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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Gli auguri della redazione

31 Dicembre 2014 , Scritto da Redazione Con tag #unasettimanamagica

Gli auguri della redazione

La redazione augura a tutti i lettori:

BUON ANNO !!!!!!!!

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La parola al pastore di Natale

30 Dicembre 2014 , Scritto da Marco Fiorletta Con tag #marco fiorletta, #unasettimanamagica

La parola al pastore di Natale

Sentiamo che ha da dire il Pastore che da duemila e passa anni sta fermo, immobile, davanti alla capanna, grotta, stalla, tugurio dove sarebbe nato il Salvatore. C'è sempre spazio per gli ultimi, anche perché i primi ci stanno un po' sull'anima (è Natale e se si può si evitano brutte parole, altrimenti che Natale sarebbe senza un po' d'ipocrisia?). Di seguito ciò che ci ha dichiarato.

Me ne stavo ben bello, è un modo di dire, a pascolare le pecore nei prati della Palestina quando ho visto una scia luminosa in cielo, poi ho saputo, nei 2014 anni passati davanti 'sta capanna mi sono imparato qualcosa, insomma mi sono acculturato un pochino, che era una cometa e sembrava fosse caduta a poche centinaia di metri dal gregge che custodivo. Essendo un tipo curioso e non avendo nulla da fare che non seguire 'sti stupidi animali sono andato a vedere. Mi sono messo al collo un agnello e mi sono incamminato. Chiariamo subito un equivoco, l'agnello non l'ho portato in dono a nessuno anche perché non sapevo che ci sarebbe stato qualcuno da omaggiare, me lo sono messo al collo per riscaldarmi perché la notte d'inverno è notte d'inverno anche in Palestina. E se qualcuno non lo sa anche qui da noi l'inverno nevica. Adesso, spesso, non cade la neve ma cadono le bombe ma sempre dal cielo arrivano. E poi se proprio potessi permettermi di regalare un agnello lo regalerei alla mia famiglia che fa la fame e non a un neonato che non saprebbe che farsene. E poi perché dovrei regalare il mio cucciolo di pecora a uno sconosciuto?

Insomma mi sono trovato lì per caso e sono più di duemila anni che non riesco ad andarmene, meglio, me ne vado ma dall'otto dicembre, o giù di li, mi ritrovo sempre allo stesso posto a perpetuare questa farsa di cui non frega nulla a nessuno. Una farsa alimentata dalla pubblicità, dagli interessi e non più mantenuta in vita da uno spirito di bontà, di speranza. Ma se volete continuate anche a credere che il mondo domani sarà migliore.

Prendete la mia situazione, ero pastore e sono rimasto tale dopo due millenni. A piedi andavo a pascolare le greggi e a piedi conduco al pascolo le mie pecore ancora oggi. Di cambiato sicuramente c'è, come dicevo prima, che una volta cadevano comete e neve ora cadono sempre più spesso bombe. Prima andavo avanti per chilometri con lo sguardo che spaziava sulle colline, gli ulivi, le palme ora mi bastano pochi chilometri e mi trovo davanti un muro grigio che non mi fa vedere e andare oltre. Prima c'erano i romani, quando nacque Gesù, ora ci sono gli israeliani e non nasce nessuno che ci dia una speranza di un mondo migliore, di pace e benessere. Oddio, il benessere c'è chi lo ha, ma oggi come ieri e l'altro ieri non riguarda quelli come me. Pascolavo ieri e pascolo oggi. E immagino che sia la stessa cosa per i pastori di tutto il mondo.

Mi è giunta voce, tempi moderni, da altri pastori, che in Italia ormai le greggi e le mandrie sono affidate ad immigrati provenienti da diversi paesi dell'Est o dell'Africa. Se potessi ci andrei anche io in Italia a fare il pastore, almeno non correrei il rischio di essere bombardato. Ma prima dovrei attraversare il Mediterraneo su un barcone e cercare di non affogare e poi, con una botta di culo, scusatemi ma quando ce vo' ce vo', dovrei sperare di trovare un padrone che non sia malaccio perché mi è giunta voce che so' padroni come quelli dei tempi miei. Insomma non mi sembra che sia cambiato nulla da quando m'hanno inchiodato in questo ruolo di pastorello. Poraccio ero e poraccio so' rimasto.

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Anche San Giuseppe è incazzato

29 Dicembre 2014 , Scritto da Marco Fiorletta Con tag #marco fiorletta, #unasettimanamagica

Anche San Giuseppe è incazzato

San Giuseppe mi ha detto che non vuole parlare, è troppo incazzato come marito, come padre, come falegname e, infine, come protettore dei lavoratori.
E la sua è una incazzatura cosmica, di quelle che se solo ti avvicini corri il rischio che ti tiri dietro una pialla, che se solo ti azzardi a dirgli di stare calmo prende un pezzo di legno d'ulivo e te lo spacca sul cranio. Fortunatamente ero a distanza quando gli ho chiesto come stava. Una sequela di imprecazioni che nemmeno i portuali di Livorno del secolo scorso (quelli di adesso sono troppo educati). Ho tentato di farlo parlare ma è stato inutile, ha bofonchiato qualcosa sull'essere cornuto senza che nessuno si preoccupasse di dargli merito di aver preso con sé una ragazza madre e suo figlio. Ha continuato borbottando contro i romani che l'hanno fatto mettere in viaggio in pieno inverno per un censimento del cazzo di cui non fregava niente a nessuno. Come se all'imperatore gliene importasse qualcosa di sapere quanti poveri c'erano in Galilea. E' ancora imbestialito contro i suoi connazionali che non gli hanno dato ospitalità nemmeno vedendo che quella povera donna-bambina stava per partorire. Era ed è incazzato per il passato che si ripete sempre uguale da migliaia di anni.
Ancor di più ce l'aveva con suo figlio. Vittima di una megalomania che l'ha portato a farsi crocifiggere invece di dargli una mano e guadagnarsi da vivere onestamente facendo il falegname. E poi ha continuato, con parole censurabili, con quella massa di ipocriti che hanno creduto a suo figlio e sulle sue idee, distorte e piegate agli interessi propri, ci hanno fatto non una, ma tre religioni senza contare tutte le sette e le chiese e chiesette che crescono come funghi in un bosco di castagni. Però, alla fine, ha concluso, con il sorriso sulle labbra, che gli voleva bene, alla Madonna, una santa donna, e a Gesù che si è fatto ammazzare per difendere le sue idee.
Approfittando di una colonna, dietro la quale mi sono nascosto, gli ho chiesto cosa pensasse della situazione attuale, mi sono tanto sentito giornalista. Non l'avessi mai fatto! Come un ninja impazzito ha iniziato un lancio di lime, raspe, martelli, scalpelli, chiodi, sembrava che piovesse. Intanto urlava contro i cinesi, gli indiani, gli italiani, gli americani, i russi, insomma lanciava bestemmie contro tutti, di tutti i colori e di tutti i posti. Parlava di diritti, di salari, di riposi, di pensioni che ai suoi tempi nemmeno sapevano cosa erano, di ricchi e di poveri, sembrava un sindacalista della Fiom di Pomigliano. Sono rimasto zitto e immobile dietro la colonna finché non è terminato il lancio di oggetti, poi mi sono timidamente affacciato. Si era seduto su uno sgabello e mi guardava.
"Vieni qui", mi ha detto. Mi sono avvicinato e San Giuseppe mi ha abbracciato stretto stretto.
"Tieni, tenete, duro. Arriveranno tempi migliori".

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Topo Gigio parlante e le scarpe inglesi

28 Dicembre 2014 , Scritto da Patrizia Bruggi Con tag #patrizia bruggi, #unasettimanamagica, #racconto

Topo Gigio parlante e le scarpe inglesi

«E tu chi farefti?», il bambino mise le mani sui fianchi per dare più enfasi alla domanda. Gli dovevano spuntare ancora gli incisivi e di pronunciare la “esse” per il momento non se ne parlava proprio. Poco male, perché il sibilo che emetteva ricordava il fischio risoluto di un arbitro in campo, capace di fermare il gioco e attirare su di sé l’attenzione. E al bimbo non dispiaceva affatto questo temporaneo potere sdentato.

«Chi farefti??», chiese di nuovo, avvicinandosi alla sedia in cucina su cui stava seduto quello sconosciuto, vestito con una tuta mimetica bianca e argento.

«Sono l’Angelo Ricognitore di Gesù Bambino», rispose l’intruso. Accanto a lui, sul pavimento, due scarponcini color argento che al bambino ricordarono subito gli anfibi che portavano ai piedi i suoi soldatini, quelli della collezione chiusa nella vetrinetta in camera sua.

«Rico- che?», che parole strane usava quello sconosciuto.

«Ri-co-gni-to-re.», sillabò l’angelo. «Ricognitore. Faccio il giro nelle case prima della vigilia di Natale per trovare i percorsi più rapidi e le scorciatoie per le consegne dei regali. Così Gesù Bambino non rischia di perdersi o di fare troppa strada inutilmente.»

«Cafpita!», scappò detto al bambino, ma subito corse in corridoio. Per controllare che la porta di ingresso non fosse stata forzata. Le chiavi però erano nella toppa e tutto sembrava in ordine.

