La valigia
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All'aeroporto di Fiumicino, mentre procedevo a singhiozzo verso i controlli di sicurezza, una ragazza, annoiata da quel profluvio di persone, attaccò bottone con me.
Scoprii che l'attraente ma logorroica biondina era di origine svizzera e che doveva prendere un volo per Ginevra. Io, invece, le raccontai in breve della mia relazione a distanza e che ero diretto a Varsavia, dalla fidanzata.
«Che bella valigia da avventuriero!» esclamò la ginevrina di punto in bianco, osservando la Samsonite che stavo strascinando, piena zeppa di adesivi di svariati luoghi.
«Già!» le risposi sornione, indicando con il dito indice. «Hotel Hilton di New York, Hotel Mediterraneo di Atene, Bangkok, Malaysia, Jakarta, Cheng Resort di Hong Kong, Pretoria, Bogotà, Tibet, Hammamet Resort di Tunisi, Costa Rica, Paraguay... eh, avoglia.»
«Ti manca il panama.»
«È vero, un giorno spero di farci una capatina.»
«No, intendevo il cappello in testa.»
Sorridemmo entrambi. Quasi ci dispiaceva di essere in prossimità dei body scanner.
«Non sai quanto ti invidio. A differenza di me hai girato ovunque» disse la svizzerotta, soffermandosi ancora sul trolley alla Turisti per caso.
«Peccato per una nota stonata, cioè l'albergo Trinacria di Palermo» ammisi storcendo il naso.
«Perché, scusa?»
«Perché, a parte la Polonia, è l'unico posto in cui sono stato veramente.»
La suisse scoppiò a ridere.
«Sei troppo simpatico! La tua amata con te si divertirà... un mondo, giusto per restare in tema.»
Porco mondo, non proprio. L'incontro con Agnieszka, come le precedenti volte, comportò un fracassamento di maroni, tra pretese e sbalzi d'umore.
Tre settimane dopo, appena ritornai a casa, il mio scazzo, ai miei familiari non passò di certo inosservato, difatti intuirono che la lunatica polska ne era la causa. Da precisare, inoltre, che avevo comprato vari souvenir, quindi il bagaglio risultava più pesante rispetto alla partenza.
«Cosa c'è qui dentro? Mattoni?» mi domandò la mamma, impugnando e alzando la Samsonite.
«No, un cumulo di rabbia!» abbaiai, per poi sbatacchiare la porta del salotto e sprofondare nel divano.
A ogni modo, tutti quei caccamarini colorati li applicava Elisa, la mia sorellina. Le venivano regalati da una sua compagna di classe, il cui padre gestiva un'avviata agenzia di viaggi. A tal proposito, mi consigliò di “aggiornare” la valigia con delle località, visto che la Polonia l'avevo visitata in lungo e largo.
Sì, in effetti gli sticker polacchesi andavano messi, ma soprattutto l’adesivo più importante, che avrei potuto benissimo realizzare tramite una stamperia, al fine di appiccicarlo in onore di quella bisbetica fidanzata di allora: Suka! (Stronza, trad. in polacco)
Laura Cecchetto, "Il canto del cuculo"
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Il canto del cuculo
Laura Cecchetto
Guido Miano Editore, Milano 2025
La poesia di Laura Cecchetto, di professione medico, canta la magica quotidianità delle cose semplici in quei mezzi toni che hanno segnato il sussurrare malinconico della nostra tradizione crepuscolare, con i delicati colori di una vita che scorre in ognuno di noi, segnato da momenti sereni e da dolori veri.
I temi trattati nella sua poesia cantano le meraviglie del Creato, la Natura con le sue delicate descrizioni ambientali, al riguardo si legga Fiori di campo: «Dolci fiori di campo/ nella vostra innocenza/ guardate verso il cielo/ semplici piccole corolle/ che emanano tenerezza…»; ma anche le ricorrenze religiose e familiari, la nostalgica evocazione del «…profumo/ della scoppiettante polenta,/ e la nonna in poltrona/ lavorava la lana/ frutto del suo amore…» (Il davanzale).
I suoi versi si ispirano spesso alla memoria, a malinconiche suggestioni del passato, nonché a rievocazioni di una civiltà più umana ancorata a quei valori puri e idealità che sembrano siano stati dissacrati dalla frettolosa civiltà tecnologica. Esemplificativa la poesia I nostri anni verdi: «…E questa era la vita/ dei nostri verdi anni/ e forse proprio per questo/ siamo cresciuti forti/ e ricchi di ideali/ senza tante pretese/ e con dei valori…», ma anche la gratitudine nei confronti dei propri genitori per avere ricevuto un’educazione tradizionale di valori e tradizioni.
L’innocenza perduta, il mito del falso progresso, il tema memoriale della sua giovinezza, la disumanizzazione e l’alienazione della società contemporanea sono i connotati che caratterizzano altresì i suoi componimenti. Ma è la gioia di vivere con tutte le sue contraddizioni e difficoltà che risulta essere l’elemento catalizzante della sua ispirazione: «Inchinati alla Vita/ che ti ha donato/ tante cose belle.// Inchinati anche quando/ ti dona lacrime e pianto…» (Inchinati alla vita).
La sua poesia è un inno alla Vita e al senso vero dell’esistenza: «La vita/ è Meravigliosa,/ anche quando piangi è meravigliosa,/ anche senza soldi/ è Meravigliosa…» (La vita). E in un panorama come quello attuale afflitto da un cupo pessimismo di ogni genere, da un continuo piangere e chiudersi in se stessi, l’ispirazione della sua lirica risulta una boccata di ossigeno.
Laura Cecchetto cerca di giungere a conoscere il mistero della vita, tentando di coglierne quell’essenza che spesso sfugge al controllo razionale. L’intensità del sentimento in alcune liriche lascia il posto ad immagini cariche di pathos dove i contenuti assumono una certa trascendenza dal dato reale per assurgere ad immagini pregne di significato emotivo. Per cui anche il canto del cuculo «riempie di magia/ la pacifica notte»
Poesia intimista che trae linfa da esperienze di vita vissuta. La poetessa infonde nel verso i segni di una profonda spiritualità con un profondo amore nei confronti della vita. Poesia sincera, immediata, cristallina che risente solo di una vibrante sensibilità, che non richiama mode letterarie ma che attinge ad una profonda dimensione spirituale. Soprattutto è il messaggio del calore familiare che certamente la Cecchetto ha voluto sottolineare; l’ultima àncora di salvezza per un’umanità che sembra abbia perduto, con la caduta della gerarchia dei valori, anche la capacità di cogliere nei momenti di serenità, la gioia di vivere. La parola diventa così strumento di colloquio con il prossimo, monito per le future generazioni nel ricordare che la vita è un dono di Dio e che per dirla alla Frank Capra nel suo fantastico film La vita è meravigliosa o alla Roberto Benigni La vita è bella.
