michele miano
Pasquale Ciboddo, "Oltre il velo del mondo"
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Oltre il velo del mondo
Pasquale Ciboddo
Guido Miano Editore, Milano 2025.
In un mondo che corre senza sosta, dove il progresso spesso brucia i ponti verso ciò che è essenziale, questa raccolta è un invito a tornare all’origine del sentire. Oltre il velo del Mondo nasce dal desiderio di dare voce a ciò che non urla, ma vibra nel cuore: l’amore che resiste al tempo, la fede che non chiede prove, la spiritualità che si nutre di gesti semplici, la fiducia che si rinnova nonostante tutto.
Ogni poesia è una candela accesa nel buio della disillusione; ogni verso è un altare costruito con le parole del silenzio. In un tempo in cui l’uomo sembra aver smarrito il senso del sacro, questo libro è un pellegrinaggio interiore, una condanna gentile contro il rumore del mondo, una carezza alla coscienza, un respiro alla memoria.
Caro lettore, non troverai risposte facili né dogmi. Troverai, invece, il dubbio fertile, la luce fioca ma persistente, la tenerezza che si nasconde nell’attesa. Troverai la voce di Pasquale Ciboddo, fragile e potente, che chiede solo di essere ascoltata con il cuore aperto.
Esiste un luogo invisibile agli occhi, dove l’anima dialoga con la luce, dove le domande non cercano risposte ma profondità. Oltre il velo del Mondo è il tentativo di varcare la soglia tra il tangibile e l’invisibile, tra il rumore del tempo e il silenzio del senso.
In queste pagine, la poesia diventa pellegrinaggio: si attraversa l’amore non come possesso ma come dono, si contempla la fede non come certezza ma come sussurro, si abbraccia la spiritualità come cammino che non ha fretta. E sullo sfondo, un mondo che accelera, produce, semplifica, distrugge: il progresso, che nel suo slancio tecnologico rischia di svuotare il cuore e dissolvere l’essenza. Si leggano i versi emblematici: «…Odio, vendetta e guerra/ attanagliano quei popoli/ che vivono tra la fame/ la morte e la malasorte./ E pace e amore/ tardano ad arrivare» (Sono calpestati). Le parole qui raccolte non insegnano: invocano. Non mostrano sentieri: li evocano.
Pasquale Ciboddo osserva il cielo, ascolta la terra, e tra le fenditure dell’esistenza cerca il senso che ci sfugge ogni volta che lo riduciamo a spiegazione. Chi leggerà questo libro, forse sentirà che sotto le superfici c’è ancora un battito antico, una memoria sacra che ci chiama a essere più umani, più semplici, più veri.
Pasquale Ciboddo non è solo il poeta che canta la sua Sardegna e i suoi amati stazzi, ricordo di una perduta civiltà agreste ma è il poeta della speranza. E c’è un’isola infatti - aspra, luminosa, intima - che fa da culla a questo canto. La Sardegna, con i suoi stazzi, le pietre che raccontano, il vento che ricorda, non è solo luogo geografico: è anima, è radice, è voce che ritorna. Il poeta la celebra come madre antica e come specchio in cui riflettere il dolore e la bellezza dell’umanità intera.
Il suo sguardo parte dalla terra che lo ha nutrito, ma si apre al mondo: l’amore che canta non ha confini, non distingue razze o religioni, perché è amore che tende all’essenziale, all’umano, al divino. Ogni verso è un gesto di compassione, una carezza lanciata oltre il tempo e le culture.
La sua spiritualità non è dogmatica né distante. È incarnata nel quotidiano, nei gesti contadini, nelle albe silenziose, nelle preghiere sussurrate tra le foglie. Il poeta non predica: invoca. E lo fa con voce umile, ma profonda, cercando quel senso religioso che non divide, ma abbraccia: «…Oggi nessuno/ può conoscere a fondo/ la sapienza del Signore./ E allora si prega/ pieni di speranza» (Oggi nessuno).
Oltre il velo del Mondo è una raccolta che attraversa il visibile per toccare l’invisibile, cantando la Sardegna e il mondo, la fede e il dubbio, la speranza e la nostalgia. È una liturgia anche laica per chi cerca ancora il sacro nel profumo della terra, nel volto di un uomo, in un raggio di luce che non giudica ma accoglie. «Oggi la città/ consuma la vita umana./ Era certo il romanzo,/ la poesia della mia esperienza/ vissuta in campagna/ negli stazzi della Gallura/ ad avere l’esistenza/ un vero senso» (Era certo).
Ma il poeta non può ignorare le ferite del mondo. Le guerre che divorano la speranza, l’odio che scava fossati tra gli uomini, i conflitti che negano il volto dell’altro - tutto questo entra, dolorosamente spesso nei suoi versi. Non come accusa, ma come testimonianza. Perché chi canta la luce, non può voltarsi davanti all’ombra.
Il paragone con la fine delle api è immagine lacerante: creature che danzano per comunicare, che impollinano la vita e rendono fecondo il tempo. La loro scomparsa è un silenzio che grida, un vuoto che profuma di apocalisse. Così come la perdita dell’amore per l’altro, della compassione, della spiritualità condivisa, segna il collasso di un’umanità ormai stanca di essere umana. Le api e la pace: due forme di armonia. E nel loro declino, il poeta intravede un’unica domanda: cosa stiamo sacrificando nel nome del progresso? Quale canto smetteremo di ascoltare se continuiamo a correre senza fermarci mai?
Questo libro è dunque anche un grido gentile, un appello poetico alla riscoperta della cura, della meraviglia, della sacralità del vivere. Un invito a proteggere ciò che è fragile, perché forse proprio lì - nell’ala trasparente di un’ape, nel volto di un bimbo - si nasconde ancora il senso del nostro vivere. Si legga la lirica Il mondo: «…Il mondo è dominato/ dal male e dalle guerre/ e dalle grandi povertà./ Le api stanno morendo/ e pure le persone./ Così si annuncia/ la fine della vita/ nel mondo».
E così, dopo aver camminato tra parole e visioni, Pasquale Ciboddo solleva lo sguardo al cielo. Non con paura, ma con fiducia. Perché, nonostante le rovine, i silenzi spezzati, le lacrime che non si vedono, egli crede. Crede che l’amore sia ancora più forte dell’odio, che la luce resista all’ombra, che la grazia si nasconda perfino dietro una guerra, in attesa di essere riconosciuta.
Allora invoca - non un castigo, ma una carezza divina. Implora che l’armonia torni a posarsi come rugiada sugli animi stanchi. Che la pace non sia solo un sogno, ma un germoglio che cresce, seppur fragile, tra le crepe del mondo: «…Se non interviene/ Dio a mitigare/ l’animo dei ribelli,/ nel mondo/ non ci sarà/ più pace» (Se non interviene). Che la salvezza non riguardi pochi, ma tutti, proprio tutti perché nessuno è escluso dalla compassione del cielo. «…Dio salverà/ e riempirà di gioia/ i popoli oppressi/ ovunque sulla terra» (Dio salverà). Nel suo cuore, il poeta non supplica invano. Egli sa - sente - che un mondo migliore è possibile. Non immediato, non facile, ma in cammino. Ogni parola scritta è un seme piantato nell’attesa della primavera. Ogni verso è una luce che attraversa il velo, e lo rende trasparente appunto Oltre il velo del Mondo.
E forse, leggendo, ci accorgeremo che la luce non è mai andata via. Eravamo noi a non guardarla abbastanza.
Michele Miano
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L’AUTORE
Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura (Sardegna), nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti in Italia (è conosciuto anche a Cuba), e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici. Ha conseguito molti premi e riconoscimenti.
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Pasquale Ciboddo, Oltre il velo del mondo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 86, isbn 979-12-81351-53-0, mianoposta@gmail.com.
Pietro Nigro, "Verso il nuovo mondo... per incontrarci"
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Verso il nuovo mondo… per ricontrarci
Pietro Nigro
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Ci sono perdite che non trovano parole. E allora ci affidiamo alla poesia che ha il coraggio di farsi fragile, di dire l’indicibile con versi spezzati, sospesi tra dolore e speranza.
