enzo concardi
Iano Campisi, "Di fronte alla vita"
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Iano Campisi
Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni
Guido Miano Editore, 2025
A cura di Floriano Romboli, che ha svolto un prezioso lavoro di selezione dei testi, scrivendone anche la prefazione, all’inizio di questa primavera è uscito a Milano – per i tipi della Casa Editrice Guido Miano – il volume di narrativa Di fronte alla vita: l’autore è il siracusano nativo di Avola Iano Campisi, biologo, direttore di un importante laboratorio di analisi cliniche e genetiche in Sicilia. L’apparente discrasia tra la sua specializzazione professionale e il campo letterario nel quale è attivo dal 2015, può essere forse spiegata dall’attaccamento profondo alle radici isolane, alla terra delle origini, ambienti in cui avviene la quasi totalità delle vicende raccontate nel libro e che quindi costituiscono la primaria e più importante fonte d’ispirazione letteraria.
Come sottolineato anche nella prefazione dal critico toscano Floriano Romboli, in Iano vive infatti un forte sentimento di appartenenza alla natura e al passato, il quale fa sì che si sviluppi in lui una sorta di disagio della civiltà – per dirla con Freud – ovvero un’istintiva avversione al progresso tecnologico, non in quanto tale, ma quando non si pone al servizio dell’uomo e diviene piuttosto un fattore alienante, inquinante dell’ambiente e delle menti, massicciamente invasivo della libertà interiore e condizionante la comunicazione autentica. Perciò egli auspica il recupero di una ricca umanità; una presa di coscienza sul limite ed il mistero dell’esperienza terrena; un’attenzione solidale verso le questioni sociali in particolare degli esclusi, degli emarginati, dei deboli; accetta con fatalismo tipico della cultura mediterranea il destino comune a tutti i mortali, maturando un sostanziale pessimismo filosofico e storico di stampo pirandelliano, il quale si stempera soltanto con il motivo dell’amore, irrazionale se non talvolta anche folle.
Il lavoro di Campisi è suddiviso in quattro parti datate: la prima sezione riporta il titolo generale, Di fronte alla vita, tuttavia con l’aggiunta del sottotitolo Racconti e riflessioni inediti, 2022-2024 (le meditazioni dell’autore sono numerose e quasi tutte fanno corpo unico con il discorso narrativo e sono sviluppate sia in prima persona che attribuite ai personaggi; s’incontrano inoltre brevi lacerti sotto forma di aforismi ragionati); Di ricordi e fantasia (2018) con spazio prevalente alle suggestioni della memoria; Così come sono (2023), con storie di donne, non senso della vita, altri ricordi; e infine Piccole storie (2022), definite “vere, verosimili, stravaganti”, nelle quali i temi della solitudine, della ricerca identitaria, dell’esclusione e dell’aspirazione a felicità non fugaci si rincorrono, come in tante altre storie sparse ovunque.
Prevalgono nei testi forme di autobiografismo con monologhi autoreferenziali, come in Appunti sparsi di un ricovero in ospedale, che l’autore considera un “carcere duro” vissuto “in avanzato stato di depressione” e con la “più straziante e desolante malinconia”; come in Due mondi, preoccupato di non riuscire a definirsi, con il sospetto di essere un “soggetto insicuro, un po’ bipolare, infedele, inaffidabile”; come in Il mio cervello, dove egli si sdoppia ed imbastisce un filosofico dialogo col proprio cervello, la cui conclusione, riguardo i soliti misteri della vita e della morte, suona così: “credimi, né tu né io sappiamo nulla...”. Anche i racconti della memoria vivono nelle dimensioni soggettive dei vissuti dell’infanzia, della giovinezza, dei raffronti generazionali, ma anche dei cambiamenti climatici (La stazione, Il piccolo delfino, La vespa 50 gialla, Dei tempi andati, Via Malta…).
Seguono pagine sul montaliano “male di vivere” contemporaneo, generato dall’estraneità del prossimo, dal dominio del consumismo, dalla solitudine in mezzo alla massa; esemplare è la descrizione di un odierno ‘santuario’ della mercificazione, ovvero Al centro commerciale, dove osserva “... imbambolati esseri umani, automi, alla ricerca di chissà cosa. Entrano coppie disfatte o in via di disfacimento”, gente dai cervelli in putrefazione, che sa coltivare solo sentimenti di “diffidenza” ed “apparenza”, quasi morti che camminano. Qui troviamo anche storie di esistenze difficili, come quelle di Zaira - della vita e della morte, di Iris, di Cristina; storie di Solitudine (L’uomo e il cane) il cui personaggio sentenzia: “Soli si nasce e soli si muore: è la paura della solitudine che rende indispensabile la compagnia”; storie di emarginazione, come quella di Bartolo, dal simbolico titolo Il brutto anatroccolo. Ma all’uomo resta l’amore, con poesia: “Poco fa guardavo i tuoi occhi, distintamente scortati da una vivida luce. Ci vedevo l’immensità del cielo e la profondità del mare” (Due mondi).
Enzo Concardi
Iano Campisi, Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 252, isbn 979-12-81351-54-7, mianoposta@gmail.com.
Gabriella Carrano, "Èros e Thànatos nel mondo greco-romano"
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Èros e Thànatos nel mondo greco-romano
Gabriella Carrano
Guido Miano Editore, Milano 2025
Sono sei i saggi critici di questa antologia, visitatrice del mondo culturale e ideologico ellenico e latino, ad opera della studiosa Gabriella Carrano, sulla tematica complessiva riguardante alcuni aspetti di Èros e Thànatos nel mondo greco e romano. Maggiori specificazioni sulla materia trattata emergono dalla suddivisione in capitoli dell’opera, ripartizione che delinea autori, periodi, linee di pensiero, tendenze, contenuti, stili: al centro vi è essenzialmente il teatro, non solo come genere letterario, ma soprattutto come specchio delle società, sulle cui concezioni e realizzazioni si è poi sviluppata la civiltà occidentale. Occorre leggere innanzitutto l’indice, poiché ci guida a penetrare più da vicino i messaggi che la Carrano vuol trasmettere circa la pòlis greca, l’Urbe romana, la condizione femminile in quei contesti, la carrellata degli autori - non solo teatrali - che hanno scritto testi significativi al riguardo, i rapporti con la dimensione mitologica, le sue considerazioni e i suoi giudizi di merito e di valore, con acute comparazioni tra loro ed anche con raffronti motivati con i secoli successivi fino alla contemporaneità.
