedere, quindi non è che sono matti ma hanno una mente diversamente aperta. Sai che disse il sindaco di allora di Gibellina?
 

- Che disse?
 

- “Cosa sarebbe l’uomo senza il soffio rigeneratore dell’arte?” Queste le parole dell’ex sindaco Ludovico Corrao, impresse sulla facciata di un edificio abbandonato di fronte al cretto di Burri.
 

Amici lettori della signoradeifiltri, con questa bella frase io, Bice e Alice vi salutiamo e vi aspettiamo al prossimo artista, torneremo molto indietro nel tempo per incontrare Giotto.

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Chi siamo

24 Agosto 2018 , Scritto da Luca Lapi Con tag #luca lapi, #le riflessioni di luca

 

 

 
 
 
Chi siamo?
     Siamo esseri umani, ciascuno dei quali dovrebbe dire e vivere: "Sì!!! Amo!!!"
     Dove andiamo?
     Andiamo verso un mondo dove tutti si dovrebbe dire e vivere: "Diamo!!!"
     Da dove veniamo? 
     Veniamo da un mondo (dove siamo, tuttora) dove sveniamo al pensiero di assumerci le nostre responsabilità!!!
 
          Luca Lapi luca.lapi@alice.it
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Dieci domande a: Giuseppe Scilipoti

23 Agosto 2018 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #dieci domande a, #interviste

 

 

 

Amici lettori, è impossibile non conoscere Giuseppe Scilipoti! I suoi commenti fanno parte della storia di ogni racconto pubblicato quotidianamente sul sito Letture da metropolitana. Sono sicuro che nessun autore possa farne a meno: le sue disamine sanno descrivere, con un tono appassionato, le atmosfere di ogni lavoro. Dobbiamo ammetterlo, amici autori, che, senza di lui, i nostri testi avrebbero qualcosa in meno. Gli stessi lettori sanno che, oltre alla pubblicazione, potranno avere a disposizione un dettagliato e arricchito contorno, che li aiuterà a capire meglio quello che a volte sfugge alla lettura e, per di più, con una bella dose di ironia che fa del nostro Scilipoti una figura unica.

Ecco quello che ho pensato di chiedergli:

1) Giuseppe, sarò banale... in che modo hai ricevuto l'illuminazione per scrivere?

A 16 anni, una mattina d’estate, durante una bellissima giornata di sole, mentre contemplavo dalla finestra (abito al terzo piano) il suggestivo panorama. A sinistra si vede il mare, a destra le montagne, finché, ad un certo punto, un leggero e piacevolissimo venticello mi sussurrò “scrivi e racconta!”
Infatti, da ciò ebbi lo spunto per scrivere “Il volo”, il mio primissimo racconto che tengo gelosamente nel cassetto e di conseguenza ancora inedito qui su Letture da Metropolitana.

 

2) In cambio di quale libro offriresti un cannolo Siciliano doppio?

Il Principe del Gosplan dello scrittore russo Viktor Olegovič Pelevin, un libro praticamente introvabile, che ha vari rimandi con "Prince Of Persia", uno dei miei videogiochi preferiti. Se riuscirai a trovarmelo, il cannolo Siciliano doppio sarà tuo!

 

3) Che sensazioni provi quando commenti un testo?

Io i testi non li commento ma li recensisco, in quanto, prima di diventare scribacchino, ero e sono recensore cinematografico, sebbene in questi ultimi due anni abbia ridotto moltissimo a favore della scrittura, per svariati impegni, soprattutto di tipo lavorativo. Comunque, i componimenti, che siano poetici o in prosa, non li leggo ma… li VIVO!

 

4) Preferisci un cinema più letterario che d'effetto?

 

D’effetto tutta la vita!
D’effetto e d’affetto se si parla di romance. Ad ogni modo “amo” moltissimo gli action, le commedie, gli Sci-fi, e soprattutto i polizieschi, in quanto il mio più grande desiderio mai realizzato sarebbe stato quello di diventare un poliziotto.

 

5) Stavi sognando, ti svegli e sei diventato... ?

Steven Seagal, oggi spacco… il mondo!

 

6) Che ne pensi degli scrittori di insuccesso?

Sicuramente non consiglierei di “darsi all’ippica”. A mio avviso, anche se risulta molto ma molto difficile, il consiglio sarebbe quello di analizzare i fallimenti e cambiare rotta alle prossime storie da scrivere.

 

7) Domandami una domanda.