Laura Cecchetto è titolare di alcune raccolte di poesia ed è anche un’acquerellista.
Michele Miano
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L’AUTRICE
Laura Cecchetto è nata nel 1954 a Torino dove attualmente vive e svolge la professione medica da 45 anni. Ha studiato Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi della sua città, specializzandosi in Gerontologia e Geriatria; ama il suo lavoro e lo pratica con amore e dedizione. Studia pianoforte e chitarra con insegnanti qualificati e scrive testi di canzoni per chitarra. Ha pubblicato i libri di poesie: Petali di Rose (2021), El burg d’el fum, in dialetto piemontese (2023), Nei campi di lavanda (2025).
Laura Cecchetto, Il canto del cuculo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-59-2, mianoposta@gmail.com.
Pietro Nigro, "Opera Omnia"
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Pietro Nigro
Opera Omnia, volume 2
Guido Miano Editore, 2024
Pietro Nigro è nato ad Avola (SR) nel 1939: ha insegnato inglese, è poeta ed è stato caro amico di Guido Miano, fondatore dell’omonima Casa Editrice.
Il volume presenta un’acuta prefazione di Enzo Concardi che fa luce con notevole acribia su tutte le tematiche presenti nel libro che sono articolate e complesse nella loro varietà.
Il corposo libro di Nigro, che prendiamo in considerazione in questa sede, è suddiviso in cinque capitoli caratterizzati da contenuti molto eterogenei tra loro.
Il lavoro in toto risulta molto originale e interessante per i suoi fortunati lettori sia che siano degli studiosi di letteratura, sia che siano solo spinti dalla passione intellettualistica e dall’ansia di erudizione e comprensione nella necessità e nella passione per la cultura in controtendenza all’alienazione della società odierna e alla caduta dei valori.
Il primo capitolo ha per oggetto “Pagine memoriali, d’arte e di letteratura”, il secondo “Narrativa e pensieri”, il terzo “Opere teatrali”, il quarto “Critica letteraria” e il quinto “Numismatica dell’Impero romano”.
Il volume racchiude il meglio della produzione in prosa di Nigro e il lettore non può non notare come dato incontrovertibile e fondante l’ecletticità dei temi nelle materie trattati nei singoli capitoli, che vanno dai ricordi dell’Autore stesso di arte e letteratura, alla narrativa al teatro fino alla numismatica dell’Impero romano, argomento che è veramente raro incontrare.
Tre dei cinque capitoli sono suddivisi a loro volta in sotto-capitoli in modo tale che il lettore leggendo l’indice si può rendere conto di cosa realmente può soddisfare la sua curiosità culturale avendo la possibilità di scegliere tra diverse opzioni per compiere uno stimolante e personale percorso di lettura.
In ambito narrativo il Nostro riesce a creare atmosfere oniriche di sogno ad occhi aperti che posseggono comunque un timbro simbolico e metaforico.
Notevole nella scrittura di Nigro la capacità di svelare la suspence attraverso un punto di partenza che si potrebbe definire parvenza di sogno per arrivare poi alla concretezza di quello che si delinea come un certo realismo.
Come critico letterario riesce scavando con la penna, per usare un’espressione del premio Nobel Heaney, nei versi e nelle prose degli autori analizzati a comprenderne pienamente l’interiorità, la personalità e la sensibilità dimostrata attraverso l’approccio analitico nell’accostarsi alla scrittura che è sempre esercizio di conoscenza.
Per restituire al lettore una comprensione completa ed esauriente di questo importante volume si dovrebbe scrivere un qualcosa che vada ben oltre le dimensioni di una recensione.
In ogni caso per approfondire il discorso su questo testo pare opportuno citare frasi dell’autore prese dai vari capitoli, per rendere anche empaticamente e senza mediazioni per il lettore l’essenza della materia trattata.
Interessante nel primo capitolo la sezione “Pagine autobiografiche” nella quale con un forte scatto e scarto memoriale Nigro scrive: Mio padre nato nel maggio 1912 era stato insegnante di matematica privato del giudice Italo Troja che era nato nel gennaio 1926 e che poi è stato mio insegnante privato di materie letterarie da quando avevo dieci anni fino al conseguimento, a diciotto anni, del diploma magistrale. Circa tredici anni di differenza tra l’età di mio padre e quella del giudice Troja e altrettanti tra la mia età e quella del giudice. Ma io trascorsi quasi nove anni accanto a colui che posso ben definire “il mio maestro” negli anni fondamentali di formazione. Era l’unico che m’incoraggiava negli studi diversamente da tutti i miei insegnanti della scuola pubblica che anzi deprimevano le mie ispirazioni letterarie, che già allora si facevano strada.
Dal capitolo 2 “Narrativa e pensieri” si ci sofferma sull’incipit del racconto Oltre la siepe: Su quelle alture coperte da una fitta foresta nell’aria intiepidita dai primi raggi del sole gli alberi, i rivoli d’acqua, le rocce coperte di muschio sembravano fondere i loro suoni con l’eco misterioso proveniente dalla profondità dell’universo che non colpivano l'udito ma il cuore.
Dal capitolo 3 “Opere teatrali” si riporta il seguente brano: didascalia dalla sceneggiatura dell’Atto unico Il padre sagace: Trama e argomento: Una breve commedia brillante e leggera, scarna e semplice, scritta con dialoghi rapidi in cui i personaggi dimostrano di saper bene ciò che vogliono. Il canovaccio è quello tradizionale della trama amorosa che vede intrecciarsi sentimenti e volontà, in un’epoca e in un contesto culturale in cui i matrimoni erano combinati ancora dalle famiglie dei giovani e delle giovinette.
Il capitolo quarto “Critica letteraria” include Introduzioni, prefazioni, recensioni di varie opere letterarie.
Nel capitolo quinto Numismatica dell’impero romano oltre ai testi sono riportate anche le immagini fotografiche delle monete usate durante l’impero romano nel loro mutare fisionomia con il succedersi dei vari imperatori.
Qui il Nostro si sofferma su una nutrita galleria di imperatori romani attraverso le loro biografie e per ogni imperatore accanto ai cenni storici sono presenti le immagini delle monete usate durante i loro regni.
