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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

I love pizza Margherita

28 Febbraio 2025 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con Microsoft Designer AI

 

 

Amo da morire la pizza Margherita, tanto da considerarla la mia pietanza preferita in assoluto. Se si dovesse intendere il nome proprio di persona femminile, inutile dire che non lo associo al fiore. Idem Margherita di Riccardo Cocciante, tra l'altro il congedo della canzone è perfetto, difatti in qualche modo ne traggo un'analogia.

 

[Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia 

Margherita, Margherita

Margherita, adesso è mia

Na-na, na-na, na-na-na 

Margherita è mia]

 

Rilanciando sul musicale, dal momento che ascolto Eros Ramazzotti, nel parodiare un po’ il brano Più bella cosa, spero che il cantante non si scocci.

 

[Ti mangerei di più

per dirtelo ancora per dirti che

più buona cosa non c'è

più buona cosa di te

unica come sei

soffice quando vuoi

grazie di esistere]

 

La Marghe (mi permetto il lusso di darle un diminutivo) è composta da pochi ingredienti, ovvero farina, acqua, lievito, mozzarella, pomodoro, olio crudo e, come ciliegina (Pachino) sulla torta, pardon, sulla pizza, del basilico fresco.

Di "norma" non la rimpiazzo, magari di tanto in tanto mi capita di prenderne una ai quattro formaggi bianca o rossa. Il problema è che poi mi pento sempre.

Da precisare che prediligo l'impasto sottile (alla romana, insomma) e disprezzo la pizza gommosa tra cui una Margheritona impossibile da dimenticare. Nel duemiladieci, durante una vacanza in Grecia, a Rodi, in una taverna, mi fu servito un copertone intriso di sugo con del formaggio di quart'ordine. Per Zeus! Meritava di essere fulminata e… bruciata!

Comunque, sempre andando a ritroso nel tempo, ma tornando a focalizzarmi sulla Margherita in generale, ricordo che molti anni fa, nel periodo in cui facevo il soldato, trovandomi in trasferta per un campo militare nei pressi di Battipaglia, in Campania, una sera, io, con un gruppo di commilitoni in libera uscita, optammo per una pizzata in uno dei locali della città, che ci fu consigliato da un maresciallo originario di quei luoghi.

Appena entrati in quella pizzeria, ci sedemmo a un lungo tavolo e, quasi subito, il cameriere ci portò i menù. Mi risulta difficile descrivere lo stupore derivato dal fatto che il numero dei tipi di pizza si attestava intorno a un centinaio. C'era la pizza con i fagioli e cipolla, la pizza con radicchio e speck, la sushi pizza, la pizza con pere e brie, la paella pizza, fino ad arrivare alle pizze dolci con frutta e alle pizze con gelato. Indovinate quale pizza scelsi? La risposta è scontata: la Margherita!

Cari lettori, onde evitare che il testo diventi una “pizza," mi limito ad aggiungere quanto segue: la pizza Margherita per quel che mi riguarda è perfetta da abbinare con la birra. Pazienza se "lievita" la pancia. Si vive una volta sola.

 

 

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Giorgio Bolla, "Navigando sotto il sole"

26 Febbraio 2025 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

Giorgio Bolla

 Navigando sotto il sole

Guido Miano Editore

Milano 2025

 

 

Navigando sotto il sole di Giorgio Bolla è una raccolta lirica suddivisa in tre parti, poiché oltre al testo in lingua italiana, contiene una traduzione in ingleseSailing the sun – e un epilogo di varie terzine, alle quali l’autore ha conferito il titolo di Progressione poetica: si tratta di 42 terzine consecutive senza denominazione, datate dal 20 agosto al 30 settembre 2018. Essendo il libro dai contenuti quasi sempre criptici, simbolici, che si avvale di una scrittura-soliloquio sorgente dall’essere-io del poeta, dunque ascrivibile a quelle letture interpretative, esegetiche, di natura particolarmente soggettiva ed intuitiva che lasciano larghi spazi al dubbio, è opportuno nell’interesse del lettore, accedere alla breve premessa dell’autore per rintracciare almeno alcune possibili chiavi semantiche, sebbene anch’essa non sia esaustiva del tutto. Così scrive Giorgio Bolla circa la sua pubblicazione: “Sciogliere il nodo è quello che conta. La tua professione è nobile al punto che può farti credere di essere invincibile, di essere il cavaliere che sconfigge la morte. L’aria calda, prima di entrare in Sala Operatoria, ti cade addosso ma tu devi fare bene. È una Professione, null’altro. Dopo, rimangono gli sguardi dei bambini che hai operato. Non ti chiedono più niente, ringraziano solamente, con il loro silenzio. Navigando sotto il sole (Sailing the sun) nasce dalle impressioni vissute nella mia esperienza come chirurgo pediatra nell’Ospedale pediatrico di “Medici senza Frontiere” in Monrovia, capitale della Liberia, nato con l’epidemia di virus Ebola nel 2014”.

