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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

gordiano lupi

Alessandro Zarlatti, "Le ulime ceneri dell'Avana"

14 Gennaio 2025 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

Un uomo gettato in un anno indescrivibile, il 2020 all’Avana - città che agonizza nel suo eterno tramonto, tra la pandemia e le ceneri dei suoi fuochi ormai spenti - trova il coraggio di narrare una volta ancora una realtà che si presenta come un interminabile giorno prima della fine. Alessandro Zarlatti torna, forse per l’ultima volta, a dialogare con la sua Cuba, con le sue strade senza uscita, con le sue persone, con le sue maschere, con i suoi ricordi. Questa volta lo fa attraverso una raccolta di racconti che sembrano uscire dall’occhio di un ciclone buio e persistente che si abbatte su un paese senza più risposte. Una cronaca, quasi un diario, di un tempo disfatto e terrificante dove diventa impossibile raccontare il presente se non attraverso le lenti deformanti di un monologo interiore. Raccontare ciò che accade fuori, raccontando ciò che accade dentro, in una continua rimonta tra la tragedia privata e quella collettiva che s’impone, quest’ultima, in crescendo, privando ognuno del diritto di cadere in dolori più intimi e smarrirsi. Sono lontani, ad una distanza incolmabile, i tempi e gli scenari delle prime raccolte di Alessandro Zarlatti, lontane e non più percorribili Alcune strade per Cuba che raccontavano un paese pieno di speranze diventate ben presto illusioni, lontani perfino gli echi malinconici e i residui di sogno di Destino Cuba. Appaiono quelli dei libri scritti secoli fa, improvvisamente inattuali. Con Le ultime ceneri dell’Avana sembra approdare tutto, scenari, uomini, sogni, speranze, amori, nelle latitudini agitate della poesia. E’ quello che resta. L’unico bagliore di divinità che ancora ci abita. L’unico gioiello da portare in salvo dalla casa che va in fiamme. E il libro racconta di un incendio che raggiunge dimensioni e paesi che sono ben più vasti dei confini di una città. La pandemia come una tragedia collettiva che ha avvelenato e messo in crisi gli uomini nei luoghi più riparati della propria individualità. Resta la narrazione cruda di un paese e di un uomo che hanno perso tutte le coordinate e a cui sono rimaste solo le parole per non smettere di raccontarsi e, quindi, di esistere. Le ultime ceneri dell’Avana parla di Cuba come potrebbe parlare di ogni parte del mondo perchè si interroga con ferocia, proprio quando sembrano cadere tutte le risposte, sul senso della nostra presenza e sul senso dei nostri amori. Le ultime ceneri dell’Avana è la settima pubblicazione di Alessandro Zarlatti e la prima nelle collane delle Edizioni Il Foglio.

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La caduta delle Ciminiere

16 Novembre 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #luoghi da conoscere

 

 

 

Presto ci lascerete ciminiere antiche, siete d’intralcio al futuro, a quel che dicono, ma in questo crepuscolo d’ottobre svettate in un cielo tutto nubi, imponenti e altere, come un tempo. Il padule solo, abbandonato, Orti Bottagone del ricordo, i pali immaginari d’una porta, in un romanzo che un piccolo scrittore volle dedicare al suo paese, acquitrini lacustri, neri d’inchiostro, soffusi di tristezza. La Centrale dismessa, come un rudere, inutile castello di lamiere, accanto il mare e il suo eterno ritorno. Mi mancherete compagne ciminiere, siete il panorama consolante di quel ragazzo che tornava a casa da una vacanza, da un viaggio, da una partita giocata chissà dove. Mi mancherete quanto l’altoforno che un giorno è caduto, ginocchia ormai tremanti, lasciandoci in attesa d’un futuro che ancora va tutto costruito. Il pianto antico non è per quel che perdi, un simbolo che cade, un panorama che spezza il già vissuto, un sogno stemperato dal pensiero. Il pianto antico è per l’incertezza del domani, se un simbolo che cade non ci porta a percorrere convinti strade nuove.

La caduta delle ciminiere, subito dopo l’altoforno, la caduta dei giganti, piedi d’argilla immersi nella sabbia, davanti al mare. La caduta d’un mondo che scompare, anche se il nuovo è tutto da scoprire, frantuma simboli ma non comprende da dove ripartire. Il cielo sopra Piombino senza torri industriali, privo di altiforni. Il cielo come non l’hai mai visto, non è più lo stesso cielo, ma ti dovrai presto abituare. Le ciminiere nella copertina di Calcio e acciaio restano indelebili, pali d’una rete immaginaria, sono la storia, sono il mio passato. Dimenticare Piombino è impossibile, siete la porta del mio cuore, quando percorro la Geodetica per tornare, il campo di calcio immaginario d’una vita che parte dal Magona, tocca l’altoforno in via Gaeta, quindi si spinge, sognando, verso il mare.

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Gordiano Lupi
www.ilfoglioletterario.it
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Gordiano Lupi e Francesco Viegi, "La grande bellezza"

8 Novembre 2024 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #gordiano lupi, #recensioni, #fotografia

 

 

 

 

La Grande Bellezza

Gordiano Lupi e Francesco Viegi

Edizioni Il Foglio, 2024

15,00

 

 

Un libro di contrasti, questo ultimo testo a firma Gordiano Lupi e Francesco Viegi, fatto dei bei – e romantico-decadenti – testi di Lupi e delle ottime fotografie di Viegi.

Gordiano Lupi lo conosciamo: al di là di qualche incursione nel giallo, nell’invettiva o nel romanzo, è il cantore di Piombino. Parla della sua città com’è adesso e com’era nel ricordo. Memorie personali, forse distorte dall’acuta nostalgia che, col passare degli anni, si fa più amara, venata di sconfitta e di rassegnazione. Piombino non è sfondo ma è sostanza: archeologia industriale, polvere d’acciaio che arrossa il cielo in finti tramonti, agavi spinose e tamerici piegate dal vento, voli di gabbiani che hanno la traiettoria di ciò che non sarà mai più. Come si sa, la memoria rende incantevole anche quello che era quotidiano e finanche doloroso, stemperando e addolcendo.  La “sostanza” è in fin dei conti la ricerca di se stessi, di ciò che non abbiamo trovato perché è andato perso, perché c’era già e non lo sapevamo, oppure perché è solo uno scherzo della memoria.