Un lavoro poderoso quello di Pietro Nigro che può anche essere visto come uno strumento di consultazione per la molteplicità degli argomenti trattati per la qual cosa risulta difficile classificare in un preciso genere questo volume eclettico che non è un saggio su un solo argomento ma un caleidoscopio letterario di grande complessità, non un singolo saggio ma una raccolta di saggi.
Raffaele Piazza
Pietro Nigro, Opera Omnia. Volume 2 - Prose, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 232, isbn 979-12-81351-39-4, mianoposta@gmail.com.
Il sogno, la vita e la poesia nella raccolta “Epifanie” di Enza Sanna
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Enza Sanna predilige anche in questo volume di versi recentemente pubblicato dalla Casa Editrice Miano un discorso lirico ampio, diffuso, sostenuto da un abito metodicamente esplorativo e da un intento di analisi lucida e ad un tempo appassionata, che sa unire l’efficacia evocativa all’impegno conoscitivo.
La poetessa ligure nutre un indubbio, profondo amore per la vita, pur non ignorandone le asprezze e le contraddizioni tormentose, e segnatamente la precarietà dolorosa resa più evidente in quest’ultimo tempo dalla triste esperienza dell’emergenza pandemica: “Siamo nel cuore della pandemia/ ma continua a scorrere la vita/ nei giochi dei bimbi, le speranze dei giovani/ le attese dei meno giovani/ nel ricordo di chi non è più,/ felice ossimoro/ che dà vita e senso./ E intanto segna il tempo i suoi passi/ e tu declini, ma questa è la nostra condizione/ anch’essa da amare” (Condizione da amare, corsivo mio, come sempre in seguito).
L’animo umano sa comunque riplasmare gli aspetti inamabili dell’esistenza mediante l’abbandono alla sublimazione “onirica”, alla seduzione riparatrice del sogno, indagato dall’autrice quale momento prezioso di incontro fra oggettività e soggettività, realtà e idealità, delusione e speranza: “Perché la metafora del sogno,/ nei secoli piccolo genio,/ è esigenza dello spirito/ alternativa a quella detta realtà/ non fuga nel tempo/ ma pannello che apre al futuro/ uno sguardo nuovo/ capace di scorger relazioni altre/ tra cose e persone./ Sogna il mistero del nostro esistere/ il sogno, figlio della notte/ e lascia senza risposte” (L’esigenza del sogno).
Alcune risposte importanti sono suggerite dalla parola poetica, che nella sua ricchezza espressiva (“una polisemica scrittura schiusa a significati ed emozioni infinite”, In attesa d’una palingenesi sperata) è in grado di rielaborare i contenuti coinvolgenti dei sogni e farsi ponte intellettuale-morale fra finito (i dati concreti e quotidiani della condizione di ognuno) e infinito (la proiezione spirituale oltre lo spazio e il tempo): “Perché l’estro poetico non è menzogna/ parola contro ragione e coscienza/ ma secondo ragione/ la cosa come doveva essere e non è stata./ Ti fingi nel pensiero/ luoghi, eventi immaginari/ per vedere oltre l’orizzonte” (Dell’invenzione poetica).
L’evidente spunto leopardiano converge con altre “allusioni” e richiami storico-letterarî (da Calderón de la Barca a Shakespeare, da Orazio a Ungaretti al Vangelo di Giovanni) a rivendicare la forza critico-culturale e il beneficio irrinunciabile della poesia, miracolo etico e civile d’incalcolabile valore, capace di comporre le antitesi primarie proponendosi come vera e propria “preghiera”: “È vita fatta verbo (…) Fa conoscere al di là delle apparenze/ ciò che veramente conta,/ l’“invisibile e misterioso”/ nel cui alone l’esperienza di ciascuno/ trova la sua collocazione./ È chiarore d’una fiamma lontana/ che illumina ma non brucia,/ capace di portare la trama di una vita dall’oscurità alla luce” (Ripensando la poesia).
Il linguaggio dell’arte trasferisce in un sistema di segni le tante voci della natura, la cui così variegata fisionomia, i cui molteplici aspetti acquistano sovente la rilevanza di altrettanti “correlativi oggettivi” di determinate situazioni psicologico-sentimentali: “Un cielo grigio ha anticipato la sera (…) La nebbia che all’improvviso compare/ e all’improvviso si dissolve/ annulla le distanze/ cancella la geometria della realtà./ Scende nell’anima questa nebbia/ e riporta alla memoria/ le brume delle verdi vallate d’Irlanda./ Le nebbie dell’anima” (Le nebbie dell’anima); “L’arte, che rende visibile l’invisibile/ quel che nessuno riesce a scorgere/ capace sempre di reinventare la realtà;/ e la natura nei suoi colori profumati d’azzurro/ cangianti nei giorni ma anche nelle ore” (Padrone del mondo).
L’ultimo mio corsivo è in funzione della sottolineatura della raffinatezza retorica di una poetessa come Enza Sanna, che sa permettersi il ricorso alla sinestesia, nell’àmbito di un sistema di soluzioni linguistiche sempre attentamente sorvegliate, ma di solito piane e scorrevoli.
Concludo osservando che anche la trama lessicale denota una generale coerenza con tale opzione stilistico-formale, nonostante alcune eccezioni: ad esempio l’arcaismo in quel verso che si legge nel componimento Nessuno è solo: “Colman lo spazio i vanni degli alati tesi al cielo”; oppure il latinismo ricercato in Le insoddisfazioni dell’anima: “In questo tempo inconcinno al nostro sentire/nemico della nostra interiore giovinezza”.