Gli scritti sono posteriori, ma la data di pubblicazione recentissima, febbraio 2025. Il libro, con la prefazione di Michele Miano, è entrato a far parte dei volumi della Casa Editrice Guido Miano di Milano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000. Lo stile dell’autore può essere definito di provenienza ermetica: stringatissimo utilizzo della punteggiatura, metrica costituita da brevi lacerti d’immagini o folgorazioni, significati riposti, riferimenti alla realtà naturale e umana ma spesso trasfigurata in dimensioni metafisiche-filosofiche, sintesi estreme aperte ad ulteriori sviluppi (il non detto…). Il messaggio vuole essere un appello all’umanità e alla solidarietà per vincere le battaglie contro il dolore, la solitudine, le ingiustizie di questo mondo: perciò numerose liriche sono un richiamo all’impegno, alla responsabilità, allo stare con… all’esserci più che ad un essere ontologico. In  Africa, ad esempio, si respira un’atmosfera di attenzione all’altro che emerge da gorghi immaginifici per sfociare nel finale in versi palpitanti: “… accompagnato vado/  nell’intimo della vita/ raccolgo stanchezze,/ e perdoni”. E così la sequela della poesia impegnata sbatte contro pregiudizi e false certezze: non esistono mondi migliori degli altri (Abbiamo forse); superiamo le stoltezze della storia (Raggiungi il bordo); sudore e speranza coesistono in noi (Acqua torta); accogliamo ‘beatitudine e fortezza’; i colori della pelle e dei corpi non eliminano la nostra uguaglianza d’esseri umani (Bianca sclera negli occhi); vinciamo insieme la paura, “entro nella vostra / vita” (Il vostro sguardo); nei sogni vivono ancora i profeti, coloro che anticipano i tempi (Le isole del mondo). Incertezze e dubbi, memorie e rimpianti se ne vengono con noi, sempre, nei viali dell’esistenza e proprio con parole sulla condizione umana si conclude Navigando sotto il sole: “Le polveri delle strade/ sono il destino/ di ognuno,/ tra selve e spiagge/ tra porti e sudori/ tra libertà e dolore” (Le polveri delle strade).

Vi sono infine i simil-haiku della Progressione poetica: senza rispettare i canoni giapponesi (tranne la strofa di tre versi) sono ispirati ad essi per la metrica delle immagini delicate e liriche della natura, per la raffinatezza dei sentimenti, per il gusto degli accostamenti inusitati: da leggere.

Enzo Concardi

 

Bolla Giorgio, Navigando sotto il sole, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 70, isbn 979-12-81351-56-1, mianoposta@gmail.com.

 

      

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Enza Sanna, "Epifanie"

20 Febbraio 2025 , Scritto da Maria Rizzi e Enzo Concardi Con tag #maria rizzi, #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

Epifanie

Enza Sanna

 Guido Miano Editore, Milano 2025

 

Torno sui passi di questa meravigliosa poetessa genovese, che ho avuto l’onore e la gioia di prefare nella precedente raccolta di poesie Nei giorni. Le liriche di questa silloge sono state concepite in gran parte nel periodo della pandemia, eppure si intitola Epifanie, che etimologicamente significa ‘manifestazioni’. E i versi di Enza Sanna sono autentiche illuminazioni su eventi che celano significati inaspettati. La poesia in esergo di Emily Dickinson «Non c’è nessun vascello/ che, come un libro,/ possa portarci in paesi lontani…» è una sollecitazione a intraprendere il viaggio con l’artista, a evadere dal reale per scoprire isole inesplorate. La nostra destinazione non è un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose. Cambiare prospettiva non significa cancellare o rimuovere, ma ampliare, elevare la nostra consapevolezza.

La poetessa realizza la prima fuga dal quotidiano nella natura: il suo spirito entra negli alberi, nei prati, nel mare: «…Unico sollievo la natura,/ l’azzurra apoteosi del mare/ nello screziato polverio dell’onda,/ un’aria di primavera/ nel sorriso di pace del mezzogiorno…» (Pandemia). In effetti sono bastate alcune settimane di chiusura a causa del Coronavirus perché la natura cominciasse a uscire dagli interstizi, dove solitamente è relegata dalla presenza dell’uomo, conquistando le strade, i giardini, le piazze. Mentre mezzo pianeta sopravviveva in una bolla di sospensione il creato non si fermava, anzi una delle più belle primavere di sempre sbocciava impavida. I pensieri affioravano contrastanti: la meraviglia di respirare aria pulita e il senso di colpa per esserci spinti troppo oltre nel nostro rapporto con il pianeta e le sue risorse. Nel senso di spaesamento dovuto al lockdown l’autrice cerca le sue rivelazioni nei luoghi che contengono una dimensione magica come l’isola di Arturo, ovvero la coloratissima Procida, situata nel golfo di Napoli e particolarmente cara anche al cuore della sottoscritta. La porzione di terra emersa dell’arcipelago campano, di ancestrale bellezza, è detta di Arturo perché ispirò Elsa Morante nella scrittura dell’opera omonima e il libro nel 1957 le valse il premio Strega. La Sanna si rifugia nell’isola tufacea, dall’aspetto aspro e selvaggio, in quanto avverte quanto l’esistenza sia un naufragare costante verso luoghi che ci attendono.

Ella insegue i sogni e la memoria, le nostre zattere e le nostre macchine del tempo. I primi spingono avanti, i secondi riportano indietro. «…Ci si lascia trasportare/ verso una vertigine di sogni/ inconsapevoli delle ferite dell’ora/ dello stridio stesso dei giorni…» (Esposti all’infinito). L’artista tesa alle epifanie, è donna che ha sofferto e soffre, ma la sua Parola si prefigge di sciogliere il dolore e diviene scoperta quotidiana, respiro, aggiunta, brivido, incanto. Fu Charlie Chaplin a dire: «La poesia è una lettera d’amore indirizzata al mondo». Un atto di pace e di sangue che diviene luce. Lei figlia di una terra di monti a picco sul mare, di punte argentee che sembrano trafiggere il cielo, in risposta al richiamo degli ulivi, ha una trentennale esperienza di lirismo e possiede un linguaggio e un violino che le permettono di scalare il cielo. (…)

Maria Rizzi

 

***

 

Immanenza e trascendenza: ecco due delle dimensioni o categorie filosofiche bipolari che mi pare attraversino la poetica dell’autrice, in altre parole una coesistenza in lei di radici profonde, di legami con le origini, di visitazioni della realtà e contemporaneamente di voli pindarici, d’amore per la vita onirica, di proiezioni nel futuro e nella spiritualità. Un tempo si sarebbe detto un desiderio non conflittuale tra Terra e Cielo, ma un bisogno di entrambi per realizzare uno sviluppo integrale dell’uomo. La poetessa sembra smentire questa interpretazione critica della sua visione del mondo, soprattutto nella lirica Dal fango al cielo, quando nei primi versi afferma: «La mia vita non ha radici in questo mondo,/ cammino su ponti tibetani sospesi nel cosmo/ senza riferimenti, senza rimpianti…». Tuttavia, nel medesimo testo, paragonando la natura del “fior di loto” alla condizione umana ideale, scrive: «…Affonda nel fango, ma la bellezza è intatta» e «splendido esempio dal fango al cielo».