Le foto di Viegi collegano la Piombino che è a quella che sarà, ritraendo fiorenti ragazze in abiti succinti, le quali dovrebbero simboleggiare il futuro, ma anche la “grande bellezza” nascosta nel paesaggio marino e vetero-industriale della città toscana. Le ragazze contrastano con questo vecchio mondo, logoro ma pieno di significato, di persone morte, di voci, gesti e pregnante passato, loro che sono fresche e audaci, proiettate verso il futuro, avvolte da una naturale malizia e da una forse non troppo innocente sensualità.

Questo contrasto fra i ritratti di Viegi e la Piombino di Lupi ha senz’altro una sua ragione di essere ma io, da affezionata lettrice dei libri di Lupi, li preferisco fatti solo delle sue parole, della sua prosa così vicina alla poesia di cui è cultore, preferisco il fico degli ottentotti e i campetti sterrati dove i bimbi calciavano un pallone, i canneti, lo stadio Magona e la spiaggia di Salivoli, ai tacchi a spillo e alle cascate di riccioli mori.  Preferisco, insomma, la voce che canta all’occhio che vede, anche quando, oggettivamente, vede la bellezza.

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Maria Cristina Buoso, "Vorrei dirti"

4 Novembre 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Maria Cristina Buoso
Vorrei dirti
PlaceBookPublishing  Collana: I Corti
Link Acquisto:
https://www.amazon.it/dp/B0DJNP28S4/ref
Copertina flessibile - Pagine 188 - ISBN-13: ‎ 9798341496354‎

 

Ci sono sempre due verità... e spesso non coincidono. Ci sono stati silenzi e incomprensioni che hanno allontanato Diva da suo padre per diciassette anni. Diva, ormai donna, capisce che per riappacificarsi con lui, prima deve farlo con sé stessa e dare un senso ai tanti ricordi che aveva rimosso del suo passato. Lo farà scrivendo una lunga lettera al padre, nella quale si racconta e spera in una risposta.  Non succederà perché le ritornerà indietro con la scritta: destinatario sconosciuto. Cosa è successo? Per saperlo dovrà indagare sulla vita del padre fino alla verità finale. Un avvincente viaggio alla ricerca del significato vero degli affetti più forti, un viaggio non solo fisico ma soprattutto emotivo attraverso i sentimenti, le vicende del passato e le sorprendenti pieghe della vita. Maria Cristina Buoso scrive sin da giovanissima, fiabe e poesie, racconti brevi, copioni, romanzi, gialli, thriller … . Ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra questi il Certificato di collaboratrice della China Writers Association e del Club dei Lettori della Cultura orientale e Letteratura cinese. Gestisce un blog letterario interessante: https://mariacristinabuoso.blogspot.com/. Leggiamo un brano tratto da Vorrei dirti.

Vorrei dirti tante cose, ma per troppo tempo ho trattenuto le parole dentro di me, forse perché mi sentivo ferita dal tuo silenzio o forse perché troppo orgogliosa per provare a capire le tue scelte. Tu non sapevi dirmi ti voglio bene e io non sapevo come fare per superare il muro che avevi alzato tra noi. E adesso, dopo tutti questi anni di lontananza, non so come riavvicinarmi a te. Tra le foglie verdi ho visto nascere le prime violette della stagione. Il freddo fra un po’ si ritirerà e lascerà dietro di sé un ricordo appena sbiadito sui petali dei primi fiori che sbocceranno. Nei miei pensieri ho tante parole da mettere in ordine e sentimenti da chiarire, come le domande senza risposta che mi sono portata dentro per troppo tempo. Indosso il cappotto ed esco. Sotto i piedi, lo scricchiolio del freddo mi ammonisce di non fidarmi di quel sole che si stiracchia nell’aria, regalandomi i primi tepori primaverili. Mi sorrido e mi avvicino alle prime violette, le raccolgo e ne faccio un mazzetto, poi te lo spedirò insieme alla lettera, racchiuso tra due fogli bianchi. È passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti e forse tu non abiterai più là, non importa, te la mando lo stesso all’unico indirizzo che conosco. È da qui che sono partita diciassette anni fa. Ricordi? Il nostro fu un saluto formale sulla porta di casa, nessuno di noi due voleva abbassare per primo lo sguardo e neppure dire quella parola che forse ci avrebbe permesso di essere meno orgogliosi e freddi. Eravamo due testardi; io lo sono tuttora, e tu? Ti sto scrivendo questa lettera con il pensiero, poi la trascriverò sulla carta, forse cambierò qualcosa, forse niente. Fra un secondo e un altro tutto può cambiare e non solo le parole. Voglio raccontarti di me. Approfitto di questo tuo obbligato silenzio per parlarti”.

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Gordiano Lupi, "Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino"

25 Ottobre 2024 , Scritto da Redazione Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

 

 

Gordiano Lupi

Calcio e acciaio- Dimenticare Piombino

Il Foglio Letterario

 

“Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino” nel decennale della sua prima edizione con Acar Edizioni, viene rieditato e riportato in libreria dal Foglio Letterario Edizioni

 

Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino racconta con amore e nostalgia una storia ambientata in un suggestivo spaccato maremmano.

Ultimo libro di una lunga serie dell'autore e traduttore piombinese Gordiano Lupi, Calcio e acciaio, dimenticare Piombino é stato uno dei libri finalisti al Premio Strega 2014 e il vincitore del Premio Bovio a Trani e il Premio Città di Massa.