Ecco dunque la sequela: 1. Le origini della tragedia e del tragico: le riflessioni di Mario Untersteiner; 2. Èros e Thànatos nell’èpos: il desiderio e il dramma della conoscenza nella trasfigurazione di Ulisse. Il viaggio dell’ulisside tra aretè ed entropia planetaria: l’inattingibile limen di un centro ‘periferico’; 3. Patogenesi dell’Eros al femminile nell’universalità del dramma classico. Fedra, Medea, Didone: tragedie di passione, passioni della storia; 4. Il fiore di Nosside in terra locrese: balsami alessandrini per una mistica della femminilità; 5. Ovidio e le pratiche abortive: èthos elegiaco e scientia ellenistica in Lucrezio e negli elegiaci; 6. La meditatio mortis senecana tra finis e transitus: i traslati del lessico dell’interiorità.
Come si evince già da tali input culturali il linguaggio dei vari saggi è spesso rigorosamente tecnico, specialistico, per addetti ai lavori, se non addirittura - talvolta - criptico ed esoterico: ciò, tuttavia, a mio parere, conferisce maggiore fascino alla narrazione, che ci conduce nell’avvincente viaggio nei mondi in questione, per molti purtroppo dimenticati: il lettore che naviga nelle dimensioni essoteriche, potrà approfondire con ricerche personali. Ecco un lacerto in cui prevale um linguaggio iniziatico: «Gli epigrammi di Nosside di Locri Epizefiri rappresentano un unicum nel panorama delle “avventure” femminili del tardoantico, non solo per la ripresa tutta “decadente” di stilemi saffici in una lingua intrisa di dorismi e di ricercatezze modellate sugli epicismi, ma anche per le robuste ibridazioni del genere epigrammatico con l’ilarotragedia del fliacografo Rintone di Taranto (Antologia Palatina, VII, 718)» (dalla Premessa al saggio Il fiore di Nosside in terra locrese). Inoltre occorre aggiungere la ricca dote di note culturali esplicative che il libro vanta, gli inserimenti di terminologie in latino e greco direttamente nei testi senza traduzioni, ed invece brani autoriali di varie dimensioni con traduzione a fianco.
Va sottolineata ancora l’importanza e l’influenza che il concetto dualistico di Èros e Thànatos, ovvero la pulsione di vita e la pulsione di morte, ha esercitato ed esercita sulla cultura europea, in primis nel pensiero freudiano e, in particolare, nel suo saggio Al di là del principio di piacere (1920). Qui il fondatore della psicanalisi fa riferimento ad Empedocle di Agrigento, la cui dottrina «[...] si avvicina talmente alla dottrina psicanalitica delle pulsioni, da indurci nella tentazione di affermare che le due dottrine sarebbero identiche». E Freud afferma che «[...] i due principi fondamentali di Empedocle - philìa (amore, amicizia) e nèikos (discordia, odio) - [...] sono la stessa cosa delle nostre due pulsioni Èros e Distruzione». Basterebbe solo ciò, sempre a mio parere, per invogliare a leggere il libro della Carrano e per prendere coscienza di quanto sia grande il nostro debito nei confronti delle radici greco-latine.
Ora, in forma forzatamente sintetica, chiudiamo tale premessa indicando al lettore i punti forti dei sei saggi critici: autori, tematiche e altro all’occorrenza. La Carrano sottolinea l’importanza del teatro greco per l’Atene classica, come una cerimonia di tipo religioso con valenze sociali e politiche. In Sofocle la tirannide è argomento primario. Per Aristotele la tragedia è evento catartico e panellenico che ha origine dal ditirambo (forma di lirica corale). La tragedia fa propria la materia mitologica. Gli apporti di Eschilo, Sofocle, Euripide sul ruolo femminile: Clitennestra, la donna virago dominante e regina assassina; il logocentrismo maschile da lei avversato; la ribellione al ruolo tradizionale; in Antigone, Elettra, Aiace la sottomissione della donna nella società greca, mercificata, dedita alla procreazione, in clausura, vittima della misoginia, il cui corpo è proprietà maschile. Domina «l’impero del maschio sulla donna nel mondo greco» (Introduzione, p.50).
Si passa al viaggio di Ulisse in Omero e in Dante, rimarcando il protagonismo della figura e dell’èpos dell’Ulìsside nel corso dei secoli, con molteplici riferimenti ad autori moderni, tra cui Leopardi, D’Annunzio, Pirandello, Joyce, Pascoli, Ungaretti, Saba, Mann, Eliot, Quasimodo, Primo Levi. Si ritorna alle grandi passioni del teatro classico con le vicende drammatiche di tre donne e con la conclusione riassuntiva della Carrano: «La disamina delle “passioni” di Fedra, Medea e Didone lascia spazio ad un’unica verità, adamantina ma tragica: l’amore di queste donne è delirio e vergogna, grido e silenzio, rovina e abbandono, consapevolezza e stratagemma, amore e odio, dignità e negazione della dignità».
Si varca l’Egeo per sbarcare nella Magna Grecia, dove l’autrice ci fa conoscere la lirica graziosa ed elegante di Nosside di Locri (III secolo a.C.), seguace di Saffo, il cui canto si pone in contrapposizione agli inni guerreschi. Infatti, come sottolinea la Carrano, «[...] la poesia di Nosside è il canto d’amore delle aristocratiche di Locri in una lingua espressiva, robusta ed “imagista” (linguaggio conciso, chiaro, essenziale, scarno… inciso mio) quale il dialetto dorico». Nella società della Locride di quel tempo la donna aveva un ruolo importante: vigeva una sorta di matriarcato. Oggi vi è ancora memoria dell’antica colonia, in quanto è stato istituito il “Premio Internazionale Nosside di Poesia” con il patrocinio Unesco.
Poi entriamo nel mondo romano antico con il saggio che vede Ovidio contro le pratiche abortive, tema di assoluta modernità. Egli si oppone nel nome di un nuovo èthos, contrapposto alle dottrine ellenizzanti di stampo “libertino e cortigiano”; come specifica ancora la Carrano: «[...] fides e pudicitia brillano, nella rivendicazione dell’eros coniugale, contro luxuria e cultus, così come la Roma evandrea diventa il paradigma di un mondo fantastico e felice contro gli eccessi della Roma opulenta e lasciva».
Ed infine ecco la filosofia di Lucio Anneo Seneca che affronta Thànatos, non sul versante escatologico, ma su quello esistenziale: con la metafora della clessidra, nella quale la sabbia scende lentamente, e con l’immagine eraclitea del fiume che scorre, illustra il divenire della nostra vita, nella quale “moriamo ogni giorno”, poiché procediamo inesorabilmente verso la fine e ogni momento vissuto è vita sottratta. Quindi se tutto intorno a noi si muove, fugge, è dentro di noi, nella nostra interiorità che dobbiamo ricercare la prima realtà ferma e solida a cui ancorarci. Siamo all’alba del Cristianesimo, che farà della vita interiore uno dei cardini della dottrina di un nuovo mondo e di un uomo nuovo.
