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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

interviste

9 domande e 1/2 a Patrizia Poli  

6 Luglio 2023 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #interviste, #poli patrizia

 

 

 

 

 

Amici lettori di signoradeifiltri.blog, Patrizia Poli ha scritto un libro nel quale ha messo tutta se stessa, la sua anima e la sua professionalità. Ora, per darvi modo di conoscere La pietra in tasca, edito da Literary Romance Edizioni, le rivolgerò le mie proverbiali 9 domande e 1/2.

 

 

1 Cosa vuoi dire ai lettori che conoscono la storia delle sorelle Brontë?

 

Il testo è liberamente ispirato alla vita di Emily Brontë e al suo imperituro romanzo Cime tempestose.

Non è l’ennesima biografia, per questo vi rimando a quella classica, e fuorviante, di Elizabeth Gaskell – da cui è tratto il mirabile romanzo di Lynne Reid Banks e che ha contribuito a creare la “leggenda dei Brontë” –, a quella monumentale, moderna e innovativa di Juliet Barker o a quella poetica e struggente di Paola Tonussi.

Qui è Emily che, ormai spirito nella brughiera come la sua Cathy e il suo Heathcliff, ricorda la propria vita e rivive il romanzo. Per questo ci sono ripetizioni e rimandi continui, per questo si va volutamente avanti e indietro nel tempo, mentre i ricordi si mescolano e rincorrono, insistenti, in un flusso di coscienza inarrestabile.  

Oltre alla bellezza immortale del romanzo scritto dalla più misteriosa e solitaria delle sorelle Brontë, a colpirmi è l’atmosfera di morte che ha accompagnato questa tragica famiglia, a partire dal luogo dove i fratelli sono cresciuti, circondato da cupe pietre tombali, fino ai drammatici fatti che li hanno strappati al mondo nel fiore degli anni, uno dopo l’altro.

Che cos’ha di tanto travolgente il romanzo di Emily? L’eroe byronico è scisso in due e non ha nessuna controparte capace di rabbonirlo e redimerlo. In realtà l’eroe satanico trova qui la sua amata metà dell’inferno. Heathcliff e Cathy non “s’innamorano”, non si scoprono, semplicemente “esistono” l’uno nell’altra, da sempre e per sempre (e, entrambi, sono Emily Brontë).

Un libro senza scampo, senza redenzione, almeno per i due eroi principali – dove la morte non è una sconfitta o una punizione bensì un premio. Non vanno in paradiso, questi due, né all’inferno, vanno in un luogo – la brughiera – al quale entrambi appartengono; si ritrovano, tornano a fondersi, a essere di nuovo la persona che la sorte aveva diviso.

Personaggi non immorali ma premorali, agiscono come gli elementi atmosferici, come un fiume che esce dal suo letto o un terremoto che scuote le fondamenta della terra. Non importa quante vittime lascino sul cammino, loro devono fare quello che fanno, cioè amarsi, azzannarsi, fondersi. Ecco perché questo romanzo è così unico, così speciale, così fuori dal tempo.

Né biografia né riscrittura, quindi, come sempre, ho solo parlato di quello che mi piace immensamente e che conosco, rivivendolo dentro di me.

 

2 E per quelli che invece non le conoscevano?

 

Si lascino pure trasportare dall’atmosfera e dalla storia ma poi, chiuso il mio testo, corrano a leggersi il classico.  

 

3 Puoi raccontarci la tua gioia e il tuo dolore nello scrivere il testo?

 

Gioia grande per aver potuto approfondire come meritava un argomento che mi affascina da sempre, dalla prima volta quando, ragazzina, mi sono calata nell’atmosfera “haunted and ghosted” del romanzo, fino a quella prima tesina scritta all’università, insieme alla mia amica C.D., che mi ha lasciato la voglia di saperne di più. Su questo si basa tutta la conoscenza e anche la scrittura per me: la curiosità di saperne di più.

Dolore nel ripercorrere le vicende della famiglia Brontë, così disgraziata. Pensare a tutte quelle vite e quei talenti andati persi nel fiore degli anni, rivivere la solitudine di Charlotte rimasta sola con i ricordi nella casa vuota, è straziante.

 

4 Com'è stato lavorare con Literary Romance Edizioni?

 

Avevo già lavorato con Simona Friio della Literary Romance per L’isola delle lepri e devo dire che mi sono trovata benissimo. Lei è una persona seria, competente, affidabile, professionale. In più, abbiamo la stessa sensibilità e lo stesso bagaglio culturale, fatto di letture e passioni comuni.

 

5 Hai mai avuto paura di non farcela?

 

Ho certamente avuto paura di non rendere giustizia al mostro sacro che è Emily Brontë.

Per quanto riguarda la mia carriera letteraria, invece, bisogna vedere cosa s’intende per “farcela”. I tempi sono cambiati, siamo alle soglie di un mutamento epocale, non sappiamo neanche se in futuro esisterà ancora la parola scritta. Quindi, “farcela” non coincide più con il successo e le vendite. Per me, ogni volta che qualcuno mi scrive dicendo di aver provato grandi emozioni leggendomi, sento di aver raggiunto lo scopo.

 

6 L’epoca nella quale sono vissute le sorelle Brontë cosa ha di affascinante?

 

Tutto e nulla. Bellissima la sensibilità romantica, l’anelito verso il trascendente mai raggiungibile, l’ideale contrapposto al reale. Pessime in pratica le condizioni, visto che la speranza di vita non raggiungeva i trent’anni. La famiglia Brontë ne è un tragico esempio.

 

7 Il tuo sogno nel cassetto.

 

Quello comune a molti scrittori: che da uno dei miei romanzi venga realizzato un film o una serie tv.

 

8 Sei più classica o hard rock?

 Senz’altro e ovviamente classica.

 

9 Stai camminando a piedi a spasso con il tuo cane e incontri Andrea Camilleri, che gli chiedi?

 

Se non avrebbe preferito raggiungere il grande successo da giovane invece che in tarda età.

 

1/2 Risottino o carbonara?

 

Entrambi. Sono una buona forchetta e purtroppo si vede.

 

 

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Intervista a Maria Cristina Giongo

15 Giugno 2023 , Scritto da Pietro Pancamo Con tag #pietro pancamo, #interviste

 

 

 

 

Giornalista di successo che – dopo aver collaborato con la Rai e quattro testate del Gruppo Rizzoli –, adesso scrive per il quotidiano «Avvenire», Maria Cristina Giongo ha pubblicato nel 2020 un romanzo giallo dal titolo Mamma voglio morire. Circa quest’opera che – uscita per i tipi della Bertoni Editore di Perugia – indubbiamente si distingue per la fluidità della prosa e l’acume introspettivo, ho inteso rivolgere all’autrice poche ma sentite domande.

