Premio letterario Demetra 2021
Premio letterario Demetra 2021
Debutta il primo premio italiano
dedicato alla letteratura ambientale indipendente
promosso da Comieco ed Elba Book Festival
Possono l’ambiente e, in generale, le tematiche legate alla sostenibilità essere al centro di storie, saggi e racconti? La risposta è sì, tanto che la letteratura cosiddetta “ambientale”, particolarmente sviluppata all’estero, sta trovando sempre più spazio anche nel nostro Paese.
Proprio per promuovere la saggistica “green” italiana, che mette al centro delle storie l’ambiente, è nato il Premio Demetra (nome ispirato alla “dea della natura” nella mitologia greca), organizzato da Comieco, il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica, ed Elba Book Festival, rassegna dell’editoria indipendente giunta quest’anno alla VII edizione, con il sostegno di ESA Ambiente, Unicoop Tirreno e il patrocinio del Parco Nazionale Arcipelago Toscano.
La coscienza ambientale che guida i nostri comportamenti e i piccoli gesti che possono fare la differenza sono ormai parte della quotidianità ed anche il mondo della letteratura ne trae ispirazione con un filone specifico, ricco di diramazioni e tematiche: dalla letteratura d’inchiesta a quella scientifica, dalla divulgazione mirata a bambini e ragazzi alla saggistica che pone l’ambiente al centro degli intrecci. Ed è questa tipologia di “storie” che il premio Demetra è dedicato.
Potranno partecipare, infatti, le pubblicazioni a tema ambientale di carattere saggistico e di inchiesta edite in lingua originale italiana da editori indipendenti nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2018 e il 15 maggio 2021, che saranno poi valutate da una giuria composta da: Ermete Realacci - Presidente Fondazione Symbola, Sabrina Giannini – Giornalista e scrittrice, Ilaria Catastini - Editore, Duccio Bianchi - Responsabile scientifico, Giorgio Rizzoni – Elba Book.
Le opere dovranno essere iscritte al concorso entro e non oltre il 31 maggio 2021 e i vincitori saranno premiati nell’ambito dell’Elba Book Festival a luglio 2021. Il primo classificato si aggiudicherà un premio in denaro pari a 4.000 euro, mentre il secondo classificato riceverà un premio di 2.000 euro.
Il bando del concorso e la domanda di partecipazione sono disponibili su www.comieco.org e www.elbabookfestival.com
Ritorno a Lisbona
Un giorno l'incantesimo del Mozambico è stato spezzato, siamo ritornati a Lisbona. Non ci sono parole per descrivere la sensazione di perdita che mi colpì. Da un giorno all'altro tutta una vita, tutta un'allegria, tutta una bellezza colorita, sparita!
Già conoscevo Lisbona, avendo qui passato periodi di ferie. Felicissimi periodi, perché qui c'era tutta la famiglia, nonni, zii, zie, cugini. Finite le ferie, c'era la sicurezza del ritorno.
Adesso, ci dovevo restare. Ho sentito di colpo che la mia vita era finita! La mia vita non poteva essere più allegra perché qui i palazzi erano alti, enormi, e io ero abituata alle case con un giardino intorno, e alla libertà nel respirare che ci si provava. Per di più, le strade erano strette. Bastava questo alla sensazione di asfissia. Alla perdita di libertà nel respirare. Alla mancanza di libertà.
Non potevo più andare in bici per strade sterrate, non abitavo nemmeno in una strada sterrata. Non avevo le mie amiche, i miei amici, alla distanza di una passeggiata. Infatti, non avevo più amici! Un mondo sconosciuto aleggiava davanti a me.
Valérie Perrin, "Cambiare l'acqua ai fiori"
Cambiare l’acqua ai fiori
Valérie Perrin
Edizioni E/O
pp 473
18,00
C’è chi ha odiato questo libro e chi lo ha amato. Appartengo alla seconda categoria. L'ho preso in mano con l'intenzione di darci solo un primo sguardo, ma appena aperto mi ha subito catturato con quell’aura così francese – Valérie Perrin è la donna di Claude Lelouch - con quella delicatezza da pizzo Valenciennes. Poi, però, sono sprofondata nel gorgo del suo mistero e nei continui cambiamenti di prospettiva e significato, negli intrecci intrigati e mescolati a bella posta. Un romanzo che, nonostante ti costringa a una lettura attiva e partecipata, si fa leggere un capitolo dopo l'altro, a precipizio, senza potersene staccare.