Questa raccolta nasce dal cuore di un uomo, Pietro Nigro, che ha amato profondamente, e che ora cammina in un silenzio nuovo, dove ogni eco ricorda un sorriso, una carezza, una complicità. Le poesie che il lettore troverà in queste pagine non sono solo un tributo alla donna amata e perduta, ma un dialogo ininterrotto con la sua assenza. Sono voci che si levano dal vuoto, tentativi di cucire la distanza con parole che diventano ponti. Eppure, tra le righe di questa malinconia, affiora una luce. È la speranza — discreta, ma tenace — di un altro incontro, in un luogo dove il tempo non separa e l’amore non conosce confini. Chi legge queste poesie non trova solo il dolore di chi resta, ma anche un invito: quello di credere che l’amore sopravvive e trasforma il lutto. Si leggano i seguenti versi:
«… L’ultima volta che ti vidi
i tuoi occhi afflitti fissarono i miei
come preghiera a non lasciarci.
Nel buio della notte
si è perduto il tuo sguardo…»
(Giovanna)
La perdita della persona amata — della propria compagna, amica, confidente, anima gemella è un evento che non lascia solo un vuoto fisico, ma spalanca un abisso interiore, una terra straniera dove ogni passo è incerto, ogni ricordo è al tempo stesso rifugio e ferita memoria viva, e custodisce la promessa di ritrovarsi, un giorno, in un mondo nuovo.
« Ci ritroveremo in quel luogo un giorno
in un mondo senza inizio e fine
io e te,
e gli altri che amammo.
Avremo nuove sembianze
sprazzi d’un infinito fulgore… »
(Ci ritroveremo)
Le poesie raccolte in questo volume nascono proprio da lì: da quel silenzio improvviso che segue l’addio, da quella solitudine che non è mera assenza, ma presenza muta, fantasma affettuoso che accompagna ogni gesto quotidiano. Pietro Nigro ci guida in un percorso intimo e coraggioso, in cui la parola diventa carezza, grido, preghiera. Ogni verso sembra interrogare il vuoto con dolcezza, come chi sa che l’unico modo per non perdersi è continuare a parlare con chi non risponde più, a chiamarla per nome, a darle ancora un posto nel mondo.
« Vaga il mio sguardo,
ma non ti trovo.
Invano ripeto il tuo nome
e non rispondi.
Non so se nei miei giorni rimasti
sopporterò il dolore
che trafigge la mia consunta essenza
errabondo in questo deserto
senz’oasi,
solo sabbia
che soffoca il mio respiro…»
(Piango la tua assenza)
Eppure, in questa elegia composta, non vi è disperazione assoluta. Anzi, tra le righe si insinua una luce tenue, che non cancella il dolore ma lo trasfigura: è la speranza. Una speranza che non ha certezze terrene, ma che osa immaginare. Immaginare un tempo oltre il tempo, un luogo in cui gli sguardi si ritrovano, in cui le mani tornano a cercarsi e a stringersi. Una speranza che non nega la morte, ma afferma la potenza dell’amore che sopravvive ad essa.
Questa raccolta, dunque, non è solo un atto d’amore verso chi non c’è più, ma anche un dono a chi resta. È un invito a non temere il dolore, ad attraversarlo con sincerità, a lasciare che si trasformi in memoria viva, in presenza sottile. È, in fondo, una dichiarazione: che l’amore vero non finisce, ma cambia forma. Che le anime, se nate per camminare insieme, trovano sempre un modo per ricongiungersi — in questa vita, o in quella che ci attende. Leggendo questi versi, ci ritroviamo spettatori di un amore che continua a vibrare tra le parole, e forse, senza accorgercene, impariamo anche noi a riconoscere la presenza nell’assenza. A credere, almeno per un istante, che nessun addio sia definitivo.
L’autore ci conduce tra le pieghe del suo lutto con una delicatezza disarmante. I versi non gridano: sussurrano. Ricordano un volto amato, una presenza che ha lasciato tracce ovunque — in un gesto quotidiano, in un oggetto che non sa più a chi appartenere, in una città lontana che ora parla solo la lingua del ricordo. Parigi ritorna più volte tra le pagine, non solo come luogo geografico, ma come simbolo di luce, bellezza condivisa, e di quella gioia serena che ora risplende attraverso il filtro della nostalgia.
« Cerco te, Parigi,
sognando l’antica collina di Montmartre
che riporta ancora l’eco
d’un’era lontana
di poeti e pittori che la fecero grande
e colmarono le menti
d’un incanto infinito… »
(Cerco te Parigi)
Ma il dolore personale non chiude l’autore in un guscio solitario: al contrario, sembra spalancarlo ancora di più verso il mondo. L’assenza lo rende più sensibile alla sofferenza altrui, e così il pensiero corre anche alle tragedie contemporanee, a quelle ferite collettive che ogni giorno l’umanità è costretta ad affrontare. I versi accennano con pudore ma fermezza ai bambini di Gaza, a quel dolore innocente che attraversa il nostro tempo come una ferita aperta. L’autore, nel suo lutto privato, riconosce il lutto del mondo, e in questo riconoscimento trova forse un altro modo per rimanere umano: provando empatia, restando aperto, continuando ad amare.
« Anche i bambini di Gaza
si sono addormentati per sempre
nel nero grembo del nulla.
A chi volgeranno lo sguardo
e il blando sorriso
le madri affrante… »
(Morte nel deserto del Negev e a Gaza)
Il lettore troverà la speranza, mai imposta, sempre suggerita, che l’amore — quello vero, quello che sopravvive ai corpi e ai confini — abbia la forza di ricongiungere ciò che la morte ha separato. Che da qualche parte, oltre il tempo e le lacrime, ci sia ancora un luogo dove riconoscersi, ritrovarsi, rinascere insieme.
Ho conosciuto l’autore quando ero ragazzo. Ricordo bene un pomeriggio, a casa sua, accanto a mio padre. In quell’incontro, nel calore semplice di una conversazione, ho percepito la profondità di uno spirito gentile, animato da un’intelligenza umanistica e da un senso autentico della solidarietà. Un uomo che sa ascoltare, comprendere e condividere. Questa raccolta ne è il riflesso più vero. Un’antica amicizia che dura dai tempi del volume Il deserto e il cactus, la prima opera di Pietro Nigro pubblicata da questa Casa editrice nel 1982; era il tempo in cui mio padre Guido, già allora riconosceva l’ispirazione poetica di un uomo profondamente coerente: la solitudine come luogo di verità, l’amore come forza salvifica, e la tenacia dello spirito umano di fronte al dolore.
La presente raccolta è anche un tributo ad un’amicizia che dura nel tempo, un filo sottile che lega le generazioni. Un’amicizia nata nei libri, grazie a una robusta cultura classica, nutrita da ideali comuni, e oggi più che mai testimone della forza della scrittura come forma di cura e consapevolezza. Il dialogo tra mio padre e l’autore continua in queste pagine, e io, oggi, ho l’onore di raccoglierne l’eco, e in qualche modo essere l’artefice di questo rinnovato sodalizio umano ancor prima che culturale.
A chi legge auguro di lasciarsi attraversare da questi versi. Di trovare in essi non solo il dolore, ma anche la bellezza di un amore fedele. E la speranza — fragile e ostinata — che, oltre la separazione fisica, vi sia ancora un luogo dove incontrarsi… Verso un nuovo mondo.
E di questo, dobbiamo essere grati a Pietro Nigro.
Michele Miano
Pietro Nigro, Verso il nuovo mondo… per rincontrarci, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 56, isbn 979-12-81351-69-1, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Pietro Nigro è nato ad Avola (sr) nel 1939 e risiede a Noto (sr); laureato in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Catania, ha insegnato inglese presso varie scuole superiori. Ha iniziato a scrivere poesie fin da ragazzo; la sua ispirazione trae origine dai luoghi siciliani della sua infanzia e dagli ambienti francesi e svizzeri visitati durante le vacanze estive, in particolar modo Parigi (la sua città d’elezione), dove si recava spesso per perfezionare la conoscenza della lingua francese. Il primo libro di liriche, Il deserto e il cactus, è stato pubblicato da Guido Miano nel 1982 e gli è valso il 1° Premio assoluto per la poesia edita, Targa “Areopago” (1983, Roma). Sono seguite molte opere poetiche, testi di saggistica e altri lusinghevoli riconoscimenti, tra cui il prestigioso Premio “Luigi Pirandello” per la Letteratura (Taormina, 1985) e il Premio “La Pleiade ‘86” «per la produzione letteraria e poetica già riconosciuta a livello critico» (sala del Cenacolo di Montecitorio, Camera dei Deputati, Roma 1986).
