enzo concardi
Pietro Nigro, "L'uomo e la metafisica"
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L’uomo e la metafisica. Viaggio verso l’ignoto: il mistero dell’esistenza. (Quasi un) romanzo storico-filosofico
Pietro Nigro
Guido Miano Editore, Milano 2025.
È opportuno richiamare nell’esordio di questa prefazione la struttura letteraria del saggio di Pietro Nigro, poiché essa inquadra gli argomenti e i temi esposti con un metodo deduttivo che procede dal generale al particolare, consentendo approfondimenti graduali e consequenziali di contenuti e significati. In primo luogo è necessario effettuare un’elencazione sintetica delle parti che lo compongono, essendo una sorta di introduzione alla materia trattata. Innanzitutto il titolo e i sottotitoli ci indirizzano decisamente verso una caratterizzazione teleologica, antropologica, filosofica dell’opera: L’uomo e la metafisica (titolo); Viaggio verso l’ignoto: il mistero dell’esistenza (1° sottotitolo); (Quasi un) romanzo storico-filosofico dell’evoluzione umana (2° sottotitolo). È chiara dunque l’intenzione dell’autore di avviare un ricerca che resterà aperta (ignoto), senza conclusione, con le conoscenze attuali, tuttavia nel tentativo di non conferirle un tono e un linguaggio accademici e troppo teoretici (romanzo), ma di avvicinarsi il più possibile ad un’avvincente ed appassionata narrazione dell’avventura umana sul pianeta Terra.
Significativa è poi la dedica del saggio, non encomiastica né parentale o captativa, ma oblativa nei confronti dell'umanità: «Dedico questo libro a tutti gli uomini di buona volontà che vogliono un mondo fratello, e anche agli uomini che lo macchiano per l’ambiente malsano in cui vivono, e che potrebbero cambiare se si ravvedessero, per inspiegabile prodigio, non facendo loro desiderare l’illecito, ma la giustizia, la bontà, l’amore». È altrettanto chiara qui la finalità della pubblicazione, delineata anche su un versante umanistico e non solo scientifico. Essa contiene anche una Premessa e una Introduzione, sempre ad opera dell’autore. Nella prima egli effettua alcune enunciazioni che sono alla base del suo pensiero e che ritorneranno alla ribalta più volte nel corso della trattazione. È convinto che faccia parte della natura umana il bisogno di indagare alla ricerca dei misteri dell’esistenza e, per questo, sostiene anche che forme di pensiero primordiale fossero già presenti negli uomini primitivi, all’alba della civiltà: «la riflessione sulla mente e l’anima è antica quanto il pensiero umano stesso» (dalla Premessa). Per tale motivo un libro che si occupa dell’uomo e della metafisica deve iniziare dalla preistoria, come infatti avviene nella Parte I. Nella seconda sono raccolte tutte le domande irrisolte sull’esistenza e sull’universo, e per ciò l’Introduzione è zeppa di punti interrogativi: Nigro in questo campo è un autore che non ha risposte, ma che s’interroga incessantemente, e ogni domanda produce altre domande, in una catena senza fine. Tuttavia egli trova una spiegazione a questa stasi gnoseologica: non siamo in grado di comprendere e sarà così fino a quando «un’evoluzione delle conoscenze scientifiche consentirà di capire ciò che avviene».
Ovviamente non possiamo eludere la serie di interrogativi che a cascata l’autore ci propone, soprattutto a vantaggio del lettore, che potrebbe identificarsi in qualcuno di essi. Ebbene eccoli: non sappiamo perché l’Universo esiste; da dove veniamo, dove andiamo; forse siamo un sogno, ma il sogno di chi; che cos’è la realtà, solo ciò che percepiamo con i sensi o c’è qualcosa oltre; siamo esseri pensati da qualcuno o da qualcosa oppure tutto è retto dalle leggi della casualità; l’infinito e la trascendenza esistono? Inoltre Nigro, nelle sue indagini, non può esimersi dall’entrare nei territori della religione e del sacro, in quanto tutte le civiltà hanno elaborato una loro teologia, cioè uno strumento per studiare l’Essere Supremo, Dio. Tuttavia qui egli sembra più sicuro del fatto suo, ed infatti dichiara: «Non sappiamo chi sia o che cosa sia, come è fatto. E lo abbiamo chiamato Dio riferendoci al cielo, indicato come luogo indefinito della sua dimora» (dalla Introduzione).
La Parte I del saggio si suddivide in tre momenti, che raccolgono i fenomeni e le evoluzioni riguardanti L’uomo e la metafisica, dalle origini fino alla filosofia pre-aristotelica: La comparsa dell’uomo, La nascita del monoteismo e le Conclusioni dell’autore. La Parte II è dedicata all’inscindibile binomio Fede e Ragione, che ha sempre accompagnato il dibattito tra le visioni religiose e quelle laiche dell’esistenza. In queste pagine troviamo i nuclei fondamentali delle argomentazioni di Nigro ed ovviamente prenderemo in considerazione appena conclusa la presentazione della struttura letteraria del libro, che continua con le Note, che, a mio avviso, non vanno considerate come le usuali precisazioni in calce, dal momento che esse sono molto sviluppate ed integrano il testo più che contenere dettagli.
Dopo il saggio troviamo due appendici: la prima, Appendice I, consistente nel testo integrale dell’Inno al Sole di Akhenaton, considerato da tutti come il testo fondamentale del monoteismo antico. Con un salto plurisecolare nella Appendice II l’autore sviluppa una disamina dell’opera di Kant del 1791 Sul fallimento di tutti i tentativi filosofici in teodicea, proponendo un confronto con il pensiero di Leibniz sul male, di cui si occupa appunto la teodicea. Anche alla fine di questa parte troviamo delle corpose Note, da considerare come detto dianzi, tant’è vero che Nigro, per spiegare una teoria kantiana, utilizza la formula di un dialogo fra due interlocutori, metodo galileiano di prosa filosofico-scientifica ad usum delphini, spesso allievi e studenti del maestro. (…)
Enzo Concardi
Pietro Nigro, L’uomo e la metafisica. Viaggio verso l’ignoto: il mistero dell’esistenza. (Quasi un) romanzo storico-filosofico dell’evoluzione umana, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 100, isbn 979-12-81351-73-8, mianoposta@gmail.com.
Pasquale Ciboddo, "Oltre il velo del mondo"
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Pasquale Ciboddo
Oltre il velo del Mondo
Guido Miano Editore, Milano 2025
Le trasformazioni sociali, economiche, culturali e i passaggi storici di civiltà, hanno sempre creato nel corso dei secoli epoche di transizione nelle quali erano presenti contemporaneamente i caratteri del mondo che stava tramontando e quelli della nuova società che stava avanzando. Così è stato, esemplificando, il tempo del Petrarca tra fine del Medio Evo ed avvento del Rinascimento: nelle opere del poeta e filologo aretino riconosciamo infatti la presenza di aneliti religiosi da un lato, e di studi linguistici ed espressioni poetiche tipiche dell’Umanesimo dall’altro. E così si è verificato anche più tardi – a cavallo tra Neoclassicismo e Romanticismo, tra fine Settecento e prima parte dell’Ottocento, secoli “l’un contro l’altro armati” (Manzoni) – periodo le cui istanze principali furono vissute in prima persona dal Foscolo, nel quale riconosciamo un’anima classicistica ed una romantica.
Possiamo senz’altro individuare anche nella nostra epoca una fase storica con i caratteri della transizione: è avvenuto il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, tra il mondo della campagna agreste con le sue regole e suoi valori, e il mondo delle fabbriche, dell’inurbamento, dello sviluppo tentacolare della città e del consumismo. Ora, quel che è rimasto della prima viene considerato alla stregua di un passato arcaico, mentre lo strapotere della seconda – con suoi miti e modelli – sembra inarrestabile e irreversibile. Testimoni di ciò siamo tutti noi delle generazioni cresciute soprattutto nel Novecento, come il poeta sardo Pasquale Ciboddo, il quale nel suo ultimo libro – Oltre il velo del mondo (Collana di testi letterari “Alcyone 2000”, Casa Editrice Guido Miano, Milano, agosto 2025, prefazione di Michele Miano) – dedica gran parte delle sue liriche a riflessioni e giudizi sull’argomento, schierandosi tuttavia completamente dalla parte di ciò che fu, non accogliendo praticamente nulla del “progresso” avvenuto, per lui, evidentemente, una regressione culturale, di valori, umana, sociale. Il libro è corredato da diversi disegni e altre fotografie in bianco e nero che illustrano gli ambienti e i momenti di vita rimasti indelebili nella sua memoria. Diciamo subito, a scanso di equivoci che, probabilmente, Ciboddo ha buone ragioni per rimpiangere il passato di fronte a determinate storture ed alienazioni di certo “progresso”, tuttavia il suo ‘integralismo’ penso non sia da molti accettato.