 

Basato sulla storia vera di una bambina già stanca di vivere alla tenerissima età di tre anni, il tuo libro denuncia innanzitutto il malcostume dei mass-media, con la loro abitudine “efferata” di mostrare, come se nulla fosse, immagini troppo crude che, in quanto traboccanti di violenza e morte, rischiano di minare irreparabilmente la psiche dei più giovani. Perché, per lanciare un simile allarme (dai contorni così spiccatamente sociologici), hai scelto proprio la forma del romanzo, invece che quella, magari, del saggio divulgativo?

 

Bella domanda! In realtà succede spesso che si inizi a scrivere un libro con una certa idea e poi, nel corso della stesura, si cambi percorso, magari spinti dalla recondita speranza che la forma romanzata risulti più gradita e possa dunque veicolare ad un maggior numero di persone il vero, importante messaggio che si aveva in mente.

 

Essere madre ti ha reso più facile o difficile scrivere questo particolare tipo di romanzo?

 

La maternità è l’evento più emozionante e più grande che una donna possa avere la fortuna di vivere. Per me è stata l’esperienza più bella della mia vita. Ho intervistato e conosciuto due Papi, un astronauta direttore della stazione spaziale internazionale, Luca Parmitano, personaggi importanti nel campo della cultura (come Umberto Eco) e anche della politica, dello spettacolo, ma nessuno di questi interessanti incontri ed articoli scritti su di loro mi ha dato la gioia e le soddisfazioni provate con e dopo la nascita dei miei due figli. Una felicità che dura ancora adesso che hanno quaranta e trentasei anni, con l’aggiunta di due deliziose nipotine. Per i miei figli, quando ero in attesa del primo, ho lasciato il mio lavoro in una televisione privata, diventata in seguito Canale 5, per cui conducevo alcuni programmi: avevo capito che non avrei mai potuto fare “bene” la madre con un’attività professionale tanto difficile ed intensa, senza orari di lavoro. Per cui ho chiuso quel tipo di carriera in Italia e sono “volata” in Olanda con il padre del bimbo che portavo in grembo. In Olanda vivo oramai da quarant’anni! In Mamma voglio morire si avverte la preoccupazione e responsabilità di essere mamma; che ho reso universale. Questo libro contiene soprattutto un messaggio di amore, attenzione per i propri figli, che deve essere più intensa nei momenti difficili, in una società che spesso può provocare seri danni alle loro menti in via di formazione, anche quando sono piccolissimi, come Muriel, la protagonista del romanzo.

 

Tra le varie figure che animano il libro, quella di Muriel – la piccola mossa dal desiderio di togliersi la vita – è l’unica ad ispirarsi ad una persona reale?

 

La storia di Muriel ne racchiude altre di tanti bambini e adolescenti come lei. Fra cui un ragazzo in particolare, che mi scrisse una lettera toccante, disperata, durante una notte inquieta, dopo aver letto un mio articolo proprio sul caso di questa bimba, pubblicato da Il Cofanetto Magico, il mio mensile online. Gli risposi subito e così, piano piano, nacque un’amicizia, ci incontrammo anche via Skype; gli chiesi di scrivere qualche articolo. Ora si è laureato e sono felice che quel terribile desiderio di uscire dalla vita gli sia passato, a parte momenti di depressione che purtroppo capitano spesso, quando l’esistenza diventa così pesante che persino godere delle cose belle e buone, che pure ci offre, sembra diventare impossibile. La sofferenza dei bambini, dei giovani, mi ha sempre colpito molto e molto fatto soffrire a mia volta. Sono una persona affetta da una “patologia” che io chiamo “sensibilità acuita”; in un certo senso Muriel mi assomiglia, anche se io non ho mai raggiunto quel carico di dolore che ti schiaccia come un macigno.

 

A che si debbono l’indulgenza e la comprensione che nel libro sembri riservare persino ai personaggi più negativi?

 

In realtà ci sono persone per cui non provo assolutamente indulgenza, come i pedofili (e questo si capisce molto bene nel mio romanzo!). Per chi maltratta i bambini e le donne non c’è perdono. Non provo pietà per loro. Tuttavia ho riflettuto molto sulle parole che mi disse tempo fa un commissario di polizia (diventato in seguito un personaggio del mio libro); mi confessò che alcuni malviventi gli facevano pena, per il degrado da cui venivano; quasi fosse per lui una specie di giustificazione per chi è sempre vissuto male, in ambienti criminali, spesso senza amore, carezze, senza denaro, come in una giungla dove o cerchi di sopravvivere in qualche modo oppure muori.

 

Un caso, un segno del destino o una scelta mirata che Mamma voglio morire sia uscito nel 2020 – cioè al culmine di una crisi mondiale così estenuante e tragica per tutta l’umanità?

 

Un caso. Avevo iniziato a scriverlo tre anni prima della pandemia causata dal Covid. E... purtroppo è uscito due giorni prima che il contagio scoppiasse in tutta la sua virulenza. A questo punto chiusero le librerie e neppure Amazon distribuiva più i libri. Un vero disastro, a livello di vendite, nonostante le belle recensioni ricevute da testate di rilievo. Mi spiace per il mio editore. Vorrei aggiungere che sicuramente se avessi saputo che sarebbe accaduto tutto questo, non avrei scelto quel titolo così agghiacciante e deprimente! Anche ora ci sono persone che dicono di essere spaventate da questo titolo. Eppure in Mamma voglio morire ci sono anche passaggi in cui si sorride, persino “divertenti”; e alla fine un messaggio di speranza e fiducia nella guarigione.

 

-Intervista a cura di Pietro Pancamo (pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)-

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Intervista con l'artista Mario Schifano

12 Febbraio 2023 , Scritto da Walter Fest Con tag #le interviste pazze di Walter Fest, #interviste, #walter fest, #arte, #pittura

 
Omaggio di Walter Fest a Mario Schifano

 

 
 
 
Amici lettori,  questa è la prima di una serie di interviste dedicate a grandi artisti che hanno lavorato ed esposto le loro opere a Roma. Cosa dovete aspettarvi da questi incontri? E’ facile, insieme faremo un tour fra le bellezze di questa meravigliosa città, parlando di arte attraverso dialoghi impossibili, in un mix d'ironia e immaginazione. Allora, che fate, ci seguite? 
 
Eccomi, sono pronto, esco dal garage, Vespasidecar tour di piazza Margana e, per sicurezza, telefono a  Mario
 
Drinn, drinn
 
- Marioo, sei sveglio? Forza, che ti sto venendo a prendere, sbrigati e fatti trovare sotto al portone che sto arrivando!
 
Vi state chiedendo chi è Mario? Oggi intervisteremo e porteremo a spasso per Roma il famoso artista Mario Schifano.
 