Come ne Le Iene ti potrei domandare… umh, vediamo un po’, ah sì, ecco: “Posizione preferita per fare l’amore?” dai, scherzo, niente, ti volevo chiedere: “Come mai sei finito su Letture da Metropolitana? Per puro caso o tramite pubblicità di qualcuno?”
 

W.F.: Devo ringraziare Dario De Santis. Quasi due anni fa, e qui subentra il caso, lessi una sua storia pubblicata da letture da metropolitana, gli chiesi informazioni sul come, quando e perché, mi attizzò il fatto del testo breve da 30 secondi max 5 minuti e, grazie alla sua dritta, iniziai questa avventura. Successivamente, durante il percorso, ebbi modo di confrontarmi ed entrare in contatto con altri bravi autori e posso dirti che siamo una gran bella famiglia.

 

8) Preferisci testi lenti o veloci?

Preferisco i testi veloci, non amo molto le cose troppo criptiche, sibilline o ermetiche. Una lettura deve rilassarmi, magari anche far riflettere, ma senza ridurre il mio cervello in tilt o  farmi girare le palle come se fossero uova strapazzate.

 

9) Uno slogan per i nostri lettori, una battuta, volendo anche un saluto.

Va bene anche una citazione in forma parodistica di una canzone di Jovanotti?
“Serenata rap, serenata da Letture Da Metropolitana, leggi con me, sono circa 20 racconti a settimana.”
Colgo l'occasione per salutare gli amici di Letture da Metropolitana, lunga vita e prosperità a noi e al sito.

 

10) Il titolo del tuo prossimo libro?

Se sarà un romanzo, prendendo come spunto Le Tribolazioni di un cinese in Cina, di Jules Verne, uno dei miei scrittori preferiti, lo intitolerò “Le Tribolazioni di un Messinese a Catania” mentre, se sarà un’antologia di racconti, “Pane, racconti e fantasia!”. Infatti, uno dei racconti parlerà del mio TOTALE diniego nel fare il panettiere, un mestiere che non farei mai al mondo e che qualcuno in passato cercò di spingermi a fare. In verità adoro il pane ma… solo per mangiarlo!

Molto bene amici lettori, salutiamo Giuseppe Scilipoti, lo ringraziamo in coro e lo aspettiamo a mezzanotte quando escono i testi sul sito Letture da metropolitana,  freschi di stampa e, per rimanere in tema, freschi come il pane con il nostro caro amico siciliano pronto a commentarli.

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Arena del mare di Sapri… scenario unico di arte, musica e spettacolo

22 Agosto 2018 , Scritto da Daniela Lombardi Con tag #moda, #musica, #eventi, #televisione


 

 

 

La storica arena, da sempre protagonista di grandi eventi, si impreziosisce dei colori della moda e si inebria sulle note della musica di grandi artisti della scena nazionale e internazionale. Ad aprire la serie di spettacoli ci sarà il grande concerto di Nino D’Angelo il 20 Agosto e, a seguire, il giorno dopo, sullo stesso palco il grande evento di moda sotto le stelle, dove sfileranno i capolavori di Alta Moda e di Abiti da Sposa del celebre stilista Mimmo Tuccillo, protagonista dei grandi eventi della Moda Italiana e stilista di famosi personaggi dello spettacolo e della televisione. Le sue illustri firme, abbellite da pregiati pizzi e ricercati cristalli, saranno accompagnate dal peculiare e grande lavoro dell’hairstylist “Nicola Mariani” e “Lineaemme” e dai gioielli di luce di “Luce di Pegaso”. Essi contribuiranno a creare delle opere d’arte che sfileranno in passerella sotto gli occhi di centinaia di persone. La serata sarà allietata dall’intervento di artisti dello spettacolo, tra cui l’ambasciatrice della musica napoletana nel mondo, la grande Anna Merolla e il famoso Giosuè Bernardo del gruppo “Nojazz”, e dalla presenza della dilettevole Maria Bolignano, regina del cabaret direttamente da Made in Sud. Esibizione di spicco sarà quella del giovane cantante italiano di bachata “Cosimo”, che, dopo la sua partecipazione canora ai mondiali in Russia, si fa portavoce nella sua terra della musica latina che gli ha permesso di conquistare il pubblico della bachata, e non solo, in giro per il mondo e, in tale occasione, presenterà il suo nuovo singolo Tormento
Ma le sorprese non finiscono qui, numerosi saranno gli ospiti che prenderanno parte all’evento e lo renderanno unico nel suo genere… però non sveliamo i particolari!