La nostalgia dell’autore si concentra sul mondo degli stazzi, microcosmo della Sardegna agreste e contadina, dove si svolgeva la vita ideale che egli ha conosciuto fin dall’infanzia e che poi ha perduto per l’abbandono dei suoi conterranei, migrati verso il continente alla ricerca di un favoleggiato benessere: con la fine di quella forte e radicata esperienza, vi è stato solo abbandono e solitudine, in contrasto con la comunità d’un tempo che voleva dire amicizia, solidarietà, legami familiari e affettivi. Leggiamo Corrimozzu: “Dal mio stazzo / Corrimozzu / volava la fantasia / dello spirito alato / verso orizzonti sereni / colorati e lontani. / Luogo di vita sana, / forte per la mia / adolescenza / coronata da compagnia / di giochi di bimbi. / Non sarà mai dimenticata / sino alla morte”. Ed anche Era certo: “Oggi la città / consuma la vita umana. / Era certo il romanzo, / la poesia della mia esperienza / vissuta in campagna / negli stazzi della Gallura / ad avere l’esistenza / un vero senso”. Ecco emergere il classico contrasto città-campagna, comune in molte regioni del pianeta. Fanno da corolla a questo tema di fondo altri motivi fonte d’ispirazione e denuncia nel canto di Ciboddo: lo scandalo di popoli e diritti calpestati; l’apologia della terra di Sardegna, ovvero l’attaccamento alle sue radici; l’essere estirpato, così che siamo diventati rami senza frutti; l’attenzione alle piccole creature della terra; la II Guerra Mondiale vissuta da solo negli stazzi; la solitudine del dopo pandemia; la necessità dell’educazione nelle nuove generazioni; esorcizzare l’odio per vivere l’amore e la fiducia nella Provvidenza.
Oltre a tutto questo mi pare importante cogliere nel poeta sardo ciò che Michele Miano ha ben esposto nella prefazione: “In un mondo che corre senza sosta, dove il progresso spesso brucia i ponti verso ciò che è essenziale, questa raccolta è un invito a tornare all’origine del sentire. Oltre il velo del Mondo nasce dal desiderio di dare voce a ciò che non urla, ma vibra nel cuore: l’amore che resiste al tempo, la fede che non chiede prove, la spiritualità che si nutre di gesti semplici, la fiducia che si rinnova nonostante tutto”.
Vale a dire non perdiamoci nell’artificiosità di un mondo reificato.
Enzo Concardi
Pasquale Ciboddo, Oltre il velo del mondo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 86, isbn 979-12-81351-53-0, mianoposta@gmail.com.
Pietro Nigro, "Verso il nuovo mondo"
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Pietro Nigro
Verso il nuovo mondo…
Guido Miano Editore, Milano 2025
È stata pubblicata nell’agosto 2025, dalla Casa Editrice Guido Miano di Milano, la silloge poetica Verso il nuovo mondo… per rincontrarci del poeta siciliano Pietro Nigro, con la prefazione dello stesso Michele Miano. Il titolo della raccolta è piuttosto generico per indirizzare il lettore alla corretta interpretazione del contenuto, così come il primo incipit dell’autore stesso: “Creatore del tutto/ distruggi questo mondo,/ se puoi mutalo/ e non abbia più lame/ che trafiggano”. Egli sembrerebbe invocare una catarsi apocalittica di origine divina, ma in realtà non è così: la causa della sua ira proviene da un forte dolore intimo, domestico, morale, esistenziale che ha visitato la sua esistenza in modo lacerante: “Saranno queste le mie ultime liriche? Forse non avrò più la forza o lo stimolo per continuare. Forse non ne avrò il tempo. Ho raggiunto la vetta gustando la gioia di vivere o soffrendo gli strali del destino. Ora, la discesa che mi sta portando in un mondo ignoto dove mi hanno preceduto Giovanna e Gabriella lasciandomi in un desolato e immenso dolore. Le rivedrò un giorno? Ma dura è l’attesa! Quanto tristi i giorni senza di loro!”.
Dunque, contrariamente alla prima impressione, il libro di Nigro non appartiene alla categoria degli scritti utopistici vagheggianti nuovi mondi ideali in cui la natura umana ha superato tutte le contraddizioni dell’esistere terreno, ma le sue liriche sono prettamente di carattere autobiografico, affettivo, familiare, memoriale, la cui ispirazione trae alimento dalla concreta e personale sofferenza per la perdita degli affetti più cari, dapprima la figlia Giovanna e successivamente la moglie Gabriella. Ci troviamo di fronte allora ad un canto antico come il mondo, elegiaco ed epicedico, che trovò la sua espressione migliore nella civiltà ellenica. Non è solo un canto di dolore, ma anche e soprattutto, un canto d’amore e precisamente un lamento per l’amore perduto: la psicanalisi direbbe – con formulazione più scientifica che letteraria – elaborazione del lutto. Ma nelle sue liriche il poeta va oltre ogni etichettatura formale ed esteriore, per incamminarsi sul terreno dello squisitamente umano, aprendo il suo animo alle toccanti corde della commozione, del rimpianto, del ricordo affettuoso. La sua opera è perciò una testimonianza d’amore memoriale, ma che non si ferma al passato, a ciò che è stato e non è più, intraprendendo ora il cammino della futurologia: il nuovo mondo sarà quello condiviso con Giovanna e Gabriella, come da lui indicato nel sottotitolo… per rincontrarci.
La prospettiva dell’autore è chiaramente la speranza escatologica di un’altra vita – ora non definibile a causa del limite umano – in cui si starà ancora insieme nella continuità di affetti e condivisioni vissuti quaggiù. Il suo dolore si trasforma così in una riflessione sui destini umani dopo la morte, dove la morte stessa viene sublimata e superata dal desiderio di perpetuare, eternare il proprio io, quello dei propri cari e di tutta l’umanità. Mentre il Foscolo, nella sua religione della memoria, sancisce la “corrispondenza di amorosi sensi” tra i vivi e i morti, che si trovano nel “nulla eterno”, in Nigro lo scenario oltre tombale assume contorni più vicini alla terza cantica dantesca, non importa se nel primo Dio non è ben definito, mentre nel grande fiorentino ha il volto della Trinità cristiana: l’importante è che a tutti sia stata assegnata la sopravvivenza tout court.
Oltre ai temi pregnanti e decisivi affrontati dal poeta, non dimentichiamo il valore lirico della raccolta Verso il nuovo mondo: è un invito al lettore a visitarla per incontrare la sussistenza di spessori umani che sembrano scomparsi, di fedeltà che paiono sepolte, di unioni dei cuori mandate in esilio nei massacrati rapporti della contemporaneità. Nel poco spazio che mi rimane, ecco alcuni lacerti emblematici: “L’ultima volta che ti vidi/ i tuoi occhi afflitti fissarono i miei/ come preghiera a non lasciarci./… / oh! come sapevi entrare nel mio cuore/… / ti prenderò per mano,/ e insieme percorreremo l’ignoto mondo/ dove vivremo una perenne vita” (da “Giovanna”); “Ci ritroveremo in quel luogo un giorno/ in un mondo senza inizio e fine/ io e te,/ e gli altri che amammo” (da “Ci ritroveremo”); “Piango la tua assenza/ e i giorni felici/ sulla terrazza,/ io e te a guardarci negli occhi” (da “Piango la tua assenza”) … Il poeta sembra chiuso nel suo dolore, ma neanche questo è vero; ne è testimonianza, fra le altre, la composizione “Morte nel deserto del Negev e a Gaza”, dove piange le vittime dell’odio e reclama il riscatto morale: “Solo l’amore sanerà la terra,/ mentre l’efferata brama di potere/ vi darà la morte”.