 Il calcio e l’acciaio fanno da cornice a questo libro che grazie ai suoi protagonisti parla di amore - per una donna, per la propria città Piombino e un amore mancato -, di ricordi del passato, di vita vissuta. Attraverso Giovanni, il calciatore che, dopo il successo, torna alle sue radici, nel paese dove ha trascorso l’infanzia e Tarik il marocchino arrivato in Italia per cercare fortuna e grazie alle sue abilità calcistiche ha il suo riscatto di vita, percorriamo questo viaggio tra presente e ricordi passati.

 

“Aldo Agroppi era amico di sua madre, viveva in via Pisa, un quartiere di famiglie operaie, case bombardate durante la Seconda Guerra Mondiale, tragiche ferite di dolore, macerie ancora da assorbire. Giovanni ricorda una foto di Agroppi che indossa la maglia della Nazionale, autografata con un pennarello nero. Era stato proprio Agroppi in persona a dargliela, all’angolo tra corso Italia e via Gaeta, in un giorno di primavera di tanti anni fa, dove la madre del calciatore gestiva una trattoria, un posto d’altri tempi, dove si mangiava con poca spesa. Giovanni era un bambino innamorato dei campioni, giocava su un campo di calcio delimitato dalla sua fantasia, imitava le serpentine di rombo di tuono Gigi Riva, i virtuosismi di Sandro Mazzola, le bordate di Roberto Boninsegna, le finte dell’abatino Gianni Rivera e la vita da mediano di Aldo Agroppi, cominciata a Piombino e conclusa a Torino”.

 

La scrittura di Lupi ci rende partecipi delle vicissitudini del protagonista, dei suoi ricordi e dell’ineluttabilità della sua vita. Tutto calato in un ambiente che accoglie e ben si presta a momenti di raccoglimento a favore di recenti ricordi, vecchi e nuovi amori e incontri. Piombino è a tutti gli effetti co protagonista.

 

Il libro è acquistabile su prenotazione in libreria e online su tutti gli store digitali.

 

IBS: https://www.ibs.it/calcio-acciaio-dimenticare-piombino-libro-gordiano-lupi/e/9791256860272?srsltid=AfmBOootCDUyp8u7pPypjF0JZP5iYiiLSPD-Z55tgy0OX_LVvx0Qm8ly

EBOOK AMAZON: https://www.amazon.it/Calcio-acciaio-dimenticare-Gordiano-Lupi-ebook/dp/B00O2AA8V0

 

 

Note biografiche:

 

Gordiano Lupi (Piombino, 1960) collabora con PoesiaFuturo EuropaInkrociLa Folla del XXI SecoloQui NewsValdicornia, La Rivista degli Italiani in Francia e altre riviste. Dirige Il Foglio Letterario Edizioni. Traduce gli scrittori cubani Alejandro TorreguitartRuiz, Felix Luis Viera, Zoé Valdés, HebertoPadilla e Guillermo Cabrera Infante. Tra i molti lavori editi, ricordiamo: Nero Tropicale, Cuba Magica, Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana, Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura, Almeno il pane Fidel, MiCuba, Fellini - A cinema greatmaster, Fame - Una terribile eredità, Storia del cinema horror italiano in cinque volumi, Soprassediamo! - Franco & Ciccio Story. Ha tradotto La ninfa incostante di Guillermo Cabrera Infante (Sur, 2012). I suoi romanzi più importanti: Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, Miracolo a Piombino– Storia di Marco e di un gabbiano e Sogni e altiforni - Piombino Trani senza ritorno (presentati al Premio Strega 2014, 2016, 2019). Libri recenti, giugno 2022 e giugno 2023, con il fotografo Riccardo Marchionni: Amarcord Piombino - vol. 1 - I ragazzi di via Gaetae Mi rammento Piombino – Tanta bellezza non la catturerai (Amarcord Piombino vol.2). Nel 2024 ha pubblicato Il fantasma di Alessandro Appiani e La grande bellezza - Raccontare Piombino per immagini (con il fotografo Francesco Viegi). Per la poesia ha pubblicato La città del ferro (2023). Lavori recenti a tema cinematografico: Gloria Guida, il sogno biondo di una generazione, Tutto Avati – Il cinema di Pupi Avati, Il cinema rovente di Umberto Lenzi e Il cinema dei fratelli Vanzina. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/).

Pagine web: www.gordianolupi.it/lupi. E-mail per contatti: lupi@infol.it

 

I Ricordi del nonno

(da Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, 2014 – presentato al Premio Strega)

 

2.

 

Giovanni si dirige verso lo Stadio Magona, percorre a passi lenti viale Regina Margherita, e pensa a suo padre, operaio delle Acciaierie, morto quando lui giocava le ultime stagioni nella squadra della sua città. Si chiamava Antonio, era un uomo abituato al caldo soffocante dell’altoforno, un lavoro fatto di gesti ripetuti alla catena di montaggio. Una giornata di fatica per un salario appena sufficiente a pagare l’affitto di un appartamento popolare in un condominio annerito dai fumi della ferriera e a imbandire una mensa che poteva permettersi carne solo nei giorni di festa. Alimentava una macchina infernale che divorava carbone per restituire fumo e prodotto grezzo composto di acciaio. Antonio aveva le mani callose indurite dal lavoro e pensava alla terra lontana, agli olivi abbandonati, alla madre che lo attendeva sulla porta di casa di un paese alle pendici di un monte. Rammentava la sua festa preferita mentre lavorava in ferriera, una festa che anche Giovanni aveva amato da bambino, quella sagra delle ciliegie nei giorni di maggio, quando il colore rosso invadeva il borgo e apriva le porte ad antichi sapori. Giovanni ricorda quando le sue agili gambe di bambino correvano insieme ai ragazzi per rubare ciliegie a grappoli, sporcandosi la bocca e il viso, attaccando i piccoli frutti alle orecchie come fossero campanelle. Antonio coltivava i campi insieme al padre, che un tempo aveva fatto la spola a piedi per tutta la vallata, da Sinalunga a Montalcino, passando per Pienza e San Quirico, con un ciuco carico di legna per il camino di casa, una casa sempre viva, con lui e il fratello che giocavano a nascondersi irritando la madre, mentre la nonna sgranava il rosario seduta sulla sedia a dondolo in canna di bambù. Antonio aveva estirpato le sue radici montanare per avventurarsi lungo strade polverose fatte di fatica e privazioni. La giovinezza e le sue gambe che correvano leste per le strade del mondo lo avevano spinto ad abbandonare il borgo per un lavoro lontano che appagasse il desiderio d’una vita tranquilla.