Vale dunque la pena mettersi in viaggio con Gabriella Carrano insieme ai grandi dell’antichità per scoprire dimensioni umane oggi forse perdute nelle grandi illusioni tecnocratiche, virtuali, egotistiche, socialmente liquide.
Enzo Concardi
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L’AUTRICE
Gabriella Carrano, nata a Salerno ed ivi residente, è titolare di Lettere greche e latine presso il Liceo Classico Torquato Tasso della sua città. Laureata in Lingue e in Lettere classiche, ha ricoperto per diversi anni la docenza a contratto presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha pubblicato monografie afferenti all’Anglistica, ma i suoi interessi sono principalmente focalizzati sul mondo antico.
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Gabriella Carrano, Èros e Thànatos nel mondo greco-romano, premessa di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 124, isbn 979-12-81351-43-1, mianoposta@gmail.com.
Giorgio Bolla, "Navigando sotto il sole"
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Giorgio Bolla
Navigando sotto il sole
Guido Miano Editore
Milano 2025
Navigando sotto il sole di Giorgio Bolla è una raccolta lirica suddivisa in tre parti, poiché oltre al testo in lingua italiana, contiene una traduzione in inglese – Sailing the sun – e un epilogo di varie terzine, alle quali l’autore ha conferito il titolo di Progressione poetica: si tratta di 42 terzine consecutive senza denominazione, datate dal 20 agosto al 30 settembre 2018. Essendo il libro dai contenuti quasi sempre criptici, simbolici, che si avvale di una scrittura-soliloquio sorgente dall’essere-io del poeta, dunque ascrivibile a quelle letture interpretative, esegetiche, di natura particolarmente soggettiva ed intuitiva che lasciano larghi spazi al dubbio, è opportuno nell’interesse del lettore, accedere alla breve premessa dell’autore per rintracciare almeno alcune possibili chiavi semantiche, sebbene anch’essa non sia esaustiva del tutto. Così scrive Giorgio Bolla circa la sua pubblicazione: “Sciogliere il nodo è quello che conta. La tua professione è nobile al punto che può farti credere di essere invincibile, di essere il cavaliere che sconfigge la morte. L’aria calda, prima di entrare in Sala Operatoria, ti cade addosso ma tu devi fare bene. È una Professione, null’altro. Dopo, rimangono gli sguardi dei bambini che hai operato. Non ti chiedono più niente, ringraziano solamente, con il loro silenzio. Navigando sotto il sole (Sailing the sun) nasce dalle impressioni vissute nella mia esperienza come chirurgo pediatra nell’Ospedale pediatrico di “Medici senza Frontiere” in Monrovia, capitale della Liberia, nato con l’epidemia di virus Ebola nel 2014”.
Gli scritti sono posteriori, ma la data di pubblicazione recentissima, febbraio 2025. Il libro, con la prefazione di Michele Miano, è entrato a far parte dei volumi della Casa Editrice Guido Miano di Milano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000. Lo stile dell’autore può essere definito di provenienza ermetica: stringatissimo utilizzo della punteggiatura, metrica costituita da brevi lacerti d’immagini o folgorazioni, significati riposti, riferimenti alla realtà naturale e umana ma spesso trasfigurata in dimensioni metafisiche-filosofiche, sintesi estreme aperte ad ulteriori sviluppi (il non detto…). Il messaggio vuole essere un appello all’umanità e alla solidarietà per vincere le battaglie contro il dolore, la solitudine, le ingiustizie di questo mondo: perciò numerose liriche sono un richiamo all’impegno, alla responsabilità, allo stare con… all’esserci più che ad un essere ontologico. In Africa, ad esempio, si respira un’atmosfera di attenzione all’altro che emerge da gorghi immaginifici per sfociare nel finale in versi palpitanti: “… accompagnato vado/ nell’intimo della vita/ raccolgo stanchezze,/ e perdoni”. E così la sequela della poesia impegnata sbatte contro pregiudizi e false certezze: non esistono mondi migliori degli altri (Abbiamo forse); superiamo le stoltezze della storia (Raggiungi il bordo); sudore e speranza coesistono in noi (Acqua torta); accogliamo ‘beatitudine e fortezza’; i colori della pelle e dei corpi non eliminano la nostra uguaglianza d’esseri umani (Bianca sclera negli occhi); vinciamo insieme la paura, “entro nella vostra / vita” (Il vostro sguardo); nei sogni vivono ancora i profeti, coloro che anticipano i tempi (Le isole del mondo). Incertezze e dubbi, memorie e rimpianti se ne vengono con noi, sempre, nei viali dell’esistenza e proprio con parole sulla condizione umana si conclude Navigando sotto il sole: “Le polveri delle strade/ sono il destino/ di ognuno,/ tra selve e spiagge/ tra porti e sudori/ tra libertà e dolore” (Le polveri delle strade).
Vi sono infine i simil-haiku della Progressione poetica: senza rispettare i canoni giapponesi (tranne la strofa di tre versi) sono ispirati ad essi per la metrica delle immagini delicate e liriche della natura, per la raffinatezza dei sentimenti, per il gusto degli accostamenti inusitati: da leggere.
Enzo Concardi
Bolla Giorgio, Navigando sotto il sole, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 70, isbn 979-12-81351-56-1, mianoposta@gmail.com.
Enza Sanna, "Epifanie"
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Epifanie
Enza Sanna
Guido Miano Editore, Milano 2025
Torno sui passi di questa meravigliosa poetessa genovese, che ho avuto l’onore e la gioia di prefare nella precedente raccolta di poesie Nei giorni. Le liriche di questa silloge sono state concepite in gran parte nel periodo della pandemia, eppure si intitola Epifanie, che etimologicamente significa ‘manifestazioni’. E i versi di Enza Sanna sono autentiche illuminazioni su eventi che celano significati inaspettati. La poesia in esergo di Emily Dickinson «Non c’è nessun vascello/ che, come un libro,/ possa portarci in paesi lontani…» è una sollecitazione a intraprendere il viaggio con l’artista, a evadere dal reale per scoprire isole inesplorate. La nostra destinazione non è un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose. Cambiare prospettiva non significa cancellare o rimuovere, ma ampliare, elevare la nostra consapevolezza.