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Arte al bar: MARINA ABRAMOVIC The artist is present

21 Agosto 2018 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #arte, #arte al bar

"The artist is present" di Marina Abramovic e l'omaggio di Walter Fest"The artist is present" di Marina Abramovic e l'omaggio di Walter Fest

"The artist is present" di Marina Abramovic e l'omaggio di Walter Fest

 

 

 

Amici lettori della signoardeifiltri, è mattina presto, al bar solita gente che distrattamente va e viene. E' Estate e noi cerchiamo, attraverso l'arte, di far sorridere un po' di gente perché, mentre aspetto Dalia, leggo le ultime consuete e immancabili brutte notizie sul giornale. Purtroppo così è la vita ma, di controparte, tutte le arti, ad ogni latitudine, hanno il pregio di colorarvela e di alleggerirvela in certi momenti difficili. Per oggi abbiamo concordato che andremo a parlare di arte presso il negozio di Monica la parrucchiera, vi descriveremo un ricordo, coinvolgendovi, attraverso la cronaca di una nostra spedizione a New York, in una fantasiosa esperienza fatta nella Primavera del 2010, per raccontarvi, amici del blog che sta all'arte come CR7 sta al calcio, la cronaca della performance dell'artista Marina Abramovic. 

Ecco arrivare Dalia.
 

- Dalia, buongiorno, sei pronta?


- Sì, lasciami prendere un caffè alla parmigiana e andiamo... senti, ma di chi hai detto che parliamo oggi?
 

- Marina Abramovic.
 

- Sarà dura, vero?
 

- Uelà, se serve di menare le mani io ci sono, eh!
 

Ecco a voi Giovanna la Milanese, con la sua proverbiale carica agonistica, anche se dell'arte non gliene frega niente, rimane sempre con le orecchie ben drizzate.
 

- Vengo anch'io, la partita al biliardo la finisco dopo!
 

- Veramente, andiamo a parlare di arte al negozio di Monica, se ti fa piacere, vieni anche te.
 

- Ma sì, mentre voi raccontate le vostre cose, io mi farò una ritoccatina all'acconciatura e magari anche al resto.
 

Marina Abramovic è un artista nata a Belgrado (30 Novembre 1946), dopo gli studi all'accademia di belle arti è nel cuore degli anni '70 che inizia la sua ricerca verso nuove forme espressive. La sua carriera avrebbe dell'incredibile, in realtà è quasi ossessiva sperimentazione, attraverso un nuovo linguaggio che vada al di là della staticità di una tradizionale opera d'arte.

Se, da un lato, è stata coraggiosa a rischiare feroci critiche, da un altro punto di vista è stata geniale nel trovare sempre l'approccio ideale con il pubblico, senza la paura di venire messa in discussione. A livello mondiale è considerata una vera e grande artista, sicuramente non è facile per tutti poterla identificare come tale, ma è innegabile che Marina Abramovic ha permesso alla gente di avvicinarsi al mondo dell'arte, di toccarla con mano, con tutta la propria anima, provando una serie di emozioni contrastanti ma in ogni caso vive. Altra sua prerogativa è che è volutamente uscita dallo schema artista = artigiano. Piuttosto artista che lavora in squadra, coadiuvata da diversi collaboratori che utilizzano strumenti audiovisivi. Marina Abramovic non è l'artista chiusa in uno studio, solitaria, concentrata sulla sua singola opera ma è al lavoro in una continua e dinamica costruzione di un'opera alla quale può partecipare chiunque.

- Dai, incamminiamoci, il negozio di Monica è dietro l'angolo, entriamo.
 

- Buongiorno a tutti, state pure comodi, sono qui per raccontarvi come è andata quella faccenda artistica. Monica, tu lavora tranquillamente.
 

- Ciao, Walter, ciao Dalia, ciao Giovanna.


La gente nel negozio sembra non essere interessata a noi, la musica nel locale è soft, devo solo iniziare.

Questa è una storia di qualche anno fa, insieme a me c'erano Mario il benzinaio, abituale consulente artistico, e Franco il gelataio, in qualità di testimonial. Eravamo partiti per gli Usa per andare ad assistere alla performance The artist is present, messa in mostra dall'artista Marina Abramovic, nella Primavera del 2010, al Moma di New York, performance durata tre mesi nella quale i visitatori avevano la possibilità di sedersi di fronte all'artista e guardarla in silenzio per pochi minuti. Durante il mese di Marzo l'artista aveva indossato un abito blu, nel mese di Aprile un abito rosso e in Maggio un abito bianco, era una performance intensa, lenta nell'azione ma vissuta con grande emotività, tutto si svolgeva in un grande ambiente vuoto, presente solo l'artista, seduta impassibile su una semplice sedia razionale di legno chiaro, al centro un tavolo, sul lato opposto il visitatore di turno, anch'egli seduto su una sedia uguale a quella dell'artista. 