Floriano Romboli
E. Sanna, Epifanie, Guido Miano Editore, Milano, 2025, pp.100
Pietro Rosetta, "Poesie nascoste nella dispensa"
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Pietro Rosetta
Poesie nascoste nella dispensa
Guido Miano Editore, Milano 2024
Versi suggestivi, simili a un canto antico che riemerge lentamente e riporta alla luce frammenti del passato, risuonano nella raccolta Poesie nascoste nella dispensa (Guido Miano Editore, Milano 2024), di Pietro Rosetta, oftalmologo, responsabile dell’Unità Operativa di Oculistica dell’Istituto Humanitas San Pio X di Milano. Si tratta dunque di un professionista con la passione per la scrittura, il cui esordio poetico risale al 1997, con la pubblicazione di alcuni testi nell’antologia Scrittori Italiani del II Dopoguerra. La poesia contemporanea (Guido Miano Editore). Con la nuova silloge, dedicata alla propria madre, Rosetta ha riallacciato con grande vigore un filo rimasto forse in sospeso da tempo, riportando alla luce le sue eleganti e struggenti poesie nascoste nella dispensa, come recita il titolo, simili a preziose gemme racchiuse in uno scrigno. Dalla raccolta emerge un ricamato ventaglio di temi, che spaziano da quelli universali, come il significato della nostra esistenza e il trascorrere del tempo, fino a toccare le corde più intime della propria interiorità, dalla quale si dipanano alcune interessanti dicotomie, come aridità/fertilità, presenza/assenza, ma a dominare la raccolta, come osserva E. Concardi nella sua intensa e puntuale Prefazione, è un particolare intreccio di Eros e Thanatos, che appaiono uniti in un legame indissolubile: «[…]fradici i nostri cuori, sulla riva,/ rabbrividiscono al confondersi/ di amore e morte/ gelide ombre mescolate nella corrente» (Nudi i nostri cuori). Così, in Il tempo è sbocciato, l’intensità del sentimento amoroso, una forza irrefrenabile, si esplica attraverso la fitta trama di percezioni e di metafore sinestetiche che rendono quasi tangibile la sofferenza.
La silloge assume i toni di un viaggio interiore sullo sfondo di uno scenario onirico e i testi spesso prendono l’avvio da una percezione, come «pensieri, fioriti nella mente» (Un sottile brivido) per dilatarsi in ulteriori significati; il sapiente uso dell’apparato lessicale e retorico conferisce un alone di mistero, suggerito anche da una sinuosa musicalità dovuta al succedersi delle ripetute allitterazioni e delle frequenti anafore, in un turbinio di avvincenti emozioni che le figure di suono esaltano all’ennesima potenza. Nella maggior parte dei componimenti, l’assenza del titolo, sostituito da un asterisco, contribuisce a incrementare uno stimolante senso di indeterminatezza e una certa ambiguità. Talora l’io poetico sembra inviare un monito, un invito ad acquisire una maggiore consapevolezza della fragilità e dell’ineluttabilità di un destino comune, nel tentativo di dare un senso alla vita degli uomini, semplici e occasionali viandanti su questa terra.
Nella poesia incipitaria, I canti delle vedove, si sprigiona il dolore per l’assenza dei propri cari, ma si istituisce un trait d’union, un anello di congiunzione tra chi non c’è più e le anziane vedove, che hanno la funzione di tramandarne il ricordo e la memoria; il sintagma si ripete innumerevoli volte e l’insistita iterazione degli stessi versi e degli stessi gruppi di parole danno vita a un ritmo caratterizzato da una sottile monotonia, come quello di una lieve cantilena, mentre le percezioni visive («acqua di torrente», «rosari») sembrano cullare i sentimenti e le aspirazioni di un io poetico che si dibatte tra un presente che appare vietato e un futuro comunque possibile, senza mai perdere la speranza, anche nei momenti più bui.
In Lite, la figura retorica dell’accumulo introduce una serie di particolari fisici e caratteriali connotati da aggettivi antitetici e contrastanti, volti a sottolineare uno scenario denso di tensione; essi si tramutano negli elementi di un climax ascendente, dove lo sguardo compie un movimento dal basso verso l’alto, dalla gonna agli occhi: «Dalle pieghe della gonna stropicciata/ dalle ciocche spettinate dei capelli/ dai palpiti incerti degli occhi ostili/ dal piglio dei gesti/ dalle mani indecise/ dall’orgoglio trafelato// sgorga il nostro amore/ così bello da vedere quando ti guardo». L’amore, dopo una fase di conflittualità, riprende il suo corso ed erompe in tutta la sua potenza, simile all’impetuosa acqua di un fiume che riprende il suo corso dopo essersi fermata, rievocando a livello fonico il gorgoglio del montaliano rivo strozzato. Molte liriche esplorano l’amore nelle sue molteplici sfaccettature; si evince un sentimento profondo, alimentato dal desiderio, ma di cui l’io poetico, consapevole delle reali difficoltà della vita, si nutre senza poterne fare a meno e la mancanza è insopportabile: «Dove sei?/ Mi manchi sai./ È chiusa quella porta.// Come stai?/ Non ti sento più./ È chiusa quella porta.// E ritornano i giorni che non finiscono.// È chiusa quella porta//… E io non trovo più la tua voce».
Siamo di fronte ad un intimo diario poetico che si incentra sulla capacità di affrontare con tenacia le avversità: «Sospinto dai terremoti/ spesso il palazzo ha tremato:/ e tu, mio cuore,/ costretto a galoppare impazzito/ tra gli scogli inesplorati/ di questo strano film/ ansimante, anche al buio,/ mi hai detto di voler continuare». Un triste presagio viene ad essere il leit motive e l’avvertimento della fine aleggia tutto intorno: «Varcata la soglia/ cercherò nelle tue labbra/ il presentimento della morte o il fiore nuovo della vita/ chiedendoti perdono/ di essere schiavo del tuo amore» (Ho rincorso il tempo). Spesso eventi imprevisti arrivano a sconvolgere l’esistenza, come inaspettati bagliori che squarciano il cielo: «Dormire, aspettare e dormire/ non resta altro/ quando il cielo incrinato dai lampi/ apre crepe affilate/ nella calma piatta delle certezze» (Urla di tuono).
In Aggrappato al sollievo di un dolore scampato, poesia che chiude la raccolta, dopo la tempesta che lo ha travolto fino a farlo quasi naufragare, l’io poetico è intrappolato nelle spire di un’effimera illusione, poiché, consapevole di essere «solo polvere, che nell’universo si guarda», si dibatte agonicamente, cercando di sfuggire alle ragnatele della sua mente, bramoso di scoprire quella mistica rivelazione che lo guidi nel trovare il suo posto nel mondo.
Le liriche di Poesie nascoste nella dispensa sono intessute di immagini potenti, rese attraverso un linguaggio chiaro ma raffinato; i versi evocativi e la musicalità avvolgente evidenziano luci e ombre dell’esistenza, incoraggiando a viverla nella sua complessità e bellezza, anche nelle situazioni più complicate.
Gabriella Veschi
Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-21-9, mianoposta@gmail.com.