«So a cosa stai pensando», lo anticipò l’angelo. «Non sono un ladro. Ti pare che resterei qui a parlare con te? Sarei subito scappato, non appena sei arrivato in cucina e hai acceso la luce, no? E’ che ero un po’ stanco e avevo deciso di fare una pausa. E poi, mi facevano male i piedi. Io soffro spesso di mal di piedi. Questi anfibi saranno pratici per le ricognizioni, ma dopo un po’ si fanno sentire. Ma tu piuttosto, che ci fai alzato a quest’ora e perché ti hanno lasciato solo?»

No, non era un ladro, pensò il bambino. Aveva ragione lo sconosciuto, un ladro non si sarebbe trattenuto a parlare e a fare domande, avrebbe tagliato la corda. E soprattutto non si sarebbe tolto le scarpe mettendosi comodo su una sedia.

«Avevo fete. Cofì mi fono fvegliato. Mamma e papà ftasera fono andati a teatro. Ma io, come dice fempre il mio papà in queste occafioni, poffo ftare tranquilliffimo. Al terzo piano vive la nonna Alberta. Fe ho bisogno, le telefono e lei troverà una foluzione.»

L’angelo si stupì.

«Ma come, non ti hanno portato a dormire dalla nonna? Sei ancora piccolo per rimanere solo…» e pensò subito a quanto moderni dovessero essere i genitori di quel bambino. Si ricordava delle ansie di altri genitori che mai e poi mai avrebbero lasciato i figli da soli in casa, perché nell’immaginario di quelle madri e di quei padri apprensivi, appena chiuso l’uscio di casa, i pargoli avrebbero messo in atto le fantasie più spericolate: zolfanelli accesi per incendiare il condominio, fornelli del gas aperti e sibilanti come cobra velenosi, pentole messe sul fuoco e lasciate incustodite per giocare alla fonderia.

Il bambino fece spallucce.

«Nooo. Come dice il mio papà, la nonna Alberta è una fignora un po’ originale e non vuole avere neffuno trai i piedi.», il bambino gettò un’occhiata agli anfibi dell’angelo, «Forfe perché foffre di mal di piedi come te e per questo vuole effere lasciata fola?»

«Non penso.», rispose l’angelo inquadrando al volo la situazione.

«Vuoi bere qualcofa?», chiese il bimbo.

«Grazie, un po’ d’acqua. Frizzante se c’è.» e l’angelo si allungò sulla sedia.

«C’è la Frizzina! L’acqua fatta con la polvere magica!», esultò il bambino prendendo dal frigo una bottiglia con il tappo in ceramica rossa.

L’angelo riflettè un attimo. Anche sulla terra le cose erano cambiate. Ora gli uomini avevano la polvere magica e potevano fare l’acqua. Un tempo non era stato così. Meglio, però, il progresso passava anche dall’avere a disposizione la magia. E chissà come sarà stata buona quell’acqua…

Dopo aver bevuto un bicchiere colmo di quel liquido dissetante, ma un po’ salato - «Forse devono ancora studiare meglio e dosare i poteri magici» aveva pensato l’angelo sentendo sotto i denti qualche granello di quella polverina misteriosa – all’angelo venne in mente che non aveva ancora chiesto a quel bambino come si chiamasse.

«Rodolfo! Magnaghi Rodolfo!», aveva subito risposto il bimbo.

«E tu?», gli aveva chiesto di rimando Rodolfo.

«Ricognitore Angelico 72», aveva risposto sicuro l’angelo.

«E un nome non ce l’hai?», Rodolfo sembrava un poco deluso. Quell’angelo si chiamava con un numero, quasi fosse stata la targa di un’automobile.

L’angelo piegò la testa un poco di lato. No, un nome vero e proprio lui non l’aveva. Ma tra angeli ricognitori ci si riconosceva al volo e il numero, in fondo, era solo per motivi di praticità e per rendere rapide le comunicazioni. In fondo, non c’era nulla di male. Era sempre stato così.

«Fe ti chiamo Angelo Piero, ti offendi?», aveva sussurrato allora Rodolfo.

«Perché dovrei? Piero è un bel nome. Importante, di un certo peso, soprattutto lassù.», e l’Angelo Ricognitore 72, ammiccando, aveva indicato il soffitto.

«Fì, Piero è un bel nome», aveva annuito Rodolfo, «e poi cofì fi chiama un mio amico che incontro fempre d’eftate, in vacanza al mare. E’ fimpaticiffimo e fa fare un facco di giochi.»

«Vuoi mangiare qualcofa?», Rodolfo, senza aspettare una risposta, si era avvicinato al frigorifero.

«Perché no?», l’Angelo Piero non aveva fatto in tempo finire la frase, che Rodolfo aveva esclamato, infilando la testa nel frigorifero: «Ci facciamo un panino con la provola e il profiutto cotto!»

E così era stato.

Mentre mangiavano, Rodolfo si era meravigliato di come l’Angelo Piero si comportasse impeccabilmente: sedeva composto al tavolo della cucina, non sbriciolava, non parlava con la bocca piena, non masticava rumorosamente. Sarebbe piaciuto tantissimo alla mamma di Rodolfo che ci teneva così tanto a certi modi di fare.

«Puoi rimanere fino a quando tornano i miei genitori?», aveva chiesto timidamente Rodolfo. Ci teneva a presentare loro quel suo nuovo amico così tanto compìto.

«No, Rodolfo,», aveva risposto l’Angelo Piero, «non posso. E poi, sai, gli adulti – o meglio la maggior parte degli adulti - non possono vedermi. I bambini, fino a una certa età sì, ma i grandi no.» E subito, vedendo come l’espressione di Rodolfo stesse virando al dispiacere, cercò di cambiare discorso.

«Certo che tu per essere così piccolo parli proprio bene!»

E Rodolfo aveva spiegato all’Angelo Piero che lui, spessissimo, quando era a casa, leggeva i libri di avventure e le parole nuove le imparava da pirati, bucanieri, burattini, moschettieri e guardie del re disseminate in tutte quelle pagine.

Rodolfo sospirò e fissò gli scarponcini color argento dell’angelo che erano rimasti accanto alla sedia.

«Belli quelli! Proprio belli…», ma non aveva avuto il coraggio di finire la frase.

L’Angelo Piero intuì cosa stesse pensando il bambino. Non disse niente, però. Chiese a Rodolfo di poter vedere la sua cameretta e, una volta entrato in quella stanza, vide, sopra al comodino, un pupazzo bellissimo.

«E quello?», chiese l’Angelo Piero sgranando gli occhi.

«E’ Topo Gigio parlante!», rispose sicuro di sé Rodolfo e, avvicinandosi al pupazzo lo toccò sulla pancia.

«Strapazzami di coccole!» esclamò con un soffio di voce Topo Gigio.

«Ma è bellissimo!», l’Angelo Piero non riusciva a contenere il suo entusiasmo, «Una bambola parlante! Non sapevo che sulla terra fossero arrivati a tanto! Siete riusciti a fare parlare le bambole! Un’altra magia! Ai miei tempi non c’erano le bambole parlanti!»

Vedendo quell’angelo così entusiasta del suo Topo Gigio, Rodolfo ebbe un’idea.

Avrebbero fatto un baratto: Topo Gigio in cambio degli anfibi dell’angelo.

«Ci sto!», disse l’Angelo Piero al colmo della gioia, poi, subito, aggiunse: «Io però non posso tornare scalzo. Devo ancora fare qualche ricognizione e a piedi nudi credo che soffrirei un po’.», così dicendo, fissò le ciabattine di Rodolfo. Troppo piccine però per i suoi piedi d’angelo cresciuto.

«Le fcarpe inglefi di mio papà!!», Rodolfo si dileguò all’istante per tornare con un paio di bellissime scarpe nere elegantissime.

«Mio papà dice fempre che quefte fcarpe fono cofì morbide da fembrare delle pantofole. Provale!», e il bambino tese all’angelo quelle calzature lucide lucide.

Non c’era che dire. Le scarpe, morbidissime, calzavano a pennello e non stonavano per nulla con la tuta mimetica bianca e argento dell’angelo. Anzi, davano un tocco chic e sbarazzino alla tenuta marziale dell’Angelo Ricognitore. L’Angelo Piero finì di allacciarsi le scarpe e infilò Topo Gigio nella tuta mimetica.

«Rodolfo, io ora devo proprio andare. Però, però… se qualche volta tornassi a trovarti? Mi farebbe piacere. Questa sera mi hai fatto conoscere un po’ di cose nuove che siete riusciti a fare sulla terra – la polvere magica per l’acqua, le bambole parlanti, mi hai dato un nome…»

«…E ci siamo fatti compagnia!», lo interruppe Rodolfo.

Sì, proprio così. Si erano fatti compagnia. Così, mentre si abbracciavano per salutarsi, l’Angelo Ricognitore 72 promise a Rodolfo che, di tanto in tanto, quando sarebbe stato in libera uscita, sarebbe andato a trovare il bambino per fare quattro chiacchiere, mangiare un panino alla provola e al prosciutto cotto e bere un bicchiere di Frizzina.

«Carlo, è sparito il pupazzo di Topo Gigio parlante di Rodolfo! Eppure giurerei che ieri sera era sul suo comodino! Rodolfo sostiene che l’ha regalato all’Angelo Ricognitore di Gesù Bambino!», la signora Adele aveva la voce spezzata, «Sono preoccupata per quello che dice il bambino. Non avrà dei problemi?»

Il papà di Rodolfo sollevò gli occhi dalla tazzina di caffè.