Per non dire della sua osmosi con la Natura, appartenente a questo mondo, o del frequente riferimento alle sue origini liguri e mediterranee, nelle quali s’incardina la sua identità: «Chi sarei oggi/ se non fossi nata sul mare…» distico anaforico iniziale e finale della lirica Nata sul mare. E nel mezzo un’apologetica, appassionata dichiarazione d’amore per il mare, ovvero il mondo acqueo - uno dei quattro elementi delle cosmogonie antiche insieme alla terra, al fuoco, all’aria - che culmina nei versi: «Mistero d’amore, di vita, di gioia» e «Accolta dal tuo abbraccio/ caldo, avvolgente».

Un’altra tematica sviluppata dalla poetessa ligure può richiamare culturalmente il famoso interrogativo di Benedetto Croce relativo alla valutazione della poetica pascoliana: «È il Pascoli il grande poeta delle piccole cose o il piccolo poeta delle grandi cose?». Sembra rispondergli indirettamente Enza Sanna laddove - nella composizione Esposti all’infinito - chiaramente il verso di chiusura non lascia alcun dubbio in proposito: «Perché niente è più grande delle piccole cose». Lei stessa in Epifanie dipana un canto che si posa sulle une e le altre, attuando un rovesciamento della realtà dominante, in base a criteri valoriali che pongono in primo piano ciò che nell’attuale società è praticamente negato e ai margini, e relegando invece decisamente l’apparenza dell’essere odierno fra le vacuità e l’effimero del mondo.

Possiamo senz’altro ricercare le piccole cose della Sanna nella vita quotidiana, nella vita domestica, negli affetti familiari anche se perduti, oppure ancora nella Natura medicatrix, quando questa attrae la contemplazione meravigliata degli occhi della sua anima: «…Mi tende una mano amica la natura/ che non ha spazi vuoti/ e lo sguardo cade/ per la gioia degli occhi e del cuore/ su una crepa del muro in giardino/ dove fa capolino un ciuffo di piccoli fiori/ incredibilmente d’oro nel gelo/ incredibilmente vivi/ nei loro solidi umori» (Antidoto agli spazi vuoti). È con lo stupore della “fanciullina” pascoliana - ricordiamoci che il poeta romagnolo non parla solo al maschile, ma espressamente anche al femminile - che l’autrice attribuisce alla poesia la stessa funzione rigeneratrice della giovinezza interiore, tipica della visione emotiva e irrazionale della sensibilità post-carducciana. (…)

Enzo Concardi

 

_________________________

L’AUTRICE

Poetessa, scrittrice, saggista, critico-letterario Enza Sanna è nata a Genova, dove vive, opera e ha svolto una lunga carriera di Docente di Lettere nella Scuola Media Superiore. Pluriaccademica, ha ottenuto molti Primi Premi Nazionali e Internazionali, partecipando più volte a numerosi Concorsi letterari. Tra la raccolte poetiche più recenti ricordiamo: Quando gemmano i pruni (2003), Amore di mamma (2004), Per vene d’acqua e di terra (2006), Gocce d’arcobaleno (2008), Viaggio nella parola (2009), Per segreti varchi (20109), Kaleidos (2012), Frammenti lirici… ai margini del viaggio (2014), Percorsi d’utopia (2017), Oltre la parola (2020), Nei giorni (2022).

 

Enza Sanna, Epifanie, prefazione di Maria Rizzi, postfazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 100, isbn 979-12-81351-48-6, mianoposta@gmail.com.

 

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Amelio Cimini, "In cammino, 50 anni di poesia in musica"

18 Febbraio 2025 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia, #musica

 

 

 

Amelio Cimini

In cammino, 50 anni di poesia in musica

Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

Di recentissima pubblicazione – gennaio 2025 – questo libro di don Amelio Cimini ci conduce nel mondo della Musica Sacra, genere di cui egli è appassionato studioso ed autore, divulgatore e docente con varie specializzazioni acquisite in materia. Opportunamente il titolo, In cammino, è accompagnato da un sottotitolo esplicativo (50 anni di poesia in musica), che ne indica il genere: testi lirici di canti musicati, ma senza note nella pubblicazione. Ha visto la luce a Milano ad opera della Casa Editrice Guido Miano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000, ed è introdotto dalla competente prefazione di Marco Zelioli. Data la peculiarità della formula editoriale, mi sembra un servizio dovuto al lettore ascoltare le motivazioni di tale scelta dalle parole stesse dell'autore, espresse nella sua premessa.

 Così scrive Amelio Cimini: «Questi testi non nascono come poesie, ma come canti. Mancando qui dell’importante supporto della rispettiva musica, ogni testo risulta quindi (per forza di cose) solo un disarmato tentativo per portare la musica nella vita e la vita nella musica, con linguaggio diretto e nella luce della fede. Certo, “la musica non può cambiare il mondo, solo la gente può farlo. Ma la musica può cambiare la gente” (V. Havel). Questi canti-poesie sono nati sull’urgenza e (spesso) nella frenesia del quotidiano, ma anche sulla necessità, come ricorda il saggio A.J. Heschel, di “pensare all’uomo in termini umani”, visto che viviamo in un’epoca in cui l’uomo, “invece di comprendere, scatta una foto; invece di ascoltare la voce, la registra”. Senza ammantare pretese assurde, questi testi vorrebbero semplicemente trasmettere (riprendendo ancora Heschel) “più che un’emozione, un modo di comprendere e di intuire un significato più grande di noi e farci sentire, nel flusso di ciò che è passeggero, il silenzio di ciò che è eterno”».