Albino Barresi, Ricordi lievi ed oltre
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Ricordi lievi ed oltre
Albino Barresi
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Di origine calabrese, Albino Barresi si dedica all’insegnamento dopo avere esercitato per qualche tempo l’attività forense. Menzionato in vari premi di poesia, sue liriche sono state editate in repertori letterari. Ha pubblicato nel 1991 il volume di poesia Il dolore dell’uomo. Ha al suo attivo anche pubblicazioni in campo scolastico.
«Una vita
solo una vita
vorrò sentire
perché il profumo della zagara
non resti un sogno di una terra
di un ideale
di un essere che non c’è…» (Solo una vita).
Già il titolo della silloge d’esordio racchiude quel sentimento ineluttabile in chiave ungarettiana che è poi quel substrato che sta alla base dell’ispirazione poetica di Albino Barresi.
Una poesia che sa di aerea luce, aggiungiamo, reduci dalla lettura delle sue liriche, terse di quell’aria che penetra nel profondo, col suo profumo d’azzurro, certe mattine d’inverno e che ti fa ricordare che sei vivo. È una poesia che porta in sé il raro dono dell’immediatezza, che si spinge oltre l’attitudine figurativa, intrinseca ad ogni atto genuinamente poetico, per farsi voce delle cose più semplici per modularsi in versi di consistenza impalpabile. Immagini che lievitano sulle trame dei pensieri, quasi a confondersi con essi in tenui dissolvenze. Nel fluire dei suoi versi emerge il senso profondo di una corrispondenza simpatetica con la natura, che rifugge gli oscuramenti che si lascia inondare dalla luce del sole. Il suo verso si rivolge proprio alle estreme resistenze dell’animo umano a quel guizzo d’infanzia represso che improvviso risignifica lo squallore della totale alienazione assurda della nostra quotidianità. Si leggano i seguenti versi emblematici:
«… uomini che vivono nonostante tutto
nel magma di un’umanità cancrenosa
incandescente ed utopica dentro...» (Sentieri interiori).
E ancora:
«… In quest’orgia
di illusioni
alti e bassi di emozioni
naufragando mi cullo
nel mare infinito» (Un giorno).
Ma se il poeta si dimostra a disagio nelle ristrettezze dell’esistenza, lo stesso dedica un canto che nascendo dal cuore intende privilegiare la mente e lo spirito.
«… Oggi così viviamo
come in attesa
in bilico tra un mare di sogni
e una realtà costellata
di amari drammi…» (Flebile luce).
Albino Barresi cerca nel tessuto del pensiero di giungere a conoscere il mistero della vita, tentando di coglierne quella essenza che spesso sfugge al controllo razionale. Il poeta si riallaccia a canoni culturali sempre presenti nella poesia di ogni tempo, confermando che nell’uomo taluni valori non possono essere perduti. Questo accade quando il poeta cerca negli abissi della propria coscienza una risposta alle proprie speranze, come in Amico:
«…Voglia di sentimenti forti
affetti diffusamente sentiti
dentro le vie del cuore
eternamente racchiusi»
o Dentro il mio cuore:
«…Dentro il mio cuore
dissonanti armonie
hanno crogiolato
i pensieri
che affollano
e si disperdono…».
L’intensità del sentimento in alcune liriche lascia il posto ad immagini piene di pathos dove i contenuti assumono una certa consistenza e che trascendono il dato reale. La sua poesia è un libro aperto dell’anima così sensibile e traboccante di desiderio di conoscenza ma anche di volontà di creare attingendo ad una esperienza di vita vissuta. Egli trae dalla viva realtà del vissuto gran parte della sua opera, ma non disdegna le istanze del pensiero quando i versi nascono da una profonda meditazione sugli eventi e sui fatti umani. Severo con se stesso, il poeta spesso infonde nel verso i segni di una profonda spiritualità.
In sintesi la poesia di Albino Barresi porta un messaggio pienamente costruttivo: assume una pienezza di vita non fine a se stessa ma aperta a richiami che portano a pensare e a meditare sulle fondamentali ragioni dell’esistenza. Una poesia che scava nel profondo quale parametro del mondo esterno e che indaga nella speranza di capirsi meglio.
E di questi tempi dobbiamo solo trarne ammonimento.
Michele Miano
Albino Barresi, Ricordi lievi ed oltre, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-58-5, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Albino Barresi, nato a Villa San Giovanni (R.C.), ha una lunga carriera nel Ministero dell’Istruzione come docente, preside, dirigente scolastico e dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Verona per un triennio. Ha al suo attivo numerose esperienze amministrative, gestionali e formative nel Comparto Scuola per conto del MIUR. Ha pubblicato vari testi in ambito scolastico e la raccolta di poesie Il dolore dell’uomo (1991).
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Iano Campisi, "Di fronte alla vita"
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Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni
Iano Campisi
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Mi pare che Iano Campisi assegni, in un sapiente disegno costruttivo, ai racconti compresi nella prima sezione, non a caso intitolata Di fronte alla vita, una funzione non semplicemente introduttiva, bensì specificamente e incisivamente tematizzante, compendiosamente propositiva dei motivi principali della propria ricerca intellettuale-narrativa, indicativa dei nuclei sostanziali di un discorso culturale e artistico. Innanzitutto egli dimostra uno spiccato, vivo interesse per l’universo naturale, armonioso e coinvolgente, ad un tempo energetico e pacificante, malgrado i guasti sempre più diffusamente prodotti dallo scriteriato, irresponsabile comportamento degli umani, prigionieri della «gabbia di freddo artificiale» (Vento caldo) che si ostinano a considerare la civiltà.
Talora la natura può sembrare “impazzita”: a ben vedere «è solo arrabbiata, per l’irrazionalità e gli abusi dell’uomo» (ivi); continua però a offrire un indispensabile apporto fisicamente corroborante e moralmente rasserenatore: «Stamattina mi sono dedicato un paio d’ore alla campagna. L’ho trovata sofferente, per la temperatura elevata e per la scarsità d’acqua, ma nonostante tutto viva. Mi spingevo tra rovi, sterpaglie e alberi di cui spostavo leggermente le fronde. Nelle mie elucubrazioni irrazionali, parlavo con i limoni, induriti dalle difficoltà ambientali, con l’erba secca e con dei fiorellini bianchi che emergevano dal seccume con una incredibile e miracolosa forza (…) Una natura che ti contestualizza e ti ingloba nel suo habitat, che ti affascina mentre ti immergi nel profumo degli agrumi, e sospiri del leggero movimento dei rami e delle foglie… La passeggiata è stata come riconciliarsi con la natura e con sé stessi, nonostante il solleone» (Passeggiata, corsivi miei).