Violette fa la guardiana di cimitero, è senza età, elegante, la sua casa profuma di rosa, di tè, di candele, sotto i cappottini severi spuntano vestiti rosa confetto, nel suo camposanto vivono una colonia di gatti e qualche cane che va a trovare il padrone defunto.
Non è sempre stata una donna curata e colta, ha un passato di abbandono, analfabetismo, sciatteria. Ma ha sempre dato tanto amore a tutti, si è sempre fatta da parte per gli altri, si è sempre presa cura di qualcuno. Cresciuta in una casa famiglia, ha poi concesso anima e corpo a un marito approfittatore e anaffettivo ma bello come un dio. Un marito di cui tutte s’innamorano. Un marito che la tradisce ogni notte con chi è a tiro. Con lui ha una figlia che perisce in un incidente, capitato non si sa come in una colonia estiva. Violette muore dentro insieme alla figlia per poi rinascere.
Come dicevo, la prospettiva di questo romanzo appassionante si ribalta in continuazione, lo sviluppo contempla continui salti temporali, avanti e indietro, che, tuttavia, fanno progredire sempre la trama. Ciò che ci sembrava in un modo all’inizio si trasforma in altro a suon di colpi di scena. Il marito, Philippe Toussaint, che nel cognome sembra già presagire il mestiere della moglie, acquista interiorità, diventa il personaggio principale, oltre ogni sotto-trama. Capiamo le sue motivazioni, la sua improvvisa sparizione, le sue rinunce.
Protagonista è la morte, onnipresente come deve essere in un cimitero. Non è né esorcizzata né sublimata, ma vissuta, considerata un fatto comune e ineluttabile, analizzata nella sua quotidianità e nel suo significato universale, filosofico. Violette assiste a tutte le inumazioni, annota i discorsi di commiato, la forma delle lapidi, il legno della bara. Si occupa dei fiori, pulisce le tombe, riceve nella sua casa i parenti inconsolabili, raccoglie le loro confessioni, è testimone dei loro amori passati. Le storie d’amore raccontate in questo libro sono tante, un amore profondo, duraturo, che oltrepassa la morte.
La Perrin ha la mano leggera anche quando sta raccontando di maltrattamenti, di suicidi, di sesso senza amore, ma l’angoscia ci attanaglia comunque, pian piano, inesorabile, fatta di chiaroscuri, di particolari impalpabili, e un velo di malinconia copre ogni cosa, dolce e profumato come la cipria di Violette, come le sue rose.
There are those who hated this book and those who loved it. I belong to the second category. I picked it up with the intention of just giving it a first glance, but as soon as I opened it, I was immediately captured by that French aura - Valérie Perrin is Claude Lelouch's woman - by that delicacy of Valenciennes lace. Then, however, I plunged into the maelstrom of her mystery and into the constant changes of perspective and meaning, into the intrigued and deliberately mixed plots. A novel that, despite forcing you to an active and participatory reading, lets you read one chapter after another, precipitously, without being able to detach.
Violette is a cemetery guardian, she is ageless, elegant, her house smells of rose, tea, candles, candy pink dresses appear under her severe coats, a colony of cats and a few dogs live in her cemetery.
She has not always been a well-groomed and cultured woman, she has a past of abandonment, illiteracy, sloppiness. But she has always given so much love to everyone, she has always stood aside for others, she has always taken care of someone. Raised in a foster home, she then gave body and soul to a profiteering and anaffective but beautiful as a god husband. A husband that everyone falls in love with. A husband who cheats on her every night with those in range. She has a daughter with him, who perishes in an accident, which happens, no one knows how, in a summer colony. Violette dies inside along with her daughter and is then reborn.
As I said, the perspective of this exciting novel is constantly reversed, the development contemplates continuous time leaps, back and forth, which, however, always make the plot progress. What seemed to us in one way at first is transformed into other with twists and turns. The husband, Philippe Toussaint, who in the surname already seems to presage his wife's job, acquires interiority, becomes the main character, beyond any subplot. We understand his motivations, his sudden disappearance, his renunciation.
The protagonist is death, as omnipresent as it must be in a cemetery. It is neither exorcised nor sublimated, but lived, considered a common and ineluctable fact, analyzed in its everyday life and in universal, philosophical meaning. Violette attends all the burials, she notes the farewell speeches, the shape of the tombstones, the wood of the coffin. She takes care of the flowers, cleans the graves, receives inconsolable relatives in her house, collects their confessions, witnesses their past loves. The love stories told in this book are many, a deep, lasting love that goes beyond death.