L'atmosfera che si respirava era una miscellanea di calore bollente diffuso in un assoluto silenzioso immobilismo, i visitatori, come un mantra, aspettavano il contatto con l'artista e ogni loro pensiero era una moltiplicazione di energia. Potevamo leggere nei loro volti il punto interrogativo del vedere, sapere e cercare dove era l'arte, si chiedevano inconsciamente perché si trovavano lì, qualcuno rinunciava, qualcuno voleva a tutti i costi affrontare la prova, nella quale nessuno sarebbe stato vinto o vincitore.

L'artista, protagonista della scena insieme al suo spettatore di turno, era decisa a dare tutta se stessa in pasto al mondo, consapevole che alla fine tutti saranno uniti in un grande abbraccio. Ma in tutto questo l'arte dov'è? Dov'è la bellezza, la costruzione, la visione, la materia, dov'è l'arte da vedere con gli occhi per assaporarne i colori, dov'è la fantasia, dov'è il talento dell'artista, volendo anche la visione tradizionale del vocabolo "Arte"? Che sia tutta da trovare nella semplicità di un incontro? Nell'incrocio fra due sguardi? In verità qui tutti erano protagonisti e l'essenza dell'arte era il momento stesso, questo fantastico abracadabra dell'evento, l'emozione che scuote la nostra vita, il visitatore non è più fruitore passivo ma può scambiare il fluido di energia con l'artista Marina Abramovic, in un breve e intenso tempo da apparire eterno.

Il solo limite, anch'esso pura essenza artistica, è il silenzio, e il tempo che viene fermato. Entrambi i performer, l'artista e lo spettatore, devono lottare con se stessi, vincere quella forza magnetica che li vorrebbe attrarsi, toccarsi, parlarsi, forse anche respingersi... no, tutto deve essere energia invisibile e, quando si alzeranno dalla sedia razionale di legno, saranno più forti, anche se sfiniti nel cuore e nelle membra. Questa è arte per la vita, in questo caso bisogna scegliere fra questo misterioso anelito vitale oppure la materia, quella tradizionale da vedere e da toccare di fronte alla parete di un museo. Alla fine della giostra noi umani, che vorremmo essere dominatori, in conclusione siamo solo una piccola parte di una cosa più grande di noi, la terra viva, l'aria, l'acqua, il fuoco e ogni altro elemento naturale in un continuo interscambio di fluido spirituale. Al confronto non siamo nulla, lo dobbiamo ammettere, e forse solo unendo le nostre paure e le nostre virtù diventeremo migliori, questo è quello che, secondo me, ho trovato nella ricerca di Marina Abramovic. 
A questo punto io, Mario e Franco, abbiamo fatto un po' i furbastri, c'era una bella attesa per il nostro turno, serviva un escamotage, avevo con me la tessera giallorossa dell'AS Roma, lo so, ora direte che è una cosa vecchia, che lo fece pure Alberto Sordi in una scena di un film, sì, ma che ci posso fare, a ognuno la sua arte, sta di fatto che, mentre stavamo in fila ad aspettare, ho mostrato il documento, giustificandomi che Franco zoppicava in quanto infortunato, ed io e Mario, in quanto Assistenti Romani addetti al suo sostegno fisico, non avremmo potuto sostare a lungo in piedi, quindi, maramaldi noi birbanti, abbiamo eluso la fila e preso il posto davanti all'artista, sedendoci non sulla sedia razionale ma su una panchina fattaci portare dal personale Americano.

A questo punto l'artista ci guardava, noi la guardavamo come da copione, fermi e muti, ma c'era un problema, come la mettiamo con la libertà di espressione? In teoria non ci doveva essere contatto di nessun tipo, ma noi volevamo uscire dagli schemi e dire liberamente la nostra opinione, e così abbiamo tirato fuori dei fogli, dove avevamo fatto un disegno esplicativo, in quanto non potevamo usare le parole, quindi io avevo disegnato un piatto di spaghetti e, con mimica teatrale, muovendo a rotazione indice e medio della mano destra, volevo fare intendere all'artista "Dopo ci andiamo a far due spaghetti?
Franco, invece, che durante la trasferta era sempre stato molto scettico, aveva disegnato una tazzina di caffè fumante e così, guardando Marina negli occhi, indicando il caffè con il pollice destro, la invitava ad andare a prenderlo insieme perché voleva dirle due parole a quattrocchi. Mario ha semplicemente disegnato un punto interrogativo,  alzando gli occhi al cielo come a dire "E adesso che facciamo?" Avevamo superato la barriera, infranto un muro invisibile, Marina Abramovic rimase prima logicamente sorpresa poi iniziò a ridere, a ridere, e tutti i visitatori intorno iniziarono a loro volta a ridere, era un colpo di scena, è la vita che va così, noi siamo piccoli attori sul palcoscenico di fronte all'universo, e così ci siamo alzati e diretti fra la gente intorno, che ci guardava e ancora rideva. Forse un giorno l'umorismo potrà salvare il mondo.