Nel convinto, intenso apprezzamento della vitalità naturale è la matrice del sicuro, suggestivo descrittivismo che caratterizza le quattro sezioni del libro, d’ora in poi contrassegnate con i numeri romani. Appaiono particolarmente riuscite le pagine dedicate al mare, ora placido e riposante («Dall’alto delle dune, Stefano guarda la spiaggia e il mare che l’accarezza con onde leggere e spumeggianti. I granelli dorati assorbono l’acqua salata, si ristorano e la restituiscono, ad alimentare il continuo andirivieni. È un gioco inarrestabile che coinvolge la terra e il mare (…) Questo balletto che sembra non finire mai, lo sciabordio delle onde, non è monotonia né assurda ripetitività, ma musica soave» (Estate d’inverno, IV), ora sconvolto dai venti e impetuoso, terribile: «Il mare era in tempesta. Alte onde si infrangevano sul molo quasi a volerlo risucchiare nel proprio ventre. Anche la spiaggia sembrava che stesse per essere inghiottita dalle onde del mare. L’aria era invasa da minuscole goccioline d’acqua marina che sembravano essersi alleate con quelle delle nubi basse e minacciose, e non consentivano di guardare al di là del proprio naso (…) Quelle minuscole particelle di idrogeno e ossigeno, strettamente legate, sembravano impazzite e adesso esplodevano in una danza infernale, come sospinte da una forza imperiosa e travolgente. Era incredibile come il mare, spesso così dolce e timido e accogliente, si fosse tramutato in un essere malefico, un mostro pronto a divorare chiunque gli si fosse anche solo avvicinato» (Il piccolo delfino, II).
Non può mancare al proposito una pagina di aspra denuncia del suo crescente, rovinoso inquinamento: «Sopra tutto e tutti c’è il mare, il mare cristallino, caraibico, ma solo per poco. D’un tratto, ecco materializzarsi la ‘macchia’ di bollicine, mica quelle della coca di Vasco, sono segni di vaporosi scarichi fognari che la corrente, capricciosa, sposta a proprio piacimento. In poche parole, il mare si presenta col volto nuovo di cloaca. E pazienza se ci sciacquiamo la bocca mentre continuiamo col nostro piscio clandestino ad aumentare l’effetto cloaca (…) È scomparso l’habitat originale che rappresentava l’immagine dell’equilibrio e del rapporto secolare tra le specie viventi. In più, come se non bastasse, il mare dalle acque limpide e pulite, è diventato una fognatura a cielo aperto» (Cronaca stravagante e noiosa di quattro giorni d’estate di fine Covid, I).
Risulta poi consequenziale la scoperta polemica contro il mondo della tecnologia e la sua desolante inautenticità basata sull’esteriorità impersonale ed eterodiretta, sull’intima solitudine delle persone, sempre più “imbambolate” e mortificate, perse nel culto ossessivo dei feticci della modernità: «Ritorno con la mente al centro commerciale. Tanti turisti, tanta gente distratta, chi non rinuncia a una gita domenicale nella città dell’apparenza? Al centro commerciale si cerca di tutto, si guarda e non si compra, o anche si compra e si continua a girovagare per le viuzze del quartiere degli imbambolati esseri umani, automi. Ogni tanto ci si siede al bar o su uno degli scomodi sedili per intrattenere il rapporto con il cellulare. Lì, dentro questa macchinetta infernale, c’è la vita nuova, (…) che è solo virtuale, ma è la nuova vera vita, quella del guardone che ti permette di entrare in tutte le camere di tutti, amici, finti tali e sconosciuti» (Al centro commerciale, I, corsivi miei).
A petto della superficialità insignificante e dell’equivoca opacità di relazioni siffatte lo scrittore siciliano sottolinea e valorizza con decisione la profondità etico-sentimentale e il forte valore altresì culturale dei legami familiari e dei rapporti generazionali in racconti quali il già citato Il piccolo delfino (II), o anche La Vespa 50 gialla (ivi) e U nannu Ninu (IV): egli ama pertanto riflettere sulle radici storiche e ideali di sé e di ognuno, nel commosso recupero memoriale di figure ed episodî salienti, i quali consentono di investigare i processi sovente oscuri e tortuosi attraverso cui si è formata la nostra personalità, si è plasmato il nostro carattere: «Torno all’immagine del nannu Ninu che più mi è rimasta impressa nella mente (…) Ero curioso e volevo comprendere come mai quella persona anziana e parzialmente autonoma, avesse testardamente deciso di non allontanarsi dalla casa in cui era nato e poi vissuto con la moglie scomparsa da tempo (…). Capisco ora il vero senso del termine “radici”, quando si parla di stretti e indissolubili legami col posto in cui affondano i ricordi, belli o brutti, e le vicende che hanno contraddistinto la vita di una persona (…). La povertà non riesce ad estirpare le radici della propria identità, anzi ti rende più legato all’ambiente e ai ricordi» (U nannu Ninu, op. cit., gli ultimi due corsivi sono miei).
Vi è inoltre una peculiarità inconfondibile e ineliminabile nell’atteggiamento dell’uomo che conferisce ulteriore densità problematica alla sua esperienza di vita e che può essere ricondotta alla tenace inclinazione razionale, all’aspirazione, sempre risorgente, a comprendere interamente ed esattamente la realtà, a voler chiarire ogni aspetto dell’esistenza scandita e tormentata dal tempo, dimensione tanto manifestamente propria della “situazione umana”, costituita dalla mobile, sfuggente articolazione di passato, presente e futuro: esso, nel mentre trascorre, modifica continuamente, e dopo logora e distrugge tutte le cose. Nondimeno queste ultime rimangono un mistero, che respinge e frustra le nostre pretese intellettualistiche, come capita al professor Antonio Scapellato, protagonista di un testo quale Salvuccio (I), costretto a conclusione di un personale percorso “interrogativo” e indagatore al ripiegamento amaramente scettico, sulla falsariga dell’inquietante lezione di un prestigioso narratore e drammaturgo della sua regione, Luigi Pirandello: «Il professore meditava su quanto la vita, così variegata, fosse difficile da interpretare. “Siamo soggetti strani e incomprensibili”, pensava, “gli eventi ci modificano, ma è anche la nostra innata predisposizione che determina gli eventi, dal più banale al più complesso. Inutile porsi domande. Come diceva Pirandello: “Così è, se vi pare”». (…)
Floriano Romboli
Iano Campisi, Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 252, isbn 979-12-81351-54-7, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Corrado Campisi, detto Iano, è nato nel 1949 ad Avola (SR) dove risiede. Laureato in biologia, svolge il ruolo di direttore di un importante laboratorio di analisi cliniche e genetiche della Sicilia. Ha pubblicato vari libri di narrativa.