Perrin has a light hand even when she is talking about mistreatment, suicides, sex without love, but the anguish still grips us, slowly, inexorably, made of chiaroscuro, impalpable details, and a veil of melancholy covers everything, sweet and fragrant like Violette's face powder, like her roses.
Valentina Mattia, "Complici senza destino"
Complici senza destino
Valentina Mattia
Golem Edizioni
pp 236
16,00
Una prova straordinaria Complici senza destino di Valentina Mattia, un bellissimo romanzo, scritto magistralmente, che ho letto tutto d’un fiato. Non è la solita storia italiana di precariato, di giovani senza meta né futuro, piuttosto qualcosa che affonda le sue radici nell’attualità per travalicarla, un realismo che diventa iperrealismo, uno strano chiasmo dove le situazioni normali acquistano, in un preoccupante accumulo di particolari, la connotazione dell’incubo, mentre, al contrario, alcuni terrori si rivelano infondati.
Nunziatina è siciliana. Conosce in chat il tunisino Amhir, non lontano da lei in linea d’aria ma distante per cultura e background. S’incontrano, lui viene a vivere in Italia, s’innamorano. L’unione fra di loro è contrastata dalle rispettive famiglie, ma è facile, perché basata sull’impulso del cuore e sulla semplicità con cui i sensi si attraggono e riconoscono. Lei fa l’infermiera, lui raccoglie uva. Si sposano in chiesa, nonostante lui sia musulmano. Il loro forte erotismo e la dilagante fertilità li portano ad avere tre figlie in pochi anni.
Amhir – bello, misterioso, romantico – nasconde però un segreto, fa parte di una cellula terroristica dormiente. Prima o poi dovrà compiere l’attentato finale, dovrà farsi saltare in aria per la causa.
Il matrimonio si sgretola ma, a mio avviso, non è il tragico impegno di Amhir il motivo del fallimento coniugale. Anzi, mi sembra che il terrorismo qui sia solo il simbolo letterario delle sconfitte di fronte alle quali la vita ci pone.
Come sarebbero andate le cose fra Nunziatina e suo marito se lui non fosse stato votato alla causa? (Ma lo è poi davvero?) Probabilmente nella stessa maniera, perché è la vita che ci logora, che trasforma i sogni in quotidianità, il romanticismo in abitudine, abbrutimento e noia, che scava nelle differenze ampliandole invece di avvicinare. La vita presenta il conto, sotto forma di tre figlie piccole da accudire, di una malattia da combattere, di donne più giovani e avvenenti che prendono il tuo posto nel cuore di chi ami.
Se c’è un difetto in questo romanzo è nella parte finale ambientata in Tunisia, che risulta forse un po’ troppo da dépliant, a contrasto con il realismo della parte italiana. Ma può darsi che questo serva ancora una volta a invertire il giudizio, a mettere in una luce serena e piacevole il luogo da cui il male si origina – il mondo di Amhir - a contrasto con quello dove il male viene compiuto, l’occidente.
Un libro che affronta il tema dei matrimoni misti e del terrorismo ma, soprattutto, un romanzo di anime, d’incomunicabilità, di segreti, di non detto, di razionalità che non collima con l’istinto; un’opera di facile lettura ma che ti sprofonda in un gorgo d’angoscia insieme ai protagonisti, con un senso crescente di soffocamento e ineluttabilità.
L’amore non basta quando si è diversi per estrazione, cultura, religione. Alla fine la sorte riacciuffa, Amhir va incontro al suo destino, Nunziatina rientra nel suo solco, nel binario fatto di gesti concreti e tutto sommato piacevoli: le figlie, il lavoro, un nuovo/vecchio amore.
Forse solo Giusi, la minore delle figlie, avrebbe potuto - o potrà – colmare il divario, far coincidere gli opposti, il suo essere donna occidentale con il retaggio dei parenti islamici, i cannoli siciliani con i corni di gazzella. Forse, ma, intuiamo, questa è solo una possibilità.
Stella
Stella, mai nome più appropriato.
È già passato un mese dall'incidente. Da allora, tutto solo, ogni sera per intere mezz'ore, malinconicamente mi affaccio sul balconcino, quello che era il nostro rifugio. Anzi, lo è ancora, mia amata Stella.
Nel contemplare l'infinita estensione, rimango assorto da miriadi di asterischi luminosi, i quali son sparpagliati sulla tela corvina posta in alto. Ah, se fossi un pittore, dipingerei un quadro per poi titolarlo Firmamento d'Amore.
Stella, Stellina, la notte ci è vicina...
Che schifo di connessione!
Che schifo di connessione!