Enzo Concardi
Pietro Nigro, Verso il nuovo mondo… per rincontrarci, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 56, isbn 979-12-81351-69-1, mianoposta@gmail.com.
Enzo Concardi
Alessandro Pellegrini, "Diario poetico"
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Diario poetico di Alessandro Pellegrini
a cura di Enzo Concardi
Guido Miano Editore, Milano 2025.
«La poesia è nata in me in un momento di buio, quando un’incomprensione sembrava spezzare un legame, lasciando spazio al silenzio e all’incertezza. Il peso del non detto opprimeva il cuore, eppure, nel silenzio carico di attese, un gesto semplice ma potente ha cambiato tutto: un abbraccio»: così l’autore inizia a spiegare il suo cammino interiore ed esistenziale che lo ha condotto nelle braccia della poesia. La sua narrazione è avvincente, poiché ricorda che in quell’istante, le barriere sono cadute, il gelo si è sciolto e il vuoto si è colmato di nuova luce. Da quel momento, ha profondamente capito che anche il dolore può trasformarsi in bellezza, che anche un’ombra può essere il preludio di un’aurora. Così è nata una profonda amicizia, fatta di comprensione silenziosa, di sguardi che dicono più di mille parole, di emozioni condivise senza bisogno di spiegazioni.
«Da quel giorno» prosegue «qualcosa dentro di me si è acceso. La connessione tra mente e cuore ha iniziato a pulsare con forza, riversando sulla carta tutto ciò che prima sembrava imprigionato nell’anima. La poesia è diventata il mio respiro, il rifugio dove i sentimenti trovano casa, il linguaggio segreto con cui il cuore si racconta».
Ecco che avviene una sorta di miracolo, dal momento che la scrittura è per lui divenuta il modo col quale dona voce a ciò che le parole comuni non possono esprimere. Riconosce che è iniziato un viaggio dentro sé stesso, un dialogo silenzioso con l’universo delle emozioni, un ponte tra il visibile e l’invisibile. Quando tutto tace, quando il mondo sembra non capire, la poesia resta lì, fedele compagna, capace di trasformare ogni lacrima in inchiostro e ogni battito in versi. In tal modo egli continua a scrivere, lasciando che le emozioni scorrano come un fiume, senza argini, senza paura: «Ogni parola è una cicatrice che si fa arte, ogni verso un frammento di me che prende il volo», precisa con un’affermazione lirica. Quindi la poesia non è solo un dono che egli fa a sé stesso, ma un’eco che può toccare altri cuori, risuonare in chi legge, accendere nuove scintille di comprensione e bellezza. E conclude con un’altra frase-aforisma che illumina la sua anima: «La poesia nasce dal dolore, ma sboccia nell’amore. Ed è lì che trova la sua vera casa».
Questo lavoro su Alessandro Pellegrini si avvale ovviamente dei testi dell’autore, ma comprende anche brevi commenti esegetici del critico in calce ad ogni poesia: un’impostazione insolita rispetto al classico canone che contempla la prefazione. Tuttavia in tal modo possiamo seguire la forma di agenda poetica – si veda l’ordine cronologico con date precise, e talvolta anche luoghi, attribuiti alla genesi temporale e spaziale di ogni composizione – che in definitiva assume la pubblicazione.
La poetica si sviluppa principalmente per tematiche occasionali - nel senso che i motivi ispiratori nascono da eventi, sentimenti, fatti storico-sociali, spunti o squarci memorialistici e naturalistici, esistenzialità, affetti familiari, legami con la terra pugliese - senza che tutto ciò possa costituire una determinata unità artistica e culturale. Infatti il lettore stesso potrà viaggiare insieme al poeta dallo zenit fino al nadir, da nord verso sud, dall’autobiografismo alla letteratura oggettiva, dal quotidiano all’universale, dall’amore duale alla solidarietà per esclusi e svantaggiati.
Enzo Concardi
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L’AUTORE
Alessandro Pellegrini è nato a Terlizzi (Bari) il 27 febbraio 1975. È infermiere e vive a Ruvo di Puglia in provincia di Bari. Sposato con Floriana Petruzzi, padre di due figli, Carmine e Teresa. Ha pubblicato i romanzi: L’alba che ha illuminato il mio cuore (2021); L’Amore? Voglio che sia come il respiro (2022); Le ore del silenzio, via della libertà (2024); Verso l’isola dell’amore (2024).
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Diario poetico di Alessandro Pellegrini, a cura di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 44, isbn 979-12-81351-65-3, mianoposta@gmail.com.
Gilberto Vergoni, "Frammenti d'anima, di senso e spigolature sparse"
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Frammenti d’anima, di senso e spigolature sparse
Gilberto Vergoni
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Questo interessante lavoro di Gilberto Vergoni indirizza il lettore, fin già dal titolo – emblematica ed estrema sintesi della sua ricerca esistenziale e spirituale – sulla strada di un cammino personale ed interiore, all’interno della problematica fondamentale della condizione umana, ossia l’indagine sulle origini, il significato e il destino della vita, tout court: è il terreno propedeutico al senso religioso del nostro essere che, tuttavia, pare non sia raggiunto nei testi elaborati dall’autore nel presente libro, anche se talvolta certamente egli s’avvicina molto ad esso o, quanto meno, nasce in lui il desiderio di un simile approdo. È la perenne domanda che qualifica antropologicamente l’uomo e che ha appassionato le menti pensanti d’ogni epoca storica. Vergoni, tuttavia, scopre che il cammino della conoscenza attraverso la ragione, la scienza, la razionalità – che gli ha consentito di conseguire successi brillanti come neurochirurgo – non è sufficiente per dipanare il mistero della nostra presenza sulla Terra: rimane allora in attesa, con una onestà intellettuale che gli va riconosciuta, di quella luce che la dea ragione pare non possa definitivamente sprigionare, tanto da definirsi paradossalmente con un ossimoro: «…Io mi sono sempre ritenuto un filosofo cristiano cattolico non credente» (Un giorno a Cambridge, Novembre 2002).
Il desiderio di verità è in lui una sete mai spenta, anzi, sempre più urgente e quotidiana. Sotto questo aspetto possiamo arrischiare due accostamenti letterari, non tanto formali quanto contenutistici, con Leopardi e Pascal, due autori altrettanto insoddisfatti della ragione umana. È nota la “conversione filosofica” leopardiana che lo porta dalla “ricerca del bello” alla “ricerca del vero”, fase in cui scopre gli inganni e le illusioni della vita, sfociando in un pessimismo disperante: ciò invece non accade in Vergoni, che conserva una visione aperta alla speranza, circondato dagli affetti familiari (si leggano le liriche Figlia, Figlio, Era di maggio, Elena, Avrei voluto che tu fossi, Mamma, Silvia …) e consapevole dell’utilità umana e sociale della sua professione. A proposito dell’indagare doloroso del Leopardi sono rimasti celebri alcuni versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1831): «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,/ silenziosa luna? /…/ Dimmi, o luna: a che vale/ al pastor la sua vita,/ la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende/ questo vagar mio breve,/ il tuo corso immortale?».
Anche la vicenda pascaliana è nota. Matematico e fisico, si converte al Cristianesimo, scommettendo sull’esistenza di Dio, scrivendo la sua apologia ne I Pensieri (1670), attuando il “salto” nella fede in modo irrazionale: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» (Pensiero 277). Questo è il “salto” che nel nostro autore non è ancora avvenuto, ma di cui si trovano le premesse in diverse sue liriche e meditazioni, tratte da Frammenti d’anima, di senso e spigolature sparse, tra cui: «Verità, dove sei?/ No, non splendi in mezzo al prato./ Come sui monti all’inesperto/ ciò che copre l’orizzonte sembra la cima,/ come l’alta onda t’illude esser l’ultima/ anche nell’infinito oceano,/ così l’occhio miope dell’uomo/ che non sa,/ non vede.// Verità, dove sei?/ Quante lacrime ancora dovranno lavare,/ amare e salate,/ gli occhi dell’uomo perché veda?/ Dall’alto tutto sembra pace. Non c’è ragione per il male./ Dall’alto non si sente il grido e non si distingue/ il colore, l’accento, l’odore. / Né l’altare. / Dio, perché sei così lontana?» (Verità, dove sei?). Ed anche: «Scrivo di me, della vita;/ ho cercato e pensavo d’aver capito,/ ma non so perché il mare è salato!/ L’acqua è dolce e scende e scorre./ E così la vita.// Forse scrivo per essere dove non sono/ o forse perché vedo dove non guardo./ Come in un sogno che sembra più vero/ perché altro e altrove./ Là,/ dove andrò e dove andrà la mia mente.// Il dove,/ l’era,/ il sarà,/ sono confusa percezione che/ l’adesso dilata./ Resta solo il ricordo di un’emozione./ E non so perché il mare è salato!» (Perché).