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Il drago spazientito
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«Sono William Knight di Black Rock, il miglior cacciatore di mostri! Tra breve, nella mia dimora, appenderò la tua testa schifosa sopra il camino del salone!» gridò con un'aria da spaccone il cavaliere corazzato, brandendo un'ascia bipenne contro la bestia squamosa di colore verde che torreggiava su di lui.
Il drago fumante sbuffò per l'ennesima volta, innalzando gli occhi rossi al cielo. Dopo aver tamburellato per alcuni minuti gli artigli sul terreno, decise di passare all'azione.
«Sono Dragan noto come Dragà!» esclamò, ondeggiando la coda e dispiegando le sue immense ali dalle sfumature argentate. Senza troppi complimenti sputò una possente fiammata, tramutando l'inconcludente cavaliere in ferro incandescente, fumo e arrosto, per afferrarlo e sgranocchiarlo tra le fauci fameliche. Infine, si avviò verso l'antro di una caverna, collocata in una montagna inaccessibile, per una pennichella.
«Ah, dimenticavo: divoratore di fanfaroni!» aggiunse ruggendo ed emettendo un ruttone.
Il fascino seducente e doloroso della vita nella lirica di Pietro Rosetta
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Pietro Rosetta
Poesie nascoste nella dispensa
Guido Miano Editore, 2024
Non è nuova l’idea della vita come viaggio, che, nella raccolta di versi di Pietro Rosetta Poesie nascoste nella dispensa, pubblicata dalla Casa Editrice Miano nel 2024, appare un itinerario accidentato eppur appassionante, fatto di tappe assai diverse, tormentoso e stimolante, portatore ad un tempo di quiete e di insoddisfazione: “Si compie inarrestabile il viaggio,/ sfiorare la quiete di un approdo e poi/ seguitare la rotta/ questo mi hai domandato” (corsivo mio, come sempre in seguito); “Mi rassegno al viaggio/ ti sveglierò solo per chiederti una carezza,/ dissetarmi e ripartire”; “Finalmente escono le parole/ a lungo rinchiuse da una assenza./ È tardi, nuovi sguardi/ mi attendono,/ devo ripartire”.
Tale immagine emblematica e pervadente è all’origine di una serie di suggestive metafore, che assicurano densità sentimentale e coerenza ideale al discorso poetico: “Essere marinai di tutte le tempeste/ nudi a volte agli occhi/ di una madre che aspetta./ Ci è costata l’esperienza”; “Dal ponte della mia nave,/ senza nostalgia,/ guardo allontanarsi i fantasmi/ che il cuore ha finalmente liberato,/ al tramonto di un incubo/ assetato di un senso/ la rotta è cambiata/ e il vento tiepido dell’estate/ gonfia di nuovi progetti/le vele dell’entusiasmo”; “Sento il rumore dei miei passi/ irrequieto presagio di un’alba ancora possibile”; “Divinità corsare,/ impadronite dell’inverno/ scorgeranno impronte/ di umanità scolpite nella sabbia,/ indovinando appunti dimenticati/ nella fretta del passaggio”.
Il percorso vitale di ognuno risulta animato da un moto duplice e contraddittorio, da una sollecitazione attiva ed energetica a cui corrispondono - in intima correlazione dialettica - un ripiegamento amaro, la mesta constatazione di un esito deludente delle attese emotive, dell’aspettativa di felicità e di amore.
Non sorprende al proposito che la figura dell’antitesi si riveli centrale nella sua valenza unificante e formalmente ordinativa, organizzando incisivamente i tanti aspetti contrastivi, che innervano la vicenda esistenziale, dall’opposizione “gioia/dolore” (“Il tempo è maturo/ e noi come cipressi saremo là/ ritti ad aspettare gioie e dolori/ con le radici abbracciate alla vita”), “buio/luce” (“Le sere d’estate l’aria umida d’insonnia/spalanca le porte della notte (…) sarà l’aurora a sbiadirne il ricordo”), “sogno/realtà” (“In riva al mare dei sogni/ il nostro amore si è fermato a morire,/ il viso riverso nella sabbia, si è fermato a morire”), al conflitto di “vita e morte” (“Varcata la soglia/ cercherò nelle tue labbra/ il presentimento della morte/ o il fiore nuovo della vita), nonché a quello – di ascendenza leopardiana e posto in risalto con la consueta lucidità dal prefatore Enzo Concardi – di “amore e morte”: “Rifugiato nel tuo corpo/ cercando protezione./ Come un fiume in piena/ allagarti, tra brandelli di vita/ per annebbiare la certezza di morire solo”.
In alcune liriche l’autore esprime la convinzione che il fremito vitalistico non soltanto preceda, ma vada oltre la riflessione intellettuale, a causa di una ricchezza e di una profondità razionalmente male inquadrabili e pertanto non agevolmente definibili: “Eppure vorrei incontrarti per caso/ e abbandonarmi nel torrente/ delle frasi mai pronunciate/ e possederti/ senza la colpa di averlo deciso/ e invece distillo brividi/ sopravvissuti alla noia/ di lucidare lo specchio dei nostri errori”; “Devo ancora arrivare o è già passato/il tuo tempo?/ Il mio tempo non lo sa e/ abbracciato ai tuoi occhi/ si ostina a non volerlo sapere”.
Ciò dà ragione delle frequenti ed efficaci similitudini naturistiche (“Il tempo è sbocciato/ figlio di gesti ritrosi,/ sogno che non si vuole realizzare/ e noi due aggrappati al destino/ come larici sbattuti dal vento di primavera/ sentirci dentro un frutto acerbo/ nostro intimo desiderio venuto/ a sfidare il presente”; “Ti parlerò ancora/ per pochi giorni,/ poi, come le onde che impetuose/ si impennano al vento e muoiono,/ anch’io mi confonderò col mare”) e soprattutto, anche dinanzi all’esperienza di un dolore intenso (“Questa notte piangerò per te lacrime disperate/ ma tu non mi sentirai/ e il tempo appassisce il fiore che/ abbiamo abbandonato all’ombra del silenzio”), del desiderio, sempre risorgente, di aprirsi positivamente all’avventura della vita, di attingere alle illimitate risorse di essa: “Non è rimorso ma preghiera/ questa luce diafana filtrata da veli (…) cerca proprio noi, inquilini di una storia/ affacciati ad aspettare il sole”; “Non so quali umori ci scuote il vento/ e fino a quando il tuo sorriso dalle/ labbra sottili dirà al mio/ di giocare con lui./ Non so dove andiamo, amore,/ ma ti prego resta qui vicino”.