 

- Ma non vi hanno messo in prigione?
 

- Dalia, con la fantasia tutto è permesso, e poi l'arte è bella proprio nello squilibrio, anche la nostra in fondo era una performance.
 

- Una che?
 

- Giovanna, la performance è un'azione artistica, un nuovo modo espressivo.
 

- Uè, fessacchiotto, ma questa roba qua mica si incornicia e si appende al muro.
 

- A parte il fatto che dopo vengono realizzati libri, manifesti, fotografie e video che verranno distribuiti, l'arte è un qualcosa a 360°.
 

- Ah, ho capito, beh, almeno non bisogna spolverarle queste opere d'arte.
 

- Dalia, le emozioni trasmesse dall'arte si possono vivere in tanti modi.
 

Non ci eravamo accorti che ne frattempo tutti avevano smesso di lavorare per ascoltare noi, beh, possiamo dirlo senza ombra di dubbio che il nostro racconto era stata una bella performance artistica e tutte le donne presenti in quel momento nel negozio stavano a coppie provando la stessa opera di Marina Abramovic. 

C'era in quel negozio una bella energia diffusa, diciamo che dalle nostre parti questo tipo di fare arte si stava realizzando in maniera un po' più spiritosa e allegra. Bice e Alice si guardavano e si davano i pizzicotti sulle guance, Adele e Francesca facevano le facce buffe, Pina e Tatiana si tenevano per mano, Monica e Beatrice si grattavano entrambe la testa, perfino Giovanna, con in bocca il suo sigaro spento, davanti a Dalia era molto interessata, in sintesi avevano tutte stravolto il messaggio originario, si era creata l'evoluzione dell'arte.
Amici lettori della signoradeifiltri, io alla chetichella lascio tutte le ragazze nel negozio di Monica la parrucchiera a proseguire la loro performance artistica, forse senza volerlo è quello che fanno tutti i giorni senza accorgersene, la vita è senza sosta una reale e continuativa incredibile opera d'arte. Ci rivediamo al prossimo artista sempre su questo blog che parla umano con parole colorate.
Intanto qui al bar stiamo organizzando con la fantasia una comitiva che partirà con il nostro celeberrimo bus a tre piani, alimentato ad energia solare, perché dal 21 Settembre 2018 al 20 gennaio 2019 l'artista Marina Abramovic sarà protagonista dello speciale appuntamento Marina Abramović Speaks, organizzato dalla Fondazione Palazzo Strozzi, presso il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. L'artista, in conversazione con Arturo Galansino, curatore della mostra e direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, affronterà alcuni temi del suo percorso esistenziale e creativo, ripercorrendo le tappe della sua carriera, dagli esordi in Serbia alle ultime grandi performance in tutto il mondo. La mostra racconterà il percorso creativo dell'artista Montenegrina, si tratta di una mostra itinerante già inaugurata lo scorso 20 aprile presso la Bundeskunsthalle di Bonn.
"The Cleaner”, questo il titolo dell’esposizione, nasce in collaborazione diretta con l’artista e riunisce oltre 100 opere, offrendo una panoramica sui lavori più famosi della sua carriera, dagli anni Settanta agli anni Duemila, attraverso video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance, che si terranno nel corso delle giornate di apertura, attraverso un gruppo di performer, specificatamente formati e selezionati in occasione della mostra. Marina Abramović, che si è autodefinita "nonna della performance", si confronterà per la prima volta con un'architettura rinascimentale, sottolineando lo stretto rapporto che ha avuto e continua ad avere con l'Italia. 
La mostra è organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, prodotta da Moderna Museet, Stoccolma in collaborazione con Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk e Bundeskunsthalle, Bonn. L'evento è già sold out pertanto scaldate la fantasia e preparatevi a seguirci.