Il nonno aveva avuto una vita avventurosa. Terracina e il golfo di Gaeta erano le fotografie del passato, i pini marittimi sul lungomare di Formia custodivano i ricordi dei primi baci d’amore. Giovanni ripensa spesso ai racconti del nonno, ascoltati da fanciullo prima di andare a dormire e custoditi dai ricordi paterni. Un grande amore lasciato sul lungomare e via verso il futuro. Un sogno chiamato America non poteva attendere, era il miraggio del povero emigrante in cerca d’una vita migliore.

Francesco, perché devi lasciarmi? Non possiamo costruirlo insieme questo futuro?”, aveva detto Caterina al suo uomo in fuga, ormai deciso a salpare sul battello che lo avrebbe portato lontano.

Francesco aveva scosso la testa e intonato una canzone provando a chiedere perdono a quel cuore in pena.

Il nonno aveva avuto molte donne, ma Caterina affiorava spesso dai ricordi del passato: aveva le spalle minute, il portamento fiero e una vita perduta giovane. Silvia era il sogno dal sapore acre della terra d’Aspromonte, una voglia di vivere che proveniva da antenati abituati a scavalcare montagne per condurre animali al pascolo, al riparo dai venti. Le altre non le rammentava, non ne parlava mai, erano misteriosi sentimenti nascosti dalle ombre della sera, raffiche di tramontana che nascondevano barlumi di memoria.

Il nonno di Giovanni era stato in America a cercare fortuna, come i disperati che in quei giorni approdavano lungo le coste siciliane, a Lampedusa, ricacciati in mare, deportati in lager recintati da filo spinato, cacciati via come figli di nessuno. La sua nave aveva alzato l’ancora e acceso i motori, con lui passeggero di terza classe compagno di topi e valigie ammucchiate in una stiva polverosa. Francesco partiva insieme a tanta povera gente, con la testa zeppa di impossibili sogni a stelle e strisce. L’Atlantico diventava una fuga dagli amori e dal lavoro come cameriere nel ristorante sul porto. L’America aveva aperto le braccia al nonno, gli aveva insegnato la sua lingua, un nuovo modo di esprimersi fatto di gesti e di larghi sorrisi. Il sudore della fronte e il lavoro non erano diversi dalla sua terra, ma questo non lo spaventava. Francesco aveva lavorato in una filanda, mentre le prime auto percorrevano le strade di New York, aveva rubato amore nei postriboli notturni e mangiato nei retrobottega di ristoranti dove lavava piatti per arrotondare un magro stipendio. Incontrava italiani emigranti, proprio come lui, seduti ai tavoli dei bar, parlavano d’una terra lontana, di speranze mai abbandonate. Proprio come gli emigranti di oggi che affrontano viaggi da disperati, pensa Giovanni. Uno di loro ha cominciato da pochi mesi ad allenarsi con il Piombino, viene dal Marocco, è un ottimo attaccante, rapido e guizzante, un vero incubo per le difese avversarie. Giovanni crede in quel ragazzo, punta su di lui per la prossima partita di campionato, quando la sua squadra dovrà affrontare il derby del canale contro l’Isola d’Elba. Tarik è il nome del giovane marocchino in cui Giovanni si rivede, rivede le sue serpentine verso la porta avversaria, rivede la stessa voglia di sfondare nel mondo del calcio.

Se riuscissi a far carriera nel calcio potrei comprare una casa per la mia famiglia, in Marocco”, mormora.

Giovanni sorride.

Non correre troppo. Pensa alla partita di domenica, intanto”.

Emigranti. Pure noi siamo stati un popolo di emigranti. Sembra che nessuno se ne ricordi. Il nonno di Giovanni aveva disegnato santini e angeli per biglietti di auguri, volti di donne lontane per cartoline d’amore, cavalli dalle briglie sciolte che prendevano il volo verso patrie dimenticate. Non aveva mai smesso di coltivare un’abitudine appresa in terre lontane, scriveva lunghe frasi in inglese che abbandonava sulle panchine, sgrammaticate, zeppe di errori, ma era la lingua del popolo, imparata per sopravvivere. Povera gente andata al di là del mare, a bordo di inaffondabili Titanic, per fare fortuna, anche se spesso la fortuna restava un fiore non colto. Francesco diceva sempre di averla trovata quella fortuna, il viaggio aveva dato un senso alla sua vita, aveva conosciuto mondi nuovi ed era riuscito a superare difficoltà insormontabili. A quel tempo eravamo gli italiani mafiosi, mangiaspaghetti, banditi e traditori, brutti, sporchi e cattivi, come in un vecchio film di Ettore Scola. Il nonno aveva attraversato strade polverose, conosciuto paesi dei quali non ricordava i nomi, amato donne dai sorrisi misteriosi, nascosto malinconie quando si sentiva disprezzato e rifiutato. Non era americano, tanto bastava…