Si nota in tali testi la metrica a forma libera scelta dall’autore, anche se nel complesso della struttura letteraria prevalgono terzine e quartine; l’uso di anafore, tecnica che rende più efficaci i ritmi di alcuni versi; l’utilizzo della metafora (frequente è quella del mare) che è quasi un’esca per il lettore, sollecitato così a cercarne l’interpretazione; la forma interrogativa, quasi d’obbligo in una poetica di ricerca a domanda e senza risposta. Un’altra scelta importante effettuata nel libro è l’alternanza fra poesia e prosa: ciò mi pare giustificato dal fatto che, mentre la poesia è soprattutto sintesi, la prosa tende maggiormente verso l’analisi, forma scritturale che serve all’autore per approfondire le sue riflessioni e dissertazioni filosofico-ontologiche, senza rinunciare a qualche abbozzo narrativo, ma anche prendendo di petto le questioni dal punto di vista teoretico per inviare messaggi chiari e definibili. La letteratura di Vergoni ha un’origine eminentemente autobiografica, ma, quando egli passa dalla visitazione dei sentimenti – dove sa comunicare con abilità stilistica le emozioni, le sensazioni, gli stati d’animo – o dalla contemplazione della natura, alla speculazione più intellettuale, il referente dell’io si trasforma in una profonda proiezione universale, data la sostanza cosmica delle tematiche prese in considerazione, che riguardano l’essere metafisico e storico, la mondanità e l’escatologia, la condizione femminile nella società odierna ed accattivanti tuffi nella dimensione memoriale, dove appaiono anche misteriosi dèjà vu.
Due pagine essenziali, per capire l’approccio dell’autore con la realtà, sono quelle scritte sotto il titolo: Razionale sentimento, forse…, nelle quali l’avventura umana, la storia dell’umanità e la loro interpretazione, vengono narrate all’insegna del mito, a partire dalla cacciata dall’Eden, la caduta iniziale che ci ha condannati ad una nostalgia perenne di ciò che abbiamo perduto: la felicità, la libertà e la conoscenza. Lo afferma egli stesso con queste parole: «Forse è per questo che la vera storia dell’uomo, quella immutabile del suo animo, è stata scritta e tramandata nel mito…». E così rievoca il destino di Ulisse, che in realtà non ha mai lasciato Itaca, perché è rimasta sempre nel suo cuore; quello del dio Osiride, fatto rinascere da Iside ricomponendo i frammenti del suo essere, paragonando Osiride alla verità e la funzione di Iside a quella che dovremmo assumere noi, nel nostro mondo. Vergoni si spinge ad affermare che: «…forse, la scintilla della conoscenza che ancora alberga in noi, meglio si vede nel sogno e, forse, è nel sogno che la vera vita parla e ci indica “ciò che è”». Quindi la dimensione onirica è quella che ci può suggerire maggiormente la vera conoscenza, ovvero: «Chi siamo, da dove veniamo; dove stiamo andando». Ma tutto è subordinato a quel forse, che lascia le questioni in sospeso.
E, simili a queste due pagine in prosa, troviamo diverse liriche in cui emerge il bisogno del ritorno a casa, la ricerca dell’identità, il destino dopo la morte, la vita che se ne va, la solitudine, il significato del Tutto. La Casa, nella visione del poeta, assume plurimi significati: il nucleo centrale degli affetti; il luogo dove si aspira a tornare dopo un viaggio; ma è soprattutto l’origine con la quale si brama il ricongiungimento definitivo: «Dov’è la mia casa, la nostra casa? … Quando mi sentirò di nuovo a casa? … Dove stiamo dunque andando se non sempre verso casa?». Il credente direbbe: «Ritorno alla casa del Padre». Il poeta presta la voce a Reyhaneh Jabbari, donna iraniana condannata a morte per l’uccisione di un uomo che voleva violentarla: anch’essa prega e spera di ritornare nella casa divina: «…Voglio che i miei occhi ormai chiusi/ vedano e vadano col vento/ perché mi porti/ là dove il Giudice sa». Nelle pietre di antiche chiese si compie «il mistero dell’essere qui,/ testimone di cose che non so/ ma che porto dentro»: è ancora il sentire l’Altro, senza saperlo riconoscere. E il chiedersi i perché comporta anche il trovarsi nel deserto: «…Vivo nella vertigine della solitudine/ di chi vede e sente/ negli indifferenti attimi che passano...» (Guardando il silenzio). La partita del senso sembra persa («... di un senso che non c’è…»), ma «alla ricerca infine di un senso» egli è pronto comunque a sperare contro ogni speranza (Sogni nel sale del mare).
Bisognerebbe poi leggere, sul tema della morte che si preannuncia, tutta l’allegoria della poesia Scacco matto, che può rievocare le sequenze del film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo, dove un cavaliere sfida la Morte ad una partita a scacchi per rimandare il suo destino; nella lirica di Vergoni i primi tre versi ne riformulano lo scenario: «Mi ha sfiorato il freddo sussurro di chi pensavo Sorella/ credendo anch’io di poterci giocare/ coi labili schemi, regole e strategie degli scacchi…». Ovviamente la conclusione è tutta a favore della Straniera, che sempre dà scacco al re: «Non capivo che il tempo/ semplicemente per Lei non è!». Altre frecce nell’arco della poetica vergoniana – come già accennato – sibilano nella memorialità dell’infanzia: Leggero come un amico ci narra del compagno di giochi, presenza indispensabile di tante giornate; Festa rievoca le suggestioni dell’età più bella e spensierata: «…Come lo scirocco che vien da lontano,/ il ricordo riscalda/ sciogliendo il cuore e finalmente le labbra/ in un sorriso sereno e, per un po’, senz’affanno»; anche Effimera brezza ci conduce nel passato, «di quando, bambino, la vita/ per quell’attimo che è, era immortale».
Ci soffermiamo ancora sull’aspetto d’ispirazione naturalistica dentro la poetica di Gilberto Vergoni, citando, ad esempio, Tappeto di foglie, delicata lirica dell’ambiente boschivo autunnale, contesto accattivante per un incontro d’amore: «…Il sapore rimase in un attimo immenso./ Senza ricordi./ Solo un inebriante sapore di te». E il verso anafora «abbiamo camminato su un tappeto di foglie» danza fra le strofe come il ritornello di una canzone. Ci sarebbero anche Rosa solitaria, Mare e altro… ma il nostro spazio è terminato, quindi invitiamo il lettore ad impossessarsi di questi frammenti e di queste spigolature, che meritano una visitazione per il livello estetico e culturale di notevole spessore.
Enzo Concardi
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L’AUTORE
Gilberto Vergoni è nato a Fano (PU) nel 1955 e vive a Cesena (FC). Dopo la maturità classica ha conseguito la laurea Medicina e Chirurgia presso l’Alma Mater Studiorum (Università di Bologna), specializzandosi in Neurochirurgia (Università di Milano) e Radiologia (Università di Bologna). Lavora come Neurochirurgo presso la AUSL Romagna, Ospedale M. Bufalini di Cesena dal 1988. Da sempre appassionato delle materie umanistiche, trova nella scrittura un equilibrio tra l’irrequietezza, tipica di una professione che combatte una guerra mai finita, e la serenità che deriva dal fermare, fissare, anche solo per un attimo, la lenitiva leggerezza di una emozione. Da qui è nato il bisogno di scrivere, come possibilità di dare vita a pensieri, sensazioni e sentimenti che altrimenti rimarrebbero impalpabili ed effimeri frammenti di immagini. Ha pubblicato due raccolte di poesie: Fragmenta Animae Meae (2018) e Le parole del tempo (2023). Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali con importanti riconoscimenti e pubblicazioni in numerose antologie derivate dai concorsi.
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Gilberto Vergoni, Frammenti d’anima, di senso, e spigolature sparse, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 116, isbn 979-12-81351-67-7, mianoposta@gmail.com.