Ho provato inutilmente ad accendere e spegnere il router, per non parlare di quanto ho smanettato con le configurazioni. Non so più che pesci pigliare, oltretutto tra un'ora inizierà una videoconferenza di lavoro dove c'è in ballo la mia promozione.
Diamine, la cosa che mi fa girare i satelliti è che ogni due mesi pago puntualmente una bolletta piuttosto salata, ragion per cui la Solar System deve garantirmi un collegamento coi fiocchi ventiquattr'ore su ventiquattro.
Non mi rimane che prendere il telefono per ricevere assistenza. Digito il Numero Marrone, marrone come la merda che mi è esplosa nel cervello, e resto in attesa che mi risponda qualcuno con tanto di musichetta, al limite dell'insopportabile.
«Salve, sono Andromeda, mi dica pure!» risponde un'operatrice dalla voce metallica.
Le espongo nervosamente la mia problematica, aggiungendo inoltre che un disservizio del genere non mi era mai capitato.
«Moltissimi utenti stanno riscontrando la stessa anomalia visto che la connessione proviene da Saturno» mi spiega Andromeda. «Appena può, clicchi su 'Impostazioni,' poi su 'Server galaxy' per spuntare la casellina 'Marte.'»
Ringrazio l'operatrice e termino la telefonata, prodigandomi immediatamente per attuare l’indicazione ricevuta tramite il PC.
Oh, finalmente! Ora sì che internet è velocissimo, tutto... un'altro pianeta. E pensare che la Solar System, secondo quanto riporta la Gazzetta della Terra, progetta di creare un server anche su Plutone. Mah, forse è meglio se “spazierà” un po' più vicino.
'Il Grande Lebowski', cult-movie dei fratelli Coen diventa un drink, in una rivisitazione del White Russian da parte della bartender Laura Schirru
La Polugar N.1 Rye & Wheat, prodotta da una miscela di segale e grano, ha sentori intensi di pane appena sfornato, note di grano e segale e di pepe nero, caratterizzata da un sapore deciso che dona robustezza ai sapori dolci e contrastanti del cioccolato e dello yogurt al caffè. Prodotta in Polonia dalla distilleria Rodionov & Sons, in una foresta e lontano da altri stabilimenti industriali, strade e città, Polugar non assomiglia alla vodka moderna: è una bevanda alcolica più antica, prodotta nell’era in cui tutti i distillati di cereali venivano realizzati usando alambicchi di rame.
Un cocktail, il White Russian e il suo twist di Laura Schirru, cucito addosso a Drugo, che conduce una vita pigra, piacevole e disimpegnata, condita da qualche partita di bowling con gli amici e bagnata proprio dal drink che lo accompagna sempre, nel suo approccio calmo e rilassato alla vita, anche nei momenti drammatici e senza via di uscita. Uno stile che è diventato di culto e che ha reso il White Russian e tutti i suoi epigoni un vero e proprio accompagnamento alla vita quotidiana.
Kraus Folner, "Holidays"
Holidays
Kraus Folner
Castelvecchi Editore, 2020
pp 117
14,50
Un romanzo per appassionati di viaggi e di cucina stellata più che un vero e proprio thriller. Si genera fin dall’inizio un interesse spasmodico e inquietante per cose che non si conoscono ma intrigano, un senso di aspettativa, una tensione quasi sessuale che non sempre si scioglie. Il ritmo serrato e frammentato della narrazione ricorda la sceneggiatura di una serie televisiva.
È agosto, la squadra del comandante Riccardo Caputo – già protagonista di altri libri di Folner - è sparsa ai quattro angoli della terra per una meritata vacanza. C’è chi attraversa gli Stati Uniti in un viaggio a tema cinematografico, chi si addentra nella giungla africana alla ricerca di gorilla e chi, come Caputo stesso, visita la Cina. Nazione enorme, crogiolo di etnie e minoranze, centro allarmante del potere centrale, dove ogni dissenso è perseguitato, dove tutti sono controllati da telecamere in ogni momento della loro vita. Questo mastodonte burocratico e dittatoriale sta tramando qualcosa per liberarsi dell’opposizione e di tutte le minoranze religiose. Forse, lascia intendere l’autore, noi adesso ne stiamo pagando le conseguenze.
Due donne vengono uccise, la sorella di uno dei protagonisti scompare, una dominante mascherata viene strangolata mentre fa sesso in diretta con un oscuro impiegato cinese. La squadra deve indagare, ricomporsi.