Tarik fugge dal Marocco, dalla miseria e dalla disperazione. A Piombino fa il manovale in una ditta edile, mentre per una piccola squadra di calcio è lo straniero che segna gol a raffica e risolve problemi d’attacco. Giovanni crede in lui. Ha modificato l’assetto tattico in funzione delle sue rapide serpentine che aggirano le difese avversarie. Vede nella sua espressione assente, che spesso si fa cupa e ombrosa, la nostalgia dei suoi avi emigrati in paesi lontani sperando di tornare. Francesco era rientrato in Italia per combattere, assaporando il gusto acre della polvere da sparo, in trincea, per poi finire in un campo di concentramento austriaco e scappare da un condotto di scarico. Anni di sofferenza, di fame, di paura nascosta agli occhi degli altri, lettere alla madre lontana, rifugiata in una collina a cogliere ciliegie nel mese di giugno, covare speranze, cuocere castagne d’inverno in padelle forate e spremere olive per fare l’olio più buono del mondo. Giovanni ricorda il profumo del succo d’oliva e il suo sapore sul pane, quando era bambino. Sapori e profumi che non ritornano, come soldati uccisi in battaglia da colpi di fucile. Francesco era lontano e la madre attendeva con il cuore in pena nella piazza del piccolo paese. Le raffiche della mitraglia, i cannoni, la guerra fatta di piccoli passi, di buche da scavare, i nascondigli, la neve, la melma, le scarpe sfondate, la fame dei giorni passati a pensare ai giorni futuri, i tramonti dietro le sbarre, i campi di lavoro, infine la fuga, i monti percorsi correndo e sperando di poter ancora parlare italiano.

Giovanni ha sentito raccontare così tante volte l’abbraccio tra il nonno e la madre che gli sembra d’averlo vissuto. La guerra era finita e ai morti si aggiungevano nuovi nomi su lapidi di marmo. Antonio era nato da un uomo che aveva percorso il mondo con un fardello di speranze e le valigie di cartone legate con lo spago. Non poteva spaventarlo il lavoro in altoforno, anche se il mostro minaccioso sembrava osservarlo scuotendo la testa di fumo. Antonio era figlio d’un uomo che aveva sognato l’America per tutta la vita, ma che dopo tante avventure aveva accettato la provincia italiana come approdo. Il gigantesco altoforno aveva segnato il destino di un’intera famiglia, anche Giovanni aveva sempre portato con sé l’odore dello spolverino misto a sentori di salmastro che si sente entrando in città, un profumo di ricordi che diventava nostalgia dopo tanta lontananza. Francesco aveva un figlio da crescere, lo osservava ogni giorno tra le braccia della madre nella povera casa di via Gaeta, vicino all’altoforno, così diversa dalla casa di montagna dei suoi avi, resa scura dai fumi dell’acciaieria, un mostro che rappresentava il pane, unico motivo per andare avanti. Il sorriso della moglie riassumeva tutti i sorrisi delle donne che avevano attraversato la sua esistenza. Il figlio avrebbe fatto la sua stessa vita, scandita dalla sirena della fabbrica, come un grido di dolore nella sera, come un richiamo per un popolo di operai che si tramanda un mestiere di generazione in generazione. L’altoforno come un altare pagano dove sacrificare l’esistenza e sognare un futuro migliore.

Giovanni ce l’ha fatta a non finire in fabbrica, grazie al calcio, ma soprattutto a suo padre. La vita di Antonio era stata di sudore e lavoro dentro il mostro d’acciaio, quell’uomo così silenzioso e scontroso una volta aveva pronunciato una frase che al figlio piaceva ricordare: “Il giorno più bello della mia vita è stato quando mi hai chiamato babbo per la prima volta”, disse. “Anche quando ti ho visto debuttare a San Siro è stato bello. Ma quella è un’altra cosa”, aggiunse con un sorriso.

I cancelli dello Stadio Magona sono spalancati, enormi fauci aperte a divorare la sera, colorati di verde, corrosi dalla ruggine e screpolati dal salmastro. Mattoncini rossi uno sopra l’altro, marmo bianco poroso, colonnine di tufo, finestroni enormi alle biglietterie. Giovanni varca i cancelli come quando giocava al centro dell’attacco o da battitore libero, la borsa sportiva come un calciatore, i ricordi che si rincorrono nel pomeriggio mentre il pensiero corre verso la prossima partita. Soffia un vento di scirocco che scompiglia capelli e pensieri.

 

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Fabio Baldassarri, "Quasi romanzo di lettore onnivoro"

17 Agosto 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Fabio Baldassarri
Quasi romanzo di lettore onnivoro
Il Foglio Letterario Edizioni – Euro 15 – Pagine 190

 

 

Fabio Baldassarri si racconta come un lettore onnivoro nel suo ultimo libro, convinto come pochi che siamo quel che leggiamo, ergo un testo narrativo che raccoglie le passioni letterarie può esser preso come una sorta di autobiografia. Baldassarri si racconta a lungo nella postfazione: “Da ragazzo, mentre altri volevano fare il calciatore, il pilota di aerei o il direttore d’orchestra, io aspiravo a fare il giornalista e scrivere di professione benché nella Piombino in cui sono nato, conosciuta ai più come città - fabbrica per le sue acciaierie, quasi tutti finissero per trovare lavoro negli impianti siderurgici. In fabbrica ci ho lavorato comunque, ma fu a Milano, nella Breda Termomeccanica, e frequentai da studente lavoratore l’Università Statale in anni assai turbolenti (1968/1972), interessato, più che altro, al diritto del lavoro e alla teoria delle classi sociali”. Baldassarri ha avuto due incarichi politici di tipo elettivo: sindaco di Piombino 1990-1995 e presidente provincia di Livorno (1985-1990). È stato commissario straordinario per la regione Toscana e altre cose ancora, ma prima di tutto ha operato nell'industria ('68-72) come perito industriale alla Breda Termomeccanica di Milano. Un periodo di incarichi elettivi che è durato dieci anni, cui va aggiunto un periodo come impiegato comunale prima e semplice  consigliere comunale dopo ('81-85). Ha avuto incarichi politici nel PCI, compreso quello di fare il corrispondente dell'Unità che allora era l'organo ufficiale del partito, insomma, di cose ne ha fatte, non ultima quella di scrivere libri, sia saggi che romanzi. Baldassarri è stato scrittore a tempo pieno solo al termine dei numerosi impegni politici, anche perché ha avuto anche una moglie e un figlio, quindi dei doveri da marito e padre da adempiere. Tra le sue opere letterarie ricordiamo: ILIO BARONTINI un garibaldino nel Novecento; TRA LA FALCE E IL MARTELLO; L’ALBERO DEL PEPE ROSA; ILIO BARONTINI fuoriuscito, internazionalista e partigiano; LE PARTICELLE DI DIO, ovvero la Consorteria del Sacro Segreto; SULLE ALI DEGLI ANGELI DEL FANGO e undici racconti di viaggio; BALDASSARRE COSSA PAPA E ANTIPAPA; IL SEGRETO DI PROCIDA; PIOMBINONAPOLIBAGNOLI. Il suo ultimo libro – edito da Il Foglio Letterario Edizioni - proviene dalle passioni da lettore di Fabio Baldassarri, che lo considera come una sorta di testamento spirituale: “Scrivevo, ma soprattutto mi piaceva leggere. Forse nella mia aspirazione c’era anche il desiderio di emulare, immeritatamente, le grandi penne che hanno influenzato i sogni di ragazzo: Giulio Verne, Alessandro Dumas, Victor Hugo, Jack London, Hermann Melville. Crescendo, inoltre, avevo incontrato anche i grandi russi, gli autori di lingua slavo-germanica, gli scrittori e i poeti anglo-sassoni, la migliore letteratura nelle lingue neo-latine tra cui la nostra, e tanti altri ancora. Tra le letture degli ultimi anni, perciò, ho scelto alcuni libri su cui ho scritto più che altro recensioni e consigli di lettura, probabilmente perché ritenevo ci potessero aiutare a capire aspetti del mondo non troppo chiari in cui vivevamo specialmente nel quinquennio 2018-2023”.