«Andiamo, Adele! Sempre a esagerare, tu! Mica vorrai dare importanza alle fantasie di un bambino? A scuola avranno letto una fiaba che parlava di angeli. E lui ci avrà ricamato su. E vedrai anche che Topo Gigio si ritroverà. Tuo figlio, che è sempre sulle nuvole, l’avrà sistemato da qualche parte e ora non si ricorda dove lo ha messo. Salterà fuori. La casa non perde mai nulla, come si dice.»

La signora Adele non sembrava del tutto convinta, ma si trattenne. Non aveva certo intenzione di iniziare una discussione con il marito alla mattina della vigilia di Natale.

«A proposito, Adele, stasera vorrei mettere le mie scarpe inglesi. Ma non le trovo. Non è che le hai messe via tu senza dirmelo?», il papà di Rodolfo si versò dell’altro caffè e la signora Adele, che non aspettava altro, partì all’attacco.

«Ah, io le tue scarpe non le tocco. Ci mancherebbe! Certo che tu e tuo figlio siete proprio uguali! Sistemate le vostre cose e poi non vi ricordate dove le avete messe! E sì che tu non mi sembri tanto sulle nuvole! Vedrai che le tue scarpe salteranno fuori. La casa non perde mai nulla, o no? Altrimenti vorrà dire che se le è prese l’Angelo Ricognitore di Gesù Bambino. Certo, Topo Gigio parlante e le scarpe inglesi. Un’accoppiata perfetta per un Angelo Ricognitore!» e così dicendo, la signora Adele si alzò e andò in camera per scegliere l’abito che avrebbe indossato quella sera.

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Il Natale di Annarella

27 Dicembre 2014 , Scritto da Ida Verrei Con tag #ida verrei, #unasettimanamagica

Il Natale di Annarella

Questo brano è tratto dal romanzo "Un, due, tre, stella!" di Ida Verrei.

… La camera da pranzo si animava davvero e appariva allegra, gioiosa e luminosa durante le ricorrenze.

A Natale, in particolare, tutti si davano da fare: Federico addobbava il grande abete odoroso, Fioretta ed io gli porgevamo le palline di vetro colorato, attente e divertite, Lisa allestiva il Presepe sul ripiano di una credenza, sotto lo sguardo critico della nonna. La zia Agata sgombrava i mobili da pezze, gomitoli e riviste di cucito, per far spazio a vassoi pieni di prelibatezze, che iniziava a preparare settimane prima.

La casa si impregnava di odori stuzzicanti, misti al profumo d’incenso delle pigne che venivano abbrustolite e aperte sulla fiamma del fornello a carbone.

Tutte le tradizioni erano rispettate, così come esigeva la nonna.

Dall’otto dicembre fino al giorno della Vigilia, con precisione quotidiana, in casa arrivavano gli zampognari per la novena di Natale. Rubicondi contadini che venivano dalle montagne dell’Avellinese: portavano giacche puzzolenti di pelliccia di pecora, stivali con stringhe di cuoio allacciate sulle calze pesanti di lana colorata, cappellacci di feltro, unti e sfilacciati. Gonfiavano le guance arrossate dal freddo soffiando nelle loro zampogne le note di Tu scendi dalle stelle.

Li osservavo incantata, erano identici ai pastori del presepe.

Al termine, la zia offriva loro un bicchiere di vino e una mancia generosa. Se ne andavano ringraziando in un dialetto incomprensibile, lasciando una scia di odore selvatico e l’eco di quella melodia, un po’ gracchiante, ma carica di emozioni e suggestioni.

L’atmosfera natalizia raggiungeva il culmine la sera della Vigilia: il grande tavolo quadrato veniva allungato con le assi di legno grezzo riposte di solito nel mezzanino, la zia Agata vi stendeva sopra la tovaglia buona, quella tutta ricamata. Piatti e bicchieri presi dalle credenze erano quelli delle feste, porcellana e cristallo, le posate, d’argento. Ogni cosa doveva essere ‹‹perfetta e luccicante››, diceva la nonna, ‹‹anche se siamo tutti di famiglia››.

E la famiglia si riuniva al completo in quelle occasioni.

Alle sette di sera arrivava Francesco, poi la zia Nuccia e lo zio Arturo col cugino Pietro.

Si respirava allegria in quella stanza calda e accogliente, tutti apparivano sereni e rilassati. Mio padre e lo zio Arturo facevano a gara nel raccontare barzellette, dire spiritosaggini, prendere in giro scherzosamente tutti i commensali, declamare poesie composte per l’occasione. E la nonna rideva, rideva felice con tutto il corpo, il doppio mento le ballava sul collo, il petto enorme sobbalzava ad ogni scroscio di risa, le lenti degli occhiali le si appannavano e lei le toglieva ogni tanto per ripulirle, con un gesto che le era abituale anche quando era molto arrabbiata.

Pure la zia Agata era contenta e soddisfatta, il suo bel viso diventava addirittura luminoso, tutti le facevano complimenti per le pietanze succulente che arrivavano in tavola. Persino lo zio Gennarino, che di solito mangiava in silenzio con la testa china sul piatto, elogiava l’abilità della moglie e, sostenuto da qualche bicchiere di buon vino, mostrava di divertirsi agli scherzi e alle lepidezze dei cognati, che spesso lo prendevano di mira.

Al termine della cena, iniziava la distribuzione dei doni, momento che Fioretta ed io attendevamo, cercando di resistere al sonno e sollecitando gli adulti con richieste insistenti.

Mio padre era addetto a questo compito: raccoglieva pacchetti e scatoloni posti sotto l’albero e, con la solita capacità creativa, improvvisava canzoni e filastrocche per ognuno dei presenti.

E la stanza si riempiva di carte colorate e di esclamazioni di gioia e meraviglia, fino a quando arrivava il momento degli auguri finali e, per noi bambine, di salutare e andare a dormire, mentre gli adulti restavano a giocare a carte a Sette e mezzo, o a tombola…

I.V.

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Esegesi del pensiero recondito della Madonna

26 Dicembre 2014 , Scritto da Marco Fiorletta Con tag #marco fiorletta, #unasettimanamagica

Esegesi del pensiero recondito della Madonna

Che dire che non sia stato detto? Sì, qualcosa c'è, il mio punto di vista. Di donna e di Madonna, che non avevo chiesto di essere.

Ero piccola quando mi hanno dato in sposa ad un uomo più vecchio di me che faceva il falegname, allora si andava a nozze appena giovinette e senza che potessimo dire nulla, come spesso succede ancora. Hanno tanto scritto sulla vita di mio figlio ma poco sulla mia e di quel povero marito mio. Mi hanno usato, cosa che si fa ancora ai vostri giorni, per mettere al mondo un bambinello a cui hanno affibbiato un compito sovrumano. E per giustificare hanno detto che era figlio di Dio, ma quale? Tanti dei aveva questo mondo nell'antichità, tanti quanti ce ne sono ancora oggi. Ma nessuno che sia un Dio d'amore. Oh quanto mi costa dire queste parole, ma non posso farne a meno. Come posso parlare di un Dio d'amore se ancora oggi le donne vengono trattate come ai miei tempi? Usate, abusate, sacrificate, schiave e infine anche uccise. Senza distinzione d'età, di cultura, di classe, di bellezza. Basta essere donne per essere inferiori. A un certo punto ho pensato che le cose potessero cambiare in meglio, mi sono illusa come tutte le donne che hanno lottato per distinguersi dai maschi. D'altronde contiamo così poco che anche nei Vangeli le parole a me dedicate sono poche. Si parla di me per gli sguardi e i silenzi. In una delle traduzioni del Vangelo, quando Gesù dice dalla croce a cui è inchiodato, rivolto a Giovanni: "Questa è tua madre", l'evangelista di turno (non mi chiedete chi è, non lo ricordo) dice: "Giovanni la prese tra le sue cose". Tra le sue cose, manco fossi una sedia o una tovaglia! In fin dei conti, a sentir loro, sarei la madre di Gesù, un minimo di rispetto in più non sarebbe stato male. Qualcuno poi si deve essere reso conto che la frase era un po' pesante e ha tentato di porre rimedio sostituendo "le sue cose" con "nella propria casa". Cambia il senso ma non la sostanza. Povere donne, di allora e di adesso.
Tra poco è Natale e festeggerete, ipocritamente, la nascita di mio Figlio, non ho nulla da aggiungere a quanto vi ha già detto Lui. Ma, ripensandoci, sono più di duemila anni che lo faccio, se dovevo mettere al mondo il Figlio di Dio non si poteva fare in modo di avere un po' più di riguardo? Forse se lo avessi fatto nascere in condizioni più umane sarebbe servito da esempio per il futuro. Con un buon esempio forse anche le donne che sono nate e hanno partorito dopo di me sarebbero state più fortunate e rispettate. Ma ero e siete donne, quindi non potete sperare nulla di più. Se tutti quelli che mi invocano a ogni piè sospinto fossero più seri forse avremmo un mondo migliore, ma tanto c'è chi ha detto che la felicità non è di questo mondo e allora vi sentite autorizzati a fare di tutto e di peggio.