Stefania e Giuseppe Berton, "Il tempo dell'universo e altre piccole storie"
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Il Tempo dell’Universo
Stefania e Giuseppe Berton
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Nel silenzio immenso dell’universo, il tempo scorre come un respiro antico, invisibile ma onnipresente. È il battito di un cuore cosmico, il filo sottile che unisce la nascita delle galassie al sussurro dell’anima umana. Il Tempo dell’Universo e altre piccole storie nasce proprio da quel mistero: un desiderio di esplorare il tempo non come freddo concetto scientifico, ma come esperienza vissuta, interiorizzata, interrogata. Ogni poesia è una stella: brilla di luce propria, ma partecipa a una costellazione più ampia di emozioni, riflessioni e intuizioni. Stefania e Giuseppe Berton ci guidano in un viaggio intimo attraverso la percezione del tempo – un tempo che a volte si dilata come l’universo in espansione, e altre volte si contrae, come un ricordo che pulsa improvvisamente nel petto.
Il volume è strutturato in dieci capitoli ognuno con cinque poesie. Come ha notato correttamente Marcella Mellea in merito al precedente volume Time - Forty Italian poems: «ogni capitolo sembra rappresentare un momento o un aspetto differente del rapporto dell’autore con il tempo: dall’infanzia alla maturità, dal tempo inteso come memoria al tempo che fluisce inesorabile verso l’ignoto», così possiamo confermare che anche la presente raccolta accompagna il lettore in un viaggio quasi esistenziale, scandito da tappe emotive e filosofiche. In questo cammino poetico, il lettore non troverà risposte definitive, ma frammenti di verità raccolti come polline tra galassie lontane e battiti quotidiani. È un invito a fermarsi, a respirare, a contemplare. E forse, a sentirsi parte di qualcosa di infinitamente più grande, senza per questo perdere il senso dell’istante. Emblematica di tutta la produzione e significativa la lirica Il Tempo:
Questa sera, l’ultima sera dell’anno,
ho messo la legna
nella stufa di montagna,
e miracolosamente la casa si è scaldata,
ed è l’ultima sera dell’anno,
ed il tempo passa, e qualche volta vola.
E pensavo come pensiamo il tempo,
che i fisici misurano, i poeti soffrono,
i religiosi credono infinito.
Io penso che il tempo è un’illusione,
è solo un’illusione in questa vita sconosciuta.
E vale meno di un bacio.
In questo componimento ritroviamo quasi tutti gli elementi caratterizzanti la poesia di Stefania e Giuseppe Berton delicata e profonda, e il tono che la attraversa è un intreccio affascinante di intimità, riflessione filosofica e tenerezza malinconica.
L’atmosfera è raccolta, quasi sussurrata: un momento ordinario - «la legna/ nella stufa» - diventa l’occasione per meditare sull’incommensurabilità del tempo. Il quotidiano si fonde con l’universale, e il tono invita il lettore a entrare in uno spazio privato, caldo, vulnerabile. Il verso «il tempo passa, e qualche volta vola» ha quasi un sorriso malinconico, come una verità accettata con dolce rassegnazione «E vale meno di un bacio». Qui il tono è teneramente disilluso, come se, dopo tutte le elucubrazioni umane, restasse solo la realtà vissuta dell’amore, dei gesti, dei sensi. Il tempo, allora, diventa una costruzione meno importante del calore umano. Struggente poi la lirica Fratello:
Abbiamo visto il sole
scendere sui tuoi occhi
e le labbra
chiedere pietà.
abbiamo visto la tua anima,
vestita di tristezza,
camminare
per le strade dì Philadelphia.
Abbiamo visto i tuoi fratelli
come schiavi
E noi pelli bianche, quasi lieti,
per le strade di Philadelphia.
Sono passato accanto
alla tua anima,
sospesa, dimenticata, calpestata.
Mi hai regalato i brandelli
di una bandiera, ancora bagnati
dalle lacrime di domani.
Lotteremo insieme.
Perderemo insieme.
Vinceremo insieme.
E quando scenderà la sera
sui nostri occhi,
sulle nostre ferite,
sul silenzio delle nostre parole,
guarderemo il mondo
coricarsi dolcemente
E la nostra anima avrà ristoro.
Poesia che ha una forza narrativa e simbolica che colpisce nel profondo. Il tono, pur diverso rispetto a Il Tempo, mantiene una coerenza nella tensione tra intimo e universale, ma qui si addensa in una dimensione più storica, civile e profondamente empatica. Si confronta con la sofferenza altrui non con distacco, ma con volontà di condivisione. Il tono è profondamente solidale, attraversato da un senso di colpa trasformato in promessa di alleanza: «Lotteremo insieme./ Perderemo insieme./ Vinceremo insieme». Le immagini sono potenti ma delicate: «la tua anima/ sospesa, dimenticata, calpestata» evoca un dolore esistenziale e storico insieme. La bandiera strappata, le lacrime del domani - questa è una visione poetica del trauma e della speranza, in cui il linguaggio si fa quasi liturgico. Poesie che sono in dialogo tra loro dove si evidenzia una poetica dell’intimità cosmica e dell’umanità condivisa, in cui il tempo e il dolore si rifrangono in riflessioni sobrie, piene di calore umano. E se molti critici si sono soffermati spesso solo sugli aspetti più lirici e intimistici della poesia dei coniugi Berton, l’attuale prefatore suggerisce una visione più dedicata alla coscienza, alla giustizia, al senso della cura per l’“altro”. Lo evidenzia soprattutto la lirica Lottare:
Forse il primo dovere del poeta
è lottare.
Forse il più grande privilegio del /poeta
è lottare:
contro il potere,
l’oppressione,
l’ingiustizia,
lo sfruttamento degli altri,
degli ultimi,
di noi.
Per la libertà di tutti.
Certo è, questo lo sanno bene Stefania e Giuseppe Berton: non si tratta solo di una raccolta di poesie, ma di un dialogo a due voci che respirano all’unisono, un percorso condiviso che intreccia l’amore, l’esperienza e la consapevolezza maturata attraverso il contatto con il mondo grazie ai loro innumerevoli viaggi. Le poesie che compongono questo libro nascono dall’unione di due voci, ma anche da uno stesso sguardo sul mondo. Autori e compagni di vita che hanno attraversato insieme paesi vicini e lontani, incontrato volti, ascoltato storie, abitato silenzi. I loro viaggi non sono stati solo spostamenti nello spazio, ma passaggi attraverso la complessità dell’essere umano: il dolore e la speranza, la bellezza e la disuguaglianza, la meraviglia e il dubbio.
Questa raccolta è figlia di una sensibilità coltivata insieme, nel tempo, e maturata lungo le strade del mondo. È da lì che nasce quel senso profondo di solidarietà: da ciò che loro hanno visto e soprattutto da ciò che hanno sentito. Le poesie non vogliono offrire risposte, ma condividere il cammino, le contraddizioni e la bellezza fragile che ci unisce tutti.
I coniugi Berton svolgono attività medica, sempre a contatto con chi soffre. Ciò ha permesso loro di acquisire un profondo senso etico ed esistenziale: non è uno sguardo dall’esterno, ma una vicinanza quotidiana alla fragilità umana, una sensibilità maturata nel contatto diretto con il dolore, la speranza, la fine, e la rinascita.
Michele Miano
Stefania e Giuseppe Berton, Il Tempo dell’Universo e altre piccole storie, pref. di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp.92, isbn 979-12-81351-68-4, mianoposta@gmail.com.
Angela Ragozzino, "C'è ancora speranza"
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C’è ancora speranza
Angela Ragozzino
con immagini fotografiche e d’arte di Enrico Raimondo, Benedetto Scaravilli, Franca Maschio, Fabio Recchia, Giovanni Conservo, Gustavo Delugan
Guido Miano Editore, Milano 2025.
L’arte e la poesia sono due linguaggi paralleli, due forme espressive che, pur percorrendo strade diverse, si incontrano nel tentativo di dare voce all’indicibile. Entrambe cercano di svelare l’essenza della vita e il mistero che si cela dietro l’apparente semplicità dell’esistenza. Il senso e il mistero della vita è un enigma che l’uomo ha cercato di decifrare attraverso ogni forma d’arte. La poesia distilla emozioni, raccoglie attimi e li trasforma in parole che respirano, mentre l’arte figurativa cattura il visibile per rivelare l’invisibile. Le due arti si sostengono a vicenda: la parola suggerisce forme e colori, l’immagine evoca versi e ritmi. È in questo dialogo ininterrotto che si manifesta il desiderio di comprendere la nostra presenza nel mondo, di lasciare un segno nella trama mutevole del tempo.