La poetessa realizza la prima fuga dal quotidiano nella natura: il suo spirito entra negli alberi, nei prati, nel mare: «…Unico sollievo la natura,/ l’azzurra apoteosi del mare/ nello screziato polverio dell’onda,/ un’aria di primavera/ nel sorriso di pace del mezzogiorno…» (Pandemia). In effetti sono bastate alcune settimane di chiusura a causa del Coronavirus perché la natura cominciasse a uscire dagli interstizi, dove solitamente è relegata dalla presenza dell’uomo, conquistando le strade, i giardini, le piazze. Mentre mezzo pianeta sopravviveva in una bolla di sospensione il creato non si fermava, anzi una delle più belle primavere di sempre sbocciava impavida. I pensieri affioravano contrastanti: la meraviglia di respirare aria pulita e il senso di colpa per esserci spinti troppo oltre nel nostro rapporto con il pianeta e le sue risorse. Nel senso di spaesamento dovuto al lockdown l’autrice cerca le sue rivelazioni nei luoghi che contengono una dimensione magica come l’isola di Arturo, ovvero la coloratissima Procida, situata nel golfo di Napoli e particolarmente cara anche al cuore della sottoscritta. La porzione di terra emersa dell’arcipelago campano, di ancestrale bellezza, è detta di Arturo perché ispirò Elsa Morante nella scrittura dell’opera omonima e il libro nel 1957 le valse il premio Strega. La Sanna si rifugia nell’isola tufacea, dall’aspetto aspro e selvaggio, in quanto avverte quanto l’esistenza sia un naufragare costante verso luoghi che ci attendono.
Ella insegue i sogni e la memoria, le nostre zattere e le nostre macchine del tempo. I primi spingono avanti, i secondi riportano indietro. «…Ci si lascia trasportare/ verso una vertigine di sogni/ inconsapevoli delle ferite dell’ora/ dello stridio stesso dei giorni…» (Esposti all’infinito). L’artista tesa alle epifanie, è donna che ha sofferto e soffre, ma la sua Parola si prefigge di sciogliere il dolore e diviene scoperta quotidiana, respiro, aggiunta, brivido, incanto. Fu Charlie Chaplin a dire: «La poesia è una lettera d’amore indirizzata al mondo». Un atto di pace e di sangue che diviene luce. Lei figlia di una terra di monti a picco sul mare, di punte argentee che sembrano trafiggere il cielo, in risposta al richiamo degli ulivi, ha una trentennale esperienza di lirismo e possiede un linguaggio e un violino che le permettono di scalare il cielo. (…)
Maria Rizzi
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Immanenza e trascendenza: ecco due delle dimensioni o categorie filosofiche bipolari che mi pare attraversino la poetica dell’autrice, in altre parole una coesistenza in lei di radici profonde, di legami con le origini, di visitazioni della realtà e contemporaneamente di voli pindarici, d’amore per la vita onirica, di proiezioni nel futuro e nella spiritualità. Un tempo si sarebbe detto un desiderio non conflittuale tra Terra e Cielo, ma un bisogno di entrambi per realizzare uno sviluppo integrale dell’uomo. La poetessa sembra smentire questa interpretazione critica della sua visione del mondo, soprattutto nella lirica Dal fango al cielo, quando nei primi versi afferma: «La mia vita non ha radici in questo mondo,/ cammino su ponti tibetani sospesi nel cosmo/ senza riferimenti, senza rimpianti…». Tuttavia, nel medesimo testo, paragonando la natura del “fior di loto” alla condizione umana ideale, scrive: «…Affonda nel fango, ma la bellezza è intatta» e «splendido esempio dal fango al cielo».
Per non dire della sua osmosi con la Natura, appartenente a questo mondo, o del frequente riferimento alle sue origini liguri e mediterranee, nelle quali s’incardina la sua identità: «Chi sarei oggi/ se non fossi nata sul mare…» distico anaforico iniziale e finale della lirica Nata sul mare. E nel mezzo un’apologetica, appassionata dichiarazione d’amore per il mare, ovvero il mondo acqueo - uno dei quattro elementi delle cosmogonie antiche insieme alla terra, al fuoco, all’aria - che culmina nei versi: «Mistero d’amore, di vita, di gioia» e «Accolta dal tuo abbraccio/ caldo, avvolgente».
Un’altra tematica sviluppata dalla poetessa ligure può richiamare culturalmente il famoso interrogativo di Benedetto Croce relativo alla valutazione della poetica pascoliana: «È il Pascoli il grande poeta delle piccole cose o il piccolo poeta delle grandi cose?». Sembra rispondergli indirettamente Enza Sanna laddove - nella composizione Esposti all’infinito - chiaramente il verso di chiusura non lascia alcun dubbio in proposito: «Perché niente è più grande delle piccole cose». Lei stessa in Epifanie dipana un canto che si posa sulle une e le altre, attuando un rovesciamento della realtà dominante, in base a criteri valoriali che pongono in primo piano ciò che nell’attuale società è praticamente negato e ai margini, e relegando invece decisamente l’apparenza dell’essere odierno fra le vacuità e l’effimero del mondo.
Possiamo senz’altro ricercare le piccole cose della Sanna nella vita quotidiana, nella vita domestica, negli affetti familiari anche se perduti, oppure ancora nella Natura medicatrix, quando questa attrae la contemplazione meravigliata degli occhi della sua anima: «…Mi tende una mano amica la natura/ che non ha spazi vuoti/ e lo sguardo cade/ per la gioia degli occhi e del cuore/ su una crepa del muro in giardino/ dove fa capolino un ciuffo di piccoli fiori/ incredibilmente d’oro nel gelo/ incredibilmente vivi/ nei loro solidi umori» (Antidoto agli spazi vuoti). È con lo stupore della “fanciullina” pascoliana - ricordiamoci che il poeta romagnolo non parla solo al maschile, ma espressamente anche al femminile - che l’autrice attribuisce alla poesia la stessa funzione rigeneratrice della giovinezza interiore, tipica della visione emotiva e irrazionale della sensibilità post-carducciana. (…)
Enzo Concardi
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L’AUTRICE
Poetessa, scrittrice, saggista, critico-letterario Enza Sanna è nata a Genova, dove vive, opera e ha svolto una lunga carriera di Docente di Lettere nella Scuola Media Superiore. Pluriaccademica, ha ottenuto molti Primi Premi Nazionali e Internazionali, partecipando più volte a numerosi Concorsi letterari. Tra la raccolte poetiche più recenti ricordiamo: Quando gemmano i pruni (2003), Amore di mamma (2004), Per vene d’acqua e di terra (2006), Gocce d’arcobaleno (2008), Viaggio nella parola (2009), Per segreti varchi (20109), Kaleidos (2012), Frammenti lirici… ai margini del viaggio (2014), Percorsi d’utopia (2017), Oltre la parola (2020), Nei giorni (2022).