Per Mario Schifano (Homs, 20 settembre 1934 – Roma, 26 gennaio 1998), grazie al  padre archeologo e restauratore, l’arte diventa il pane quotidiano. A venticinque anni la prima mostra a Roma, il suo carattere esuberante lo porta a rompere gli schemi dell’arte classica, tutta tavolozza e cavalletto, per sperimentare l’informale, l’astrazione e tutto ciò che è nuovo. La tecnologia e la modernità esaltano la sua immaginazione, l’artista è una forza della natura e così, poco più che trentenne, sbarca negli States.
E' troppo facile non venirne ispirato e condizionato ma la sua genialità sarà personale, originale, senza limiti. Ed infatti, insieme all’uso della materia e degli strumenti tradizionali, inizia a utilizzare la pellicola della macchina da presa come nuovo linguaggio espressivo. La fantasia lo spinge ad andare oltre, inizierà con il 16 mm per poi alzare l’asticella del suo talento a tutto tondo. La musica sarà la colonna sonora di ogni sua espressività.
Ha il potere di utilizzare nuove tecniche e nuovi linguaggi.  Nella sua azione artistica unica e originale non è mai solo, ma collabora in squadra con tutti coloro che insieme a lui sanno battere il tempo per un nuovo sound creativo.
Purtroppo l’iperattività richiede un costo pagare e il maestro subirà nel tempo alcuni periodi di ripensamenti e spunti di riflessione che lo porteranno a sfilarsi dalla scena e a lavorare in solitaria come un uccello in gabbia, per poi ritornare in pubblico più forte che mai.
La sua arte gira per il mondo attirando consensi, il formato delle sue opere è extralarge, la sua opera di grandi dimensioni è fatta per attrarre l’osservatore e farlo godere del colore così pieno di energia. 
Inoltre, Mario Schifano è attento e impegnato su alcune tematiche sociali, nella condivisione e nella consapevolezza che l’arte è uno degli strumenti migliori per fare luce sugli errori della nostra società.
Purtroppo morirà troppo presto nel cuore di Trastevere, lasciando a tutta l’umanità un patrimonio artistico di enorme valore.
 
 
- Walterino, devi aspettare un momentino!
 
- D’accordo, ho capito, sbrighiamoci che prima andiamo a far colazione a Piazza Esedra.
 
Mario esce dal portone  e indossa un maglione rosso Ferrari e un pantalone nero.
 
- Oh! Ma questa cos'è? Mica sarai matto?
 
- E’ una Vespa sidecar, non ti piace?
 
- Ma io preferisco le biciclette, non avevi una bella bici da corsa?
 
- Mario, non fare il difficile, Christo, che verrà dopo di te, non s’è lamentato, sappi che è veramente comoda, e poi non vedi quant’è bella?
 
- Forza, partiamo e facciamo velocemente quest’intervista  che devo lavorare, ce l’hai una sigaretta?
 
- No, lo vuoi un cioccolatino?
 
 
I due partono, direzione piazza Esedra, faranno colazione al bar. Splende il sole, è una bella mattinata romana, bella da vivere lentamente, quasi pigramente, e, a spasso per Roma, dopo parleranno di arte. Eccoli a bordo della Vespa sidecar, l’aria che ti accarezza è dolce e piacevole da farti ritornare indietro nel tempo.
 
- Senti, ma adesso dove andiamo?
 
- Sei pronto a dire la verità?
 
- Ci posso provare. Sì, vabbè, ma dove andiamo?
 
- Ecco, adesso, da piazza Esedra scendiamo per Via Nazionale, breve curva per via Cavour, poi via dei Fori, a sinistra lasciamo il Colosseo, giriamo a destra direzione piazza Venezia, un saluto doveroso al milite ignoto, gli giriamo dietro, poi in discesa verso via del teatro Marcello, e, infine, eccoci arrivati sulla sinistra alla bocca della verità.
 
- Oh! Ma c'è di fuori una bella fila!
 
- Non preoccuparti, mentre aspettiamo, parcheggiamo, e insieme conversiamo di arte, i lettori  sono curiosi di sentirti parlare.
 
- Lo riconosco, è stata una bella passeggiata; insomma, io sono molto legato alla città di Roma, e sai perché?
 
- Lo immagino, ma vorrei sentirlo da te.
 
- Roma è rimasta indietro nel tempo. Lo ammetto, a me piace tutto quello che è moderno, ma poi ritorniamo sempre al punto di partenza. L’umanità non può e non deve esse schiava della tecnologia, noi siamo geniali nella nostra naturalezza, nella nostra spontaneità, ed è allora che diamo il meglio di noi. Tutto quello che sembra vecchio e antico è così pieno di fantasia! E poi il cuore, il cuore, questa energia che muove tutto, senza il cuore la modernità che significato avrebbe? L'intelligenza artificiale mica tiene il cuore! Ma eccoci qua, Roma è antica ma troppo bella per esse considerata vecchia.
 
- La tua arte è sempre uscita dagli schemi.
 
- Naturalmente la sperimentazione serve proprio a questo, l'artista prova, studia, analizza, tenta nuove strade, mica tutti possiamo parlare la stessa lingua, sai che noia!
 
- Mario, come vedi l’attuale società?
 
- Un gran casino, la gente va di corsa, non rallenta, non s’accorge della bellezza, e poi tutti sono incazzati e, si sa, quando stai su di giri perdi la lucidità, non t’accorgi che le cose più belle stanno sotto al naso.
 
- E’ a questo che serve l’arte?
 
- Direi di sì, ma tutto deve iniziare dai ragazzini, quando sei piccolo sei libero nella testa e devi imparare subito le cose belle della vita, dopo sarebbe troppo tardi. Ma adesso non dobbiamo  essere catastrofisti, possiamo avere fiducia nel genere umano, finché c'è  l’arte c’è speranza.
 
- Mario, questa intervista sarà molto fantasiosa, puoi parlarci della tua “chimera” in piazza Santissima Annunziata a Firenze?
 
- Che grande esperienza!
 
- Grande come le dimensioni dell’opera?
 
- Sì, grande in tutto, dieci metri di lunghezza e quattro di altezza. Era il 1985 e me l’avevano chiesta per l’inaugurazione dell’anno dedicato agli Etruschi, la tela l’avevamo messa a terra. Per facilitare il trasporto, l’avevamo divisa in dieci parti di due metri per due e ho cominciato a lavorare con dentro una passione infinita, volevo fare tutto in una notte, ogni cosa ben organizzata, e mi sentivo gasato perché era tutto dal vivo, pure la gente intorno era viva, un bel pubblico numeroso, perbacco se era vivo, era rumoroso e  fastidioso, mi stavano addosso quasi a toccarmi.
 
- Non ti sentivi a disagio?
 
- Macché, mica li sentivo, e poi, a dirti la verità, nelle orecchie tutto era assordante ma più sentivo sconquasso e più mi divertivo, non avvertivo fatica né paura, ero tutto me stesso in sintonia con i colori e con la mia fantasia. Intanto, questa grande massa di colori prendeva forma come per magia.
 
- Una grande massa di colore nella quale la gente  poteva tuffarsi?
 