Michele Miano, "So che ti prenderai cura di me"
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Michele Miano
So che ti prenderai cura di me, Poesie e appunti
Guido Miano Editore, Milano 2025
Per i tipi della Casa Editrice Guido Miano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000, è stato pubblicato, nel giugno 2025, il volume So che ti prenderai cura di me, il cui autore è uno dei figli del fondatore della stessa Publishing House, ovvero Michele Miano. Il libro è dedicato in esergo alla memoria dello zio Alessandro e del padre Guido: nonostante esso abbia come sottotitolo poesie ed appunti, in realtà si tratta di un testo-testimonianza dell’avventura culturale della famiglia Miano, iniziatasi in Sicilia e poi proseguita per molti anni a Milano, dove tuttora opera.
Preoccupazione dell’autore è di valorizzare l’amore per la letteratura - sorretto da competenza, impegno, dedizione – nell’intento di dare voce a poeti e narratori, anche agli esordi, oltre che ad artisti affermati nel campo della pittura, dell’architettura, della musica. La pubblicazione è divisa in diverse parti, delle quali la prima è scritta in prosa; la seconda in poesia; la terza è una raccolta fotografica di alcuni personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo venuti a contatto con la Casa Editrice. Sia che l’autore narri le vicende storiche del lavoro di famiglia, sia che si prenda delle pause d’ispirazione, lasciandosi trasportare dalla musa poetica, la sua penna conosce il pregio della sinteticità, caratteristica assai apprezzata dal pubblico e dalla critica. S’inizia con “A te che leggi”, due pagine con funzione di presentazione del libro, dove egli ripercorre a grandi linee soprattutto le problematiche del rapporto padre-figlio, tra conflittualità e rimpianti. Discorso che prosegue nel successivo scritto: “Lettera a mio padre Guido”, nella quale – oltre a toccare le naturali ed umane corde sentimentali – ricorda i sogni da ragazzo, quando lo seguiva nei suoi viaggi professionali e sognava di intraprendere da adulto il suo stesso mestiere. Esprime a lui gratitudine, in particolare per averlo fatto innamorare della lettura: qui Michele Miano, nel descrivere il vissuto del rapporto padre-figlio, rivela una perspicace introspezione ed una sincera autoanalisi dei suoi sentimenti.
La sezione seguente ripercorre “La storia di Guido Miano Editore”, a partire da “La Rivista Davide”, fondata da Alessandro Miano a Noto nel 1951, alla cui redazione partecipa assiduamente il fratello minore Guido. Di impostazione cristiana-umanistica pubblica scritti di autori che saranno tra i più significativi del Novecento: Sciascia, Pasolini, Mauriac, Maritain, Turoldo, La Pira, Papini, Sturzo, Bargellini, e altri. “La nascita della Casa Editrice” avviene con sede provvisoria a Catania, indi definitiva a Milano, ad opera di Guido: l’autore ne rievoca le principali collane e i più importanti contributi, nonché le attività più innovative, come “La Scuola di Giornalismo”, un Centro sperimentale per giovani aspiranti; il “Dizionario Autori Italiani Contemporanei”; la “Storia della Letteratura Italiana. Dal Secondo Novecento ad oggi”; la rivista “Alcyone 2000” e numerosi altri progetti di qualità. Il breve saggio si conclude con alcune note sull’uomo e sul poeta Guido Miano, del quale sottolinea una sua auto-definizione: un operatore nel campo delle lettere con una missione da compiere, diffondere la cultura.
La parte poetica del libro ci svela invece il volto intimo dell’autore, l’anima messa a nudo nelle dimensioni del dolore, della solitudine, dell’incomunicabilità, dei ritmi foscoliani e leopardiani delle passioni e delle illusioni, del lavorìo della memoria e della nostalgia delle cose semplici d’un tempo, dell’amore per la natura attraverso la voce delle stagioni e le immagini paesaggistiche invocando l’alba, della ricerca di un senso e delle non risposte della vita, del male di vivere personale - come i momenti di disorientamento - e del malessere sociale che ci congiunge agli altri, a cui il poeta rivolge il pensiero con un forte senso di umanità (Il nostro tempo, dedicata agli emarginati; Ai nuovi disperati, amaro canto per la sorte dei profughi). La tecnica poetica di Michele Miano è quella del frammento o, per dirla alla francese, della pièces, che si affida dunque, più che a costruzioni strutturate, a scampoli poetici, a ventagli tematici, a mosaici immaginifici, a puzzle emotivi, a caleidoscopi rarefatti ed eterei. Non per nulla egli intitola alcune sue composizioni “Sensazioni – Paesaggi dell’anima”; in ciò egli rivela anche vene di ermetismo e oniricità. Forse a lui ben si addice l’immagine dell’iceberg: dall’esterno ne vediamo una piccola parte, tutto il resto è nel profondo invisibile, come in questi suoi versi: “E padri e figli. Fratelli e sorelle. / Vederli ogni giorno. Crescere, invecchiare / e non trovare mai le parole. / Aggrovigliati nella lotta per il boccone quotidiano, / giriamo attorno alle verità del cuore”.
Enzo Concardi
Michele Miano, So che ti prenderai cura di me. Poesie e appunti, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 80, isbn 979-12-81351-64-6, mianoposta@gmail.com.
LA POESIA DI WANDA LOMBARDI NELLA CRITICA ITALIANA
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LA POESIA DI WANDA LOMBARDI NELLA CRITICA ITALIANA
Guido Miano Editore, Milano 2025
La poesia di Wanda Lombardi nella critica italiana è una pubblicazione fresca di stampa (maggio 2025 - Milano), curata dalla Casa Editrice Guido Miano per i tipi della collana Il Cammeo. Trattasi di un’opera appartenente alla saggistica letteraria, in quanto raccoglie prefazioni, recensioni, premesse, comparazioni tematiche e stilistiche con autori stranieri, analisi ragionate delle interpretazioni critiche. Nella presentazione, curata da Maria Rizzi, vengono sottolineati soprattutto i motivi fondamentali della poetica di Wanda Lombardi, intorno ai quali ruotano in sostanza tutti gli interventi scelti ed entrati a far parte di questa antologia della critica; motivi che si possono sintetizzare emblematicamente intorno a parole-chiavi, come: spiritualità, anima, realismo mistico, ricerca della pace interiore e fra i popoli, presenza di Dio nella vita quotidiana, l’educazione della gioventù, la triade dolore-pessimismo-speranza, le radici sannitiche (la poetessa è nativa di Morcone in provincia di Benevento), fede nella Trascendenza. La Rizzi sottolinea anche il contributo della Lombardi alla cultura locale e nazionale, poiché “… le sue opere sono state inserite presso biblioteche… a disposizione degli studenti, realizzando il suo desiderio di lasciare un tesoro non solo morale alle nuove generazioni...”. Un dato biografico significativo è l’esperienza vissuta al Nord come insegnante nelle scuole secondarie; conclusa la fase didattica è tornata nell’amato Sannio, dove si è dedicata alla scrittura, dalla quale emergono inequivocabilmente i segni di una giovinezza non felice, causa della sua visione dolorosa dell’esistenza.
La poetessa in realtà, oltre che alla lirica in versi - sulla quale è strutturata la pubblicazione che stiamo presentando - si è dedicata anche ad altri generi letterari e principalmente la narrativa e il teatro: vorrei qui richiamare l’attenzione del lettore soltanto su alcuni titoli significativi, emblematici, paradigmatici del suo approccio alla realtà, che quindi suggeriscono per proiezione la cifra letteraria personale. Tra le sillogi poetiche: Il senso della vita, Nel vento dell’esistere, Voci dell’anima, Oltre il tempo, Nel silenzio. Tra le opere in prosa: Sulla scia del destino (romanzo), Proverbi e modi di dire morconesi (studio linguistico). E la commedia Una volta ...c’era. Prima del florilegio critico sulla sua poesia, era già stato pubblicato un lavoro simile, ovvero Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi (a cura di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022). E ora è doveroso citare gli AA.VV. che hanno apposto la loro firma in calce agli stralci critici editi, e cioè il coro di voci costituenti le diverse interpretazioni della poetica lombardiana: Amato Fabio, Angrisani Alfonso, Castrucci Anna, Cauchi Tito, Cerniglia Rossella, Concardi Enzo, Luzzio Francesca, Magrograssi Sandra, Manitta Giuseppe, Mellea Marcella, Miano Guido, Occidente Lupo Rita, Onorato Carlo, Pardini Nazario, Piazza Raffaele, Prisco Ada, Rizzi Maria, Romboli Floriano, Rubino Monica, Santoro Mario, Veschi Gabriella, Zelioli Marco.