 Ovviamente il lettore, mediante la lettura, trarrà da sé i messaggi dell'opera, mentre qui mi sembra opportuno attirare l'attenzione anche sullo specifico della forma poetica, sottolineandone la metrica e i passaggi maggiormente ispirati e quindi propriamente dotati di liricità, immagini e suggestioni. Ogni componimento è preceduto da un incipit riflessivo di due righe in prosa (corsivo) che sintetizza il tema. I testi sono composti da strofe prevalentemente costituite da quartine, ma anche da distici, terzine, sestine ed ottave. V'è ancora, trattandosi di canzoni, un ritornello, ma non sempre, che per sua natura prende il ritmo di un'anafora. L'insieme canta la grandezza di Dio, la profondità della fede, i valori del Cristianesimo, la ricerca della verità e della bellezza, le virtù teologali, la centralità cristologica, la devozione mariana. I capitoli di questo cammino prima esistenziale, indi spirituale, sono stati pensati dall'autore come un susseguirsi di tappe verso la conquista di una pienezza di umanità e di religiosità: la vita, simboli e segnali, la ricerca, la scoperta, il mistero, l'annuncio, donna e madre.

 Da essi cerchiamo allora di trarre alcune lacerti tra i più significativi, sia dagli incipit in prosa, che dai versi in poesia. In Allora capirai c'è l'invito a non fuggire, ad aprire gli occhi, così troverai la vera risposta a tanti perché: “La luce di una goccia di rugiada, / la voce del silenzio nella sera / son orme di un Eterno che ci è Padre, / scintille di un Amore che ci avvolge”. In Lungo i fiumi si suggerisce di diventare seminatori d'infinito, oltre la frenesia della corsa ai risultati: “Se ogni incontro con i fratelli, / se ogni sguardo dei nostri figli / ha il sapore di un triste addio, / tradiremo il mistero dell’uomo”. È esaltata a lungo dall'autore l'opera del Cristo: “Per cambiare l’umanità non ha solo parlato, / ma si è fatto umiltà, misericordia, carità e servizio” (Per un mondo); si tratta del “più grande e incredibile racconto della storia umana, / nonostante l’indifferenza e lo scetticismo degli umani”: “Voglio narrarti una storia, / la storia d’un Dio fatto uomo: / Verbo divino in eterno / e fragile carne nel tempo” (Voglio narrarti). Il libro si chiude con la celebrazione della grandezza della Madre di Dio: “Ti saluto, Maria, / lampada vivissima, /nel tuo grembo dimora / la Sapienza eterna; / donna forte, nuova Eva, / prediletta e conquistata dall’Amore” (Ti saluto Maria).

 Se vogliamo trarre una conclusione al termine di questo cammino, dobbiamo ricorrere a Marco Zelioli: «“Chi canta prega due volte”: cito Sant’Agostino per dire che questo libro è un chiaro invito alla preghiera». Un'attività che oggi a molti può apparire anacronistica ed inutile, ma che invece serba in sé potenzialità insospettate per l'anima umana.

Enzo Concardi

 

Amelio Cimini, In cammino – 50 anni di poesia in musica; a cura di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-10-3, mianoposta@gmail.com.

 

 

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Cormac McCarthy, "Non è un paese per vecchi"

17 Febbraio 2025 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #recensioni

 

 

 

 

NON È UN PAESE PER VECCHI

Cormac McCarthy

 

Non è un paese per vecchi è un libro di Cormac McCarthy da cui nel 2007 è stato tratto un film con Tommy Lee Jones, a cura dei fratelli Coen.

Se in altri libri di McCarthy ci sono lunghi passi filosofico-sapienziali piuttosto pesanti, qui prevalgono un buon ritmo e dialoghi più essenziali.

Si scontrano in questo romanzo pieno di delitti fondamentalmente due visioni, quella della violenza moderna che è insensata e inspiegabile e quella del vivere tradizionale incarnata dallo sceriffo Bell, uomo sobrio e concreto, legato alla moglie e a un mestiere che è congiunto a una vocazione etica; infatti sta a lui proteggere la gente della sua contea e anche essere pronto a morire per i suoi cittadini. È una riserva di moralità in una società in disfacimento.

Ma con la nuova violenza il suo mondo (siamo all'inizio degli anni '80) entra in crisi; come si fa a fronteggiare ciò che non ha senso e logica? Lui che è una voce piena di scetticismo con lo sguardo verso un passato visto come un piccolo Eden, è a disagio. Oggi, spiega, i trafficanti si ammazzano in gran numero nel deserto, tra Texas e Messico. Il dio denaro ossessiona le persone; inoltre c'è uno psicopatico che uccide in modo spaventoso. Un tempo, ricorda Bell, la gente si lamentava perché nelle scuole i ragazzi correvano indisciplinati. Ora siamo in un'altra era. Lo sceriffo si sente disarmato davanti a questa deriva, anche se comunque seguita a lavorare e a credere nel sistema. Non si può più fare un discorso su ciò che è giusto o sbagliato, nota, perché si verrebbe derisi. E il ridicolo è un'arma devastante. Gli anziani hanno lo sguardo dei pazzi, sono disorientati e muti davanti a un mondo illeggibile per loro. Le persone perbene in fondo possono essere vecchie per ragioni non solo anagrafiche; sono vecchie in quanto persone perbene, ci sembra di poter dedurre.