- No, al contrario: era l’arte, la mia arte, che abbracciava e veniva incontro alla gente. E' la bellezza dell’arte che ti avvolge come un sogno. La rappresentazione che stavo realizzando occupava lo spazio e, con amore, entrava in armonia con tutti quelli che erano presenti, un amore fatto di materia potente. Il bianco era pieno di luce e, come un sipario naturale, ne facevo uscire le chimere in una danza vorticosa verso la parte blu miscelata con il verde, una materia scura come la notte, dolce come la poesia, e poi in basso tutto rosso, rosso e giallo, rosso che diventa arancio, e poi pennellate forti di un verdone, era la terra che abbiamo sotto ai piedi, non la senti  come brucia di passione e come da sotto terra la storia del mondo ci ricorda dove siamo, chi siamo, cosa vogliamo?
 
-E poi? 
 
- E poi, quando abbiamo alzato in piedi l’opera, la gente non aveva più parole, tutti in silenzio, tutti zitti, perché l’arte aveva messo tutti d’accordo. E così ho fatto montare un trabattello, ci sono salito sopra e ho dato gli ultimi ritocchi, ho visto il colore fresco colare verso il basso, e con le mani lo amalgamavo, lo impastavo e danzavo insieme alle chimere nel mondo della fantasia. Gli spettatori pensavano che fossi un fenomeno, un semi-dio, macché, io ero solo uno di loro con il privilegio di essere nato artista.
 
- Mario, sei stato più genio o più sregolatezza?
 
- Sinceramente, mi sento più genio, sregolato è solo un'impressione, io la pittura la faccio mia, gli do dentro, l’energia ci fa bene, ci fa sentire vitali e in fusione con la natura che lascia andare la vita e le cose del mondo, camminare lentamente e poi d'un tratto di corsa, cancellando il tempo. Io ho viaggiato lungo il mio tempo e non mi sono mai annoiato, genio sì, sregolato no.
 
- Mario, sei pronto?
 
- A fare cosa?
 
- A mettere la mano nella bocca della verità, dai che tocca a noi.
 
- Prima mettila te, per esempio, dì la verità: ma davvero questa Vespa sidecar è reale, oppure una tua invenzione? 
 
- Mario, la mano lì dentro posso metterla senza problema, ti assicuro che è tutta verità, e poi chiedi a Picasso che una volta l'ha guidata e ha pure sgommato.
 
- Picasso? Bel tipetto, ha cambiato il mondo dell’arte.
 
- E la prossima volta chi ci porti?
 
-Te l’ho detto: prossimo appuntamento con Christo, e andremo a vedere via Veneto e le mura. Forza, adesso tocca a te mettere la mano nella bocca della verità.
 
- Giuro che, con la fantasia, null'altro che tanta fantasia, ho detto tutta la verità.
 
E dopo che, sfilando la mano, la bocca della verità ci ha risparmiato, è giunta l’ora del ritorno alla base.
 
- Mario, ti ringrazio, questa intervista è stata bella.
 
- Non perdiamo tempo, metti in moto che ho fretta, l’arte e il futuro non possono aspettare.
 
Amici lettori di signoradeifiltri, speriamo di avervi fatto passare qualche buon minuto in nostra compagnia, porto Mario Schifano a casa e dopo tornerò in garage. Pronti per un nuovo tour? Non mancate, sarà sempre un piacere farlo insieme a voi.
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Evento contro la violenza sulle donne organizzato a Prato.

1 Luglio 2022 , Scritto da Cinzia Diddi Con tag #cinzia diddi, #moda, #interviste, #eventi

 

 

 

 

Grande successo per la stilista Cinzia Diddi, evento contro la violenza sulle donne organizzato a Prato.

Abbiamo raggiunto al telefono la Stilista Cinzia Diddi, impegnatissima in questo periodo in molte iniziative benefiche, a lavoro su molti set, fra shooting, programmi e film. Quello che ci colpisce di questa grande artista è la sua umanità e l’impegno costante nel sociale. Ormai da anni si occupa dei diritti delle Donne e combatte con tutta se stessa, utilizzando il suo lavoro contro la violenza sulle donne. Da ricordare la sua partecipazione a “Preludio” il cortometraggio che è stato in corsa per l’ambita statuetta, il David di Donatello. Moltissime le iniziative, in prima fila insieme a Jo Squillo al muro delle bambole, per ricordare che le donne devono essere sempre rispettate.

Abbiamo appreso dai social di un nuovo evento contro la violenza sulle donne, perché l’utilizzo di abiti bellissimi e preziosi?

Mi sono ispirata alla bellezza delle donne, quella esteriore ma soprattutto interiore. Ogni donna è unica e bellissima! Gli abiti sono preziosi tanto quanto lo sono le donne. Gli abiti sono colorati come l’anima delle donne. Gli abiti sono brillanti tanto quanto è brillante il cuore delle donne. I parallelismi sono molti.

L’evento si è svolto a Prato, abbiamo letto sulla sua pagina Facebook.

Un piccolo ma significativo evento, perché è dal piccolo che si parte per attuare grandi cambiamenti, un modo per sensibilizzare ancora all’argomento e poi ancora e poi ancora, senza fermarsi mai.

Non era sola ad organizzare?

Come sempre è una squadra che lavora insieme, un bel sodalizio col fotografo Stefano Nannucci, sei ragazze che hanno indossato gli abiti, Elena Grazzini ed Elisa Mosca entrambe hair stylist, mi piace lavorare con persone professionali e aggiornate nel proprio lavoro.

Perché ha scelto il fotografo Stefano Nannucci?

Quando l’ho conosciuto mi ha detto: amo raccontare le emozioni senza bisogno di parole. È bastata questa frase perché poi è quello che faccio anche io col mio lavoro. E poi sicuramente l’utilizzo sapiente della luce nei suoi scatti e l’arte di fotografare elaborando lo scatto prima ancora di scattare concretamente la foto, prima nella mente e poi nella macchina.

Le chiedo ovviamente perché ha scelto di lavorare con Elisa Mosca ed Elena Grazzini?

Prima di tutto per la loro bellezza come esseri umani e non mi sembra poco di questi tempi! Ovviamente dal punto di vista professionale per la loro competenza, la tecnica. Elena Grazzini, oltre ad essere esperta nello studio profondo di cute e struttura del capello attraverso mezzi quali microscopio, microcamera e luce polarizzata, è anche consulente di armocromia. Elisa Mosca è professionalizzata in acconciature ed è colorista specializzata.

Non avevamo dubbi che scegliesse abili professionisti, vista la sua levatura, pensa che vi rivedremo insieme?

Non posso svelare niente, seguitemi sui social. Ovviamente grazie per questo bellissimo complimento.