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Ovidio, la vita e le opere

20 Agosto 2018 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #personaggi da conoscere, #sezione primavera

 

 

 

 

 

Ovidio nacque a Sulmona. All'età di dodici anni venne a Roma col fratello e frequentò le migliori scuole di grammatica e di retorica. Il padre, infatti, avrebbe voluto farne un avvocato e avviarlo alla carriera politica, ma Ovidio era attratto in modo irresistibile dalla poesia: egli stesso dirà che qualunque cosa cercasse di scrivere, gli veniva in versi!

Ovidio fu dunque poeta per istinto, per autentica vocazione.

Terminate le scuole, andò ad Atene per perfezionarsi negli studi, come facevano di solito i giovani romani di buona famiglia; qui venne a contatto diretto con la cultura, l'arte, le tradizioni della Grecia e ne rimase affascinato. Ai suo ritorno a Roma rinunciò alla carriera militare e a quella di avvocato per dedicarsi interamente alla poesia.

Ovidio, oltre a essere molto capace nello scrivere versi, aveva un aspetto piacevole: lo sguardo era vivace e intelligente, il volto sereno, la corporatura delicata e i gesti disinvolti. Vestiva in modo molto curato e raffinato, senza però eccedere negli ornamenti e senza far sfoggio di ricchezza; riscuoteva quindi simpatia e ammirazione ovunque andasse.

A poco più di venti anni, aveva già composto opere geniali e brillanti, che lo avevano reso famoso: Amores (Gli Amori), una raccolta di poesie dove cantava la sua passione per una fanciulla di nome Corinna; e le Heroides (Le donne leggendarie), lettere d'amore in versi scritte da antiche eroine come Penelope, Elena, Didone, ai loro innamorati.

Ovidio aveva 25 anni quando l'imperatore Augusto promulgò tre leggi volte a ristabilire nella società un tipo di vita che aveva per modello la virtuosa famiglia romana dei passato.

Queste leggi prevedevano ricompense per i padri di almeno tre figli, punivano severamente l'adulterio, vietavano di costruire abitazioni troppo sfarzose, di indossare abiti provocanti o fatti di stoffe preziose come la seta e la porpora, di imbandire cene troppo sontuose...

Ovidio, come molti altri della sua generazione, non desiderava affatto una vita diversa da quella splendida e lussuosa che stava conducendo, perciò i giovani lo consideravano il loro poeta, lo ammiravano e preferivano a Orazio e Virgilio, che elogiavano la politica dell'imperatore.

Augusto conosceva sicuramente le opere di Ovidio, nelle quali spesso il poeta faceva ironia sulle leggi severe riguardanti il lusso, il matrimonio, l'adulterio; sottovalutava le virtù militari, dichiarava di non desiderare il ritorno alla tradizione, alla vita domestica, alla sobrietà dei costumi. L'imperatore non era certamente soddisfatto di lui, tuttavia non ho fece perseguitare, né impedì che le sue opere fossero pubblicate: Augusto desiderava essere stimato protettore delle arti e delle lettere e Ovidio era un poeta amato e celebrato non solo a Roma, ma anche nelle più lontane citta dell'impero.

Così per molti anni ancora Ovidio continuò a scrivere versi che avevano come argomento l’amore, la bellezza, il piacere di vivere, finché, all'età di quarantatrè anni, decise che era giunto il momento di iniziare un'opera più importante, di più vasto respiro, dove fossero presenti i miti c le leggende greche e romane che egli tanto amava.

Con quest'opera Ovidio si proponeva di dare al lettore emozioni sempre diverse, ma anche la sensazione di una grande unità, perciò stabilì che tutte le storie avrebbero avuto un tema comune: la trasformazione degli uomini in altri esseri, animati o inanimati.

Un'opera simile non era mai stata scritta a Roma. In Grecia, invece, Omero, ma soprattutto i poeti dell’ epoca ellenistica (così si chiama il periodo storico che inizia dopo la morte di Alessandro Magno), avevano raccolto miti e leggende che parlavano di trasformazioni.

Ovidio possedeva i loro libri o poteva facilmente trovarli nella ricca biblioteca imperiale.

Così, per sette anni almeno, dal 2 d. C. all' 8 d. C., il poeta lavorò a quest'opera che non smise mai di rivedere, affinare, modificare, nel contenuto e nella forma.

Quindi iniziò la scrittura dei Fasti (I giorni fasti). Avrebbero dovuto essere dodici libri, uno per ogni mese dell'anno: in ciascuno di essi venivano elencate le feste religiose, spiegate le origini di riti, divinità...

Quest’opera, dedicata ad Augusto, si interruppe al sesto libro perché, inaspettatamente, Ovidio fu condannato all'esilio.