Perché ogni tanto sentite il bisogno di farmi apparire nei posti più impensabili e assurdi? Se davvero credete che sia la Madre del Figlio di Dio, e per estensione, vostra Madre, che bisogno avete avete di pregarmi e adorarmi in pubblico? Di portarmi fiori e corone per ricordarmi sempre che sono morta? E perché mettere a repentaglio la vita a un povero vigile del fuoco per mettere una corona di fiori così in alto? Non basta che rischi la vita tutti i giorni? Se volete pregarmi, fatelo nelle vostre case portando rispetto alle vostre donne, siano esse madri, figlie, nipoti. Portate rispetto alle donne tutte, in esse vive la mia essenza. Capisco che per gli italiani, in questo momento, è difficile pensare che in molte donne ci sia il mio spirito, ma non posso mettermi a fare l'appello dei buoni e dei cattivi su questo blog. A proposito di Internet. Ma vi pare giusto che su Google, se digitate Madonna, appare per prima quella cantantucola scosciata che si è appropriata anche del mio nome? Vabbè il mondo è cambiato, me ne sono accorta, e spesso non in meglio.
Io non posso dirvi altro che vi amo come se foste figli partoriti da me, ma voi amatemi nelle figure di donna che vi accompagnano ogni giorno della vostra vita.

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Buon Natale!!!!!!

25 Dicembre 2014 , Scritto da Adriana Pedicini Con tag #adriana pedicini, #unasettimanamagica

 Buon Natale!!!!!!

Con un racconto e una poesia di Adriana Pedicini, la Redazione tutta vi augura:

BUON NATALE!!!!!!

E' di nuovo Natale

Sulla tavola la tovaglia in canapone di Maratea, su di essa le testine ricamate di babbo natale al centro scuotono i berretti tintinnanti, all’orlo campanule e rametti di pungitopo e nodi rossi di nastro. Tutto sembra vivo e non effetto di vivide stampe tra il luccichio ambrato delle stoviglie.

Nel tinello, in attesa Mara e Fabrizio, seduti a guardare il monitor del televisore. Mi giunge in cucina il suono scrosciante del riso di mio figlio che ridiventa fanciullo alle sequenze dei cartoni animati: noto con disappunto che non si stende più come una volta sulla poltroncina di vimini con i piedi poggiati sul ripiano del cassetto.

Sulla poltroncina siede la sposa dal volto di adolescente. Il pranzo è in tavola.

Alla sinistra del padre siede oggi come una volta Fabrizio: è uomo e bambino. Gli altri due sono ospiti delle fidanzate.

Per me i bambini appaiono e scompaiono; sono scomparsi... non spunta alcun angolo bianco di buste natalizie dalle pieghe dei tovaglioli. Ora solo i miei occhi malinconici di anni ammucchiati le scorgono … lontane, velate dai vapori dietro i vetri color ghiaccio. Solo i miei occhi rivedono i miei righi affrettati e i volti di mio padre, di mia madre, delle sorelle, dei fratelli, le sedie su cui ognuno di noi all’impiedi doveva recitare la poesia natalizia se voleva il regalino agognato. Sento ancora sul viso il bruciore delle guance arrossate per la vergogna puerile.

Squilla il telefono. Risponde il capofamiglia: “Antonio, Lorenzo, come state? Affettuosi auguri. Vi passo Pina”.

“Oh, Lorenzo, ci hai preceduto. Buon Natale, ti passo Mara, Fabrizio. Oggi sono con noi”.

- Ho sognato che era nato un maschietto con gli occhi neri…. Ma non sono più mia madre, mio padre. Un Natale in quattro, non più in sei, non più in cinque - vado rimuginando da sola in silenzio.

Seggo all’angolo del tavolo, verso la porta. Sorrido dolcemente a Mara, l’esorto a mangiare: ora deve mangiare per due.

Cerco di spostarmi sempre più verso l’angolo, per prendere meno posto, vorrei che il mio viso sparisse dietro il vapore profumato delle pietanze e un altro ne apparisse per lei noto e amato, svanito e rimpianto. Sono una madre, ma non la sua.

I miei sguardi carezzano il giovane viso di mio figlio, di mia nuora, un’altra figlia. La mia voce ha toni di parca allegria.

Bisogna telefonare agli zii in America. Glielo abbiamo promesso.

Se ne incarica mio marito “Oh, sì…vi sento benissimo, Merry Christmas e Buon Natale a tutti, la piccola Sonja come sta? Auguri, auguri! Qui c’è tutta la famiglia Brambilla, ti passo Pina…Fabrizio…Mara…; James, cari auguri… grazie, Billy… il mio amico cane? Sì, sta bene”.

Fabrizio: ”Sono l’ultimo, passo e chiudo”.

“Aspetta, passami Lizzie” si precipita il capofamiglia ad afferrare la cornetta del telefono.

“Lizzie, il Palazzo di vetro (di New York) è ancora a posto? Se dovesse muoversi, mandami subito a chiamare…ci penso io”.

Il nostro spumante forse non è ottimo, tuttavia si brinda. Di tempo ce n’è, non lo abbiamo sprecato a parlare tra di noi. Ognuno ha dialogato o con la nostalgia o con il dolore o con la speranza. Il capofamiglia con la noia di sicuro.

Un altro Natale!

L’anno venturo saremo in cinque.

Bisognerà lavare la tovaglia, vi sono parecchie macchie.

Sera di Natale

Stupore antico nell’aria
Il cielo
in attesa
nevica tenebre silenti
intenerisce i cuori persi
all’innocenza.
Brilla una cometa
sul sentiero smarrito
per antiche colpe.
Semi di speranza nel sorriso
del Bambino divino
sceso dalle stelle.
Tutto è possibile
se il silenzio più della parola
stillerà nei cuori
il desiderio di un mondo
che non tornerà mai più
se il vento o la pioggia
scioglieranno le angosce
e la coscienza si aprirà all’Amore
in questa notte santa.

A.P.

 Buon Natale!!!!!!
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“I pastetti ra viggilia” (Le crespelle della vigilia)

24 Dicembre 2014 , Scritto da Angela Argentino Con tag #unasettimanamagica, #racconto

“I pastetti ra viggilia” (Le crespelle della vigilia)

Quell’anno decisi di ritornare in Sicilia per le feste di Natale e…non da sola.

Il 23 dicembre mattina prendemmo il direttissimo Roma-Siracusa che, arrivato nelle campagne di Battipaglia, si fermò per quattro ore a causa di uno di quegli scioperi “a singhiozzo” tanto frequenti in quegli anni di piombo.Tirai fuori un mazzo di carte e cominciammo una partita a scopa .

A Lamezia Terme, il treno si fermò per altre due ore. Dalla scopa eravamo passati alla briscola e il gioco si era esteso a tutto lo scompartimento.

A Villa San Giovanni arrivammo che si era fatto già buio e lì restammo per un tempo indefinito, rassegnati a passare la vigilia di Natale in qualche stazione.

A Noto, intanto, fervevano i preparativi.

Mia madre stava preparando le “scacce” e aveva bollito al punto giusto i broccoli per le “pastette” della vigilia.

“I cos’arùci” (facciùna, mustazzòla, i pasti i miènnula e i cosi i meli) li aveva preparati già dalla settimana precedente perchè “avièunu a rritunnàri ”, secondo il suo gergo, avere cioè il tempo di ammorbidirsi, cosa particolarmente raccomandata per i biscotti al miele che, senza tale “ritorno”, potevano essere considerati veri e propri “cuticciùna”.

I miei genitori non sapevano esattamente a che ora saremmo arrivati a casa.

In tempi così “fluttuanti” ritenemmo più opportuno lasciarli in attesa della sorpresa.

Riuscimmo a traghettare verso le 10 del giorno dopo e, giunti finalmente sulla costa ionica, ad ogni stazione e stazioncina, senza scampo, il treno sostava per almeno un’ora.

Quando mia madre, alle 6 del pomeriggio del 24 dicembre, mise farina, lievito e acqua nel “lèmmu” per preparare la pasta delle “pastette”, noi eravamo riusciti ad arrivare a Catania. Nello scompartimento non si giocava più e, da almeno 100 km, ridevamo ormai senza ritegno e senza motivo, dividendo in spirito di fratellanza le ultime vettovaglie.

Alle 7 di sera scendevamo barcollanti alla stazione di Siracusa. Ci toccava ancora prendere la “littorina” per Vittoria e scendere a Noto, essere a casa.

Casa? Una casa in affitto vecchia e malandata dove una lampadina di 60 watt (e forse anche meno) illuminava scarsamente la nostra sala da pranzo. Nessuno mai si era curato di risolvere il problema e mia madre per anni aveva invano preteso di infilare “a ugghia” in quella semioscurità.

Alle 8 di sera, mia madre cominciò ad avere delle piccole vertigini al pensiero che la pasta, già abbondantemente lievitata, potesse inacidirsi e compromettere il risultato delle sue fragranti e saporite “pastette”, senza le quali non ci poteva essere vigilia di Natale.

La sua ansia lievitava come la pasta e, quasi sull’orlo delle lacrime, chiese a mio padre che ne fosse stato di noi, allorché bussammo alla porta.

Stravolti dalla stanchezza, avevamo ormai un aspetto più da profughi che da “crisstiani”.

Mia madre ci salutò in fretta e con un lampo di gioia scappò in cucina, lasciando mio padre ad ascoltare il racconto di quel nostro faticoso viaggio.

Intanto la sentivamo che sbatteva la pasta, la picchiava perchè si sgonfiasse, la puniva per aver lievitato al limite dell’acidità.

Ora sì che era Natale! -“I pastetti si puònu friiri !!! ”- ci annunciò con la sua voce da soprano.

Loro due già vecchi e noi due, giovani e innamorati, seduti al tavolo della vigilia. Era la prima volta che Apostolos veniva in Sicilia e a casa mia.

Fu un trionfo di “scacci”, di “sfinciùna”, di piatti della tradizione.... ma quelle pastette lievitate nella nostra attesa, avevano il sapore dell’amore di mia madre che mai riusciva ad esprimere a parole.