Infine, per concludere, spulciamo qua e là un paio di lacerti dei nostri critici, lasciandoli anonimi per non scontentare nessuno, e che consentiranno ulteriormente un certo avvicinamento alla personalità artistica della Lombardi: «... In questi testi, la dimensione paesaggistica, densa di suggestioni affettive e nostalgiche, appare devotamente ancorata al passato e al ricordo. In altri testi, ci discostiamo decisamente da questa visione, attraversata da una mite e fluente elegia dove il paesaggio è trascrizione dell’anima, per inoltrarci nei dedali di un “presente” che traccia un quadro sconfortante del decadimento dell’odierna società nei suoi valori più alti ed autentici, e del trionfo di nuovi idoli - potere e denaro - che in un egoismo sfrenato conducono all’odio, alla sopraffazione e alla violenza ...». «... Ne consegue anche la scelta fideistico-religiosa quale atto di ferma speranza e di abbandono alla volontà di Colui che intende appieno i desiderî e le necessità delle sue creature. In alcuni luoghi la voce dell’autrice assume i tratti dell’invocazione accorata, dell’intensa preghiera...».
Non resta che leggere il saggio per scoprire tutto il resto.
Enzo Concardi
AA. VV., La poesia di Wanda Lombardi nella critica italiana, prefazione di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 104, isbn 979-12-81351-57-8, mianoposta@gmail.com.
Marco Zelioli, "Speranze di pace"
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Speranze di pace
Marco Zelioli
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Speranze di pace, di Marco Zelioli, coniuga desideri, aspirazioni, progetti, che gran parte dell’umanità - o almeno coloro che vengono chiamati “uomini di buona volontà” - vorrebbero veder realizzati nella convivenza fra i popoli della Terra, al di là di ogni differenza esistente fra i gruppi umani che abitano il Pianeta, sia essa di carattere economico, sociale, politico, ideologico, religioso o altro. Le meditazioni dell’autore, se da un lato sono state sollecitate dagli eventi bellici degli ultimi tre anni, come egli stesso dichiara nella Nota di apertura, non costituiscono solo un richiamo all’attualità storica mondiale, ma intendono portare avanti un discorso più generale ed universale sul valore della pace come bene e dono prezioso che non va disperso e come volontà divina: «Non uccidere» (Quinto comandamento, Esodo, 20, 13) che dunque sancisce la natura sacra della vita, appartenente soltanto a Dio, e che nessun uomo può arrogarsi il diritto di sopprimere.
Forse per questo egli ha suddiviso il libro in tre parti: Guerra e pace, dove esprime il suo punto di vista - quello di un credente che è sequela degli insegnamenti evangelici e della Chiesa; Settimana santa e Via Crucis, dove i suoi commenti agli ultimi eventi della vita del Cristo assurgono anche a preghiera per la pace, un atteggiamento che contiene perdono, misericordia, pentimento, elementi necessari per essere costruttori di pace. Un messaggio allora che possiede basi teologiche e cristologiche, ma aperto a tutti coloro che ritengono la guerra disumana, perniciosa, inutile, imposta dai potenti per i loro interessi. A proposito si potrebbero citare alcuni versi di Bertolt Brecht, notoriamente pensatore marxista, ma non ortodosso, del Novecento: «La guerra che verrà non è la prima./ Prima ci sono state altre guerre./ Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti./ Fra i vinti la povera gente faceva la fame./ Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente» (dalla poesia La guerra che verrà o anche Breviario tedesco).
Vi sono nei testi alcuni passaggi-chiave per un cammino di pace - talvolta singole parole, talaltra versi interi, o anche più versi - che ricorrono con maggior frequenza, poiché indicano la strada da percorrere per acquisire disposizioni d’animo, cultura, mentalità, valori … necessari (conditio sine qua non) per realizzare veramente ciò che ancora oggi sembra essere sogno o utopia, da quando ci furono la caduta iniziale nel giardino dell’Eden (il peccato originale), il primo omicidio perpetrato da Caino su Abele, dando così inizio alla progressiva decadenza e divisione dell’umanità, poi dilagate con le conseguenze derivate dalla costruzione della Torre di Babele (Genesi 11,1-9), ovvero l’atto di ybris (orgoglio, superbia) da parte degli uomini verso Dio, principale responsabile della confusione linguistica fra i popoli del mondo: non si compresero più e iniziò la storia delle guerre perpetue, come in effetti è stata finora la storia umana.
I passaggi-chiave indicati da Zelioli non sono soltanto concetti intellettuali, sì nobili ma che lasciano le cose come stanno, ma devono farsi vita, incarnarsi in ogni persona e nelle strutture familiari, sociali e politiche: una generalizzata conversione alla pace è l’unica via possibile, così come nella storia sacra si è verificata l’Incarnazione del Cristo per la salvezza dell’uomo.
Seguiamo allora il nostro autore nel suo procedere e scopriamo quanto egli ami la pace con le sue accorate invocazioni a favore del dialogo e del cessate il fuoco, il “mai più la guerra” di Paolo VI: «Chiese d’Oriente, Chiese d’Occidente,/ brandite come arma la preghiera/ perché non passi come nulla fosse/ lo scempio che si compie con la guerra…» (Pace contro guerra 2). Ci furono anche in passato parole-chiave contro la guerra, come quella famosa di Benedetto XV (1° agosto 1917) che in un’esortazione apostolica indirizzata “ai capi dei popoli belligeranti” definì la Grande Guerra una “inutile strage”, locuzione utilizzata per la prima volta nella storia per dare un volto reale ad un conflitto: appello purtroppo inascoltato.
In Cento giorni troviamo i versi: «Eppur fratelli tutti noi nasciamo...» ma spesso «...ci scordiamo com’è bello/ e dolce che i fratelli stiano insieme». Fratelli tutti è una Enciclica (3 ottobre 2020) di Papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia comunitaria, il cui titolo risale alle parole che il Santo di Assisi usava scrivendo ai fratelli e alle sorelle per proporre loro una forma di vita evangelica. E i due versi successivi (nel testo di Zelioli in corsivo) sono mutuati dal Salmo 133 di Davide, sovente cantato nelle liturgie cristiane.
Altro passaggio-chiave lo scopriamo fin già dal titolo della poesia Il perdono, via per la pace: «C’è troppa gente che pensa, convinta:/ “Quelli che donano il perdóno pèrdono”./ Invece è un modo semplice per vincere/ ogni conflitto fino alla radice…». Solo così si può spezzare la catena perversa di odi e vendette, «se vuoi la pace», «prepara la pace!».
Se il lettore visiterà almeno tutta la prima parte del libro, s’imbatterà in altre espressioni foriere di pace, in primis la speranza, la virtù teologale che supera le paure per realizzare i sogni, che si fonde con la preghiera, che rende possibile quel che sembra impossibile. La pace è una beatitudine evangelica e l’uomo di pace in situazioni di guerra si preoccupa delle vittime innocenti: questo ci ricorda Zelioli, non si può restare inerti ad osservare lo scempio delle ingiustizie, l’uccisione dei bambini, il grido delle madri di ogni terra e di ogni tempo; la cura del prossimo diventa ora ancora più urgente per chi vuole essere umano e cristiano. Tutti coloro che sono seminatori di morte sono chiamati in causa dall’autore, nelle guerre alla ribalta e nelle guerre dimenticate, che siano all’est o all’ovest, a destra o a sinistra: «Ascolta, Israele! Ascolta il tuo cuore!/ Non ascoltare la ruvida legge/ dell’occhio per occhio, dente per dente/ che infiniti lutti adduce alla Terra!// Cerca la pace con ogni straniero,/ ché tale tu fosti a lungo in passato/ e solo in pace trovasti giustizia.// Ritorna ad essere esempio di vita,/ non portatore d’orribile morte.// Per te invocasti pace: ora donala!» (Convivenza pacifica).
Infine assume un sapore profetico e di testimonianza in tali contesti, rivisitare le altre due parti del libro: Settimana santa e Via Crucis, ovvero le radici della missione del Cristo, un messaggio di salvezza e di pace per l’umanità.