Quasi romanzo di lettore onnivoro è un libro che è frutto di altri libri, dove troviamo il Baldassarri lettore critico e consapevole. Tutti testi raccolti sono stati pubblicati su riviste on line come Alga News e su giornali come Allonsanfan e ci raccontano qualcosa in più su un autore eclettico, dotato di uno stile personale, polemico e accattivante, soprattutto di chiara lettura e caratterizzato da una semplice esposizione narrativa. Leggetelo! Non ve ne pentirete.

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Massimo Boddi, "Gli scarafaggi non si nascondono in casa"

14 Agosto 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Massimo Boddi
Gli scarafaggi non si nascondono in casa
La Bussola – Euro 10 – Pag. 140

 

Un romanzo ambientato nella Piombino degli anni Novanta, per la precisione agli inizi del 1993, in piena crisi siderurgica, con cassa integrazione e scioperi, cortei e proteste, persino blocchi stradali e ferroviari; tutte cose che ho vissuto, a differenza di Massimo Boddi che in quel periodo aveva dieci anni, quindi le avrà studiate sui libri o se le sarà fatte raccontare da chi stava sul pezzo della protesta. Ma il romanzo non è sulla crisi dell’acciaio, né sul futuro di una Piombino allo sbando, tutte cose che restano sullo sfondo, dipinte con suggestive pennellate dispensate da un sapiente scenografo. Gli scarafaggi non si nascondono in casa è un romanzo di formazione corale - niente di più complesso! - ambientato nel mondo giovanile anni Novanta, dove gli scarafaggi sono proprio quei ragazzi che vivono pericolosamente il passaggio da adolescenza a età adulta, accompagnati dalle note dei Litfiba e dei Nirvana, persino dei mitici CCCP, impegnati a sfidare l’esistenza per realizzare i loro sogni. Romanzo rock, lo definisce Ernesto Assante in una sentita prefazione, vero anche quello, a mio parere soprattutto romanzo moderno, scritto con uno stile deciso che è una nota caratteristica dell’autore, già noto per il riuscito Miseria puttana. I suoi personaggi crescono insieme a chi scrive, ci fanno conoscere genitori che vedono nei figli un possibile riscatto sociale, una rivincita alle loro frustrazioni, sono ragazzi che crescono con tutti i problemi degli adolescenti di ogni generazione. Un romanzo dove incontri momenti di vera poesia come Credevi di poter vivere nel guscio di una noce e ti sei ritrovato a friggere al sole, come un rospo spiaccicato a bordo piscina. I pensieri di Giorgio sono i pensieri dell’autore, tra i tanti il personaggio che più lo rappresenta, uno che si trova a suo agio raccontando la vita ad altezza di sputo, un improvvisatore un po’ fuori di testa che vorrebbe narrare un mondo che scatarra, piscia, vomita, perde moccio e puzza, sul palco degli apprendisti della vita. Un romanzo moderno, scritto con aderenza al parlato più puro e genuino, che non insegue la letteratura, ma la trova comunque narrando la vita di un gruppo di scarafaggi di quartiere che non si nascondono in casa, ma vivono a cazzo loro, bruciando sul tempo dio e il destino, e non devono spiegare niente a nessuno. Belli davvero questi ragazzi che vivono nella Piombino del 1993 - ragazzi veri e non figurine stereotipate come quelle di un romanzo diventato pessimo film alcuni anni fa -, gente che non vuole intorno fascisti o borghesi che se la tirano, ma seguono comandamenti come La strada è mia sorella e l’amico sincero è mio fratello. Un libro da leggere e meditare, pubblicato da un editore come La Bussola che mette un prezzo abbordabile di dieci euro per un romanzo che si rivolge a un pubblico giovane.

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Gordiano Lupi e Francesco Viegi. "La grande bellezza"

22 Luglio 2024 , Scritto da Fabio Canessa Con tag #favbio canessa, #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Una struggente elegia di immagini e parole per catturare lo spirito del Genius Loci, che sembra giocare a nascondino tra la voce di Gordiano Lupi e l’occhio di Francesco Viegi. Perché quanto più le foto si avvicinano allo spazio, tanto più i testi si allontanano nel tempo: e allora quei luoghi accarezzati dai ricordi di ieri sono gli stessi immortalati dagli scatti di oggi, talvolta risultano addirittura più belli, ma sembra svanita l’aura che li avvolgeva, la magia che li riempiva di calore e familiarità, il mistero che li rendeva sacri.