Il suo amore per noi era sparso a piene mani in quei suoi magnifici dolci, nel colore dorato delle focacce, nella cronometrica perfezione della cottura, nell’arte del “rièficu”.

Mio padre con i suoi begli occhi pieni di guizzi, per tutta la serata continuò a ripeterle: “Ma’n to ricìa ju, ca vinièunu?”

Per i non siciliani ecco la traduzione di alcuni termini

*A scàccia = focaccia ripiena (di verdure, di carne o pesce o altro)

*I cosi arùci = lett. Le cose dolci = I dolci

*I cuticciuna= grossi sassi

*U lèmmu= vaschetta di terracotta a forma a tronco di cono, smaltata in modo tipico con onde di bianco e verde che si mischiano tra di loro

* La littorìna= treno locale di solito composto da pochissimi vagoni

*A ùgghia = l’ago

*I crisstiàni (da pronunciare con la ‘’ sst ‘’ calcata , forte, alla siciliana) = le persone

*I pastetti si puonu frìiri =Le crespelle si possono friggere .

*U sfinciùni = pasta lievita molto morbida, lavorata a lungo, condita con aglio, prezzemolo, pezzetti di pomodori, acciuga e con molto olio, posta in teglie abbastanza alte e messa in forno dove si gonfia restando molto morbida al morso

*U rièficu = sigillatura e rifinitura dei due lembi della pasta delle focacce. Si ottiene con un movimento ad onda di pollice indice e medio. Si usa dire di donna sveglia e completa che sia ‘’na fimmina co rièficu’ , cioè donna a cui non manca nulla

*Ma’n to ricìa ju, ca vinièunu?” = Ma non te lo dicevo io che sarebbero arrivati?

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Xmas city madness

24 Dicembre 2014 , Scritto da Marco Lucchesi Con tag #marco lucchesi, #unasettimanamagica, #racconto

Xmas city madness

“Ho visto il Natale dalla mia bicicletta!

Il Natale in città!

Io vedo tutte le feste dalla mia bicicletta in città. Vedo il Ferragosto. Vedo San Francesco e Santa Giulia. Vedo la Pasqua e la Pasquetta, la Liberazione e i Lavoratori. Vedo il mio Compleanno. Le vedo tutte!

Il Natale lo vedo in città perché ci sono le pozzanghere. Le strade sono piene di buche e negli inverni caldi e piovosi, come ci sono in città, le buche, che forse non tappano mai perché sono beni comunali, si riempiono di pioggia. E io devo stare attento con la mia bicicletta, perché se finisco in una di quelle profonde mi posso schizzare o posso cascare in terra e finire sotto una macchina.

Quindi negli inverni caldi e piovosi della città, quando pedalo guardo sempre in terra per vedere a tempo le pozzanghere.

E allora l’altro giorno mi sono accorto del Natale! Nelle pozzanghere a Natale ci sono i riflessi delle lucine e io quelli ho visto!

Guidavo, stavo attento, e improvvisamente ho visto una fila di uccellini su un filo che parevano in fiamme! Ho alzato la testa… e c’era il Natale con le sue lucine!

A Natale a volte gli uccellini si riuniscono in nidi che brillano, o sennò stanno sul bordo di abeti sospesi per aria, o anche tutto intorno a grassi signori col cappello a pon pon!

Nelle pozzanghere poi sono proprio belli, e io mi fermo tanto a guardarli e penso…

…sembrano tante lampare che salpano su un mare nero. Penso e mi ricordo.

Mi ricordo il mare nero al molo del porto da dove il mio babbo è salpato con la lampara per andare a pescare. Tanti anni fa eh! Proprio tanti!

Gli uccellini nelle pozzanghere me la ricordano, quella notte, quando poi ritornai a casa da solo. Senza lui. Perché lui era rimasto a pescare e deve ancora tornare… o è morto o ha la barchetta piena di pesce e non ce la fa a rientrare al molo!

…un clacson… ahiò!

Mi ero incantato a guardare nella pozzanghera! In mezzo di strada! E c’era l’8 nero dietro che doveva passare!

<<Scusa 8 nerooo!>>

L’8 nero in realtà ora si chiama 8N, perché i filobus non hanno più i numeri stampati sul davanti, ma hanno uno schermo dove i numeri scorrono e sono gialli e dove ci sono scritte anche le fermate! Ma così il colore dei numeri non si vede più, perché sono tutti gialli! E invece prima l’8 nero era scritto di nero per distinguerlo dall’8 rosso, che era scritto di rosso. Ma ora c’è scritto 8N e 8R. In giallo.

L’8 nero lo devo far passare alla svelta perché fa un giro… di tutta la città! Ci metterà due ore per ogni giro! C’è gente che non ci vuole proprio salire perché sennò non arriva più dove deve arrivare… li sento alle fermate:

<<Gua’! Ecco l’8!>>

<<Ma è ir nero or rosso?>>

<<De il nero! C’è scritto 8N…>>

<<Vai allora aspetto l’Uno, sinnò ci dovento nonna sull’8 nero!>>

<<Dice c’è uno che c’è montato e ull’hanno più ritrovato!>>

<<De! Tanto settuvvòi fa ‘n giro peta perischerzo!>>

Quindi io l’8 nero lo faccio passare alla svelta e mi scuso, non vorrei che l’autista non arrivasse a casa a cena a tempo…

Riparto sulla mia bicicletta e mi guardo un po’ di Natale in città.

Ecco due operai che lavorano alacremente a sturare una fognatura. Bravi!

Ecco un vigilino che controlla se le macchine hanno messo il bigliettino del parchimetro. …Mmmm…

Ecco una vecchietta che esce dalla pettinatrice con i capelli viola e fonati! Brava!

Ecco un gruppo di giovani che parlano e ridono col bicchiere di vino in mano davanti all’enoteca di Ilio! Bravi!

Poi ecco che arrivo nel centro e c’è la piazza principale grande a rettangolo, col suo palazzone della provincia e le baracchine dei Mercatini di Natale! Giro intorno alla fontana che c’è in mezzo e mi vedo le baracchine!

C’è tanta gente che pare correre da tutte le parti! Dove vanno? Di corsa sempre!

Alcuni hanno le mani piene di sacchetti con dentro i pacchetti dei regali… qualcuno sembra un dog sitter di regali! Con sei o sette sacchetti per mano! Come se avesse dei cagnolini che non tirano, stanno buoni… ma alla fine non lo considerano nemmeno. I sacchetti pieni dei dog sitter dei regali (sei o sette per mano!) sono come dei canetti irriconoscenti per chi li porta in giro. Pronti a cambiare mano o padrone. Sono canetti infedeli!

Schivo la gente dalla mia bicicletta e giro in tondo un paio di volte per vedere cosa c’è nelle baracchine del Mercatino:… prosciutto di cinta senese… taglieri di legno d’ulivo… Ecco! Una baracchina di addobbi! … di gesso e cristallo decorati a mano o col decoupage… poi miele biologico… tessuti e lane per uncinetti… Yeee! Cioccolata calda!… al peperoncino, alla menta, allo zenzero?… Thè e tisane sgonfianti… coccetti profumati a forma di animale… lampadari di vetro… vasi di creta… guanti di lana… kashmir…

Non ci capisco molto…

So solo che ora ho caldo dopo due giri. Mi fermo e respiro forte. Sento l’aroma dolce e aspro degli alberelli che contornano la piazza.

Ma non sento musichine natalizie, non sento odore di dolci e brigidini e non vedo lo zucchero filato e quello che dà il vin brulé e le arrostite.

Però l’aroma degli alberi è buono. Ma quello c’è anche a Pasqua e a Ferragosto…

Fa troppo caldo e non esce neanche il fumo dalla bocca. Per me è meglio, ché devo dormire all’aria!

Ma forse per i bambini che aspettano un anno per il Natale… forse è peggio… Ci vorrebbe la neve! La città più bianca e più bella!

Invece è umida e nei mercatini non ci sono dolci per bambini… Però ci sono i regali dei loro dog sitter, quindi alla fine sarà un bel Natale anche per loro che sono piccoli e lo aspettano da un anno!

Riparto. La gente mulina le gambe per le vie. Sento le frasi al volo perché vanno troppo forte… a casa… ai negozi… a comprare cose… Roba da mangiare anche!

Ecco una cosa bella dei miei Natali! Il pranzo del 25 alla Mensa dei poveri! Domani ci ritroviamo tutti lì, con le signore gentili vestite di bianco come infermiere che ci portano tutte le cose buone del Natale!… i crostini (verde, rosso e coi fegatini)… i tortellini in brodo… il cappone lesso e l’arista con le patate… il panettone e lo schiumante alla fine!

Noi che non abbiamo casa e che qualcuno non sta tanto bene di testa, ci si mette tutti insieme.

Poi c’è il tavolo degli sfrattati… poi quello dei neri che arrivano dalle guerre… poi quello dei ciechi e di quelli in carrozzina che non sono con le loro famiglie… Poi ci sono tanti vecchi sparsi in qua e là…Ma il nostro tavolo è proprio bello! Forse il più bello! E’ una tavolata!

Ci sono io.

C’è Vinicio che ogni tanto sputa in terra come i cinesi!

C’è Giovanna la Matta che s’è lavata nuda nella fontana della Stazione (… è vero… l’ho vista e ho accelerato con la mia bicicletta perché mi vergognavo…) perché poi deve tornare al casino (lo dice lei, ma i casini sono chiusi dalla guerra…).