La poesia di Angela Ragozzino e le arti figurative di Enrico Raimondo (fotografo), Benedetto Scaravilli (fotografo), Giovanni Conservo (scultore), Fabio Recchia (pittore), Franca Maschio (pittrice), Gustavo Delugan (scultore) si incontrano in C’è ancora speranza per raccontare l’intreccio tra interiorità e mondo esterno, tra emozione e rappresentazione, tra il visibile e l’indicibile. Angela Ragozzino in prima linea come medico rianimatore e poi come sensibile poetessa ci svela alcuni risvolti di questa ricerca. Ci sono alcuni che questa ricerca la vivono ogni giorno non solo attraverso le parole e le immagini, ma nel cuore stesso dell’esistenza umana: i medici, e in particolare i rianimatori, coloro che combattono incessantemente contro il limite ultimo, la fine della vita. Il medico rianimatore non è solo un professionista della cura, ma un custode di speranza, un tramite tra l’essere e il non-essere, tra la fragilità umana e il miracolo della sopravvivenza. Nel suo lavoro si concentra la tensione tra scienza e destino, tra la razionalità e l’imprevedibilità dell’esistenza.
C’è un parallelismo tra il mestiere di medico e quello di scrittore: entrambi osservano la vita nelle sue profondità più crude, ne studiano le oscillazioni, ne accolgono le contraddizioni. Lo scrittore, come il medico, cerca di dare senso al dolore, alla bellezza, alla resilienza umana. Il medico rianimatore affronta il dramma della vita e della morte con la stessa intensità con cui un poeta scrive sull’amore, sulla speranza e a volte sulle sconfitte.
Nel sacrificio di chi dedica la propria vita alla salvezza degli altri c’è un atto profondamente artistico: l’abbandono di sé per il bene dell’altro, l’accettazione del rischio, la consapevolezza che ogni gesto può fare la differenza tra la vita e la morte. E questo Angela Ragozzino lo sa bene.
In Angeli delle Notte, dolcissima lirica dedicata ai colleghi del Reparto di rianimazione, la poetessa ricorda il duro lavoro del personale medico: «…A Voi Angeli della Notte/ che sempre/ la speranza date/a chi più non ne ha/ e un sorriso donate/ a chi sorridere/ più non sa…». Significativa poi la straziante lirica la Stanza chiusa: «…Il silenzio cala/ e imprigiona le ore./ Aspetto che passi/ il tempo/ e mi riporti/ la tua voce/ la tua risata/ il tuo cuore…» che ricorda Nicola Della Vedova direttore del Reparto rianimazione scomparso e alla cui memoria la presente silloge è dedicata. Ma «…La vita continua/ tutto procede/ come avresti voluto,/ come se tu fossi/ con noi… /e lo sei!!!.».
La perdita di un collega non è solo l’assenza di una presenza sul posto di lavoro, ma la mancanza di una relazione vissuta tra conversazioni quotidiane, esperienze condivise e complicità professionale. L’affetto per un collega che non c’è più è una forma di rispetto che si tramuta in memoria, un’eredità che resta nelle abitudini, nei consigli scambiati, negli aneddoti che si continuano a raccontare. È una nostalgia che prende vita ogni volta che un momento lavorativo richiama il suo contributo, ogni volta che un gesto o un’idea sembrano ancora portare la sua firma.
L’incontro tra parola e immagine, vuole rendere omaggio anche a quel senso di infinito che si cela non solo nella natura e nella bellezza, ma anche nel cuore di chi sceglie di donare sé stesso agli altri. Che queste pagine siano un tributo alla meraviglia, alla missione umana, e alla forza di coloro che ogni giorno lottano perché la luce non si spenga, perché ci sia ancora un barlume di speranza nell’Umanità.
Altro tema ricorrente in questo viaggio poetico e figurativo è lo stupore della natura che spesso diventa una fonte inesauribile di ispirazione artistica per Angela Ragozzino. La luce che accarezza un paesaggio, il vento che sfiora le fronde, l’eco di un mare distante, tutti questi elementi parlano agli artisti e ai poeti, che li trasformano in opere capaci di restituire l’emozione primordiale del meravigliarsi. La natura è una tela infinita su cui la vita disegna i suoi mutamenti, e attraverso il filtro dell’arte, ci insegna a guardarla con occhi nuovi, a riscoprire la bellezza nel più piccolo dettaglio. La natura è da sempre una delle muse più potenti per l’arte, capace di suscitare emozioni profonde e stimolare la creatività in modi imprevedibili.
La natura offre forme, colori e ritmi che hanno guidato la mano di pittori, poeti, scultori e musicisti per secoli. Le linee morbide delle nuvole blu, il movimento delle onde, la trama intricata delle foglie, la pioggia, il colore di un tramonto, ogni dettaglio è una lezione di estetica, una fonte di armonia che l’artista assorbe e rielabora. Si leggano i versi della lirica E vado incontro alla notte che si allinea perfettamente all’omonimo scatto fotografico di Benedetto Scaravilli: «Lunga è la via/ al calar della sera./ Scende il sole oltre il monte/ e tutto si tinge di rosso./ …E vado incontro alla notte./ Ripenso al giorno/ appena trascorso/ tra mille ambasce/ ed incertezze…».
Il contatto con la natura risveglia i sensi e genera stati d’animo che si traducono in espressione artistica. La tranquillità di un bosco, la vastità del mare, la forza di un temporale possono evocare malinconia, gioia, introspezione, diventando materia per la creazione artistica. Tramite le meraviglie della natura Angela Ragozzino indaga il senso della vita e la condizione umana. La ciclicità delle stagioni, la caducità di un fiore, l’immensità del cielo notturno sono metafore potenti che portano alla riflessione e alla ricerca del significato dell’esistenza e alla contemplazione del Miracolo delle natura come recita una sua lirica: «…Spunta il sole,/ una tiepida brezza/ l’accompagna./ Solca il cielo azzurro/ punteggiato/ di bianche nuvole/ che gli fan da corteo…» in perfetta simbiosi con Le Nuvole Blu del fotografo Benedetto Scaravilli e il Prato di margherite di Enrico Raimondo.
Come le onde si infrangono sulla riva e poi si ritirano nell’immenso respiro del mare, così la parola poetica e il segno artistico oscillano tra l’intimo e l’universale, tra il finito e l’infinito. La natura si manifesta nelle sue meraviglie - una montagna che sfiora il cielo, una foresta che si perde nell’orizzonte, il riflesso di una notte stellata sul silenzio - e lo scrittore, nel contemplarle, percepisce il proprio essere come parte di quel tutto, come frammento di un infinito che lo avvolge e lo nutre: «…La natura si produce/ in mille doni, colorata/ di note dolci e cangianti…» (Aria di Ferragosto). L’arte figurativa e la poesia diventano quindi strumenti di esplorazione, specchi di un’interiorità che, come la natura, è vasta e insondabile. Il pennello che traccia un cielo senza fine, il verso che evoca il battito eterno delle stagioni: ogni opera è un varco, un tentativo di dialogo con quel senso di grandezza che ci abita e ci sfida. L’infinito, nella sua essenza, non è solo ciò che è irraggiungibile, ma anche ciò che vive dentro di noi, nelle domande che ci poniamo, nelle emozioni che ci sovrastano, nei sogni che non hanno confini. È un viaggio tra le parole e le immagini, una ricerca di quel momento sospeso in cui l’arte riesce a tradurre l’infinito in un attimo di pura comprensione. Che sia un invito a lasciarsi attraversare dalla meraviglia, a osservare il mondo e sentirsi parte di esso, senza barriere, senza tempo.