Un incanto che può solo essere rievocato dalla memoria, con il piacere dell’abbellimento e il rischio della falsificazione, attraverso la scrittura di Gordiano Lupi, mai così lirica e, nella sua semplicità, intessuta di citazioni: non per sfoggio di cultura o per omaggio ai poeti, ma perché in lui anche le letture predilette, anche la grande letteratura del Novecento investe e permea ogni angolo di Piombino prima di ricollocarsi nella mente e nel cuore di Gordiano. Così la scavatrice di Pasolini stavolta piange per il palazzo di Elisa Baciocchi in Cittadella, la casa dei doganieri di Montale si fonde con la casamatta di Calamoresca e la vena crepuscolare di Gozzano snocciola deliziosi endecasillabi incastonati nella prosa (“perfette, ordinate, precisine/ il mare al posto giusto, le cabine”). Un mondo perduto di affetti ed emozioni, di odori e sapori familiari che, impossibili da recuperare nella realtà, ci accontentiamo di vagheggiare nell’immaginazione. Un mondo perduto di cui rimangono però i luoghi, come le scenografie di un’opera teatrale dopo la fine della tournée o le location di un vecchio film. Quei luoghi che hanno nutrito il passato vengono visitati oggi dallo sguardo di Francesco Viegi non con illustrazioni didascaliche, ma in un dialogo intrigante tra continuità e contrasto. Il bianco e nero della maggior parte delle foto entra in sintonia con la malinconia vintage della prosa di Lupi, ma le giovani modelle che si stagliano in primo piano nei panorami piombinesi ci suggeriscono che solo la bellezza può medicare la nostalgia.

Chi sono queste fanciulle? Turiste nel passato, come farebbe pensare il vestito rosso di una di esse che spicca in mezzo al bianco e nero del Rivellino e del Comune sullo sfondo? Muse del presente, come testimonia la loro personalità contemporanea? O figure del futuro, che abiteranno i nostri luoghi quando noi non ci saremo più? Forse sono sirene, venute dal mare e sdraiate sugli scogli, come sembra indicare la sorellanza di una di esse con la Sirena del palazzo di Lungomare Marconi in una fulminante inquadratura. Oppure ninfe dei Quattro Pini, del parco di piazza della Costituzione, della Pinetina e degli altri boschi domestici, colti dall’obiettivo di Viegi da punti di vista felicemente inediti.

Se Lupi afferma che siamo “incapaci di comprendere il futuro”, inevitabile non riuscire a capire neanche le modelle che lo rappresentano, tutte seducenti ma ognuna a suo modo distante, indecifrabile, ognuna a suo agio nel contesto del paesaggio ma in contrasto con il testo di Lupi, che racconta il carretto di Ponzo e il fritto della Festa dell’Unità in piazza Dante, tutta roba lontano anni luce da quelle bellezze al bagno. La frase chiave lo rivela: “Il domani è tutto da inventare mentre il passato è perduto per sempre”. Infatti le modelle di Viegi sono tutte da inventare, mentre il passato perduto è terreno di caccia della letteratura di Lupi, il quale spesso ricorre alla metafora della sabbia che sfugge tra le dita, una clessidra da spiaggia per misurare l’irrevocabilità del tempo. Eppure lo stesso Lupi si definisce “cercatore d’immagini”; così Viegi gli risponde fornendogli materiale in abbondanza su cui meditare, tra gli ammassi di lamiera abbandonata, le vie e le piazze del centro storico, i profumi e i “vestiti al posto dei sogni” che hanno sostituito il Sempione e il Supercinema.

Suggestioni cinefile arrivano anche dal corto circuito tra Il posto delle fragole di Ingmar Bergman e Il ferroviere di Pietro Germi, “un film fatto per gente all’antica, col risvolto dei pantaloni”, come lo definiva il regista. Perfetto per rappresentare i fantasmi dei padri, degli operai e dei pescatori. Più difficile è recuperare i sapori, per esempio il gusto del gelato del bar Pellegrini: “si sentiva il sapore del latte, un sapore che adesso cerco di riscoprire in altri gelati ma per quanto mi sforzi non lo trovo, sarà per quel fatto del tempo che passa, non lo so mica per cosa sarà, so soltanto che non lo trovo e tanto basta”. Qui, dietro l’apparente omaggio oleografico alla Piombino del passato, si rivela la motivazione più profonda di questo libro: la ricerca di se stessi, tra tuffi al cuore e languido spleen, “tra la sconfitta e il nulla”.

La nobiltà poetica del rimpianto di Lupi e l’enigmatica avvenenza delle ragazze di Viegi confermano che “ogni stagione ha il suo corso e non siamo le stesse persone per sempre”. Certo, era meglio osservare la vita stupefatti per mano a nostro padre e credere alle fiabe del nonno, capaci di trasfigurare la storia passata, magari assistere alla vittoria del Piombino in serie B contro la Roma, piuttosto che misurare il divenire, le tappe del disfacimento di dentro e di fuori, le sconfitte inevitabili dovute al trascorrere del tempo. L’occhio esperto e birbante di Viegi può concordare con la confessione disincantata di Lupi: “Lo so che il meglio d’altri tempi non era che la nostra giovinezza”.

Che schifo diventare grandi!