C’è Cutolo che è uno che va sulla bicicletta come me! Ma lui va piano e non gliene importa se ferma il traffico. E’ sempre un po’ silenzioso e fuma. Pare che non mangi mai. Però beve.

C’è il Noberini che anche lui è già ubriaco all’inizio del pranzo e ci declama l’ultima poesia che ha scritto. Però poi si scorda sempre la fine e allora lo pigliamo in giro. Quel rincotto!

C’è l’Ingegnere con accanto il suo carrello della spesa, con dentro tutte le sue cose. La gente crede che sia un barbone matto e basta… lo vedono che fruga nei cassonetti… ma invece lui è l’Ingegnere e sta facendo una statistica delle cose che la gente butta via. Quando lo incrocio dalla mia bicicletta spesso vedo che scuote la testa…

C’è a metà tavolo la MammaFranca con la pelliccia finta… poveraccia… aveva i soldi e i negozi ma poi è fallita. Il suo figliolo gli ha portato via tutto e è andato in Sudamerica con una fidanzata giovane!

C’è il Filippo Bellissima col megafono e con il borsone dove ci sono le regole e i consigli per i politici!

C’è più in fondo in fondo la Izzeri che discute e urla con chiunque passi da lì!

Poi su uno sgabellone bello alto c’è Mariolino, ché l’hanno buttato fuori dal ricovero e non ha trovato più un circo che gli facesse fare il Nano…

A capo tavola infine c’è la Ciucia con il suo grembiule e i capelli raccolti in una pezzola a quadri…la Ciucia che, anni e anni fa, quando il re venne in città, salì sul palco gli strizzò una guancia e gli disse: <<De! Bada vi che bèr baffino!>>

Che bella tavolata lunga! Si ride e si mangia e siamo tanti e variegati come un gelato… pare quasi che la nostra tavola parta dall’oggi e finisca nel passato.

Parte a colori e finisce in bianco e nero, come i nostri ricordi di tanti Natali e come i televisori che c’erano quando ero piccolo. In bianco e nero e con la manopola dei canali. E tre bottoni da schiacciare ché bastavano!

… riprendo il filo della giornata a pedalare e riparto! C’era un’altra volta l’8 nero dietro! Deve essere sempre lo stesso di prima che continua il giro…

Dalla mia bicicletta ora guardo il lungo mare illuminato dai lampioni. Anche qui il Natale quasi non si vede. Tira lo scirocco e senti proprio l’umido che vola per aria.

Lucine zero. Ci sono solo le luci dei lampioni, che sono belle eh!…ma servono solo per illuminare non per fare festa.

Forse perché sul mare a Natale non c’è nessuno perché non ci sono i negozi.

C’è la farmacia, ma nemmeno a un vecchietto si regalano le pasticche per Natale!

C’è il panaio, ma a quest’ora è chiuso.

Il Prosciuttaio che fa i panini, però tutto l’anno.

Un paio di pizzerie che aspettano i clienti.

Il negozio che vende i baconi, i bibi e i coreani per pescare. E si pesca tutto l’anno.

Il mare forse ha una stagione sola, non c’è bisogno di lucine a Natale. Lo scirocco ormai tira sempre… caldo d’estate… tiepido d’inverno…

Dalla mia bicicletta vado a vedere quella pozzanghera nera infinita da vicino, sulla Terrazza che ci arriva in mezzo. E’ buio e il mare non si distingue neanche un po’ rispetto al cielo. Oggi che è nuvoloso non si vedono nemmeno le stelle. Mare e cielo sono tutti attaccati a Natale, in città.

Passo accanto all’Acquario. Che è chiuso. E buio anche lui.

Non sono furbi questi qui dell’Acquario, se lo tenessero aperto scommetto che la gente verrebbe a frotte sul mare! I bambini vogliono sempre andare all’acquario! Io ci andavo tutte le domeniche e sapevo i pesci a mente! Poi il babbo è andato a cercarli da vicino, i pesci… e allora basta acquario la domenica.

Da quel giorno sono quasi finite tutte le domeniche! E’ per questo che io tutti gli anni cerco il Natale in città. Perché mi sembra anche un po’ domenica. Una domenica lunga!

Ricomincio a pedalare dal cielomare tuttattaccato che non si vede più dalla Terrazza e vado a cento all’ora con la mia bicicletta sul viale vuoto per ritornare nel centro. Ché s’è fatta un’ora e quasi quasi vado a casa!

Casa dolce casa! Home sweet home (un po’ d’inglese me l’hanno fatto fare a scuola…)!

Non è un attico o un appartamento di quelli esagerati, ma per me c’è tutto: il posto per la mia bicicletta accanto al materasso ortopedico; un pannello di eternite che mi ripara ben bene dalle infiltrazioni d’acqua del ponte che mi fa da tetto; tre lamiere ondulate che ho tinto di verde, due come pareti per tapparmi dal vento che viene giù dalle montagne e una che divide il mio spazio in un lato notte più cucinotto e in un lato cesso (rivolto verso il fiume che scorre in fondo alla scarpata).

La mia casa è sotto il ponte Gorizia, che hanno costruito anni e anni fa sul Canal Freddone, il fiume che taglia in due la periferia della città e viene giù dalle altissime montagne che fanno paura anche di notte.

Sono montagne bianche e ripide d’estate e anche ora d’inverno. Non hanno alberi ma solo rocce a picco.

Lì la neve c’è, ma i bambini non ce li portano neanche a Natale.

Lì il freddo c’è, anche con lo scirocco. Perché quell’umido di quaggiù, lì si ghiaccia e brilla alla luna.

E quel ghiaccio diventa aria che corre a volte forte insieme al fiume, nel Canal Freddone… ma io ho le pareti di lamiera e quando mi infilo sotto le coperte sul materasso ortopedico faccio delle belle dormite!

Mi sogno le stelle che non vedo per l’eternite e il ponte che sta sopra… quindi alla fine le vedo tutte le notti! Col sereno e col nuvolo!

Il ponte Gorizia è un bel posto dove vivere, anche se a volte ci sono delle brutte giornate…perché c’è gente che viene fin qui e si butta giù.

Si vede che vuol sentire il gelo che ti arriva avvicinandosi al fiume sempre più veloci…

Si vede che non ce la fa più a correre dietro a regali, bambini, donne, uomini, cani…

Si vede che è stanca di vedersi tutti i giorni allo specchio…

… o magari non hanno una casa piccola e bella come la mia!

Prego Gesubbambino, che nasce fra poco, che in questi giorni vada tutto bene.

Che in questi giorni non venga svegliato da sirene e luci blu e voci.

Che non vengano giù da me i poliziotti per chiedermi cose che non so.

Che non venga, poi dopo, l’assistente sociale che i poliziotti hanno avvertito… per me… per niente.

… come se mi volessi buttare giù io… dovrebbero andare da quelle persone che non ce la fanno più a correre e non hanno una casa piccola e bella come la mia!.

Non da me.

Anche per questo prego Gesubbambino.

<<Oh Massi! Ci sei?>>

E’ Jago, il mio amico che ogni tanto viene a trovarmi e mi porta cose. L’altro giorno scese sotto il ponte Gorizia con un attaccapanni! Bello!

Quest’estate con un cappotto di lana cotta che uso ora d’inverno! Bello bello!

E poi fornellini a gasbutano, tordelli al sugo e panzanelle, giornali della settimana prima, una maglia dell’Inter, mutande pulite, una gallina (mangiata la sera stessa), sigarette, e tutti questi generi di robe che per me sono importanti!

Eccolo che è sceso! Ha anche il cappello rosso col pon pon! E’ festa allora!

<<Buon Natalo Massi. T’ho portato una cosa che tu l’apprezzera’, a lo so: el vin che ho fatto nell’ultima vendemmia con Vecchjo e Stefanin! Si chiama Tarapasso! Abbiam comprato l’uva a Viterbo ma l’anno ch’ivven faremo tutto con l’uva di qua…cuscì rimane tutto fra no’ altri in famighja…>>

Mi passa una bottiglia scura con un tappo di plastica da schiumante.

<<Sta’ atento al tappo ch’ imm’è partito in cucina l’altra notta e ho trovato il maro de vin inz’el terén>>

Mi fa ridere Jago, alto magro e elegante che pare un moschettiere!

<<Oh Massi…stabbravo e salutame il fantin…>>

E se ne va. Jago. Il mio amico.

E’ Natale proprio, ora! Con il Tarapasso la festa può iniziare…

Con Gesubbambino che nasce una volta all’anno…

Con le lucine della città come uccellini sul filo…come lampare nelle pozzanghere…

Con la gente che corre dietro ai regali e non vede… non guarda…

Con i Mercatini che non vendono…

Con il lungo mare spopolato…

Con l’8 nero che deve ancora finire il suo giro…

I monti con la neve che mi fanno arrivare il freddo…

…e io che mi riparo, dormo e sogno le stelle!

E intanto questo aperitivo per aspettare il pranzo che mangerò fra poco…

<<Beevoo. Beevoo. Bevoo bevoo bevooo!

Quando beevo son felice… anche se poi voomitoo!

Beevooo. Beevoo. Bevoo bevoo bevooo!

Quando beevo son felice... anche se poi voomitoo!>>

Buono il Tarapasso… asprino come questa vita, come le rocce, come lo scirocco, come il cielomare tuttattaccato, come i dog sitter dei regali, come il vento nel Canal Freddone, come le anime di chi cade giù, come la lamiera arrugginita sulla mia bicicletta…

Buono il Tarapasso… asprino, iniziato e già finito.