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Alessandro Del Gaudio, "Lo specchio dell'anima"

6 Aprile 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #interviste, #fantasy

 

 

 

 

 

Alessandro Del Gaudio
Lo specchio dell’anima
Saga Edizioni, 2021 – Pag. 310 – Euro 19

www.saga-edizioni.cominfo@sagaedizioni.com

 

Alessandro Del Gaudio è un autore che conosco molto bene per aver pubblicato diversi suoi libri interessanti, da saggi come Identità segreta - libro sui supereroi che andrebbe ristampato e aggiornato - e Kyoko mon amour, per finire con una trilogia fantasy (Metallo d’ombra, Lacrime d’ombra e Anello d’ombra) e alcuni romanzi classici (Italoamericana). Lo specchio dell’anima esce per Saga, un editore di narrativa pura, specializzato nel genere fantasy che Del Gaudio ama narrare e per il quale è decisamente portato. Vediamo la trama desunta dallo strillo editoriale. Radian vive a Roccabruna, mentre la sua esistenza gli scivola tra le dita, tra notti insonni e uno strano dado, un dono del suo amico Ferge. Durante una di quelle serate vuote, decide di entrare al Bianconiglio, un locale dove niente è ciò che sembra, nel quale incontra Feef, un personaggio alquanto singolare, molto interessato a quel dado di cui Radian è estremamente geloso. Dopo quell’incontro, niente sarà più lo stesso: Radian perderà un occhio e si ritroverà su Najar, una dimensione in cui vige ancora un sistema feudale. Il Pescatore di Anime gli ha ghermito l’anima e a lui non resta che prepararsi, assieme ai suoi nuovi amici per la battaglia che libererà la dimensione da quel sovrano spietato: lo scontro finale. Un breve estratto: Tu potrai riavere la tua anima, ma per farlo dovrai trovare il Pescatore di Anime e affrontarlo con il tuo dado. Esso ti aiuterà, ti è già servito una volta a sconfiggere un suo maleficio.

Abbiamo avvicinato l’autore per fare qualche domanda.

Da dove nasce l’ispirazione?

In genere i miei libri possono iniziare da un titolo, da un’idea, o da una tipologia di personaggio. Ormai posso dire che nelle mie storie, più che in passato, ci sia il giusto equilibrio tra quel che vedo intorno a me e ciò che leggo, tenuto conto che le mie letture virano dal fantastico al thriller scandinavo, dalla narrativa asiatica alla graphic novel.

Inizio di una nuova saga o romanzo autoconclusivo?

Lo Specchio dell’Anima è, insieme a Aurora d’Inverno, una serie di romanzi autoconclusivi che avrebbe dovuto far parte dello stesso ciclo, pur senza aver punti di contatto tra le storie, se non per pochi elementi. In entrambi i libri, infatti, compaiono personaggi che si conoscono, anche se le loro avventure si svolgono in universi diversi. Questo fa sì che ogni lettore possa decidere di cominciare da uno qualsiasi dei libri per iniziare a leggere, senza correre il rischio di perdersi informazioni importanti dalla lettura degli altri.

Pensi di tornare alla saggistica?

Al momento non credo. La saggistica, un po’ come la poesia, hanno rappresentato delle parentesi nella mia carriera di romanziere o più propriamente di scrittore di narrativa, dato che negli ultimi anni ho scritto anche racconti. Per adesso preferisco proseguire su questa linea.

Progetti per il futuro.

Con la mia nuova casa editrice, la Sága Edizioni, ho in programma tre o quattro libri nuovi, che abbracciano il fantastico a 360 gradi. A novembre esordirò nella fantascienza, con un romanzo ispirato ai mecha giapponesi e al cyberpunk. Poi sarà il turno (per il 2023) di un’antologia di racconti in stile hard boiled con protagonisti degli investigatori alle prese con casi che immancabilmente sconfinano nel mistero e nell’impossibile. E poi darò alle stampe il mio romanzo più corposo, un urban fantasy che molto probabilmente sarà pubblicato in due volumi separati. Ho in lettura presso gli editori anche un thriller fantasy e sono in attesa di responso.

Gordiano Lupi
www.ilfoglioletterario.it

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"The Censor", un horror sociale britannico Intervista a Guerrilla Metropolitana

5 Ottobre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #interviste, #cinema

 

 

 

 

 

Dopo tre cortometraggi sperimentali horror di buon successo che contano visibilità e consensi in tutto il mondo, tanto da attirare l’attenzione di recensori americani, Guerrilla Metropolitana lancia il suo  primo lungometraggio: THE CENSOR  - A British horror tale of Real politics and social-moral code (in italiano IL CENSORE - una storia horror britannica di politiche reali e di codice morale - sociale).

Abbiamo avvicinato il regista per una breve intervista.

 

Un lungometraggio, dopo tre cortometraggi horror, sperimentali e inquietanti. Di che cosa parli nel tuo primo lavoro di ampio respiro?

Il tema di partenza è la censura inglese, per me la più oppressiva e oscurantista nel mondo occidentale. Il tema mi serve per approfondire un’analisi etica e morale nei confronti di chi la impone a un’intera nazione, per passare a un livello politico e fare un discorso mirato verso la classe dirigente britannica, contro il monopolio culturale, in una società molto divisa, come quella inglese.

 

Bersagli particolari?

Il primo è la Thatcher e la sua campagna anni Ottanta denominata Video Nasties, dove chiunque veniva preso con film di una determinata lista di titoli era arrestato e processato, secondo regole degne della più medievale caccia alle streghe.

 

Quali sono i tuoi riferimenti artistici? E quale credi che sia la cifra stilistica del tuo cinema?

Nel mio cinema l’espressionismo tedesco si mescola con la Pop Art di Andy Warhol e tanti altri stili, in un alternarsi frenetico tra riprese e fotografie delle varie sequenze. I miei lavori sono un vero e proprio orgasmo di follia visiva.

 

The censor ha avuto una lunga gestazione?

Questo film mi è costato un lavoro di circa sette mesi, estremamente complesso, frutto di una meticolosa ricerca sia sperimentale che del dettaglio, nonché di funzione narrativa, perché il film è quasi interamente senza dialoghi, cosa che è una mia caratteristica.

 

Come hai girato il film?

Ho girato l'intero materiale in più sessioni, di notte e di nascosto in location senza permessi, in puro stile guerrilla, come dicono gli addetti ai lavori, a temperature sotto i 10 gradi, rischiando l’assideramento e persino l’arresto, per i motivi che chi guarderà il film capirà. Ho realizzato un lavoro basato sull’esigenza di raccontare questa storia e di poter fare il film in un certo modo, con realismo cinematografico puro.

 

The Censor contiene un messaggio politico?

Il mio film, pur presentando un personaggio centrale di una certa destra particolarmente reazionaria, vecchio stampo, non è  di carattere ideologico. Al contrario, mira esclusivamente a rappresentare un conflitto di classe sociale contro il potere sulla base di un rapporto di forza sproporzionato.