Nella vicenda, c'è un reduce dal Vietnam che si impossessa del denaro di alcuni narcotrafficanti e ciò gli cambierà assolutamente in peggio la vita; poi c'è uno psicopatico, Anton, determinato, intelligente, coriaceo. Ha una sua filosofia che spesso illustra prima di ammazzare; si lascia andare a qualche tirata speculativa in cui assicura che c'è un destino, un determinismo che ingabbia la vita. Secondo Anton ciascuno segue un percorso già segnato e lui non fa che eseguire quello che deve succedere. L'assassino dice "testa o croce?", davanti alla potenziale vittima di turno che deve rispondere, giocandosi la vita; ma per lui tutto è già previsto, il presente non porta novità; non si esce da un tracciato scritto nel proprio passato.

Resta la bella figura dello sceriffo, eroe sconfitto ma dignitoso, spiazzato dall'esplodere di una violenza che corre troppo veloce per lui. È come se qualcosa si fosse guastato nel suo Paese, regalando stragi, serial killer, avidità infinita che non risparmiano né le metropoli e nemmeno la provincia. Ogni tanto si nomina Dio che però è un Dio assente o impotente; non entra nella vita delle brave persone che a lungo lo attendono e che comunque sono così pacate da non fargliene una colpa.

È un'altra grande indagine sul male quella che ci regala Cormac McCarthy, senza dare risposte a parte quella del titolo.

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Giorgio Bolla, "Navigando sotto il sole"

16 Febbraio 2025 , Scritto da Michele Miano Con tag #michele miano, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Navigando sotto il sole

Giorgio Bolla

 Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

Non è sempre facile inquadrare il nucleo ispiratore della tematica di Giorgio Bolla, medico chirurgo con una vita avventurosa alle spalle. Medico alpinista in missioni himalayane in Nepal. Ma anche pilota automobilistico in circuito. Ha corso un po’ ovunque e naturalmente anche in altri continenti. Saggista in campo scientifico clinico ha pubblicato più di 70 lavori, anche in riviste sia nazionali che internazionali.

La raccolta di liriche Navigando sotto il sole nasce dalla sua sofferta esperienza di chirurgo pediatra, dalle vicende vissute nell’Ospedale pediatrico di “Medici senza Frontiere” in Monrovia, capitale della Liberia, nato con l’epidemia di virus Ebola nel 2014.

La poesia di Bolla è un incessante riflettere su se stessa, alla ricerca di un ritmo e di una misura che oscillano tra la tradizione ed una ricerca singolare e che consente contaminazioni spesso felici tra ambiti lessicali apparentemente non contigui. Si potrebbe dire che la riflessione esistenziale si trasformi in un articolato interrogativo sulla possibilità della poesia di cogliere una qualche parvenza di risposta, di essenziale certezza nei momenti in cui, per dirla con Montale, il nostro «seguitare la muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia» lascia uno spiraglio all’animo sempre assetato dell’artista.

La sua poesia infatti esplora il sentimento dell’amore, ma anche la ricerca sensoriale e filosofica. Una poesia suggestiva, ricca di simbolismo e di metafore: un enigmatico peregrinare, un trasfigurarsi da un’apparenza a un’altra.

Quello di Giorgio Bolla è un continuo navigare di pensiero in pensiero, perennemente in bilico tra l’uomo e la natura e in questo compenetrarsi si rivela il senso delle cose. La parola è nuda, scabra; è più incisiva, probabilmente in rapporto a quello smagrire di assonanze e ricerche formali, nella misura in cui il quesito esistenziale e un certo dolore panico hanno tentato il sopravvento radicandosi nella innata facoltà evocativa della natura e dei suoi eventi. Emblematica la lirica Dietro la notte:

 

«Dietro la notte

arriva il vento

dietro l’albero

la notte arriva

dove uomini soli

scelgono il tempo

nella loro costruzione

io guardo il passo

ma dove sta il tempo

quando io non so?».

 

Per Giorgio Bolla la medicina è una missione; ne è consapevole e lo dimostrano le sue avventure in mezzo mondo. Come anche la poesia: anima e corpo sono tra loro inscindibili. La storia è piena di esempi di medici scrittori a dimostrazione che sono due discipline intimamente connesse. Non sarà forse un caso che tanti scrittori hanno esercitato la professione di medico. Del resto, lo scrittore è non solo un «fabbro del parlar materno», ma anche un rivelatore dell’anima.

L’evangelista Luca era un medico e scrisse un vangelo colto e letterario. Dante si iscrisse alla corporazione dei medici e degli speziali per poter partecipare alla vita politica fiorentina. Tra i tanti medici scrittori basti ricordarne alcuni: nel Cinquecento François Rabelais, nell’Ottocento Anton Čechov, nel Novecento Michail Bulgakov.

Nelle nostre più umili cronache editoriali, piace ricordare alcune opere di medici edite da questa Casa editrice ad esempio: Luigi Manzi con Dietro la maschera di garza la cronistoria umana e professionale di un ginecologo oppure il romanzo La lunga notte dei siluri di Eugenio Fontana con prefazione di Giulio Bedeschi (per intenderci: l’autore del best seller Centomila gavette di ghiaccio) opere edite negli anni Ottanta. Ancora più di recente: la poetessa Angela Ragozzino, medico rianimatore, lo psicologo Sergio Camellini tutti della scuderia Miano. Come dire, sulla scia di quel sensibile e laico senso di umanesimo consapevole di chi vede e affronta ogni giorno tanta sofferenza, dolore, senso di rabbia e di impotenza non può non amare il prossimo incondizionatamente.

È la gratuità, l’amore in silenzio verso il prossimo che aiuta il medico scrittore a dare un senso alla propria vita di uomo e di medico. Quasi come portare il peso di un “fardello” di tanta sofferenza, in questo caso, patita nell’ospedale da campo in Monrovia, in mezzo a tanta miseria, al virus Ebola e alle guerre civili. Si legga la lirica Suona la sua voce:

 

«Suona la sua voce

l’uccello del mattino

ed io levo il mio corpo

e preparo il mio sangue

al sudore del giorno».