Questo libro nasce dall’incontro tra parola e immagine, tra intuizione e rappresentazione, tra l’interrogativo sulla vita e la contemplazione del mondo. Un invito a cercare, a osservare, a sentire perché, in fondo, è proprio nello stupore che si cela la risposta più autentica al senso dell’esistenza. Nel dialogo silenzioso tra poesia e arte figurativa si svela un mondo di parallelismi e corrispondenze, in cui ogni forma espressiva risponde all’altra in un delicato gioco di riflessi. Laddove la poesia scolpisce l’invisibile con il potere delle parole, l’arte figurativa lo traduce in segni e colori, tracciando visioni che parlano senza bisogno di voce. C’è ancora speranza nasce dal desiderio di esplorare le sottili connessioni tra queste due arti, indagando come l’una possa nutrirsi dell’altra in un continuo scambio di suggestioni. Le parole diventano pennellate di emozioni, le immagini si trasformano in versi silenziosi; come diceva Orazio nell’Opera Ars poetica «La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca». Nel viaggio che si compie tra queste pagine, l’arte e la poesia non sono separate, ma si intrecciano in un dialogo ininterrotto. L’incontro tra le due discipline crea uno spazio di risonanza, dove il linguaggio poetico suggerisce forme e colori, mentre le immagini evocano ritmi e sentimenti. Un invito a vedere le arti non come mondi distinti, ma come percorsi paralleli che si arricchiscono a vicenda, in un’armonia senza confini.
Altro tema trattato dall’autrice è l’amore, nelle sue molteplici forme, è il filo invisibile che lega le esistenze, un sentimento che si manifesta con sfumature diverse a seconda dei legami che intrecciamo nella vita. L’amore filiale, il sentimento per il padre: l’amore per il padre è una costruzione che si modella nel tempo, tra gesti silenziosi, protezione, insegnamenti e comprensione. È un affetto che può essere fatto di gratitudine, di ricerca, a volte di conflitti che si trasformano in rispetto. La figura paterna porta con sé il peso delle aspettative e la dolcezza di un riferimento che spesso si comprende pienamente solo col tempo. L’amore per il padre è una continua scoperta, una riscoperta nel riflesso dei suoi gesti nei nostri, una voce che continua a esistere dentro di noi, anche quando il tempo lo ha portato altrove. Si leggano i versi della lirica Al Mann dedicata al padre, dirigente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che per certi aspetti descrivono un destino simile a quello del presente prefatore quando ricorda la figura paterna: «…Così ti rivedo/ al tavolo da lavoro/ immerso ed attento,/ fra colonne di numeri/ tutti in fila ed ordinati,/ come si usava/ nei vecchi registri/ ed io bimba, al tuo fianco…».
Questi sentimenti hanno un valore profondo: l’amore per il padre è radice e origine, l’affetto per un collega che non c’è più è un omaggio alla sua esistenza nel nostro cammino. Sono legami che sopravvivono al tempo, alimentati dal ricordo e dalla gratitudine. Nelle cronache letterarie si ricordano almeno Lettera al padre dello scrittore Franz Kafka: in questa lunga lettera mai consegnata, Kafka esprime il suo rapporto complesso con il padre, fatto di ammirazione e timore, raccontando le dinamiche familiari che hanno influenzato la sua vita e la sua scrittura. Ma anche Il mestiere di vivere di Cesare Pavese: nei suoi diari, Pavese affronta il tema del padre, in un dialogo interiore fatto di memorie e riflessioni che rivelano la profondità di questo legame.
Angela Ragozzino, in sintesi e come sempre, spalanca le porte della propria interiorità, offrendo al lettore il dono più prezioso: se stessa.
Il che non è poco.
Michele Miano
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L’AUTRICE
Angela Ragozzino è nata nel 1956 a Sant’Angelo in Formis, frazione di Capua, in provincia di Caserta, dove attualmente risiede. Dopo gli studi classici ha conseguito nel 1983 la laurea in Medicina e Chirurgia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Federico II” di Napoli, con specializzazione in Anestesia e Rianimazione. Dal 1991 ha esercitato la sua attività presso l’Azienda Ospedaliera di Caserta. È impegnata in attività sociali a scopo benefico e culturale; amante della musica classica, delle arti, e delle Cose Antiche, è legata alle origini, alla storia e alle tradizioni della sua terra. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Momenti d’Amore (2004); È sempre Natale (2021); Il colore dei ricordi. Poesie e immagini (2022), Voci d’anima, d’arte e di natura. Poesie e immagini (2023). L’attività letteraria di Angela Ragozzino è recensita da Enzo Concardi e Mario Santoro rispettivamente nel n°12 di Alcyone 2000 - Quaderni di poesia e di studi letterari, Guido Miano Editore, Milano 2019, e nel quarto volume dell’opera Storia della Letteratura Italiana. Dal secondo Novecento ai giorni nostri, ivi, 2020.
Angela Ragozzino, C’è ancora speranza, prefazione di Michele Miano; Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 80, isbn 979-12-81351-63-9.
Laura Cecchetto, "Il canto del cuculo"
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Il canto del cuculo
Laura Cecchetto
Guido Miano Editore, Milano 2025
La poesia di Laura Cecchetto, di professione medico, canta la magica quotidianità delle cose semplici in quei mezzi toni che hanno segnato il sussurrare malinconico della nostra tradizione crepuscolare, con i delicati colori di una vita che scorre in ognuno di noi, segnato da momenti sereni e da dolori veri.
I temi trattati nella sua poesia cantano le meraviglie del Creato, la Natura con le sue delicate descrizioni ambientali, al riguardo si legga Fiori di campo: «Dolci fiori di campo/ nella vostra innocenza/ guardate verso il cielo/ semplici piccole corolle/ che emanano tenerezza…»; ma anche le ricorrenze religiose e familiari, la nostalgica evocazione del «…profumo/ della scoppiettante polenta,/ e la nonna in poltrona/ lavorava la lana/ frutto del suo amore…» (Il davanzale).
I suoi versi si ispirano spesso alla memoria, a malinconiche suggestioni del passato, nonché a rievocazioni di una civiltà più umana ancorata a quei valori puri e idealità che sembrano siano stati dissacrati dalla frettolosa civiltà tecnologica. Esemplificativa la poesia I nostri anni verdi: «…E questa era la vita/ dei nostri verdi anni/ e forse proprio per questo/ siamo cresciuti forti/ e ricchi di ideali/ senza tante pretese/ e con dei valori…», ma anche la gratitudine nei confronti dei propri genitori per avere ricevuto un’educazione tradizionale di valori e tradizioni.
L’innocenza perduta, il mito del falso progresso, il tema memoriale della sua giovinezza, la disumanizzazione e l’alienazione della società contemporanea sono i connotati che caratterizzano altresì i suoi componimenti. Ma è la gioia di vivere con tutte le sue contraddizioni e difficoltà che risulta essere l’elemento catalizzante della sua ispirazione: «Inchinati alla Vita/ che ti ha donato/ tante cose belle.// Inchinati anche quando/ ti dona lacrime e pianto…» (Inchinati alla vita).
La sua poesia è un inno alla Vita e al senso vero dell’esistenza: «La vita/ è Meravigliosa,/ anche quando piangi è meravigliosa,/ anche senza soldi/ è Meravigliosa…» (La vita). E in un panorama come quello attuale afflitto da un cupo pessimismo di ogni genere, da un continuo piangere e chiudersi in se stessi, l’ispirazione della sua lirica risulta una boccata di ossigeno.
Laura Cecchetto cerca di giungere a conoscere il mistero della vita, tentando di coglierne quell’essenza che spesso sfugge al controllo razionale. L’intensità del sentimento in alcune liriche lascia il posto ad immagini cariche di pathos dove i contenuti assumono una certa trascendenza dal dato reale per assurgere ad immagini pregne di significato emotivo. Per cui anche il canto del cuculo «riempie di magia/ la pacifica notte»
Poesia intimista che trae linfa da esperienze di vita vissuta. La poetessa infonde nel verso i segni di una profonda spiritualità con un profondo amore nei confronti della vita. Poesia sincera, immediata, cristallina che risente solo di una vibrante sensibilità, che non richiama mode letterarie ma che attinge ad una profonda dimensione spirituale. Soprattutto è il messaggio del calore familiare che certamente la Cecchetto ha voluto sottolineare; l’ultima àncora di salvezza per un’umanità che sembra abbia perduto, con la caduta della gerarchia dei valori, anche la capacità di cogliere nei momenti di serenità, la gioia di vivere. La parola diventa così strumento di colloquio con il prossimo, monito per le future generazioni nel ricordare che la vita è un dono di Dio e che per dirla alla Frank Capra nel suo fantastico film La vita è meravigliosa o alla Roberto Benigni La vita è bella.
Laura Cecchetto è titolare di alcune raccolte di poesia ed è anche un’acquerellista.