Enzo Concardi
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L’AUTORE
Marco Zelioli (Monza, 1951) ha insegnato materie letterarie e diretto scuole statali in provincia e in città di Milano dal 1984 al 2015. Dal 1978 si è occupato di integrazione scolastica degli alunni con disabilità, seguendo le orme del padre, Aldo (1915-2008, ispettore centrale del Ministero della Pubblica Istruzione). Ha pubblicato le raccolte di poesie: Come spuma di onde (2017), Coriandoli di vita e di pensieri (2019), Briciole di vita (2020), Le mie lune e altre poesie (2021), Frammenti di luce (2021), Momenti (2023), Speranze di pace (2025). Ha inoltre pubblicato i libri: Le parole dell’handicap (2001), Introduzione alla ricerca e all’uso dei dati scolastici (2002), Se l’handicap è nella scuola (2004).
Marco Zelioli, Speranze di pace, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 72, isbn 979-12-81351-62-2, mianoposta@gmail.com.
Antonietta Natalizio, "L'anima della speranza"
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L’anima della speranza
Antonietta Natalizio
Guido Miano Editore, Milano 2025
I poeti in genere amano ridare alle stampe le proprie opere, spesso a distanza di anni dalla loro prima data di pubblicazione. Non è detto che questo avvenga attraverso rifacimenti e revisioni delle singole poesie, o con un’edizione integralmente identica a quella originale: anzi, per lo più succede che essi preferiscano la forma di un florilegio poetico, costituito da liriche scelte dall’editore o da un suo critico letterario. È il caso della presente raccolta di Antonietta Natalizio, poetessa campana trapiantata in terra piemontese, che propone ai lettori una rassegna antologica costituita da suggestioni della parola e delle immagini, tratte da Officina poetica (2019), I colori delle emozioni (2022) e Grappolo di perle (2023).
Tre strutture stilistiche, tematiche e semantiche che sono certamente rappresentative della poetica dell’autrice in modo sufficientemente omogeneo – con alcune differenziazioni è ovvio – e quindi soggette ad un’analisi critica unitaria. Ad un prima approccio la scrittura della Natalizio appare come un insieme di raffigurazioni e scenari compiuti in sé e, allo stesso tempo, di versi e strofe aperte ad altre dimensioni lasciate intuire con rimandi prospettici e simbolici: da qui l’inserimento frequente di figure retoriche, sapientemente distribuite nella metrica e nelle scansioni, allo scopo di rendere i testi più efficaci, allusivi e, se vogliamo, criptici, così da indurre all’interrogarsi, al riflettere, al chiedersi le ragioni del messaggio.
Vi sono composizioni tenute in alti livelli di tensione comunicativa, con pregnanza di contenuti, con linguaggio di tenore classico, ed altre – forse volutamente – meno impegnate, più sul quotidiano, che conoscono talvolta anche pause d’ispirazione. È dunque necessaria una visitazione più ravvicinata dei testi che ci consente di entrare nel suo mondo poetico, costituito da numerose perle e da variegati colori, humus fondamentale della sua visione ottimistica della vita. Una delle cifre ricorrenti di tale anelito verso il futuro, il cielo, il bello della natura, s’identifica con la virtù teologale della speranza: la poetessa non accosta quasi mai il concetto di spes a terminologie religiose, probabilmente per non appesantire la liricità del verso, ma si può parlare di Dio, anche senza mai citarlo.
L’albero maestro è un inno alla speranza, una lirica ricca di simboli tratti dal mondo marinaresco, metafore, accostamenti tra linguaggio della natura e lessico umano, dove è chiaro l’intento pedagogico del messaggio: «Torre simbolo del mare,/ fiero, forte e umile/ indica la rotta./ Tra le onde del cuore…/ s’infrange ogni dì./ Vivaio di emozioni, / barlume di speranza…». Da questa iniziale fiammella che ravviva i cuori, si passa nell’epilogo alla potenza di una forza capace di metamorfosi: «…Accogliere è accompagnare,/ educare e sentirsi figlio./ Il giglio tra grandi scogli si erge,/ l’identità del simbolo./ Passato e presente si uniscono…/ bussano alla porta del tuo cuore/ nell’energia della speranza».
La fiaccola allarga lo sguardo dalla speranza, ancora citata, ad una visione più complessiva della vita, in cui emergono i valori fondamentali dell’uomo, si traccia una sorta di vademecum per uno stile di vita coerente con i principi professati. La poetessa qui richiama ad alcune parole-chiavi a sostegno della nostra esistenza, come luce, coraggio, amore, libertà, fede e passione: «…Dal credere o non credere,/ nasce la consapevolezza dell’uomo.// Credere è speranza, bellezza,/ coraggio di saper scegliere./ Vivere con passione/ anche per una sofferenza,/ aiutare con amore,/ fa nascere la speranza,/ l’immortalità del bene…».
In questo alveo di positività – che tanto si contrappone alle visioni minimaliste, nihiliste, riduttive, liquide dell’oggi filosofico – si sviluppa una poetica della verticalità, della trascendenza e del divino che esalta la spiritualità e l’anima dell’essere umano. Le visioni diventano metafisiche e metastoriche e, di conseguenza, le immagini poetiche luminose, coloratissime, proiettate nell’oltrità. Nella poesia Arcobaleno di luce, dopo aver richiamato ancora alla illuminazione della mente; ai colori gentili di viole, mughetti e gelsomini; alla felicità vissuta adesso e non rimandata, la Natalizio conclude la lirica con un distico ammiccante al soprannaturale: «L’occhio di Dio/ è più in alto». Così le vie dell’anima sono quelle preferite anche dall’ispirazione poetica, sulla scia dei semi gettati e germogliati nel terreno dell’amore (Spiritualità). In tale poetica va segnalata la suggestiva ed ammaliante Papaveri rossi, in un perfetto equilibrio tra natura (dorate spighe, blu del fiordaliso, folate di zagara, spodestati ulivi, uggiosi piovaschi…) e immagini dell’anima (velata, silenziosa, inerme, carezzevole …) fino all’emblematico verso: «L’invisibile diventa presenza!» (ovvero dimensione mistico-contemplativa).
Inoltre vanno certamente ricordate anche Ero lì, con le sue atmosfere rarefatte e di quiete, dal desiderio di ricerca di ariosi spazi («Mi accinsi ad esplorare/ nuovi silenzi…»), dalla tensione verso il cielo a portata di mano; e La Grazia, un inno alla vita e al suo Creatore: «…È un canto Altissimo!/ Istanti di felicità/ di eternità/ si respirano nell’anima…». E cosa sarebbe la vita senza l’Amore, si chiede la poetessa altrove, una domanda retorica diventata quasi un luogo comune nella nostra cultura sentimentale: la risposta è scontata, sarebbe nulla dal momento che, nella sua visione, l’amore è vita, gemma preziosa, fulgido sentimento, sinergia e conoscenza, dono, meraviglia… (L’Amore). E nell’incontro fra lei e lui («…mi voltai…/ ed incrociai i suoi occhi,/ il suo sorriso/ rapì il mio cuore…») si realizza il legame tra l’umano e il divino: «…Lo invitai a contemplare…/ la profondità del mare/ e l’intima presenza di Dio,/ perché nascesse…/ il più bel fiore del creato!»; inebriata e rapita da eros le sembra di volare «come un giovane gabbiano», di vivere fra «un tintinnio di emozioni,/ luci, suoni e colori», sfogliandosi «come una candida/ rosa rossa» (Un amore con le ali).