 

Come se i medici scrittori avessero sviluppato una particolare sensibilità tutta loro, proprio per le sofferenze, atrocità, privazioni vissute in prima persona nei vari campi d’azione. Amare e basta, incondizionatamente. Giorgio Bolla questo lo sa: come medico per la sua professione che si rivela poi una vera e propria missione e come umanista con i suoi versi.

Il poeta sembra quindi suggerire al mondo intero:

 

«Avrò la libertà

di spingerti

di là del cuore».

 

E di questo dobbiamo essergliene grati.

Michele Miano

 

Bolla Giorgio, Navigando sotto il sole, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 70, isbn 979-12-81351-56-1, mianoposta@gmail.com.

 

 

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Don Giovanni Mangiapane, "Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis"

12 Febbraio 2025 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

Don Giovanni Mangiapane

Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis

Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

    A gennaio 2025 è stato pubblicata dalla Casa Editrice Miano di Milano – collana di testi letterari Alcyone 2000 - un’opera a carattere religioso dal titolo Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, con la dotta prefazione di Marco Zelioli. L’originalità di tale libro, non l’unica a dire il vero, risiede nel fatto che è stato scritto nella lingua siciliana, con ovviamente la traduzione italiana a fronte, a beneficio di tutti i lettori, i quali dovrebbero, a mio parere, leggere comunque qualcuna delle composizioni poetiche dell’autore agrigentino Don Giovanni Mangiapane, per constatare l’efficacia della madre lingua isolana nei confronti della traduzione in lingua nazionale: è nota, talvolta, la perdita di liricità e di semantica che avviene nella traslazione operata dal traduttore, per l’impossibilità di rendere fedelmente le espressioni e i ritmi relativi.

   Nel panorama culturale e letterario attuale la poesia religiosa ha sicuramente perso il primato che le era stato conferito dal sommo poeta Dante Alighieri nel Medio Evo, con la Divina Commedia di carattere didascalico-allegorico-dogmatico-escatologico, sebbene essa riportasse anche contenuti politici. Tuttavia ancora nell’Ottocento il Manzoni pubblicava gli Inni Sacri, frutto dell’entusiasmo giovanile del neofita convertito al Cristianesimo, nei quali celebrava le principali feste cristiane, con un’ispirazione appesantita, a dire il vero, dai riferimenti dogmatici. E ancora nel Novecento il frate servita Padre David Maria Turoldo nelle sue poesie salmodianti e liturgiche esprimeva una fede tormentata ed un’alta spiritualità cristologica e mariana.  Oggi la poesia religiosa può considerarsi episodica, ed uno di questi episodi ve lo raccontiamo qui, commentando le preghiere di Don Giovanni Mangiapane, laudi saldamente legate alla Tradizione (Santo Rosario, Via Crucis), al Credo delle certezze, alla visione del mondo integralmente cristiana. Tuttavia il suo porre al centro di tutta l’opera la figura del Cristo e il trarre da questa realtà delle intenzioni ed orazioni per l’umanità sofferente e dimenticata, costituisce a mio avviso un’altra originalità dell’opera, che quindi non si ferma alla memoria dell’avvenuto, ma si sviluppa nel presente, assegnando al credente dei compiti precisi nella sua missione mondana.

     Interessante anche l’architettura e la struttura metrica, che risponde a forme ben definite. Nella prima parte dedicata al Santo Rosario (misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi) ogni composizione è composta da quattro quartine e un distico finale, il cui contenuto cambia ad ogni mistero. Nella Via Crucis l’impostazione è diversa, anche perché appaiono brani in prosa: ogni Stazione riporta, prima della parte poetica, una citazione evangelica (Giovanni, Luca, Matteo più volte) o biblica (Isaia, Salmi), un commento (prosa), la preghiera dedicata (prosa); da notare che le parti in prosa sono solo in lingua italiana. Indi tre quartine e due distici, il secondo anaforizzato per tutte le stazioni (“O gran Vergine Maria, / la vostra pena è colpa mia”), tranne l’ultima, che ha un solo distico. È dunque nella Via Crucis che il sacerdote diventa pastore ed esterna la sua compartecipazione con gli altri, come in questi esempi: “Preghiamo per i tanti volontari dediti al servizio dei molti provati da epidemie e terremoti e altro”; “ Preghiamo per i tanti ammalati nel corpo e nello spirito che restano soli e senza conforto”; “Preghiamo per tutte le donne che fanno fatica ad affermare la loro condizione, perché siano riconosciuti i loro veri diritti”.

   Ultima stazione / Risuscità: “Tomba nova è già vacanti / comu fussi statu nenti / netta bedda profumata / e linzola sistimata. // L’arrubaru l’ammucciaru / li sò apostuli c’amaru. / Gira ancor sta ‘nfamaria / nun ci stannu a retta via. // Ci lu dissi a cantari / cu cuntava a vigliari / oru stoppa verità / Spiritu ‘ntempu rivelà. // Mi rimettu pi la via cu / Gesuzzu e cu Maria”.  Siciliano doc.

Enzo Concardi

 

Don Giovanni Mangiapane, Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, testi in lingua siciliana con traduzione italiana a fronte; prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 72, isbn 979-12-81351-52-3, mianoposta@gmail.com.

 

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Arturo Pérez-Reverte, "Rivoluzione"

11 Febbraio 2025 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #recensioni

 

 

 

 

RIVOLUZIONE

Arturo Pérez-Reverte

 

Rivoluzione è un libro di Arturo Pérez-Reverte ambientato nel Messico di Pancho Villa in cui infuria appunto la rivoluzione, iniziata nel 1910.

L'inizio del libro può sembrare tributario di un cliché abbastanza abusato. C'è un giovane europeo, Martin Garrett; è un uomo istruito, venuto in Messico come ingegnere esperto in esplosivi. Deve lavorare nel settore minerario per conto di un'azienda spagnola. Si trova casualmente immerso in una gigantesca sparatoria tra rivoluzionari e governativi; viene "tirato per la giacchetta", coinvolto nello scontro in cui la sua competenza con l'esplosivo è decisiva. Naturalmente in poche ore si dimostra indomito, efficace, fortunato; conosce addirittura Pancho Villa e tutto il suo stato maggiore. Viene stimato e apprezzato da quasi tutti.