Enza Sanna, Epifanie, prefazione di Maria Rizzi, postfazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 100, isbn 979-12-81351-48-6, mianoposta@gmail.com.
Amelio Cimini, "In cammino, 50 anni di poesia in musica"
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Amelio Cimini
In cammino, 50 anni di poesia in musica
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Di recentissima pubblicazione – gennaio 2025 – questo libro di don Amelio Cimini ci conduce nel mondo della Musica Sacra, genere di cui egli è appassionato studioso ed autore, divulgatore e docente con varie specializzazioni acquisite in materia. Opportunamente il titolo, In cammino, è accompagnato da un sottotitolo esplicativo (50 anni di poesia in musica), che ne indica il genere: testi lirici di canti musicati, ma senza note nella pubblicazione. Ha visto la luce a Milano ad opera della Casa Editrice Guido Miano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000, ed è introdotto dalla competente prefazione di Marco Zelioli. Data la peculiarità della formula editoriale, mi sembra un servizio dovuto al lettore ascoltare le motivazioni di tale scelta dalle parole stesse dell'autore, espresse nella sua premessa.
Così scrive Amelio Cimini: «Questi testi non nascono come poesie, ma come canti. Mancando qui dell’importante supporto della rispettiva musica, ogni testo risulta quindi (per forza di cose) solo un disarmato tentativo per portare la musica nella vita e la vita nella musica, con linguaggio diretto e nella luce della fede. Certo, “la musica non può cambiare il mondo, solo la gente può farlo. Ma la musica può cambiare la gente” (V. Havel). Questi canti-poesie sono nati sull’urgenza e (spesso) nella frenesia del quotidiano, ma anche sulla necessità, come ricorda il saggio A.J. Heschel, di “pensare all’uomo in termini umani”, visto che viviamo in un’epoca in cui l’uomo, “invece di comprendere, scatta una foto; invece di ascoltare la voce, la registra”. Senza ammantare pretese assurde, questi testi vorrebbero semplicemente trasmettere (riprendendo ancora Heschel) “più che un’emozione, un modo di comprendere e di intuire un significato più grande di noi e farci sentire, nel flusso di ciò che è passeggero, il silenzio di ciò che è eterno”».
Ovviamente il lettore, mediante la lettura, trarrà da sé i messaggi dell'opera, mentre qui mi sembra opportuno attirare l'attenzione anche sullo specifico della forma poetica, sottolineandone la metrica e i passaggi maggiormente ispirati e quindi propriamente dotati di liricità, immagini e suggestioni. Ogni componimento è preceduto da un incipit riflessivo di due righe in prosa (corsivo) che sintetizza il tema. I testi sono composti da strofe prevalentemente costituite da quartine, ma anche da distici, terzine, sestine ed ottave. V'è ancora, trattandosi di canzoni, un ritornello, ma non sempre, che per sua natura prende il ritmo di un'anafora. L'insieme canta la grandezza di Dio, la profondità della fede, i valori del Cristianesimo, la ricerca della verità e della bellezza, le virtù teologali, la centralità cristologica, la devozione mariana. I capitoli di questo cammino prima esistenziale, indi spirituale, sono stati pensati dall'autore come un susseguirsi di tappe verso la conquista di una pienezza di umanità e di religiosità: la vita, simboli e segnali, la ricerca, la scoperta, il mistero, l'annuncio, donna e madre.
Da essi cerchiamo allora di trarre alcune lacerti tra i più significativi, sia dagli incipit in prosa, che dai versi in poesia. In Allora capirai c'è l'invito a non fuggire, ad aprire gli occhi, così troverai la vera risposta a tanti perché: “La luce di una goccia di rugiada, / la voce del silenzio nella sera / son orme di un Eterno che ci è Padre, / scintille di un Amore che ci avvolge”. In Lungo i fiumi si suggerisce di diventare seminatori d'infinito, oltre la frenesia della corsa ai risultati: “Se ogni incontro con i fratelli, / se ogni sguardo dei nostri figli / ha il sapore di un triste addio, / tradiremo il mistero dell’uomo”. È esaltata a lungo dall'autore l'opera del Cristo: “Per cambiare l’umanità non ha solo parlato, / ma si è fatto umiltà, misericordia, carità e servizio” (Per un mondo); si tratta del “più grande e incredibile racconto della storia umana, / nonostante l’indifferenza e lo scetticismo degli umani”: “Voglio narrarti una storia, / la storia d’un Dio fatto uomo: / Verbo divino in eterno / e fragile carne nel tempo” (Voglio narrarti). Il libro si chiude con la celebrazione della grandezza della Madre di Dio: “Ti saluto, Maria, / lampada vivissima, /nel tuo grembo dimora / la Sapienza eterna; / donna forte, nuova Eva, / prediletta e conquistata dall’Amore” (Ti saluto Maria).
Se vogliamo trarre una conclusione al termine di questo cammino, dobbiamo ricorrere a Marco Zelioli: «“Chi canta prega due volte”: cito Sant’Agostino per dire che questo libro è un chiaro invito alla preghiera». Un'attività che oggi a molti può apparire anacronistica ed inutile, ma che invece serba in sé potenzialità insospettate per l'anima umana.
Enzo Concardi
Amelio Cimini, In cammino – 50 anni di poesia in musica; a cura di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-10-3, mianoposta@gmail.com.
Don Giovanni Mangiapane, "Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis"
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Don Giovanni Mangiapane
Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis
Guido Miano Editore, Milano 2025.
A gennaio 2025 è stato pubblicata dalla Casa Editrice Miano di Milano – collana di testi letterari Alcyone 2000 - un’opera a carattere religioso dal titolo Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, con la dotta prefazione di Marco Zelioli. L’originalità di tale libro, non l’unica a dire il vero, risiede nel fatto che è stato scritto nella lingua siciliana, con ovviamente la traduzione italiana a fronte, a beneficio di tutti i lettori, i quali dovrebbero, a mio parere, leggere comunque qualcuna delle composizioni poetiche dell’autore agrigentino Don Giovanni Mangiapane, per constatare l’efficacia della madre lingua isolana nei confronti della traduzione in lingua nazionale: è nota, talvolta, la perdita di liricità e di semantica che avviene nella traslazione operata dal traduttore, per l’impossibilità di rendere fedelmente le espressioni e i ritmi relativi.