La sottolineatura dell’ultima citazione non è nel testo ed è in funzione del rilievo di un’altra figura retorica, l’anafora, spesso impiegata dallo scrittore e sintomatica del suo animus indagatore, della propensione all’approfondimento critico personale delle varie situazioni etico-spirituali. Ne è testimonianza perspicua il bellissimo componimento incipitario che ha per titolo I canti delle vedove: “I canti delle vedove/ nelle vecchie chiese di periferia/ sono le voci delle nonne e delle vecchie zie (…) I canti delle vedove sono il lamento indifeso/ di chi si ostina a non capire (…) I canti delle vedove… sono disperazione (…) I canti delle vedove sono la speranza cieca/che ognuno di noi porta dentro”; la consueta antitesi (in questo caso “disperazione/speranza”) attesta l’importanza di un comportamento moralmente esemplare: “Così nella mia stanza/sono i canti delle vedove la mia preghiera”.
Floriano Romboli
P. Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, Milano, Guido Miano Editore, 2024, pp.88
Lorena Quarta, "La simmetria dell'orchidea"
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La simmetria dell'orchidea di Lorena Quarta (Eretica Edizioni, 2024 pp. 146 € 15.00) custodisce, nella rispondenza e nell'equilibrio interiore, l'osservazione di un pensiero poetico che ha, nella distribuzione capillare della sua suggestiva ispirazione, la proporzione autentica e intensa delle parole. Lorena Quarta adotta la particolare similitudine della simmetria per rivestire i suoi versi di un equilibrio armonico, uniforme, dettato dal contesto emotivo, nei contenuti ricchi di significati e simbolismi indistinti, misura lo stupore nello scenario di una forza ordinatrice, sullo sfondo di un'altra efficace coniugazione dell'anima, in analogia con il dispiegamento intenso e commosso di un linguaggio elegiaco, condensa, nelle affermazioni cadenzate dell'esistenza, la circolarità di un itinerario ermeneutico. La simmetria dell'orchidea include le dimensioni vitali dell'uomo, il riscontro dei suoi stati d'animo, l'analisi di una disposizione d'identità, nello sguardo consapevole e inesorabile di un'umanità turbata e timorosa, tratteggia la linea inarrestabile del tempo come rappresentazione dell'orientamento introspettivo, coglie la soglia dell'esitazione nelle incertezze quotidiane, donando al lettore sensazioni di suadente coinvolgimento, in analogia con la percezione diretta e spontanea dell'incompiutezza e della caducità della sorte. Lorena Quarta sorveglia il chiaroscuro dei suoi contenuti, intreccia il dettaglio di ogni riflesso del senso intuitivo e riflessivo dei personali presentimenti, comunica, con l'efficacia alchemica di uno stile incarnato nella propria efficacia esplicativa, il tracciato di ogni percorso sensibile, indica i luoghi accessibili della memoria come dimore metaforiche delle proprie rimozioni, accoglie la natura come la manifestazione di luce e ombra, il passaggio di illuminazione, l'indirizzo di un impulso fragile e forte al tempo stesso, nella costante grazia dell'io poetico e del lirismo epigrammatico. L'inevitabile confessione della vulnerabile condizione umana, svela l'attenzione intimista alla precisa cognizione dell'inquietudine, l'imperfetta e indecifrabile conseguenza di ogni interrogativo inconscio assorbe i testi poetici e fa da sfondo all'avvertimento del caos, al recupero dei ricordi lungo l'invisibile asse della partecipazione affettiva. La poesia di Lorena Quarta evidenzia la presenza incisiva delle conferme coraggiose della volontà, rinnova le spiegazioni dei comportamenti in relazione con l'irrequietezza delle situazioni, richiama e conserva il valore fermo dell'esperienza, segue l'ascolto della natura e delle sue trasformazioni, mantiene incontaminata la resistenza dello stare al mondo, in un intonato parallelismo tra desideri e illusioni, tra certezze e perplessità, dove la comprensione dell'arrendevolezza è il segno realistico della provvisorietà. Il libro è anche un devoto omaggio alla lingua italiana, alla sua tradizione latina, alle componenti eloquenti e interpretative della linguistica, ricca di allegorie, arguzie stilistiche, decifra la compostezza dei componimenti con il compimento dell'ars oratoria. La scrittura di Lorena Quarta contempla l'accordo dei segmenti affascinanti del talento nella maturità di esprimersi, affida l'esercizio del discorso al rigoroso dilemma tra ragione e sentimento, l'interferenza della realtà e il conflitto dell'immaginazione, riscopre il tributo nella preghiera laica dedicata all'irresolutezza del buio, nell'intesa di un'esigenza, solenne e profetica, di condividere la luce delle storie.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
SCRUPOLI
Venti di coscienza
che spirano sempre
in direzione contraria
ai tuoi desideri.
SOGNI
Fintanto
che i castelli
sono in aria
nessuno
può udire
il loro crollo.
SUPER PARTES
Siamo bravi
a sputare sentenze,
meno bravi
a digerire giudizi.
TEMPUS FUGIT
Tempo tiranno, tempo al tempo,
e intanto i momenti si sprecano,
messi uno accanto all'altro,
pile di istanti e di rimpianti,
uccisi da errori di percorso
senza possibilità di correzione.
Fugge il tempo ma lo rincorro,
un ultimo attimo da assaporare,
gioco con l'orologio una guerra
impari con la speranza che il mio
treno non sia ancora partito.
IMPRIMATUR
Impresso a fuoco nella
materna memoria tutto
prende la forma di
roccia sedimentaria
immanente e imponente,
massi accumulati
a strati nel tempo che
tenaci resistono all'
usura di un'intenzionale e
ragionata rimozione.
NOIA
Non si contano ormai più le
ore sempre uguali a se stesse e l'
inerzia nel non cambiare le cose
aleggia come un fortunoso alibi.
DESTINO
Domandami del futuro
e aspetta la mia risposta,
scoprirai che non sono io a
tenere le fila dell'esistenza.
Il mondo è governato dal caso ma
nel caos di mille avvenimenti
ogni coincidenza la chiami destino.