 

Se siete curiosi, non vi resta che vederlo:

https://www.youtube.com/watch?v=bfgtBQVytB4

 

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

 

 

 

 

 

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Le rose e il deserto, un progetto artistico di Luca Cassano che nasce da Pisa

27 Settembre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #musiaca, #poesia, #interviste

 

 

 

 

 

Le poesie vanno cercate sotto la sabbia: come le rose del deserto rimangono sepolte sotto la sabbia finché un Tuareg non le trova, così le parole restano confuse fra i ricordi finché un'intuizione non le mette in fila in forma di versi. Le rose e il deserto é il progetto artistico di Luca Cassano (Corigliano Calabro, 1985), un po’ calabrese, un po’ pisano, attualmente milanese. Come un Tuareg, Luca osserva le dune metropolitane alla ricerca delle poesie che spontaneamente affiorano dalle sabbie della sua immaginazione. Il testo è al centro della sua ricerca: il suo interesse è nei suoni e nelle immagini che le parole da sole, anche senza musica, sono in grado di evocare. Le rose e il deserto è un progetto con due anime. Da un lato l’esigenza di esternare le proprie inquietudini, le paure e le passioni, la malinconia. Dall'altro lato la voglia di gridare contro le ingiustizie che quotidianamente osserviamo. Le rose e il deserto ha pubblicato l'EP "Io non sono sabbia" (PFMusic) nel Giugno 2020 e la raccolta di poesie "Poesie a gettoni vol.1" (autoprodotto) nel Marzo 2021. Le rose e il deserto ha avuto il piacere di aprire i concerti di Gnut, Bianco, The Niro, kuTso, Sandro Joyeux, Gianluca De Rubertis, Federico Sirianni, Livia Ferri, Andrea Labanca e Rufus Coates & Jess Smith. Fra gli altri, Le rose e il deserto ha avuto l'opportunità di suonare a Milano nei circoli Ohibó e Bellezza e allo storico Legend Club, al circolo Tambourine di Seregno, al salotto di Mao a Torino, a Ferrara per la rassegna Il silenzio del cantautore, a Roma per la rassegna Piccoli concerti, al Joe Koala ad Osio Sopra, al teatro San Teodoro di Cantù, al circolo Scuotivento di Monza, al Catomes tot di Reggio Emilia.

 

Ciao Luca, nella bio de Le rose e il deserto (il tuo progetto artistico) si legge “Un po' calabrese, un po' pisano, attualmente milanese”. Ci spieghi?

Ciao! Beh, la questione è molto semplice: io sono nato in Calabria dove ho vissuto fino ai diciotto anni. Poi, come molti, mi sono trasferito a Pisa per studiare e lì ho passato dieci lunghissimi e bellissimi anni. Nel 2013 il lavoro mi ha portato a Milano: ecco spiegato l’arcano...

 

Pensi che nelle tue canzoni si percepisca ancora il riflesso degli anni trascorsi a Pisa?

Direi proprio di sì. Ho trascorso a Pisa gli anni fra i diciotto e i ventotto, gli anni in cui si fanno tutte le più belle esperienze, quelle che ti segnano nel profondo. Indubbiamente le mie canzoni parlano anche di situazioni, sensazioni, storie che ho vissuto a Pisa. Inoltre in quegli anni frequentavo molto l’indimenticato Rebeldia! dove passava tantissima bella musica dal vivo, e dove posso dire, senza paura di essere smentito, di essermi formato musicalmente.

 

Ti è già capitato o ti capiterà nel prossimo futuro di venire a suonare in Toscana?

Guarda, proprio qualche giorno fa (Sabato 11 Settembre 2021) ho suonato a Firenze in una serata organizzata dall'associazione Li.Be Firenze in cui ho condiviso il palco con altri cantautori toscani e non: è stato molto bello ed emozionante anche perché per la prima volta tanti vecchi amici pisani avevano l'opportunità di sentirmi suonare dal vivo. Per il futuro invece ancora nulla di definito...

 

Dici che "Un terzo" (il primo singolo pubblicato nell'Aprile 2020) è una canzone che parla di piccole grandi paure metropolitane: ci spieghi in che senso?

Come ti dicevo, io ho passato ventotto anni fra il mio piccolo paesino calabrese e Pisa, anch'essa una cittadina piccola e a misura d'uomo. I primi tempi a Milano sono stati abbastanza duri, destabilizzanti: mi sembrava che la città mangiasse le mie energie, anche nel fare le piccole attività quotidiane. "Un terzo" nasce da questo senso di spaesamento, dalla lontananza dal mare (sia esso il mio Jonio o il vostro Tirreno) dalla frenesia dei viali milanesi.

 

Per concludere, ci vuoi dire qualcosa su "Io non sono sabbia" (L'EP uscito nel Giugno 2020) e suoi tuoi progetti futuri?

"Io non sono sabbia" è la raccolta di cinque canzoni che parlano di me, delle mie paure, dei miei genitori, dell'amore per la mia nipotina. Spero di aver affrontato questi temi in maniera sufficientemente generale da poter parlare al cuore di tutti. Per il futuro: spero ci siano tanti concerti in giro per l'Italia e nel frattempo è partita l'organizzazione per il prossimo disco... stiamo a vedere!

 

Qui ci sono foto:  https://sites.google.com/view/leroseeildeserto/

L'EP è ascoltabile qui:   https://spoti.fi/2AGDbxV

 

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Per conoscere Guerrilla Metropolitana

25 Maggio 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #cinema, #interviste

 

 

 

 

Guerrilla Metropolitana è l’acronimo dietro al quale si nasconde un filmmaker indipendente italiano che vive a Londra e ha deciso di usare il genere horror per fare anche un discorso politico e sociale. Nasce musicista, passa poi al cinema indipendente. Influenzato da Neorealismo, Espressionismo, Surrealismo, Erotica, Pop Art e cinema Underground, gira i suoi lavori in puro stile guerrilla (senza permessi, con mezzi modesti e facili da trasportare). I suoi lavori sono fortemente sperimentali e puramente visual (senza nessun dialogo), usa il genere horror come mezzo per raccontare storie di disfunzionalità sociale. Oltre a essere regista e autore delle storie, è spesso attore di supporto, autore di alcune delle musiche, montatore (assieme al suo amico Peter Frank che è lì addetto al montaggio, spesso anche lui attore di supporto). Caratteristiche tipiche del suo cinema indipendente è il mischiare foto e inquadrature della stessa sequenza, la scelta di località urbane e il fatto che in tutti i lavori non ci siano personaggi eroi, ma solo antieroi. Non usa mai la computer grafica e sceglie argomenti che variano dall’ipocrisia del potere, alla follia dei serial killer, fino ad arrivare a temi politici in chiave horror.

Il suo canale YouTube ci porta nei meandri di un orrore senza redenzione.

Vediamo un corto intitolato BITS: https://youtu.be/caWsp8DRuN8.

Seguitelo! Ne vedrete delle belle. Noi, intanto, lo abbiamo intervistato.

 

Quali sono i tuoi registi di riferimento?

I miei registi di riferimento sono veramente tanti e ognuno di loro mi ha dato qualcosa anche se la maggioranza provengono dalla vecchia scuola italiana del cinema di genere (Deodato, Fulci, Lenzi, D'Amato, Martino, Scavolini, Bianchi, etc).