Michele Miano
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L’AUTRICE
Laura Cecchetto è nata nel 1954 a Torino dove attualmente vive e svolge la professione medica da 45 anni. Ha studiato Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi della sua città, specializzandosi in Gerontologia e Geriatria; ama il suo lavoro e lo pratica con amore e dedizione. Studia pianoforte e chitarra con insegnanti qualificati e scrive testi di canzoni per chitarra. Ha pubblicato i libri di poesie: Petali di Rose (2021), El burg d’el fum, in dialetto piemontese (2023), Nei campi di lavanda (2025).
Laura Cecchetto, Il canto del cuculo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-59-2, mianoposta@gmail.com.
Albino Barresi, Ricordi lievi ed oltre
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Ricordi lievi ed oltre
Albino Barresi
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Di origine calabrese, Albino Barresi si dedica all’insegnamento dopo avere esercitato per qualche tempo l’attività forense. Menzionato in vari premi di poesia, sue liriche sono state editate in repertori letterari. Ha pubblicato nel 1991 il volume di poesia Il dolore dell’uomo. Ha al suo attivo anche pubblicazioni in campo scolastico.
«Una vita
solo una vita
vorrò sentire
perché il profumo della zagara
non resti un sogno di una terra
di un ideale
di un essere che non c’è…» (Solo una vita).
Già il titolo della silloge d’esordio racchiude quel sentimento ineluttabile in chiave ungarettiana che è poi quel substrato che sta alla base dell’ispirazione poetica di Albino Barresi.
Una poesia che sa di aerea luce, aggiungiamo, reduci dalla lettura delle sue liriche, terse di quell’aria che penetra nel profondo, col suo profumo d’azzurro, certe mattine d’inverno e che ti fa ricordare che sei vivo. È una poesia che porta in sé il raro dono dell’immediatezza, che si spinge oltre l’attitudine figurativa, intrinseca ad ogni atto genuinamente poetico, per farsi voce delle cose più semplici per modularsi in versi di consistenza impalpabile. Immagini che lievitano sulle trame dei pensieri, quasi a confondersi con essi in tenui dissolvenze. Nel fluire dei suoi versi emerge il senso profondo di una corrispondenza simpatetica con la natura, che rifugge gli oscuramenti che si lascia inondare dalla luce del sole. Il suo verso si rivolge proprio alle estreme resistenze dell’animo umano a quel guizzo d’infanzia represso che improvviso risignifica lo squallore della totale alienazione assurda della nostra quotidianità. Si leggano i seguenti versi emblematici:
«… uomini che vivono nonostante tutto
nel magma di un’umanità cancrenosa
incandescente ed utopica dentro...» (Sentieri interiori).
E ancora:
«… In quest’orgia
di illusioni
alti e bassi di emozioni
naufragando mi cullo
nel mare infinito» (Un giorno).
Ma se il poeta si dimostra a disagio nelle ristrettezze dell’esistenza, lo stesso dedica un canto che nascendo dal cuore intende privilegiare la mente e lo spirito.
«… Oggi così viviamo
come in attesa
in bilico tra un mare di sogni
e una realtà costellata
di amari drammi…» (Flebile luce).
Albino Barresi cerca nel tessuto del pensiero di giungere a conoscere il mistero della vita, tentando di coglierne quella essenza che spesso sfugge al controllo razionale. Il poeta si riallaccia a canoni culturali sempre presenti nella poesia di ogni tempo, confermando che nell’uomo taluni valori non possono essere perduti. Questo accade quando il poeta cerca negli abissi della propria coscienza una risposta alle proprie speranze, come in Amico:
«…Voglia di sentimenti forti
affetti diffusamente sentiti
dentro le vie del cuore
eternamente racchiusi»
o Dentro il mio cuore:
«…Dentro il mio cuore
dissonanti armonie
hanno crogiolato
i pensieri
che affollano
e si disperdono…».
L’intensità del sentimento in alcune liriche lascia il posto ad immagini piene di pathos dove i contenuti assumono una certa consistenza e che trascendono il dato reale. La sua poesia è un libro aperto dell’anima così sensibile e traboccante di desiderio di conoscenza ma anche di volontà di creare attingendo ad una esperienza di vita vissuta. Egli trae dalla viva realtà del vissuto gran parte della sua opera, ma non disdegna le istanze del pensiero quando i versi nascono da una profonda meditazione sugli eventi e sui fatti umani. Severo con se stesso, il poeta spesso infonde nel verso i segni di una profonda spiritualità.
In sintesi la poesia di Albino Barresi porta un messaggio pienamente costruttivo: assume una pienezza di vita non fine a se stessa ma aperta a richiami che portano a pensare e a meditare sulle fondamentali ragioni dell’esistenza. Una poesia che scava nel profondo quale parametro del mondo esterno e che indaga nella speranza di capirsi meglio.
E di questi tempi dobbiamo solo trarne ammonimento.
Michele Miano
Albino Barresi, Ricordi lievi ed oltre, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-58-5, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Albino Barresi, nato a Villa San Giovanni (R.C.), ha una lunga carriera nel Ministero dell’Istruzione come docente, preside, dirigente scolastico e dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Verona per un triennio. Ha al suo attivo numerose esperienze amministrative, gestionali e formative nel Comparto Scuola per conto del MIUR. Ha pubblicato vari testi in ambito scolastico e la raccolta di poesie Il dolore dell’uomo (1991).
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Giorgio Bolla, "Navigando sotto il sole"
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Navigando sotto il sole
Giorgio Bolla
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Non è sempre facile inquadrare il nucleo ispiratore della tematica di Giorgio Bolla, medico chirurgo con una vita avventurosa alle spalle. Medico alpinista in missioni himalayane in Nepal. Ma anche pilota automobilistico in circuito. Ha corso un po’ ovunque e naturalmente anche in altri continenti. Saggista in campo scientifico clinico ha pubblicato più di 70 lavori, anche in riviste sia nazionali che internazionali.
La raccolta di liriche Navigando sotto il sole nasce dalla sua sofferta esperienza di chirurgo pediatra, dalle vicende vissute nell’Ospedale pediatrico di “Medici senza Frontiere” in Monrovia, capitale della Liberia, nato con l’epidemia di virus Ebola nel 2014.
La poesia di Bolla è un incessante riflettere su se stessa, alla ricerca di un ritmo e di una misura che oscillano tra la tradizione ed una ricerca singolare e che consente contaminazioni spesso felici tra ambiti lessicali apparentemente non contigui. Si potrebbe dire che la riflessione esistenziale si trasformi in un articolato interrogativo sulla possibilità della poesia di cogliere una qualche parvenza di risposta, di essenziale certezza nei momenti in cui, per dirla con Montale, il nostro «seguitare la muraglia/ che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia» lascia uno spiraglio all’animo sempre assetato dell’artista.
La sua poesia infatti esplora il sentimento dell’amore, ma anche la ricerca sensoriale e filosofica. Una poesia suggestiva, ricca di simbolismo e di metafore: un enigmatico peregrinare, un trasfigurarsi da un’apparenza a un’altra.
Quello di Giorgio Bolla è un continuo navigare di pensiero in pensiero, perennemente in bilico tra l’uomo e la natura e in questo compenetrarsi si rivela il senso delle cose. La parola è nuda, scabra; è più incisiva, probabilmente in rapporto a quello smagrire di assonanze e ricerche formali, nella misura in cui il quesito esistenziale e un certo dolore panico hanno tentato il sopravvento radicandosi nella innata facoltà evocativa della natura e dei suoi eventi. Emblematica la lirica Dietro la notte:
«Dietro la notte
arriva il vento
dietro l’albero
la notte arriva
dove uomini soli
scelgono il tempo
nella loro costruzione
io guardo il passo
ma dove sta il tempo
quando io non so?».
Per Giorgio Bolla la medicina è una missione; ne è consapevole e lo dimostrano le sue avventure in mezzo mondo. Come anche la poesia: anima e corpo sono tra loro inscindibili. La storia è piena di esempi di medici scrittori a dimostrazione che sono due discipline intimamente connesse. Non sarà forse un caso che tanti scrittori hanno esercitato la professione di medico. Del resto, lo scrittore è non solo un «fabbro del parlar materno», ma anche un rivelatore dell’anima.