L’idillio continua nell’immersione quasi panica in mezzo alla natura: ne è testimonianza soprattutto la composizione Il risveglio del bosco, lirica in cui l’amore per il particolare spicca ovunque e si concretizza dando spazio agli abitanti della foresta, siano essi alberi, fiori o piccoli animali: il canto ha un suo significato simbolico, poiché il risveglio della natura nella stagione primaverile simboleggia il risveglio e la continuità della vita. Uno speciale “lirismo descrittivo” immaginifico ci introduce in un mondo fiabesco dimenticato dal vivere metropolitano, mondo che tuttavia è anche reale, solo se ci si mette alla sua ricerca: così ci accorgeremmo dell’esistenza degli ultimi lembi di neve sopravvissuti ai raggi del sole; del canto dell’usignolo, del fringuello, del picchiettio del picchio; del cuore vibrante in cerca del calore; del bucaneve, del leprotto e della volpe; dei castagni, delle querce, dei pini; delle fragoline, delle primule e delle piccole chiocciole… Tutto questo pulsare frenetico è racchiuso nell’incipit e nell’epilogo della lunga poesia, inizio e fine che ne stabiliscono il messaggio: «Il bosco, dopo il gelido inverno,/ si riapre alla vita./ Il cuore si rallegra,/ e con stupore osserva in silenzio/ le meraviglie del creato/ (…) Ondeggiano al leggero soffio di vento/ profumati anemoni, narcisi e ciclamini,/ come voler salutare da lontano,/ per non mancare all’appello/ del nuovo giorno che arrivato è già,/ e la vita che dà continuità».
Tali sono anche gli squarci naturalistici del Paesaggio simbolico, dove «la bellezza educa lo sguardo», mentre una variante sul tema è rappresentata da Il richiamo del mare, poesia in cui la natura assume volti severi, forti, selvaggi («onde di pietra», «mare in tempesta», «è ruggito dove tutto trema e ribolle», «l’indifferenza è selvaggia natura»), tanto da rievocare certi toni del romanticismo tedesco e dell’Ortis foscoliano. Ciò ci introduce a quei titoli emblematici della poesia della Natalizio che sono l’altra faccia della medaglia di quanto finora esposto, ma che registrano una realtà odierna e storica da non trascurare: Torre di Babele, chiaro simbolo della confusione spirituale, del dissolvimento dei valori, dell’umanità smarrita, di un mondo alla deriva; Il male di esistere, di evidente ispirazione montaliana, raffigurazione del vuoto esistenziale e della pietrificazione dei rapporti umani; Solitudine, non quella scelta che è quiete e meditazione, ma quella subita che è angoscia e disperazione; I violini parlano, memoria dei campi di concentramento nazisti, dura, efficace, immagini graffianti, condanna totale, il sonno della ragione, Milano Binario 21: il viaggio della morte»…; La nebbia, affascinante e misteriosa pensandola dal di fuori, ma nemica, ostile vissuta da dentro, quando diventa il buio della mente e t’impedisce il cammino, deviando dal destino che ti è stato assegnato; Anima arida, se si vivono assenze, distanze, negazioni affettive e sentimentali che lasciano gelo e indifferenza, invece che abbracci e slanci d’amore; Abisso, il riemergere dai fondali della mitica ninfa del mare, figura della classicità antica, immagine della memoria ovvero degli echi del passato…
Ma L’anima della speranza vive già di chiara luce…
Enzo Concardi
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L’AUTRICE
Antonietta Natalizio è nata a Nola, e vive in Piemonte. Scrittrice, Poetessa, Psicologa Clinica e di Comunità, da sempre è impegnata nel sociale. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Officina Poetica (2019), Quando si diventa anziani (2021), I Colori delle Emozioni, edizione italiano/inglese (2022), Calendario Letterario (2022), L’infinito è più blu (2023), Grappolo di perle (2023). Si occupa anche di pittura.
Antonietta Natalizio, L’anima della speranza, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-37-0, mianoposta@gmail.com.
Daurija Campana, "Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato"
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Daurija Campana
Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato
Guido Miano Editore, Milano 2024
Abbiamo avuto – lo staff Miano e chi scrive - l’occasione di conoscere Daurija Campana e la sua famiglia nella città di Cesena, luogo di residenza, presentando, davanti a un folto pubblico, la raccolta precedente dal titolo: Sola tra memoria e dolore, della Casa Editrice milanese Guido Miano, per la quale stesi il saggio introduttivo. Fu un’accoglienza squisita, da cui è nato un rapporto fiduciario che ha generato la nascita e la pubblicazione dell’opera Qualcosa di nuovo (settembre 2024), appartenente alla collana “Parallelismo delle Arti”: l’autrice infatti è poetessa e pittrice e dunque il libro – che reca la prefazione di Michele Miano – si caratterizza per il connubio tra poesie e dipinti, essendo le diverse forme artistiche espressione di un’unica anima creatrice, di una sola sensibilità spirituale. Parole e colori s’incontrano e dialogano in qualunque caso, frutto di una felice istintività, o di un complesso e tormentato percorso interiore.
Mi soffermerò qui soprattutto sulla parte letteraria della pubblicazione, più consona alle mie competenze critiche, mentre esprimerò emozioni ed impressioni riguardo ai quadri inseriti in essa. I testi poetici di Daurija Campana penetrano in alcune dimensioni fondamentali dell’esistenza umana, toccano l’essenza delle cose e nascono da una sofferta elaborazione di eventi del passato per nulla cancellati, anzi dei quali ella vuole conservare memoria perenne. Vi sono, in tale contesto morale e spirituale simile ad un magma vulcanico, parentesi e pause o squarci di serenità conquistata a fatica, e costituiti da vissuti relazionali con la natura medicatrice e con la memoria stessa, sublimata da dolore in speranza: occorre qui leggere le poesie in cui l’autrice non si rassegna alla perdita di alcuni cari, che crede fermamente di rivedere in futuro, in altre dimensioni di vita. È questa la valenza più coinvolgente e commovente della sua poetica, in quanto tocca corde e sentimenti che, al contatto con il suo canto, possono risvegliarsi in tutti noi dal sonno in cui li abbiamo relegati per non soffrire a nostra volta.
Tale tematica è evidente in diverse composizioni. Si può citare Sera come testo paradigmatico: “Il giorno in cui potrò venire lieta/ a te ritornerò quasi ansimante/ e sotto quel cipresso che tu ami// mi troverai seduta a piene mani;/ e lì m’accoglierai con un sorriso,/ la luce brillerà sulla mia ombra// e parleremo ancor tutta la sera/ nascosti dal chiarore della notte./ Ma ora silenzioso tace il cuore// neppure sento aliti di vento/ acceso e spento il sole che ormai muore/ qui resto, né un conforto, né un colore”. Si realizza qui quella “corrispondenza di amorosi sensi” tra i vivi e i morti di foscoliana memoria, ma non solo, la poetessa esprime quella speranza cristiana del ricongiungimento con i propri cari nella dimensione della vita eterna. Sera è anche un modello formale di poesia classica: quattro terzine di immagini limpide, armoniose, dove vi è un equilibrio perfetto tra linguaggio e valenza semantica, tra fonetica e misura della parola. A Sera si possono accostare Sorrisi (“sanno ridere i nostri cuori”); il racconto fantastico contenuto ne Il lago, una sinfonia dell’infanzia, della giovinezza e della lancinante perdita di un sogno: “Da allora quanti anni son trascorsi?/ Troppi, senza di lui, e troppo pochi/ per lenire in qualche modo il dolore/ che turba dentro come una tempesta...”; Il bosco, struggente rimembranza del padre: “Tu non ci sei, mi manca la tua mano/ che conduceva ogni mio passo lontano…” e L’albero, la presenza-assenza del padre.
La Natura entra prepotentemente nella poetica dell’autrice con affinità sensitive di tipo pascoliano-dannunziano, versi onomatopeici, il segreto della pioggia-pianto (Non piace); con le rime studiate (alternanza a-c / b-d) delle sei quartine de Il canto del cuculo, un inno al lavoro nei campi dai modi pascoliani; con la delicata sensibilità rivolta alle effimere ma leggiadre creature che sono le farfalle (Vanessa cardui, Odette); con il canto alla Mietitrebbia, attaccamento alla vita agreste ormai perduta e con la leopardiana Nostalgia, tale perché rievoca la poesia di borgo cara al recanatese: qui è Meldola (“madre e matrona”), il paese natale, ad essere cantato, le vie, le piazze, la gente, le donne, i bambini, le lucciole e la “cara luna della sera”. … Poi il lettore saprà scoprire da sé le altre perle dell’anima della poetessa. Per quanto riguarda la pittura colpiscono gli occhi lucenti, profondi e gli sguardi indecifrabili, interroganti degli autoritratti; la tecnica praticamente perfetta nel dipingere i capelli delle figure femminili; i vividi colori della natura con le farfalle simbolo della leggerezza dell’essere; il pelo fulvo delle figure canine ritratto con maestria realistica…
Enzo Concardi
Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-41-7, mianoposta@gmail.com.
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