A quali progetti stai lavorando?

Ho scritto circa una trentina di storie horror diverse e ho intenzione di trasformarle tutte in corti e medi metraggi horror e alcuni persino in veri e propri mini film della lunghezza di circa 50/60 minuti (questi saranno quelli con forti venature politiche). I miei due prossimi lavori saranno due brevi cortometraggi horror assolutamente bizzarri e folli su due temi diversi e successivamente verso settembre, al massimo inizio ottobre, farò uscire sui miei canali di YouTube e Vimeo il mio primo mini film horror social-politico, dove il tema sarà la terrificante faccia della classe dirigente ai danni della sottoclasse (attraverso un storia da me scritta e dove io stesso interpreterò i due rispettivi ruoli come attore, in aggiunta a quello di regista, autore e compositore di musiche). In tutti i miei lavori ci sarà un mio carissimo amico, anche lui italiano residente a Londra, di nome Pietro (pseudonimo Peter Frank) e che è l'addetto al montaggio. Lui mi darà una mano a riordinare con il suo fondamentale lavoro tutta la mia follia creativa e visiva, inoltre sarà un regolare attore di supporto in molti dei miei futuri lavori (in questo mio primissimo cortometraggio BITS interpreta il ruolo del primo residente vittima di lei, nonché "uomo nero" sul poster stesso del mio film).   

Usi il genere horror per sconvolgere o per comunicare altro?

Ho intenzione di sviluppare un mio cinema indipendente del tutto personale, puramente visivo (senza alcuna forma di dialogo tradizionale) e fortemente influenzato dall'Espressionismo, Surrealismo, Pop Art ... fino ad arrivare all'erotico, underground ... ma partendo sempre da uno spunto sociale (in alcuni casi come alcuni miei futuri lavori, persino politico). Quindi un horror sperimentale che va contro corrente al contemporaneo mainstream commerciale e zuppo solo di sensazionalismi. Un horror che non ha paura di entrare nella psiche umana e non ha paura di esplorare disfunzionalità esistenziali in un contesto sociale folle come quello di oggi. 

Progetti futuri

Dopo questi lavori ce ne saranno tanti altri con cadenza più o meno bimestrale  e nel frattempo in aggiunta a questa trentina, continuerò a scrivere altre storie horror, da poter poi trasformare in futuri lavori. 

E gli attuali riscontri?

Il mio canale YouTube di Guerrilla Metropolitana in meno di due settimane ha già avuto quasi 2,000 visualizzazioni provenienti da tutto il mondo (in particolare da UK e in America), più quasi una settantina di sottoscrizioni. Si sta rivelando un successo ben maggiore di quello che mi aspettassi grazie a questo mio lavoro BITS. Alcuni festival horror inglesi hanno mostrato interesse per il mio lavoro chiedendomi dei prossimi. Ho mandato la link di questo mio cortometraggio a recensionisti e vari distributori internazionali. Sulla rete, in particolare Facebook,  ho già visto sia in America che Europa molti stanno pubblicando la link di BITS sulle loro bacheche.      

 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

 

 

 

 

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Cinzia Diddi sceglie Michela Triulzi per gli shooting

25 Settembre 2020 , Scritto da Cinzia Diddi Con tag #cinzia diddi, #moda, #fotografia, #personaggi da conoscere, #interviste

 

 

 

Intrigante, sofisticata e al tempo stesso selvaggia, Michela Triulzi è una ragazza con un’attitudine: saper stare davanti alla macchina fotografica! Ha molto da imparare e sta seguendo un percorso cucito su misura su di lei! Al suo fianco il fotografo Thomas Capasso, ed importanti make-up artists. Queste le parole della stilista delle star che l’ha scelta per i prossimi shooting .

 

Chi è Michela vista dai suoi occhi?

Dopo la maturità Michela decide di andare in Sud America, più precisamente in Argentina, dove vive per qualche mes . È chiaro che il contatto con la natura in Argentina, stato sudamericano molto esteso con laghi glaciali, pianure della Pampa e il tradizionale terreno di pascolo dei famosi bovini da carne, abbia fatto uscire l’aspetto deciso, gitano, selvaggio e affascinante della modella. Ho amato da subito questo suo lato che crea un sublime contrasto con gli abiti lussuosi delle mie collezioni.

 

Cosa caratterizza Michela?

Nonostante stia muovendo i suoi primi passi nel mondo della moda, Michela è diventata in poco tempo una professionista, ciò che la rende speciale è sicuramente la sua totale disponibilità sul set fotografico. Amo le persone che interagiscono saggiamente facendosi guidare!

 

Vedremo ancora Michela Triulzi e Cinzia Diddi?

Direi che il trinomio funziona: ci vedrete insieme al fotografo Thomas Capasso

 

Michela, lei ha la fortuna di lavorare con professionisti del calibro della stilista Cinzia Diddi e del fotografo Thomas Capasso, qual è la sua opinione?

Cinzia Diddi: una stilista di alta moda, elegante, raffinata... fa di ogni sua creazione un'opera d'arte. Indossare abiti di alta fattura come i suoi in un'isola suggestiva come Palma di Maiorca è stato un onore oltre che un immenso piacere... Sono molto felice di lavorare con lei, sono certa che i risultati dei nostri lavori non potranno che essere estremamente soddisfacenti.

Thomas Capasso: Thomas è una persona fantastica... uomo di spessore oltre che grande professionista. Con passione e pazienza mi sta insegnando tutto ciò che c'è da sapere sul mondo della moda e non avrei potuto incontrare un master migliore. I suoi scatti? Parlano da soli. Comunicano emozione... emanano passione... Sono molto felice di imparare da un professionista del suo calibro e di essere parte integrante di quello slancio emotivo che solo le sue foto sono in grado di emanare.

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Nove domande e mezzo a Marta Bandi

9 Giugno 2020 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #interviste, #poesia

Disegno di Walter Fest

Disegno di Walter Fest

 

 

 
 
 
Gentilissimi amici del blog che, attraverso la cultura, illumina il vostro sorriso, oggi abbiamo il piacere di avere nostra ospite Marta Bandi, una donna che scrive realmente con il cuore in mano. Marta Bandi esprime la sua poesia con parole semplici ma profonde, un'umanità che nel nostro quotidiano c’è ma non si vede, finché non arriva una scrittrice come lei. Attraverso un linguaggio spontaneo e sincero ci aiuta nella comprensione dei fatti della vita.
Marta Bandi non cerca scorciatoie dialettiche e non vuole fare colpo ma, con una sua naturale e umile espressività, ritmata da un'armonia sensibile e delicata, offre al lettore pagine di comprensività e amore per la vita.
 

1) Quando hai iniziato a scrivere?