L’evangelista Luca era un medico e scrisse un vangelo colto e letterario. Dante si iscrisse alla corporazione dei medici e degli speziali per poter partecipare alla vita politica fiorentina. Tra i tanti medici scrittori basti ricordarne alcuni: nel Cinquecento François Rabelais, nell’Ottocento Anton Čechov, nel Novecento Michail Bulgakov.
Nelle nostre più umili cronache editoriali, piace ricordare alcune opere di medici edite da questa Casa editrice ad esempio: Luigi Manzi con Dietro la maschera di garza la cronistoria umana e professionale di un ginecologo oppure il romanzo La lunga notte dei siluri di Eugenio Fontana con prefazione di Giulio Bedeschi (per intenderci: l’autore del best seller Centomila gavette di ghiaccio) opere edite negli anni Ottanta. Ancora più di recente: la poetessa Angela Ragozzino, medico rianimatore, lo psicologo Sergio Camellini tutti della scuderia Miano. Come dire, sulla scia di quel sensibile e laico senso di umanesimo consapevole di chi vede e affronta ogni giorno tanta sofferenza, dolore, senso di rabbia e di impotenza non può non amare il prossimo incondizionatamente.
È la gratuità, l’amore in silenzio verso il prossimo che aiuta il medico scrittore a dare un senso alla propria vita di uomo e di medico. Quasi come portare il peso di un “fardello” di tanta sofferenza, in questo caso, patita nell’ospedale da campo in Monrovia, in mezzo a tanta miseria, al virus Ebola e alle guerre civili. Si legga la lirica Suona la sua voce:
«Suona la sua voce
l’uccello del mattino
ed io levo il mio corpo
e preparo il mio sangue
al sudore del giorno».
Come se i medici scrittori avessero sviluppato una particolare sensibilità tutta loro, proprio per le sofferenze, atrocità, privazioni vissute in prima persona nei vari campi d’azione. Amare e basta, incondizionatamente. Giorgio Bolla questo lo sa: come medico per la sua professione che si rivela poi una vera e propria missione e come umanista con i suoi versi.
Il poeta sembra quindi suggerire al mondo intero:
«Avrò la libertà
di spingerti
di là del cuore».
E di questo dobbiamo essergliene grati.
Michele Miano
Bolla Giorgio, Navigando sotto il sole, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 70, isbn 979-12-81351-56-1, mianoposta@gmail.com.
Silvana Ramazzotto Moro, "Van Gogh, l'uomo"
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Van Gogh, l’uomo
Silvana Ramazzotto Moro
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Dalla stagione del simbolismo che non ha cessato ancora di influenzare e sollecitare tanta parte della letteratura e dell’arte contemporanea, il sodalizio tra artisti e poeti si è ripetuto in vari momenti delle “avanguardie” storiche dove l’immagine visiva ne rivelava nel linguaggio formale le più profonde significazioni. Nell’arte figurativa il simbolo accentra i significati nascosti e remoti dell’universo, che vanno intuiti e non descritti, nella identità assoluta tra l’emotività individuale e l’anima universale attraverso l’uso di colori accesi e tormentati come i colori di Vincent van Gogh.
Il lavoro di Silvana Ramazzotto Moro non vuole assurgere a un erudito trattato di pittura né tantomeno a un atlante d’arte cui rinviamo nelle competenti sedi, ma se mai a una nuova visione in chiave antropologica del pittore van Gogh. L’autrice infatti ha individuato i temi esistenziali più importanti relativi alla vita del pittore, poi ha ricercato e quindi riportato tutti i brani delle sue lettere che trattano tali temi, in modo da offrire al lettore il pensiero completo e soprattutto autentico dell’uomo. Riusciamo così a constatare la breve e tormentata vita del celebre artista con tutti i suoi risvolti umani, ambizioni, fallimenti, i rapporti con i familiari, con il fratello Theo, con gli amici e altri artisti del suo tempo.
Il sofferto epistolario che Vincent van Gogh ha scritto nell’arco della sua breve vita smentisce tante leggende sul pittore. Il mito «genio e follia» era lontanissimo dalla realtà, frutto di una superficiale mistificazione e di abili operazioni di marketing commerciale. Un artista senz’altro succube di profonde angosce ed ansie esistenziali, dovute a un’anima sensibilissima e mai compresa in vita; negli ultimi tempi, tuttavia, come afferma l’autrice, gli abituali stereotipi che lo riguardavano sembrano scomparire per presentare un van Gogh ben diverso.
Vincent van Gogh non era pazzo. Era un pittore culturalmente aggiornato, lettore e collezionista di volumi e di stampe, attento alle nuove tendenze artistiche del suo tempo. Frequentava i poeti simbolisti al caffè Voltaire a Parigi insieme all’amico Gaugin e teorizzava ciò che sarebbe diventato il «vêtir l’idée d’une forme sensible» (espressione dell’idea con le forme).
L’opera VAN GOGH, L’UOMO risulta strutturata in tredici capitoli che scandiscono appunto gli itinerari più salienti della sua vita. Le tematiche trattate più importanti sono: alcuni cenni di un suo autoritratto, la vocazione mistico-religiosa dell’età giovanile, i tormentati e sfortunati amori con l’altro sesso, i rapporti con i genitori, i rapporti con il fratello Theo, il concetto di arte, il tentativo di creare un cenacolo di artisti che potessero sostenersi anche materialmente nella loro difficile e misera vita fatta di stenti.
E poi i temi ricorrenti della sua pittura: le tonalità pure e primitive del colore, i paesaggi, la natura carica di simboli, il maledetto rapporto con il denaro, l’ammirazione per l’arte giapponese, la sua malattia…. Argomenti trattati con dovizia di particolari dallo stesso Vincent che racchiude in queste lettere tutta la sua disperazione di vita ma anche la gioia di chi è consapevole della propria identità, della propria rabbia divoratrice della vita.
La ricerca esistenzialmente rilevante dell’artista procede nel tentativo di afferrare l’inesorabile scorrere del tempo e del conseguente divenire attraverso l’unico strumento in possesso dell’uomo, non la scienza che è illusa dal presente, ma il “delirio creativo” che è sublime e tragica peculiarità dell’artista.
Vincent van Gogh nelle sue lettere percorre le vie del mondo attraverso i colori, le ombre: insomma ci apre le porte di un diverso modo di osservare il mondo per scoprire che la simbiosi dell’uomo con la natura può diventare osmosi, se sappiamo leggere nelle cose la profonda essenzialità poetica.
E questa Casa editrice, che nel suo piccolo, vanta 70 anni di storia, ringrazia Silvana Ramazzotto Moro, l’autrice del volume, per averci regalato uno scorcio di mondo che ci pare essere patrimonio di tutti.
Il che non è poco.
Michele Miano
Silvana Ramazzotto Moro, Van Gogh, l’uomo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 376, isbn 979-12-81351-51-6, mianoposta@gmail.com.
Christian Testa, "Pensieri poetici nel tempo"
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Pensieri poetici nel tempo
Christian Testa
Michele Miano
Guido Miano Editore, Milano 2024.
La poesia di Christian Testa ha radici profonde con la ricerca di se stesso, del proprio pensiero e della propria personalità. I carismi che il poeta possiede sono legati al mondo e alle vicende che ruotano intorno alla sua vita e ai suoi affetti. È la spontaneità del verso a riferircelo: la creatività di un’immagine sempre fresca a farci riconoscere un talento innato nell’arte della poesia. Christian Testa infatti non è nuovo nel mondo delle patrie lettere: ha pubblicato nell’ultimo decennio una decina volumi di poesia anche in dialetto pavese. Originario di Villanterio, comune del Pavese, è anche un attivo e sensibile operatore culturale dove il centro della sua attenzione è la valorizzazione della terra natia con le varie peculiarità.