Fin qui la traiettoria sembra abbastanza prevedibile; c'è uno sconosciuto precipitato in mezzo a fatti di portata storica in cui trova un'avventura esaltante. Molto è giocato sulle evidenti differenze culturali e caratteriali tra il giovane ingegnere e il mondo greve e sanguigno dei rivoluzionari e sul fascino esercitato dagli ideali di lotta su un uomo distinto ma curioso.

Poi però il romanzo decolla ed è un piacere leggerlo perché l'autore ha grande maestria nel passare tra ambienti molto diversi tra loro.

Sono superbe le scene delle battaglie, della vita cittadina dove c'è un'aristocrazia molto conservatrice e cariche di umanità e colore le descrizioni degli accampamenti dei rivoluzionari; i miliziani portano con sé mogli, compagne, famiglia. Il protagonista è sempre più coinvolto nelle dinamiche anche politiche della rivoluzione e conserva l'aria un po' goffa e incerta di chi non sa spiegare perché invece di fare l'ingegnere nelle miniere, si occupa di far saltare i ponti per conto di Villa, partecipando a molte azioni pericolose. La sua, infatti, non è una scelta razionale. Vede che le persone accanto a lui ci mettono l'anima in nome della rivoluzione, senza avere particolari bagagli culturali, agendo d'istinto; questo è sufficiente per condividere il loro sacrificio, accettando ogni rischio perché lealtà e amicizia sono da anteporre alla viltà e all'egoismo.

L'altro punto di forza del romanzo sono i dialoghi. In particolare quelli con l'amico rivale, l'ufficiale Córdova con cui c'è una competizione feroce per la stessa donna; è una sfida personale che si aggiunge alla più generale contesa politica, arricchendo la trama. Da sottolineare, infine, la bellezza di un intenso finale drammatico ma non scontato, in cui la parte migliore e più alta del protagonista sembra seguire il tragico decorso dell'avventura di Pancho Villa.

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La porta rosa

9 Febbraio 2025 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con Microsoft Designer AI

 

 

La logora ma intrigante porta di un rosa antico attira la mia attenzione ogniqualvolta passo davanti a questa abitazione. Per un minuto o due rimango a fissarla, trattenendomi un po' di più nelle grigie giornate d'inverno e assumendo un'espressione sognante. Mi sembra di essere in una scena di un film surreale in bianco e nero, nel quale viene colorizzato un singolo elemento.

Dietro la rosea soglia immagino poi che ci abiti una sorridente fata capace di donare letizia ad anime tristi.

Proprio adesso sento una musica dolcissima provenire dall'interno della casa, le cui note fluttuano nell'aria lasciando all'esterno un profumo che sa di carezze di menta piperita e baci di fragole. 

 

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Maria Francesca Borgogna, "Stagioni"

8 Febbraio 2025 , Scritto da Mario Canzanella Con tag #mario canzanella, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Stagioni

Maria Francesca Borgogna

Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

Il lettore graziato dal destino che s’imbatte nell’universo poetico di Francesca Borgogna, si trova immediatamente in un aperto arcano intramato di concretissime esperienze, e di baluginanti immagini del passato, che risorgono per essere ascoltate, per imporsi nuovamente alla memoria e all’esperienza dell’autrice, la cui sensibile e dolorosa meditazione è risposta all’urgenza della meditazione, del canto, del mormorare sommesso di materne presenze. La condivisione nello spazio poetico nasce da un traboccare amorevole e amaro, che ridesta lo schianto dei giorni felici, o il lento declinare di una stagione.

L’autrice non teme più gli «strapiombi di silenzio» (Di novembre), come non sembra più paventare i falsi allarmi del tempo, le «schegge di pioggia» (ivi) dell’inclemenza di avvenimenti ineluttabili, che si consumano in una dimensione appartata, solitaria, difficilmente riepilogabile in enunciati composti e ben allineati. Da qui il desiderio ancestrale del verso come una specie di lente, a volte uno specchio, una superficie luminosa, il cielo, il mare, ma anche l’acqua sporca che s’infossa in sentieri sconnessi, le gore che si addensano negli avvallamenti delle età trascorse.

Questa poesia è necessaria poiché esprime il bisogno inestirpabile dell’animo umano di narrarsi, di riepilogarsi per tornare ancora a interrogarsi sul suo destino. Al soggiornare in un presunto approdo, fa immediatamente seguito lo sconvolgimento interiore di un possibile nuovo inizio, e tali pulsazioni sono lo svilupparsi elastico e spigoloso dei versi stessi: essi giungono a dire, oltre l’esprimibile nel nitore dell’enunciato consunto dalle convenzioni, la lingua segreta delle cose, il risvolto segreto dell’anima delle cose in cui si perde lo sguardo magnetizzato dell’autrice.

Colpisce certamente la sensibilità del lettore accorto e circospetto la prodigiosa varietà di registri che l’autrice ci offre come un diario di viaggio, una memoria che trascolora nel ritrovato affetto, dopo ogni inevitabile burrasca, per le cose che la circondano, e che restano là, in attesa di lei, dopo ogni viaggio, ogni distacco, che non è mai tradimento delle sue radici equoree e mediterranee.