La ragione di questa improvvisa condanna, che si abbatteva su un poeta famoso e ormai vicino alla vecchiaia, rimane ancora un mistero; forse Ovidio si trovò coinvolto in uno scandalo di corte che riguardava la nipote di Augusto, Giulia Minore, accusata di condurre una vita non onesta e certamente contraria alle leggi dell'imperatore. Augusto, amareggiato da queste vicende familiari che venivano utilizzate contro di lui dagli avversari politici, decise di dare una prova evidente della sua fermezza e di mostrare a tutti che anteponeva gli interessi dello stato a quelli personali.

Così esiliò Giulia Minore nelle isole Tremiti e l'altro nipote, Agrippa, anche lui dedito al lusso e ai divertimenti più sfrenati, nell'isola di Pianosa; infine, nel dicembre dell'anno 8 d. C., firmò l'editto che relegava Ovidio a Tomi, un piccolo presidio militare sul Mar Nero, corrispondente oggi alla città di Costanza.

Quel luogo era arido, desolato e malsicuro per i predoni che facevano scorrerie nelle campagne, perciò Ovidio soffrì molto in esilio: non tollerava il clima e le acque malsane, la sua abitazione era priva di comodità, non aveva amici ed era tormentato dai ricordi della vita raffinata che conduceva un tempo e dalla nostalgia per la moglie lontana. Sentiva che la sua capacità di creare versi bellissimi era perduta per sempre, perciò scrisse agli amici di distruggere le Metamorfosi perché non avrebbe più potuto correggerle; per fortuna circolavano già varie copie dell'opera e questo ha impedito che andasse perduta.

L'esilio del poeta durò otto anni, durante i quali egli non cessò mai di supplicare Augusto e poi il suo successore, Tiberio, affinché lo richiamassero a Roma o almeno lo trasferissero in un luogo meno selvaggio e lontano. Ma i suoi tentativi rimasero sempre vani.

Il poeta infatti morì a Tomi, nei 17 d. C., all'età di sessanta anni. Le sue ceneri non vennero portate a Roma, come egli aveva chiesto e sperato, ma furono sepolte in quella terra lontana.

Ovidio però continuò a essere celebre e ammirato, nonostante l'esilio e anche dopo la sua morte.

Si realizzò così ciò che egli aveva scritto nei Tristia (Le Tristezze), un libro di poesie composte a Tomi:

« ...Tutto quanto poteva essermi tolto, mi fu strappato: la patria, le persone care, la casa, ma l'ingegno no: esso è il mio solo amico e il mio solo conforto; contro di esso, Augusto non può nulla. Che questa vita mi sia pure tolta: la mia fama durerà eterna e la mia opera sarà letta finché Roma dominerà il mondo».

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Palla pallina

19 Agosto 2018 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #musica, #televisione

 

 

Palla pallina su un piede sto

e mille salti con te farò

Il 1968 è un anno fatidico che ha significato molto per tanti: la contestazione studentesca, la liberazione sessuale, i vecchi definiti “matusa”, etc etc. Ma io avevo sette anni, ricordo solo il gioco “palla pallina” lanciato da Rita Pavone. Lo rammentate? Una piccola palla di plastica dura e un lungo cordino terminante in un cappio da infilare alla caviglia. Con un piede la si faceva roteare e con l’altro bisognava saltare la cordicella. Non era poi così facile mantenere il ritmo, ma ci ho provato per giorni e giorni nelle interminabili estati sulla terrazza che dava sui tetti. Canottiera e mutandine, ginocchia sudice e sbucciate, piedi feriti dal cemento dei bagni o da qualche spina di riccio, il tempo si dilatava come in un buco nero, le vacanze duravano dalla metà di giugno fino al primo di ottobre, la noia, sì, la benedetta e santa noia, oggi sconosciuta ai bambini, era capace di farmi giocare da sola i giochi di società, persino la dama, interpretando entrambe le parti senza barare, cercando di vincere contro me stessa. Annoiarsi era un valore, non una mancanza di stimoli. M’induceva a leggere, a trovare risorse in me stessa, a lavorare con la fantasia, a trasformare il niente in tutto, a diventare creativa.

Non pressate di stimoli continui i vostri figli, non giocate tutto il giorno con loro, non sballottateli qua e là come pacchi fra ludoteche, gonfiabili e compleanni, non intromettetevi nei loro trastulli, lasciateli essere bimbi fra bimbi, lasciateli frignare per la noia in una stanza o in un cortile, che gli fa bene!