La sua poesia spazia varie tematiche dal bucolico, sarcastico, ironico, romantico, gastronomico, storico, filosofico, esistenziale, religioso, fino al dialetto pavese; è inoltre autore di testi di canzoni, scritti sia in lingua italiana che in lingue dialettali, per il liscio e per la musica leggera. Trattasi di persona eclettica che ha fatto della scrittura e dell’esercizio della parola una missione di vita. Per Christian Testa l’ispirazione poetica nasce dai moti più reconditi dell’animo umano: un tumulto di sentimenti, affetti familiari, delicate descrizioni naturali, i ricordi legati sempre sul filo della memoria, un certo disagio esistenziale che attanaglia la sua vita. Fino al commosso e partecipato ricordo con una particolare lirica dedicata allo scrittore Giovannino Guareschi, autore di quella straordinaria e indimenticabile saga di Don Camillo e Peppone ambientata in quel di Brescello nella bassa padana nel Secondo Dopoguerra. Il fervido clima di scontri politici e ideologici a seguito delle ferite dell’ultimo conflitto mondiale diventa per Guareschi pretesto per raccontarci un pezzo di quell’Italia contadina, pura e sincera per dirla alla Pasolini di “quell’umile Italia”. Quell’Italia che ancora resiste, che combatte tutti i giorni per un dignitoso e onesto pezzo di pane, lontano dagli intrighi di palazzo: «…Italia, Italia, Italia/ ti porterò sempre nel cuor.// Se guardo al presente/ sei molto cambiata/ mi sembri diversa/ ma in fondo sei tu…» (Italia).
Christian Testa rende omaggio all’umorismo di Guareschi «…Intercedi per noi giovani scrittori/ affinché, liberi e coraggiosi,/ possiamo rimanere sempre noi stessi/ dominati dalla sola e pura ispirazione/ in questo mondo privo di autentici valori». Umorismo non solo come genere letterario ma anche come stile di vita, umorismo come arma intelligente contro le ideologie di turno, contro la retorica, l’immobilismo umano e culturale per cui lo scrittore Giovannino Guareschi diventa simbolo di libertà intellettuale per le nuove generazioni. Scrittore dissacratore di tanti idoli e idolatrie perché ricco di umanità. La poesia di Christian Testa è grido di un uomo ferito, ma anche un’anima capace di meditare e urlare al mondo intero il suo disappunto, trasformando il dolore e un certo disagio esistenziale in vera poesia.
Altre tematiche affrontate dal nostro poeta sono relative a talune amare riflessioni sul senso della vita e il suo rapporto con la natura ci induce a comprendere quanto egli sente il bisogno di osservarla, di viverla nella sua essenza quasi come una liberazione dal contesto delle situazioni sociali negative. Si legga la delicata Mare: «…Vorrei gettarmi tra le tue infinite braccia/ in un brivido ed un calore che cresce lentamente./ Portami con te attraverso le tue onde/ in un luogo dove trovi la mia vera pace». Nella magia della natura Christian Testa cerca di scoprire i valori universali che l’uomo ha quasi interamente perduto, per ritrovare un equilibrio interiore e per amalgamare il suo pensiero macerato da inquietudini con la purezza dei sentimenti: «Pieno di vita/…/ custodisci/ la natura che ti circonda/ dal male dell’uomo» (Albero); «Con la tua magia e la tua bellezza/ sei testimone del divino in terra» (Fiore). Cos’è poi l’incanto e la magia della natura per Christian Testa se non l’espressione della presenza divina che pervade il nostro essere?
Il poeta canta l’angoscia della fragilità umana, l’ipocrisia dei tempi moderni, ma nello stesso tempo insegue l’ampio respiro del paesaggio, la libertà dei cieli sereni. È una profonda spiritualità che sembra animare il suo tessuto poetico: le ribellioni, il sopruso, le violenze, lo scempio dell’uomo sulla natura e sui paesaggi non sono che una personificazione di un’inarrestabile forza che altera le coscienze più fortificate dallo spirito, dalle quali egli si discosta per non essere contagiato. La sua diventa una voce che si alza nel marasma caotico dei crudi interessi umani per cui la fede diventa àncora di salvezza: «Profonda e imperscrutabile/ sei forte e viva,/ verso il mio prossimo,/ spietata con me stesso.// Quando il male si diffonde/ ti cerco nel silenzio/ per continuare a crederti/ in un lungo e tormentato cammino» (Fede).
La sua poesia risente di un’attitudine riflessiva, la quale si traduce spesso in visioni pessimistiche ma che spesso lascia aperto allo spiraglio della speranza: «…cercando di vivere degnamente/ in questo mondo/ che non mi appartiene.» (Mi manchi). Per cui il suo vero messaggio, come i veri autori o meglio dire, artisti, è racchiuso in un grido di speranza, un messaggio di amore che il poeta porge alle future generazioni perché aprano ai propri figli un mondo nuovo.
Una poesia, in definitiva, che trascende il dato reale per divenire una poetica di tutti. E di questo, dobbiamo essere grati al giovane Christian Testa.
Michele Miano
Christian Testa, Pensieri poetici nel tempo, pref. Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 68, isbn 979-12-81351-20-2, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Christian Testa è nato a Pavia nel 1975 e vive a Villanterio; ha iniziato ad occuparsi di poesia nel 2014. Ha conseguito più di cento riconoscimenti letterari in concorsi di livello nazionale e internazionale. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie in lingua italiana e in dialetto pavese. È inoltre autore di testi di canzoni per il liscio e per la musica leggera.
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Pasquale Ciboddo, "Labirinti della memoria"
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Labirinti della memoria
Pasquale Ciboddo
Guido Miano Editore, Milano 2024.
L’ispirazione della poesia di Pasquale Ciboddo, noto poeta gallurese, comprende da sempre una miscellanea di aneddoti, poesie, curiosità storiche della sua Sardegna, o forse per meglio dire di un mondo contadino ormai perduto. I suoi versi si ispirano più frequentemente alla memoria, a malinconiche suggestioni del passato, nonché a rievocazioni e al rimpianto di una civiltà patriarcale e agricola. Se da una parte non manca tra le tematiche affrontate la denuncia sociale contro l’avidità e l’egoismo umano, si leggano ad esempio i versi:
«Un pezzo di futuro
è già distrutto.
Perché con le guerre
crolla tutto
il bene umano.
Il male disumano
crea disordine
odia il quieto vivere
e scombussola
la pace tra i popoli».
(Il male disumano)
da un’altra prevale nei suoi testi la ricerca nostalgica e struggente di un’epoca irrimediabilmente perduta di certe idealità e valori che sembrano siano stati dissacrati dalla nostra civiltà tecnologica. Il mondo contadino, con le sue dure leggi, l’innocenza perduta, il mito del falso progresso, la disumanizzazione e l’alienazione della società contemporanea sono i connotati che caratterizzano i suoi componimenti. Per cui i quadretti deliziosi degli stazzi della sua Sardegna diventano per il poeta un’oasi di serenità. Di estraniamento dai mali del vivere moderno. A titolo esemplificativo:
«Una civiltà scomparsa
ritorna con la memoria
e riassapora il gusto
di un tempo, il profumo
e nel soffio di vento
sembra levarsi in tutta
l’aria vitale».
(Gli stazzi)
Si è scritto molto sulla poesia di Pasquale Ciboddo. Ma è il tema della memoria con la cristallizzazione delle vicende della vita quotidiana che offre il meglio della sua produzione. Pasquale Ciboddo si indigna e apostrofa gli uomini che hanno perduto il senso della pietà, della solidarietà. Si sofferma a contemplare le guerre, le sue vittime con occhio disincantato, ne denunzia le ipocrisie, combatte l’ingiustizia, perché ambisce all’ideale di uguaglianza per tutti.
Ma non dimentica la propria soggettività, ne coglie il mistero, la trascendenza attraverso il dialogo delle piccole cose di tutti i giorni e vari aspetti della vita con semplicità. Malgrado tutto, i versi di Pasquale Ciboddo sono animati da una visione ottimistica del mondo per un futuro migliore, monito per le nuove generazioni e la missione educativa della sua professione (è stato insegnante per una vita) continua il suo percorso con la scrittura.
Tale esperienza umana e professionale non può che arricchire la vibrazione interiore per la poesia, nella dinamica di un linguaggio autonomo, dispensatrice di valori fondamentali della vita e che indaga acutamente la condizione umana.
Una versificazione la sua, che sa cogliere le fratture e le idolatrie della civiltà tecnologica, della nullificazione che scardina l’identità dell’uomo. E al di sopra di ogni amara constatazione Pasquale Ciboddo avverte la bellezza esistenziale che a molti sfugge, ma non a lui che portando in sé la poesia del colore ritrova nel canto del cuore e nella parola il sostegno della sua abilità creativa.
Michele Miano
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L’AUTORE
Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura (Sardegna), nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti in Italia (è conosciuto anche a Cuba), e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici. Ha conseguito molti premi e riconoscimenti.
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Pasquale Ciboddo, Labirinti della memoria, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-45-5, mianoposta@gmail.com.
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