<<Buona notte e buon compleanno Gesubbambino… stabbravo anche te…>>.”

M.

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Consigli di Natale

23 Dicembre 2014 , Scritto da Sergio Vivaldi Con tag #sergio vivaldi, #unasettimanamagica

Consigli di Natale

È di nuovo Natale, tempo di valutare se siamo stati tutti più buoni, di addobbare l'albero, di ammirare le luminarie e di cominciare una disinfestazione anti-Elfi, fastidiosi esseri più o meno alti e con le orecchie a punta che finiscono per popolare le nostre case in questo periodo.

Molto più banalmente, è anche tempo di regali, e ogni anno la domanda che assilla tante famiglie è “cosa regalare questo Natale?”. Domanda sempre più diffusa negli ultimi tempi è diventata anche “come pago i regali?” e proprio in questo la mia soluzione può essere di grande aiuto: costa poco, garantisce emozioni, fa viaggiare nello spazio e nel tempo, dura a lungo e, se saprete scegliere con cura, vi garantirà eterna gratitudine da parte di chi lo ha ricevuto. Quindi, carta e penna e segnatevi questi titoli, poi di corsa dal vostro libraio di fiducia* e chiedete di procurarveli.

*Punti bonus se scegliete un libraio indipendente. Se scegliete una catena, invece degli Elfi questo Natale vi mando un gruppo di Goblin. E non volete avere nulla a che fare con i Goblin, fidatevi.**

**Dico sul serio. Se siete fortunati, vi distruggono la casa. Se siete sfortunati, ci rimangono.

Cominciamo quindi la lista (accuratamente disinfestata):

12 anni o meno:

Presumo che vostro/a figlio/a o nipote abbia già incontrato la santissima Trinità, ovvero Alice nel paese delle meraviglie, Il mago di Oz e Pinocchio. Se non lo ha fatto, inutile leggere oltre, uno a caso tra questi andrà benissimo. Se invece avete già completato il primo passaggio, per questo Natale consiglio:

La bambina che fece il giro di Fairyland per salvare la fantasia, Catherynne M. Valente, 278 pagine, Sperling&Kupfer

Visto il numero di pagine è un libro da considerare per i bambini dai 9 anni in su, a meno di lettori particolarmente avidi. In quel caso la soglia scende, ma nulla vieta a voi di accompagnare la lettura, per un momento di unione bambino-genitore (o chi ne fa le veci). Quella della Valente è una fiaba splendida, con tutti i topos letterari del caso: la figura magica (il Vento Verde) che visita la bambina (Settembre, 12 anni, nata a Omaha, Nebraska) a casa e la porta in un mondo incantato (Fairyland), e le chiede di trovare (da sola) il tesoro nascosto all'interno della foresta incantata per liberare il popolo oppresso dalla tirannica regina malvagia (Marchesa). Lungo la via che porta al successo troverà mille amici (umani e non) e avventure. Alice e Dorothy tutti in uno. Ho già detto che è il primo di tre libri? La serialità potrebbe essere intesa solo a scopi commerciali, ma se un bambino leggesse questo libro e ne chiedesse il seguito, mi precipiterei in libreria per accontentarlo prima che un maiale parlante gli faccia cambiare idea.

L'esilarante mistero del papà scomparso, Neil Gaiman, 149 pagine, Mondadori

Ho scelto questo titolo perché è il più recente, ma Gaiman ha scritto moltissimo per i più piccoli, basta una piccola ricerca in rete per trovare tutti i suoi titoli. Non fatevi ingannare dal classico “Età di lettura: da (inserire numero) anni”, Gaiman parte dal principio che un libro per bambini deve risultare piacevole anche agli adulti. Sono di parte, ma la cosa gli riesce dannatamente bene. Il commento lo lascio a Gaiman, a cui, va detto, non sono degno neanche di temperare le matite:

“Caro lettore, credo che tutto abbia avuto inizio una ventina d'anni fa, quando scrissi un libro intitolato 'Il giorno che scambiai mio padre con due pesci rossi'. Mi sono sentito in colpa da allora. Come padre. Come essere umano. La gente leggeva il mio libro e imparava che i padri sono svagati cumuli di distrazione che sfogliano il giornale e ogni tanto mangiano una carota. Ho deciso che dovevo fare qualcosa. Avrei scritto un libro in cui un padre faceva tutte quelle cose elettrizzanti che i padri fanno nel mondo reale. Nello specifico, sarebbe andato a prendere il latte per la colazione dei figli. E inoltre, avrebbe dovuto fare le tipiche cose che si fanno quando si va a prendere il latte. Tipo sfuggire a dei viscidi alieni verdi, camminare sull'asse di una nave pirata del Diciottesimo secolo, scamparla grazie a un professore stegosauro che viaggia su una mongolfiera e, naturalmente, salvare il pianeta. Non vedo l'ora di ricevere gli attestati di gratitudine dai padri di tutto il mondo. Non appena avranno finito di leggere il giornale, ovviamente.”

Giovani Adulti:

Categoria difficile da inquadrare, si va dalla prima adolescenza fino ai venticinque anni circa, quindi occorre una certa flessibilità nei titoli, e un piccolo sforzo da parte vostra: non comprate un libro pensando che “ormai è abbastanza grande per leggere Letteratura”: se non dimostra interesse verso un certo tipo di titoli, rischiate di allontanarlo per sempre dalla lettura.

Terra Ignota. Il Risveglio. Vanni Santoni, 414 pagine, Mondadori

Terra Ignota. Le figlie del rito. Vanni Santoni, 381 pagine, Mondadori

Insieme perché dello stesso autore, il primo è narrato dal punto di vista di una bambina di undici anni che, nel corso del romanzo, cresce fino ai quattordici, il secondo è più adulto, in parte perché i protagonisti superano i vent'anni, in parte perché la posta in palio è il destino del mondo. Sono ovviamente collegati, ma sono entrambi validi anche come lettura singola, quindi non preoccupatevi di rispettare la serialità. L'autore ha spesso definito il suo lavoro come un pastiche, una fusione tra fonti alte e basse in un prodotto in grado di riunire la narrativa più popolare a quella più letteraria. Sono entrambi un'ottima scelta se volete spingere il destinatario verso letture più elevate, un passaggio intermedio, se volete. Ho parlato parecchio di Terra Ignota, anche con l'autore, quindi farò quello che ogni blogger non dovrebbe mai fare, ovvero essere autoreferenziale, e vi rimando alla mia intervista a Vanni Santoni.

Il Mezzo Re, Joe Abercrombie, 298 pagine, Mondadori

Non ho ancora avuto il tempo di leggerlo, lo ammetto, ma lo consiglio a priori perché Abercrombie è uno scrittore straordinario. Il Mezzo Re è “rivolto a un pubblico più giovane, ma spero che dia al mio gruppo di lettori fedeli tutto quello che si aspettano da un mio libro (con un linguaggio meno volgare, forse)" (si diceva di quanto siano odiosi gli scrittori autoreferenziali, quindi non vi dico da dove viene l'intervista qui citata). La trama non sembra, a prima vista, innovativa: un giovane, Yarvi, figlio di re ma nato con un grave difetto fisico a una mano, è destinato a un ruolo di consigliere e viene avviato alla carriera sacerdotale, un destino infame per un membro della famiglia reale. Fino a quando il padre e il fratello, futuro re, vengono assassinati. Salito al trono, giura vendetta, ma cade vittima di un'imboscata e finisce venduto come schiavo. Da qui dovrà cominciare la sua risalita, con la propria intelligenza come unica arma.

Abercrombie è un caratterista e si diverte a sperimentare e innovare partendo dalla struttura classica del genere, fece la stessa cosa con la sua prima trilogia, La prima legge. Siamo al primo libro, è impossibile giudicare cosa diventerà, ma come scrittore Abercrombie ha tutte le capacità di trasformare il genere con successo, e se questo inizio è valido la metà di quanto lo era Il richiamo delle spade, allora è un ottimo inizio.

Adulti:

Quattro titoli tutti pubblicati nel 2014 a coprire (spero) tutti i gusti in termini di trama e di stile:

Il sapore della vendetta, Joe Abercrombie, 796 pagine, Gargoyle

Numero di pagine impegnativo, ma non credo sia un problema. Cose che capitano quando la protagonista è Monza Murcatto, la Serpe di Talins, la Macellaia di Caprile. Pensate davvero che una donna di tale fama sia felice di essere buttata in un burrone, dopo che suo fratello è stato pugnalato sotto il suo naso, per di più sapendo che il mandante è il suo datore di lavoro e gli esecutori i sottoposti che avrebbero dovuto difendere entrambi? Io non credo. Il problema, in questo genere di situazioni, nasce quando la donna in questione sopravvive. Non sai mai di cosa sia capace. Monza, d'altra parte, ha un'idea ben precisa di cosa fare. Sette nomi, da depennare uno alla volta. Ma con calma, perché la vendetta si serve fredda.

È il romanzo migliore di Abercrombie in Italia, a mio parere, in attesa di Red Country, in arrivo nei prossimi mesi sempre per i tipi di Gargoyle. Sangue, violenza, linguaggio volgare e tanta cattiveria in una trama di vendetta in perfetto stile Il Conte di Montecristo ambientata in un mondo ispirato all'Italia rinascimentale.