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Vincenzo Zonno, "Caterina"

18 Agosto 2018 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

 

 

 

 

Caterina

Vincenzo Zonno

Watson edizioni, 2018

pp. 147

14,00

 

Caterina, di Vincenzo Zonno, è un romanzo scritto benissimo, con un linguaggio davvero letterario, ma risulta, almeno per la sottoscritta, di difficile comprensione. Storia onirica e surreale, in cui non si capisce dove finisce la realtà e dove comincia il sogno, anzi, l’incubo horror che richiama alla mente atmosfere gotiche alla Edgar Allan Poe. Ed Edgar è, guarda caso, anche il nome di uno dei protagonisti, mentre di Poe è, appunto, un libro citato nel testo.

Caterina è una ragazzina orfana, che vive col patrigno, il Bulgaro, terribile figuro il quale, s’intuisce, le ha usato violenza in passato. La madre è morta in circostanze misteriose. Caterina passa i suoi giorni e le sue notti nel circo del patrigno, in mezzo a persone grottesche, anaffettive e dispettose, in una parola, cattive fra loro e soprattutto con lei che è, apparentemente, debole e inerme. Ognuna di queste maschere rappresenta il vizio e il peccato: lascivia, invidia, tradimento, sadismo.

Ma ci sarà una nemesi, incarnata in due figure emerse dal passato, due gemellini misteriosi e inquietanti, e anche nella stessa Cat. L’ecatombe finale è una vendetta catartica, muoiono anche i personaggi positivi perché “non si sa mai cosa c’è dietro le persone”, perché le speranze sono nulle e il genere umano è di per sé malvagio, perché solo gli animali sono innocenti: i barboncini, i molossi, il leopardo che ricorda la splendida lince di Non è un vento amico, il precedente romanzo di Zonno.

C’è uno stacco, forse stridente, fra ciò che accade nel circo, la parte migliore e più matura del romanzo, e la misteriosa casa nella foresta, topos di tanti romanzi e film dell’orrore, ma anche di molte fiabe, dove si aggira un gigante buono, dall’aspetto vagamente da pastore.

Più che capire il romanzo, confesso che mi sono lasciata andare alle libere associazioni mentali e ne è venuto fuori un parallelismo con Il cigno nero, un film del 2010, di Darren Arofnosky - dove una ragazza sessualmente repressa (interpretata da Natalie Portman), lasciando emergere la sua parte oscura, è artefice inconsapevole del proprio male - e anche certe splendide atmosfere circensi, felliniane ma non solo, dove le figure sono bizzarre e orrorifiche, dove i sorrisi sono ghigni malefici come la faccia di Pennywise, il pagliaccio di King.

Non c’è redenzione e non c’è perdono nel romanzo, l’innocenza del cigno bianco si trasforma nell’orrore del cigno nero. Una sorta di pacificazione si ha solo dopo la morte. Il peccato è vasto, diramato, il male esiste e non dà scampo. Per sconfiggerlo ci vuole un male più grande, un male talmente puro da essere innocente, da trasformarsi in strumento di giustizia divina.

Lo stile, a parte qualche lieve, incomprensibile, sbavatura, è meraviglioso, c’è un enorme sviluppo tecnico, immaginifico e poetico, dal primo romanzo di Zonno a questo. Come avevo già detto, un autore dalle incalcolabili possibilità.

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Gli incontentabili hanno il passo pesante

17 Agosto 2018 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #televisione

 

 

Vi ricordate la terribile famiglia degli “incontentabili” che in ogni negozio non trovava mai niente di abbastanza buono da comprare, dopo aver messo a soqquadro ogni cosa e ridotto all’isteria il malcapitato commesso? “Gli incontentabili hanno il passo pesante” era un tormentone che avevamo adottato anche noi in famiglia.

Uno spot della ignis degli anni settanta, un padre che incute soggezione - il compianto Giampiero Albertini, attore di tanti sceneggiati famosi e doppiatore del tenente Colombo - una madre che non perde un pelo,  figli modello, fratello e sorella, ingessati e perfettini come due Derossi. Tutti e quattro, più che camminare, marciano, col loro passo, appunto, “pesante”, indice di determinazione e autorevolezza, mentre incutono paura a ogni addetto alle vendite, finché non trovano una lavatrice degna di essere acquistata senza nemmeno pensarci su.

Come appaiono lontani dal nostro attuale modo di essere quegli ingenui sketch che allora parevano moderni e rivoluzionari! Quanta nostalgia, per tutto, anche per le cose più insignificanti e brutte, come la crepa sull’asfalto, il pratino sterrato e la panchina con i cuori e  le iniziali. El magùn, direbbe Albertone.

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