Dalle geometriche poesie di questa raccolta, tenera e crudele, aspra e dolce, emergono molti complessi sentimenti del mondo, del tempo, della natura, dei rapporti umani e un infinito interrogarsi sul ruolo che la memoria e l’esperienza hanno nei destini umani. Come giustamente osserva George Steiner nel suo Vere Presenze, ora non bisogna far velo alla luce dei versi, al loro respiro di volta in volta allarmato e riconciliato. Ciascun lettore, investendo le sue gioie e angosce nell’esperienza sovrana della lettura, comprenderà ciò che può, ciò che deve, ma sempre con la confidente certezza di introdursi in un clima spirituale che si offre alla meditazione, alla lenta distillazione di sentimenti che non si perderanno nell’oscuro volgere dei giorni, e, in ultima analisi, in dimensioni in cui, tenuto per mano dall’autrice, forse ritroverà nuovo slancio e nuovi entusiasmi ed una concreta, reale opportunità di sviluppo e di crescita interiore.

La radice orfica e pitagorica riappare sempre là dove la poesia non è descrizione sentimentale immediata, ma filtro magico del dolore, infinito che il verso rende tangibile, eterno che finalmente possiamo identificare in ogni attimo di ogni nuovo giorno. Le Stagioni segnano così il confronto dell’autrice con le «maghe di Tessaglia» (Fugace), con gli allestimenti scenici del ricordo, sempre chiaroscurali anche nella luce accecante del mezzogiorno; col flusso del tempo su cose e persone, un tutto roteante che, in tal modo, presto «non ha più nome» (Di verde e di pietra). Non ci sono più né domande né risposte nella pura temporalità. Per tali motivi, l’autrice non ci nasconde, a volte, la sua pena, la delusione, il terrore del confronto con «le belve affamate» (Oltre la notte) che non si sono fatte annunciare, e che si sono avventate su ogni cosa. Ma c’era sempre ad attenderla «una fragile alba chiara» (ivi), così nulla ha potuto sospendere in lei gli appuntamenti con sé stessa, la cura per la natura, lo sguardo affettuoso rivolto in perpetuo pieno affidamento alla natura. Ci sono, certo, «sogni dismessi (…) una fragile folata/ di tardiva primavera» (La noia); e c’è inoltre la lacerante consapevolezza della generale cecità umana, nella quale si consuma un dramma vergognoso di aridità e ottusità, e che porterà inesorabilmente ad una visione desolata e terribile del destino degli uomini; tuttavia, anche se «invano il tempo ci porta/ il canto antico degli uccelli» (Alla fine), il mondo è colmo della gioia dei “giochi effimeri” che i poeti e i bambini, figure angeliche, raccolgono, conservano, sempre pronti a devolverli con un sorriso insondabile a chi sa riconoscerne il valore, a chi accetta di misurarsi col valore, a chi riconosce il valore perché è di valore.

Il poetico, se è possibile adombrarne le vibrazioni senza alterarne l’intima preziosa essenza, è certamente questa fiducia, questa incondizionata capacità di amare disinteressatamente tutto ciò che si manifesta nella gioia, nell’intelligenza, nella fiducia, nel raccolto splendore dei gioielli di Opar.

L’ampia tavolozza di Francesca Borgogna s’inoltra così nell’avventura di esporsi negli infiniti desideri destinati a rimanere inappagati, ma proprio per questo, capaci di descriversi fino in fondo, riflettendosi negli specchi di mille occasioni e osservazioni. Il lettore saprà accedere a queste meraviglie se serberà l’austera gentilezza e la forza del cavaliere in cerca di sé stesso, e che attraversa lentamente, in groppa al suo splendente sauro, il gelo, la neve, i rigori dell’incomprensione, le acque che scorrono, le comunità di piccoli animali di tutti i regni della terra che lo osservano ragionando tra loro con gli sguardi e piccoli suoni, le nebbie, i venti in cui tutto si rimette eternamente in moto, in ogni plica dell’essere. La Luna osserva, e il suo sguardo d’argento sembra ispirare coraggio e perseveranza all’autrice, spesso persa in un mare ostile di inquietudini, silenzi, rotte segrete.

Tutta la serie di Stagioni ci offre variazioni sul tema della fragilità, del mutare degradandosi, del patire nell’acido inclemente del tempo. Sono gli attimi che ci colgono impreparati, inermi, di fronte all’ignoto, e in cui ci percepiamo come “equilibristi ciechi” che hanno tuttavia ormai percorso un cammino significativo, davanti al quale si profila la sequenza di tutto ciò che non è stato, di tutto ciò che, privandoci, impoverendoci, raddoppiava nel colpo inferto senza misericordia di una doppia definitiva assenza, una non nascita per troppo affetto, per strabordante desiderio, sempre punito, sempre umiliato.

Ma resta, ci assicura la voce severa e dolce che ci parla, un «ardente profumo» (I mai nati) del fuoco sacro che arde nel ricordo indelebile. L’attraversamento di queste Stagioni non può, però, concludersi con una katàbasis: la discesa agli inferi ormai è parte della vita, la sapienza di questa poesia lo sa bene, ed è questo il dono più prezioso, dono fraterno, che l’autrice ci offre, la sua esperienza di un’anabasis, semmai, un’ascesa, e poi un osservare nella luce di un nuovo giorno la vita che si rinnova, le mille creature che la circondano, tra le quali, ella, con amore infinito ha accolto ogni pietra e ogni grano di sale.

Marco Canzanella

 

Maria Francesca Borgogna, Stagioni, prefazione di Marco Canzanella, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-55-4, mianoposta@gmail.com.

 

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L’AUTORE

Maria Francesca Borgogna è nata a Procida (NA) e ha conseguito la laurea in Filosofia presso L’Università degli Studi Federico II di Napoli; insegna Lettere. È presente in diverse antologie poetiche. Ha pubblicato tre romanzi: Il Talismano (2008), Nel cuore della penombra (2015), Sub Rosa - Il segreto (2019). Ha inoltre pubblicato la silloge poetica Nel breve arco di un baleno (2020), la raccolta di fiabe Tredici (2011), il volume Quinta di luna. Storia e suggestioni dal mare di Procida (2013), la raccolta per bambini MiniStorie di mare, di terra, di cielo (2020) e la raccolta in prosa e versi L’odore del mare (2023).

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