Nel panorama culturale e letterario attuale la poesia religiosa ha sicuramente perso il primato che le era stato conferito dal sommo poeta Dante Alighieri nel Medio Evo, con la Divina Commedia di carattere didascalico-allegorico-dogmatico-escatologico, sebbene essa riportasse anche contenuti politici. Tuttavia ancora nell’Ottocento il Manzoni pubblicava gli Inni Sacri, frutto dell’entusiasmo giovanile del neofita convertito al Cristianesimo, nei quali celebrava le principali feste cristiane, con un’ispirazione appesantita, a dire il vero, dai riferimenti dogmatici. E ancora nel Novecento il frate servita Padre David Maria Turoldo nelle sue poesie salmodianti e liturgiche esprimeva una fede tormentata ed un’alta spiritualità cristologica e mariana. Oggi la poesia religiosa può considerarsi episodica, ed uno di questi episodi ve lo raccontiamo qui, commentando le preghiere di Don Giovanni Mangiapane, laudi saldamente legate alla Tradizione (Santo Rosario, Via Crucis), al Credo delle certezze, alla visione del mondo integralmente cristiana. Tuttavia il suo porre al centro di tutta l’opera la figura del Cristo e il trarre da questa realtà delle intenzioni ed orazioni per l’umanità sofferente e dimenticata, costituisce a mio avviso un’altra originalità dell’opera, che quindi non si ferma alla memoria dell’avvenuto, ma si sviluppa nel presente, assegnando al credente dei compiti precisi nella sua missione mondana.
Interessante anche l’architettura e la struttura metrica, che risponde a forme ben definite. Nella prima parte dedicata al Santo Rosario (misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi) ogni composizione è composta da quattro quartine e un distico finale, il cui contenuto cambia ad ogni mistero. Nella Via Crucis l’impostazione è diversa, anche perché appaiono brani in prosa: ogni Stazione riporta, prima della parte poetica, una citazione evangelica (Giovanni, Luca, Matteo più volte) o biblica (Isaia, Salmi), un commento (prosa), la preghiera dedicata (prosa); da notare che le parti in prosa sono solo in lingua italiana. Indi tre quartine e due distici, il secondo anaforizzato per tutte le stazioni (“O gran Vergine Maria, / la vostra pena è colpa mia”), tranne l’ultima, che ha un solo distico. È dunque nella Via Crucis che il sacerdote diventa pastore ed esterna la sua compartecipazione con gli altri, come in questi esempi: “Preghiamo per i tanti volontari dediti al servizio dei molti provati da epidemie e terremoti e altro”; “ Preghiamo per i tanti ammalati nel corpo e nello spirito che restano soli e senza conforto”; “Preghiamo per tutte le donne che fanno fatica ad affermare la loro condizione, perché siano riconosciuti i loro veri diritti”.
Ultima stazione / Risuscità: “Tomba nova è già vacanti / comu fussi statu nenti / netta bedda profumata / e linzola sistimata. // L’arrubaru l’ammucciaru / li sò apostuli c’amaru. / Gira ancor sta ‘nfamaria / nun ci stannu a retta via. // Ci lu dissi a cantari / cu cuntava a vigliari / oru stoppa verità / Spiritu ‘ntempu rivelà. // Mi rimettu pi la via cu / Gesuzzu e cu Maria”. Siciliano doc.
Enzo Concardi
Don Giovanni Mangiapane, Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, testi in lingua siciliana con traduzione italiana a fronte; prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 72, isbn 979-12-81351-52-3, mianoposta@gmail.com.
Siulvana Ramazzotto Moro, "Van Gogh, l'uomo"
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Silvana Ramazzotto Moro
Van Gogh, l’uomo
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Cosa c'è ancora da dire su Van Gogh? Molto, soprattutto perché su di lui si sono diffusi pregiudizi, stereotipi, errori non ancora del tutto estirpati. Molto, perché il grande pubblico, giustamente attratto dalla forza, dai colori, dal fascino della sua pittura, poco si è interessato dell'uomo Vincent che v'è dietro all'artista. Tali doverosi approfondimenti si possono effettuare attraverso la lettura delle sue lettere, scritte in abbondanza durante tutta la vita – e chi ama veramente l'arte, la pittura, la letteratura e lo stesso Van Gogh come persona - senz'altro s'inoltrerà in questo viaggio affascinante. Lo ha fatto, prima di tutto per se stessa - rimanendo colpita, entusiasta, motivata ad andare fino in fondo alla verità – e di riflesso per tutti noi, Silvana Ramazzotto Moro, avvocatessa di professione, ma appassionata anche di filosofia, letteratura ed arte, per cui si è gettata a capofitto, dopo aver studiato le lettere del genio olandese, nella scrittura di un libro che ha intitolato Van Gogh, l'uomo, con un sottotitolo esplicativo: “Raccontato da lui stesso nelle sue lettere: autoritratto, amore, vocazione mistico-religiosa, rapporti con i genitori e con il fratello Theo, arte, soldi, malattia”.
La pubblicazione è avvenuta nel dicembre 2024 a Milano, da parte della Casa Editrice Guido Miano, con la prefazione dello stesso Michele Miano. Per completezza d'informazione occorre precisare che le illustrazioni sono costituite dai disegni del pittore allegati alle sue lettere, e che i brani autobiografici sono riportati secondo la traduzione italiana di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia nell'opera Tutte le lettere di Van Gogh di Silvana Editoriale d'Arte (1959).
Nella sua Introduzione l'autrice giustamente e opportunamente spiega cosa non è questo lavoro, per non far sorgere equivoci e fraintendimenti di sorta: «Questo libro non è, e non vuole essere, un saggio di critica d'arte relativa all'opera del pittore Vincent Van Gogh … L'unico mio obiettivo è promuovere e facilitare la conoscenza dell'uomo che stava dietro al pittore. In una lettera alla sorella, minore… scriveva: “Tu leggi un libro per trarne la forza necessaria a stimolare la tua attività. Io invece ricerco nei libri l'uomo che li ha scritti, lo stesso vale per la pittura e per tutte le arti”. Io ho seguito il suo esempio» conclude la Ramazzotto Moro, ponendo così un sigillo di chiarezza sulla sua opera. Più avanti si preoccupa di affermare altri aspetti del suo ritratto umano, distaccandosi nettamente da certe “leggende metropolitane” a lungo circolate sull'identità di Van Gogh: «… non era pazzo. Era un pittore culturalmente aggiornato, lettore e collezionista di volumi e di stampe, attento alle nuove tendenze artistiche del suo tempo. Fin da ragazzo, infatti, legge instancabilmente libri in olandese, francese e inglese (Voltaire, Dickens, Zola, Maupassant, Shakespeare e tanti atri), studia a fondo la Bibbia».