(Fabio Canessa)

 

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Milan Kundera, "Praga, Poesia che scompare"

22 Giugno 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Milan Kundera
Praga, Poesia che scompare
Adelphi – Pag. 106 – Euro 12

 

Mi ripeto. Adelphi è un grande editore. Uno dei pochi che restano in questo cimitero degli elefanti che è l’editoria italiana. Merito di Roberto Calasso che l’ha impostata su solide basi culturali. Merito di una redazione che lavora seguendo le sue tracce anche dopo che se n’è andato, lasciandoci tutti un po’ più soli. Tra le cose meritevoli che fa Adelphi c’è la ristampa (con traduzioni curate da Giorgio Pinotti) di tutta l’opera di Milan Kundera, che occupa un intero settore della mia biblioteca, adesso pure negli agili volumetti della Piccola Biblioteca (106 pagine, euro 12) con Praga, Poesia che scompare, due testi brevi del grande boemo (non cecoslovacco, a lui non sarebbe piaciuto!). Il primo lavoro, per me del tutto inedito, uscito in Francia su Le Débat, dà il titolo al volumetto, una riflessione dedicata a Praga, vista come una sorta di Atlantide che si allontana nelle nebbie dell’Europa, una città remota, dotata di una lingua poco conosciuta e poco accessibile che rende la sua cultura isolata, distante, poco fruibile per gli stranieri. Kundera cita Kafka e Hašek, il primo discreto e vegetariano, l’altro eccentrico e beone, la letteratura del primo criptica ed ermetica, quella del secondo popolare ma non considerata vera letteratura. Sono due artisti figli di una stessa società eppure così diversi, così come è importante Karel Čapek con la sua storia dei robot costruiti dall’uomo che si mettono a combatterlo, una metafora fantastica del totalitarismo. Kundera si sforza di far capire che la cultura di Praga è occidentale e che la sua letteratura è antica come l’Occidente, solo l’invasione russa del 1968 ha spazzato via la generazione degli anni Sessanta e la cultura moderna che l’ha preceduta, distruggendo la vera cultura boema. Il secondo testo, Ottantanove parole, l’avevo già letto ne L’arte del romanzo, dove era uscito in forma ridotta mentre in questo volume lo possiamo apprezzare integrale. Si tratta di una sorta di filippica colta contro le traduzioni libere, contro i traduttori che vogliono migliorare lo stile dello scrittore (e finiscono per rovinarlo). Kundera compone un personale dizionario composto da ottantanove parole chiave per capire meglio i suoi libri e per tradurre meglio certe espressioni ceche in francese e in altre lingue. Per fare un esempio, alla voce stupidità compie una breve dissertazione filosofica sulla differenza con il più violento e aggressivo idiozia. Altro concetto importante per Kundera: il non essere non è il nulla, sarebbe errata una simile traduzione, il nulla e il non essere sono due cose completamente diverse. Il non pensiero, al tempo stesso, non è assenza di pensiero, secondo il grande scrittore boemo. Non fate a meno di questo libro, se amate Milan Kundera, ci sono le chiavi per capirlo meglio e per non tradire il suo pensiero filosofico.

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Daniele Cargnino, "L'antidoto al morso dei poeti"

20 Giugno 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Daniele Cargnino
L’antidoto al morso dei poeti

Il Leggio Libreria Editrice - Euro 12 - pag. 80
www.leggioeditrice.it - https://www.ibs.it/antidoto-al-morso-dei-poeti-libro-daniele-cargnino/e/9788883202063

 

Daniele Cargnino (1987) è un giovane poeta torinese che ha già pubblicato diverse sillogi (La Sposa nella Pioggia, Blu Oltremare, I Depressi Odiano l’Estate) e alcuni racconti. La sua ultima opera poetica è Fallimentare Urgenza Creativa, che precede il recente e compiuto L’Antidoto al Morso dei Poeti. Il volume di Cargnino ha come sottotitolo (molto indovinato) Cinemalinconie delle periferie, il suo incedere per fotogrammi conferma la felice scelta, così come l’ambientazione delle liriche non poteva essere migliore. Il breve motto introduttivo definisce le opere che il lettore sta per leggere: poesie da tasca, una serie di note, slogan pubblicitari, storie messe al bando, schegge di dialoghi, aforismi e epigrammi. Tutto questo, infatti, sono i versi di Cargnino, dedicati alle case perdute e a chi vi abbiamo dimenticato dentro, agli amori che fanno male, ai denti e ai corpi spezzati d’amore, alla malinconia, che ha bisogno di musica e poesia. Tutto molto bello. L’opera del poeta risente della sua formazione musicale, nel caso mi capitasse di ascoltare un giorno una sua canzone forse potrò dire il contrario, per il momento leggere le sue liriche equivale ad ascoltare un vecchio vinile degli anni Settanta che continue i brani del cantautore preferito. Molti riferimenti d’autore sottolineano la cultura poetica di Cargnino - che legge poesia, da vero poeta, e si fa influenzare, come dev’essere -, si va da Magrelli a Straub, passando per Whyte e Cortazar, senza dimenticare Weril e Lyacos. Poesia racconto ma non alla Pavese, poesia moderna, onirica, psichedelica, divisa in due tempi (due lati dell’album in vinile), ripartiti ciascuno in tre atti, per terminare con un bonus track e una playlist musicale che comprende Ciampi, Cohen, Smith, Neffa, Conte, Lennon e non abbiamo citato tutti. Dicono di me che sono acqua sporca. / Senza resa. / La felicità sta negli anfratti. / Tienili stretti, scrive il poeta in una sorta di diario delle sconfitte dove annota tutte le sue nevrosi, vivendo un’esistenza che sembra un panno sporco dentro una lavatrice. Intuizioni geniali come Abitiamo il vento che ci disegna / come una gabbia in movimento lasciano il posto ad altre come l’obiettivo è far parlare la poesia dicendo il meno possibile, non meno folgoranti. I miei sensi di colpa da scrittore non li auguro a nessuno, recita un aforisma del poeta che non raccoglie mai i pensieri per paura di star male e non vuol perdere il contatto con i dischi e con il pop per non perdere la gioventù. Per concludere che le poesie e i poeti non salveranno il mondo / ma forse lo potranno mantenere in buono stato. L’Antidoto al Morso dei Poeti è un libro che ti resta dentro, pubblicato da una piccola Libreria Editrice di Chioggia che diffonde vera poesia a prezzi accessibili.

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