L’autore mescola alla trama ciò che conosce: la tecnologia informatica, i grandi viaggi, la buona cucina, e queste sembrano essere le tematiche che davvero lo interessano.
Tutti i personaggi sono credibili e hanno qualche debolezza che li rende umani, spesso legata alla droga o al sesso. Il cinese Kao è un masochista che si bea di un rapporto di sottomissione, Isabela ha bollenti fantasie erotiche con la guida nera che accompagna lei e il marito nella giungla, Paola è sgradevolmente borghese ed egoista, lo stesso Riccardo, pur amando la moglie, non disdegnerebbe un pomeriggio di sesso esotico se ne avesse l’occasione.
La gente che vive a Montecarlo, a Dubai, a New York o nella stessa Cina è spesso depravata e viziata, agguerrita come i coccodrilli che tentano di rovesciare la barca di Thomas. I governi distorcono le scoperte scientifiche, le manipolano e volgono a favore della sopraffazione e del controllo globale.
Solo nell’abbraccio impossibile con il gorilla, nell’incontro con la natura primigenia, l’essere umano ritroverebbe una bontà ancora incorrotta.
Lorenzo Beccati, "Il pescatore di Lenin"
Il pescatore di Lenin
Lorenzo Beccati
Oligo Editore, 2021
pp 236
16,90
Un romanzo molto bello, scritto benissimo, Il pescatore di Lenin, di Lorenzo Beccati, scrittore, doppiatore e autore televisivo Mediased.
Per una volta non partirò dalla trama ma dallo stile, elegante e letterario quanto dovrebbe essere quello di tutti i libri pubblicati, anche se purtroppo, ormai, questa è invece una rarità. Un linguaggio semplice ma raffinato, condito da poetiche e inusuali similitudini, per cui il muro della facciata era così bianco che veniva voglia, per dargli un po’ di colore, di “pizzicarlo”, come fanno le donne vanitose o innamorate sulle gote per levarsi il pallore, o le parole si smorzarono e strisciarono via come serpi, o, ancora, gli occhi accesi come lampare.
La storia, romanzata e di fantasia, si basa sull’assunto che Vladimir Il’ic Ul’janov, ovvero Lenin, sia stato per breve tempo a Capri, prima della rivoluzione russa. A Capri, infatti, nel 1909 c’è una scuola politica, vi vengono addestrati quelli che formeranno la futura dirigenza del partito, ma ora si mescolano con indolenza ai turisti e non disdegnano la vita comoda come i ricchi. Lenin si trova a Capri con un obiettivo preciso e segreto, che verrà svelato solo nel finale e che non posso rivelare. La trama si basa sull’espediente del manoscritto ritrovato – il libro nel libro – e narra dell’amicizia fra Lenin e Antò ‘o Muto, un pescatore dell’isola.
Lenin non è ancora quello che tutti conosciamo, l’uomo spietato, determinato e feroce della Rivoluzione d’ottobre, ma una personalità tutto sommato galante e rispettosa. Accade spesso che certe figure storiche, se prese singolarmente e fuori contesto, dimostrino lati teneri e umani che, sebbene sorprendenti, coesistono con l’immagine pubblica. L’amico Antò incarna, invece, il proletario ingenuo, il buon selvaggio, l’umile che il credo marxista voleva vendicare e liberare. La borghesia dell’isola è, al contrario, cattiva, prepotente e viziosa, con quell’arroganza che solo i soldi e l’abitudine a sottomettere e comandare danno.
I due si legano di amicizia spontanea e profonda. L’uno diventa il paladino dell’altro. Antò fa da guida a Lenin in una Capri romantica, da dagherrotipo dei primi del novecento, che diventa protagonista, con il suo mare, i suoi barbagli di sole sull’acqua, i suoi Faraglioni, le sue ville e la profumata macchia mediterranea. Antò è una figura tragica e cristologica nella sua ingenuità infantile, nel suo “puro” e quasi incolpevole desiderio di catarsi, nel suo credere che la rivoluzione sia la panacea per tutti i mali e le ingiustizie del mondo. Ed è, per il bolscevico e uomo di partito Lenin, una sorta di coscienza che lo mette di fronte a quello che dovrebbe essere lo spirito più autentico dei suoi ideali. Uno spirito senza compromessi, votato solo alla causa. Ma, nella pratica politica, il compromesso esiste e, come afferma Lenin, “il nemico va conosciuto per poterlo combattere”.
Alla fine il cerchio si chiude, i tasselli s’incastrano. In bocca rimane un sapore antico e buono, salato come il mare della grotta Azzurra o, forse, come le lacrime di un emigrante.