Già da queste premesse siamo sulla retta via per comprendere umanamente una persona geniale che ha anche sofferto per tante incomprensioni. Inoltre i 13 capitoli del libro ci guidano ad un'ulteriore, approfondita disanima del “chi era veramente Van Gogh”. 1 Autoritratto: Vincent parla di se stesso. 2 La vocazione mistico religiosa giovanile: il periodo dell'infervorarsi religioso per il bene degli altri. 3 L'amore: Ursula, Kee, Sien e Margot, quattro amori infelici. 4 Il rapporto con i genitori: tensioni per le diverse mentalità. 5 Rare ombre nel rapporto con Theo: i dubbi di Vincent perché il fratello, venditore d'asta di quadri, non riesce a piazzarne nemmeno uno dipinto da lui. 6 Il mistero della vita: lettere a Theo in cui esprime le sue meditazioni sul senso dell'esistenza. 7 L'arte, gli artisti e il sogno di un cenacolo di artisti: associarsi con spirito solidale per affrontare le difficoltà d'una vita stentata. 8 Fotografie di paesaggi: descrizioni meticolose dei paesaggi contemplati. 9 Le leggi dei colori: studio approfondito in materia, nulla di improvvisato. 10 Maledetti soldi: il contrasto tra la povertà di Vincent e le quotazioni odierne delle sue opere. 11 La malattia: si legge qui il perché Vincent non fosse né pazzo, né schizofrenico. 12 Vincent e l'arte giapponese: grande ammirazione per l'arte giapponese, compra più di 600 stampe, è preso dal “japonisme'. 13 Spigolature: specie di aforismi di varia natura.
Siamo di fronte quindi ad un'opera assolutamente consigliabile, soprattutto per chi non voglia sobbarcarsi l'onere di leggersi tutte le lettere di Van Gogh, poiché l'autrice ha attuato un'intelligente selezione suddivisa per tematiche.
Enzo Concardi
Silvana Ramazzotto Moro, Van Gogh, l’uomo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 376, isbn 979-12-81351-51-6, mianoposta@gmail.com.
Christian Testa, "Pensieri poetici nel tempo"
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Christian Testa
Pensieri poetici nel tempo
Guido Miano Editore, Milano 2024
La poetica dello scrittore pavese Christian Testa, espressa nella raccolta Pensieri poetici nel tempo, si avvale di una poliedrica tematica articolata in visitazioni interiori e ambientali tali da offrire al lettore una visione complessa delle sfere emotive umane e, allo stesso tempo, uno sguardo critico-valoriale sul mondo contemporaneo. La definizione della sua scrittura qui sviluppata dataci dallo stesso autore - “pensieri poetici” - molto bene si attanaglia alla semantica e al messaggio dell’opera, nel senso che la sua lirica è altamente debitrice di un’ispirazione noetica. Il libro è stato edito nel dicembre 2024 per i tipi della Casa Editrice Miano di Milano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000 e reca la prefazione di Michele Miano.
In primo piano emergono le liriche in cui il poeta inserisce le convinzioni che reggono la sua esistenza: tradiscono in parte un afflato didattico-retorico, ma si distaccano nettamente dalla tendenza contemporanea di una letteratura di denuncia non supportata da alternative progettuali. Una delle poesie di tal misura è senz’altro Studenti, ai quali si rivolge tecnicamente con diverse anafore per cadenzare il suo messaggio: “Vostra”, con l’iniziale maiuscola, ad indicare la dignità della loro condizione (innocente, energica, pura, curiosa); “cercate sempre”: un invito a praticare i valori della vita (umiltà, identità, unità, amicizia, pace, autenticità); “non smettete mai”: richiesta di perseveranza e coerenza nei principi ideali (sognare, fare del bene, pensare, proteggere la natura, sperare in un futuro migliore). Così anche Italia, esprimente un caldo amor patrio, con rime libere sparse nel testo, formulata in tre quartine, due distici e una terzina finale in cui sintetizza il suo sentimento d’amore verso l’amato paese: “Italia, Italia, Italia / ti porterò sempre, /per sempre nel cuor”. Ed anche A Giovannino Guareschi, grato per i suoi valori autentici e la sua ironia.
Un posto di rilievo nella sua ispirazione e nelle sue emozioni assume la dimensione musicale, nella quale egli vibra, gioisce, si commuove, prova brividi e passione, trova pace nell’animo e con il mondo, si sente meno solo e addirittura gli sembra di toccarla e vederla in una sorta di estasi di tipo metamorfico. Ciò nella composizione intitolata semplicemente Musica, praticamente una dea-musa mediatrice fra lui e Dio, alla quale è eternamente grato: “Grazie di esistere. // Senza di te solo il silenzio / e il dolore del mondo”. Altre emozioni interiori scaturiscono per Il tuo compleanno, una lirica composta da un’unica strofa di venti versi, con diciotto anafore suddivise fra “con” (otto volte) “E che festa sia per te” (dieci volte per tutti i versi dispari); ne risulta così una partitura musicale particolarmente ritmata, dalle dediche più svariate, dai sentimenti umani alla partecipazione della natura: una festa di amicizia vera, al calore del sole, al fresco della pioggia, con la forza della vita, nel profondo dell’anima, con il sorriso del cielo ….
V’è un legame particolare tra il poeta e la natura, un rapporto affettivo che si espande a tutto il Creato: nascono così canti per la Neve, una filastrocca all’incanto del soffice bianco manto; per il Mare, di cui percepisce gli umori e soffre per la sua lontananza; per la Foresta, in cui il verso finale è emblematico del suo desiderio di simbiosi (“Oh foresta mia tienimi con tè / per sempre”; per il Fiore, la cui bellezza è “testimone del divino in terra”; per i fiumi della sua terra, Lambro (immagini del suo inquinamento e degli uccelli morenti) e Adda (“mio amato fiume”); per Varenne, il famoso cavallo trottatore, al quale attribuisce un’anima che “vivrà per sempre”. E il poeta conserva nel cuore tanti ricordi, fino a sciogliere un inno alla memoria, dove sono le nostre radici e la nostra identità: senza memoria e storia non siamo nessuno, ci ammonisce, occorre rimembrare coloro che se ne sono andati, i personaggi del passato, poiché il tempo esegue il volere di Dio. Ed è con la religiosità che la sua poetica punta verso l’alto: nella casa di Dio trova pace e serenità, il valore della preghiera, nonostante il “lungo e tormentato cammino” della Fede.
Enzo Concardi
Christian Testa, Pensieri poetici nel tempo, pref. Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 68, isbn 979-12-81351-20-2, mianoposta@gmail.com.