Da bambina avvertivo il bisogno di prendere carta e penna e ricorrere alla scrittura, racchiusa in una bolla di volontaria solitudine, per scrivere brevi poesie o pagine di diario. In seguito, per svariati motivi, ho messo in stand by questa passione, fino a quando, circa due anni fa, ho partecipato al "Corso di immaginazione scontenta" di Alessandro Mazzà (capitano di #Libereria). Da allora ho ripreso carta e penna e (come scrivo nella poesia che apre il mio libro) ... il fiume sotterraneo è emerso...

 
2)Grazie al tuo yogurt preferito hai vinto un weekend su Marte, il pilota della navicella spaziale è Luigi Pirandello, come su un bus non sarebbe consentito parlare al conducente, ma tu non puoi fare a meno di chiedergli...
 
Gli chiederei: Sig. Pirandello, non pensa che le maschere che indossiamo, spesso, siano l'effetto di incontri sbagliati, sfortunati che ci capitano nella vita?
Penso che, quando ci relazioniamo con una persona empatica, ci liberiamo dalle maschere che indossiamo e siamo noi stessi, cioè facciamo prevalere l'io che in quel momento ha più necessità di esprimersi e quindi più vero.
È difficile capire chi si ha di fronte (un po' come riconoscere un buon vino) e allora le maschere ci aiutano a difenderci.
Speriamo di fare begli incontri su Marte!!
 
 
3)Per la lettura del tuo libro, quale potrebbe essere la colonna sonora più appropriata?
 
Ho pensato a The sound of silence di Paul Simon e Art Garfunkel. È una canzone nata più o meno con me. Il testo parla d'incomunicabilità, un tema che sento mio, ed è nel silenzio che amo stare quando ho bisogno di nutrirmi del suo suono per rigenerarmi.
 
 
4)Sei sindaca di Roma per un mese, che faresti per la cultura?
 
Roma è il più grande museo a cielo aperto e, secondo me, la città più bella del mondo. Mi piacerebbe organizzare pullman giornalieri che portassero, gratuitamente, le persone dalle periferie al centro, per tour, visite guidate ecc... Insomma, un mese di full immersion nell'arte, nella storia e nella bellezza. E poi, dato che ci sto, approfitterò, non capita tutti i giorni di poter essere sindaco di Roma, e pertanto avrei in mente una serie di iniziative: 1)Recupero di vecchi barconi o utilizzo di barconi funzionanti per navigare lungo il Tevere, con a bordo band e musicisti emergenti, a rotazione 2)Allestire mostre di artisti importanti nelle periferie 3)Organizzare visite guidate, in collaborazione con gli istituti superiori (artistici, accademie, ecc.) per coinvolgere gli studenti che avrebbero l'opportunità di fare da Ciceroni agli alunni più piccoli di elementari e medie 4) Occupare i nonni interessati in lezioni/attività/racconti ai bimbi nel doposcuola. I nonni potrebbero arricchire, con la loro esperienza, la didattica scolastica, facendo appunto la compresenza in classe accanto alle insegnanti. Sarebbe interessante anche a livello umano. 5) Favorire, con mediazioni e agevolazioni, una partnership fra librerie e locali pubblici (bar, pizzerie, ristoranti, ecc.) con l'idea di allestire angoli libreria nei locali che aderiscono, gestiti dai librai. 6) Darei carta bianca con un bando ufficiale d’assegnazione a sorteggio a street artist nazionali e internazionali assegnando loro il compito di abbellire tutti i muri abbandonati di Roma… per Roma lo farebbero anche gratis.
 
 
5)Come è nata in te l'ispirazione per Parlami di un fiore?
 
Il fiore rappresenta la bellezza. Parlami di un fiore è una metafora che significa: parlami di bellezza, parlami di qualcosa che mi alleggerisca dai pesi del quotidiano. È la ricerca della tranquillità dell'animo (Seneca).
 
 
6)Nel tuo prossimo libro di che cosa vorresti parlare?
 
Un mio eventuale secondo libro mi piacerebbe fosse una raccolta di racconti brevi, ispirati a situazioni realmente accadute anche autobiografiche. Al momento è un desiderio, chissà.
 
 
7)Te la senti di improvvisare una poesia per i tuoi lettori?
 
Non è facile improvvisare ... avrei bisogno di concentrazione. Scriverò un verso ...
 
Scrivo quando l'anima deborda
Quando il cielo si tinge di rosa
Quando un alito di vento
Spazza via i cristalli di freddo
Sulla pelle
Scrivo
Quando l 'Amore mi chiama Amore.
 

8)Come descriveresti l'atmosfera che si respira in Libereria?

Libereria è tante cose. Oltre a essere un consorzio di autori (come tutti sanno) è incontri, raduni, scambi sinceri di affetti, ascolto, famiglia. L'atmosfera è, da un lato sempre piacevole e accogliente, dall'altro lato stimolante, in continuo fermento.

9)Scrivi per te stessa o scrivi per il lettore?

Il tempo che precede lo scrivere è un tempo di riflessione, di messa a punto di un pensiero, di scavo interiore, e questo lavoro è in evoluzione fino a quando metto il punto finale. Sono momenti nei quali non penso al lettore, penso a scrivere quello che sento, ed essendo io la prima lettrice, voglio esserne convinta. Successivamente il mio auspicio è di arrivare a di trasmettere qualcosa agli altri: un'emozione, un'immagine poetica evocativa, un pensiero condiviso.

1/2) Non ti chiederò perché scrivi, ma bensì che cosa scatena in te la voglia di farlo, al momento che ti accingi a scrivere la prima battuta qual'è il tuo primo pensiero, dove trovi la forza espressiva?

La voglia arriva all'improvviso, non so di preciso cosa la scateni, è un lampo, un'illuminazione, un friccicore (termine romanesco) a volte acuto. Il primo pensiero è di soddisfazione per qualcosa che sta nascendo, sta prendendo forma. La forza espressiva la trovo nell'introspezione ma anche intorno e fuori di me. La natura è una potentissima forza ispiratrice.

 

 
Sono Marta Bandi, nata sulle colline romagnole negli anni 60. Vivo a Roma da tanti anni, sposata con Davide e mamma di Lucrezia e Samuel.
 
 
 
Mi abbraccio
da "Parlami di un fiore".
 
 
Vorrei incontrarmi
un po' di più
per parlare con me stessa
domandarmi
quanta pelle
ho lasciato nei sentieri
quante facce ho abbandonato
trascurato
le scintille
che non ho alimentato
quanti no e quanti sì non ho pronunciato.
Vorrei incontrarmi un po' di più
Per essere la mano
che mi accarezza il viso
le braccia che mi stringono
in un incontro benevolo
e sincero
con me.
 
E così, amici lettori, con questo poetico abbraccio tratto da Parlami di un fiore, offertoci dalla bravissima scrittrice Marta Bandi, nel ringraziarla per la sua arte e per la sua disponibilità, vi salutiamo e vi aspettiamo al prossimo incontro a sorpresa. E ricordatevi sempre che l’arte è per tutti e non nuoce gravemente alla salute.
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