La ragazza meccanica, Paolo Bacigalupi, 408 pagine, Multiplayer.it Edizioni

Bangkok, in un futuro lontano un paio di secoli. Niente più petrolio o carbone, il carburante principale di questa nuova era sono le calorie, i computer sono alimentati a cyclette, le fabbriche da dinamo fatte ruotare da elefanti modificati geneticamente. E tutto ha un prezzo, come sempre e ancora di più in questo futuro impoverito dalla mancanza di risorse e dipendente dall'ingegneria genetica.

I temi ambientalisti sono l'asse portante di questo romanzo che si distingue non solo per il modo in cui vengono portati in primo piano, ma anche per lo straordinario lavoro di worldbuilding dell'autore: fin dalle prime pagine si è catapultati nel caos organizzato di un mercato di Bangkok e si viaggia attraverso il traffico cittadino, iniziando a familiarizzare con i luoghi del romanzo. Non è un romanzo straordinariamente letterario, ma neanche una lettura facile, ogni pagina è fondamentale allo svolgimento, ogni scena ha significati molteplici, ogni passaggio svolge almeno due o tre diverse funzioni narrative. Un romanzo molto denso e complesso, che smuoverà tutti coloro interessati al destino climatico del pianeta.

Ancillary Justice. La vendetta di Breq.; Ann Leckie; 377 pagine, Fanucci

Ho letto questo libro in lingua originale circa un anno fa e, subito dopo averlo concluso, la mia testa ha inviato due pensieri, in questo ordine: uno, "Devo rileggerlo subito" e due, "In Italia non arriverà mai". Ringrazio Fanucci per avermi smentito. Non ho ancora scritto una recensione a causa dei tanti impegni di questi giorni e quindi non voglio anticipare troppo, ma è anche un libro troppo complesso per trattarlo in poche righe.

Justice of Torren è un'astronave dotata di una Intelligenza Artificiale al servizio della cultura Radch. Justice of Torren è una nave militare il cui scopo era portare le truppe di questa superpotenza iperaggressiva in giro per lo spazio per scopi espansionistici. La cultura Radch è fortemente gerarchica, e si basa sulla totale obbedienza e sottomissione, unita a una stretta sorveglianza della popolazione. Tutto quanto non appartiene alla cultura Radch è incivilizzato per definizione e deve essere riportato all'interno dei confini per potere essere considerato umano. Molti oppositori vengono catturati e le loro personalità vengono cancellate e sostituite con quella della IA. Dopo questo processo non vengono più riconosciuti come umani e vengono definiti Ancelle.

La storia parte da una domanda semplice in apparenza ma a cui è difficile rispondere: cosa succede quando una intelligenza abituata a muovere in sincronia centinaia di corpi e svolgere centinaia di funzioni in contemporanea rimane intrappolata in un singolo corpo?

Non voglio aggiungere altro, ma è un'esperienza di lettura straniante, il punto di vista è quello della IA, e tanti comportamenti da questa osservati sono inspiegabili (per lei), tutti i pronomi usati dalla IA sono al femminile, perché la cultura Radch è priva del concetto di genere, e tanti altri particolari, non ultimo il fatto che la narrazione non ha una linearità temporale.

All'estero sono stati usati tanti aggettivi per questo romanzo, un successo enorme sia in campo commerciale sia con la critica, tutto meritato.

Cose Fragili; Neil Gaiman, 368 pagine, Mondadori

Altro nome che ritorna in questa lista, altro libro letto tempo fa, una raccolta di racconti che attraversa tutta la carriera di Gaiman, dai tributi ai grandi del passato (Uno studio in smeraldo, ispirata ai personaggi di Arthur Conan Doyle e alla mitologia di H.P. Lovecraft) fino a racconti scritti per occasioni speciali, L'uccello del sole, nato come regalo per il diciottesimo compleanno a sua figlia Holly, un racconto commissionato dai produttori di The Matrix e finito in rete una settimana prima del lancio del film nelle sale (Golia), una novella centrata su Shadow, protagonista dell'indimenticabile American Gods, (ambientata alcuni anni dopo le vicende del romanzo), e tanto altro ancora. Ogni racconto è un pezzo della magia creativa di Gaiman, mai banale, sempre in cerca di una storia da raccontare, la raccolta è il frutto di tanti anni di scrittura di uno dei più grandi autori di genere esistenti.

Se non è Letteratura io non

Conosciamo tutti persone di questo tipo, nei casi peggiori un misto di saccenteria e arroganza letteraria rinchiusi in un unico corpo, nei migliori sempre i primi a proporvi libri che non leggerete mai e poi mai. (Segue momento catartico in cui realizzo di appartenere a questa categoria.) Ai casi migliori, non importa quale libro compriate, loro lo leggeranno. Saranno anche brutalmente onesti nel dirvi quanto fosse orrendo, ma almeno il vostro regalo non sarà inutile. Nei casi peggiori, quando avete a che fare con saccenti arroganti raffinatissimi intellettuali, le difficoltà aumentano, in particolare quando scegliete il fantastico. Sono le classiche persone che non leggerebbero mai un romanzo per bambini, sono interessati al reale, non al possibile, né all'impossibile. L'unico tipo di fantastico accettabile è quello di Cortazar, Saramago, Garcia Marquez, Bolaño, Borges, un filone che, escluso proprio Borges, viene chiamato Realismo Magico. (Non pensavate che la scelta del fantastico era una forma di apertura all'irrealtà, vero?) Se dovessero protestare, ditegli che anche Nuovi Argomenti si è dato alla fantascienza, quindi anche loro potrebbero provare qualcosa di nuovo.

L'ultimo ballo di Charlot, Fabio Stassi, 279 pagine, Sellerio

Libro consigliato a priori perché scritto con una sensibilità unica, racconta l'ultima sfida di Charlie Chaplin, la scommessa con la Morte: se riesce a farla ridere, Chaplin guadagnerà un altro anno di vita, un anno da passare con il proprio figlio, ancora giovane e impreparato ad affrontare la perdita del padre. Chaplin usa il tempo così guadagnato per raccontare la propria vita in una lunga lettera, il cui destinatario è proprio il figlio tanto amato, che lentamente inizia ad accettare la futura perdita, ormai inevitabile. È un Chaplin goffo e impacciato quello che balla e canta con la Morte, ma è una Morte diversa da quello che ci potremmo aspettare, piena di compassione, di pietà, di risate e di vita.

Fabio Stassi è stato definito il più sudamericano degli scrittori italiani, e non è un caso se tanti dei suoi modelli siano proprio sudamericani (e per pura coincidenza, i nomi da me citati prima più alcuni altri). Se il destinatario del vostro regalo è un appassionato di cinema o di letteratura sudamericana apprezzerà sicuramente.

Tito di Gormenghast, Mervyn Peake, 545 pagina, Adelphi

Non poteva mancare il capolavoro della letteratura gotica del '900, in questo primo libro della saga di Gormenghast, mai completata a causa della prematura morte dell'autore. Un mondo parallelo, Gormenghast appunto, che in verità è un castello di enormi dimensioni, mai esplorato per intero dai suoi abitanti. In un turbinio di immagini Peake mostra un mondo statico e decadente, un mondo di cui non esiste un esterno ma solo un interno, dove non esiste natura e dove la nascita di una nuova vita, Tito di Gormenghast, erede del titolo nobiliare e futuro reggente del castello, porta un cambiamento inaspettato e spaventoso.

Questa serie è uno dei capisaldi della letteratura fantastica di fine '900 e ha ispirato un buon numero di scrittori negli anni successivi, in particolare quelli che si riconoscono nella corrente New Weird, una delle forme di fantastico contemporaneo più letterarie ma che non ha avuto riconoscimenti da parte della critica italiana, se non quella specializzata.

La macchina morbida, William Burroughs, 222 pagina, Adelphi

Burroughs è un mostro sacro della letteratura, Il pasto nudo è tra i più noti romanzi del '900, ma non altrettanto note sono le due trilogie scritte dallo stesso autore, The Nova Trilogy e The Red Night Trilogy. La macchina morbida è il primo romanzo della Trilogia della Nova. La linea narrativa è la stessa del Pasto Nudo, un viaggio nei più oscuri recessi dell'immaginazione umana tra odio, esaltazione, povertà, guerra, burocrazia e dipendenza, un luogo dove non esistono santi e tabù. Un titolo particolarmente indicato per i più integerrimi difensori della Letteratura.

Antologia della letteratura fantastica, Jorge L. Borges, Silvina Ocampo, Adolfo C. Bioy, 538 pagine, Einaudi

Il fantastico secondo Borges, una raccolta di settantacinque racconti, alcuni di autori che mai assoceremmo alla letteratura fantastica, pubblicato per la prima volta nel 1940 dall'idea di tre amici, Borges, Bioy e la moglie di quest'ultimo, Ocampo, la raccolta intende rompere con la tradizione realista della letteratura degli anni '30 per lasciarsi guidare dall'immaginazione ma che, allo stesso tempo, rifiuta la vena gotica che contraddistingueva il filone horror tipico dell'epoca vittoriana e poi diffusosi nel resto d'Europa nel secolo precedente, fatto da nomi anche molto noti della letteratura ottocentesca, come Guy De Maupassant ed Emile Zola. Borges, come era solito fare, rompe con questa tradizione e indica una nuova via, via che percorse poi in tutta la sua carriera narrativa in prosa. Questa antologia confezionata da lui e dai suoi due amici raccoglie molti degli autori che negli anni successivi ispirarono i suoi racconti.

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