Maurizio Zanon, "Il soffio salvifico della poesia"
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Il soffio salvifico della poesia
Maurizio Zanon
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Il soffio salvifico della poesia è il titolo generale della presente antologia poetica ed appare in contrasto con quello di questo primo capitolo, ovvero La fatica del vivere. In realtà non è così, in quanto per Maurizio Zanon – prolifico autore con profonde radici veneziane – la poesia è stata, ed è nella sua esistenza, proprio l’antidoto principale – insieme all’amore e alla natura – per superare il cosiddetto disagio esistenziale e la particolare inquietudine psicologica dell’epoca contemporanea. È un tema che la letteratura di ogni tempo e parte del mondo ha sempre trattato e cantato, sviscerato e proposto da molti punti di vista, poiché riguarda in sostanza la condizione umana, con le esperienze vissute e con le fondamentali questioni filosofiche sui perché del nostro passaggio terreno: qui Zanon si qualifica come un aedo moderno della vita e della morte, mediante un’incessante ricerca interiore che spesso e con dolore rimane irrisolta, demandando alla futurologia la soluzione di ogni problema.
Troviamo nelle liriche di questo capitolo atmosfere, immagini e pensieri che riflettono sia gli stati d’animo del poeta, che oscillano volutamente tra ottimismo e pessimismo per dimostrare la contradditorietà del nostro vivere, sia le riflessioni di carattere ontologico che nascono da un’osservazione critica della realtà odierna, riferita ora alla propria fatica esistenziale, ora alle tipologie sociali del comportamento umano e delle tendenze decadenti dei valori. In altre parole egli si fa interprete, ed assume su di sé, il destino individuale e collettivo di una umanità probabilmente in via di dispersione. Si riscontra in tutto ciò, dal punto di vista culturale, la lezione dell’Ermetismo novecentesco – più come contenuti che come stile – e una certa vena crepuscolare in senso lato, cioè la ricerca di quieti angoli dello spirito ove chiudere la parabola umana. Dunque poeta-testimone del tempo e poeta-profeta, nel senso di uno sguardo indagatore sull’avvenire. […].
Enzo Concardi
***
Un vivo, profondo sentimento d’amore lega Maurizio Zanon a Venezia, la città natale, e alla sua donna. L’intenso rapporto affettivo è, come spesso accade, contraddistinto da un’intima ambivalenza, permeato da quell’acuta sensibilità che sa aprirsi contrastivamente all’apprezzamento delle situazioni positive, spiritualmente gratificanti, e all’avvertimento dei momenti dolorosi, emotivamente deprimenti.
Il fascino seducente dell’ambiente lagunare, gli impalpabili, intriganti segreti di una tradizione «portati nel cuore da chi lì è nato» (Torno a scrivere di te) hanno ancora un importante effetto rasserenante e confortatore («…Aspettando poi il tempo buono per farmi cullare/ da quelle amorevoli acque di barena,/ dai loro incantevoli silenzi» (Soffia il vento di scirocco), mentre appaiono innegabilmente suggestive talune preziose atmosfere fatte di smorzata, contenuta luminosità: «Venezia bizantina/ si stende in riflessi dorati/ rivivo memorie passate/ su carezze d’onde/ ove si posano/ gondole d’opaca luce…» (Venezia bizantina); infine però il soffocamento progressivo e il degrado sostanzialmente inarrestabile provocati dal turismo di massa e dall’invalsa mentalità affaristico-speculativa inducono l’autore ad abbozzare un quadro di triste, opprimente negatività: «…Appari sempre così malinconica, mentre vedi scappare/ ad uno ad uno i tuoi figli/ costretti ad abitare lontano da te/ perché non danno ricchezza, sono solamente un peso…» (Torno a scrivere, cit.).
Non è analogo il risultato intellettuale-morale nel caso dell’evocazione commossa della relazione amorosa con la propria compagna, nonostante che questa possa presentare pure aspetti di sofferenza: «…Un tratto t’ho seguito/ per Piazza dei Signori te ne andavi/ lasciandoti dietro quella scia che sa di ricordi e ferite» (A Padova, corsivi miei, come sempre in seguito). Ora il discorso lirico vira decisamente verso le rilevazioni positive, che giungono alla celebrazione entusiastica, enfaticamente partecipe, sostenuta tra l’altro dal ricorso a una “canonica” similitudine: «Questo amore/ maturato al passo delle stagioni/ oggi vola a ritmi cadenzati/ come ala di gabbiano/ procede in cieli al sole estesi!// Chissà mai dove arriverà questo amore:/ oltre il mare oltre il cielo/ al di là di questa luce forse/ chissà mai questo amore/ dove luna andrà a spiare!?» (Questo amore). […].
Floriano Romboli
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L’interconnessione tra segno verbale e segno grafico ha da sempre affascinato gli intellettuali di tutti i tempi ed è tuttora oggetto di dibattito. Se il primo a proporre lo stretto legame tra pittura e poesia è stato il poeta Simonide di Ceo, il principio estetico dell’ut pictura poësis formulato da Orazio nell’Ars poetica trova la sua piena realizzazione nelle poesie di Maurizio Zanon proposte in questo capitolo. L’autore ritrae con leggiadri tocchi una vasta gamma di paesaggi “pittorici”, caratterizzati dalla presenza di una natura idilliaca, colta in tutte le sue sfaccettature e nei suoi più minuti aspetti; il foglio bianco si trasforma in una preziosa tela, le parole sono come sottili pennellate, capaci di catturare luci ed ombre e i chiaroscuri rivelano gli intimi moti della propria interiorità. I testi appaiono dominati da un io lirico intento ad una fantastica rêverie, da cui scaturiscono dolci e piacevoli atmosfere oniriche, mentre una fitta rete di morbide sinestesie evoca un policromo ventaglio di sensazioni e un vortice di emozioni coinvolgenti.
La struttura a chiasmo della poesia incipitaria sottolinea il gioco fonico di allitterazioni e di assonanze, incastonate anche nelle rime al mezzo e che contribuiscono ad amplificare la musicalità dei versi: «S’alza silenzioso il magico biancore dell’alba/ inconfondibile lucore che l’animo risveglia/ e il nuovo giorno somiglia al lieto gemito/ d’un bimbo appena nato. In questa luce unica/ e profonda/ tutto ricomincia in gocciolii di rugiada./ Pian piano poi il cielo vedi schiudersi/ a un impareggiabile azzurro» (Risveglio di primavera). L’arrivo dell’alba è un momento epifanico e l’io poetico prova un ammirato stupore di fronte al passaggio dal buio della notte alla luce del giorno, paragonato ad un bambino il cui ossimorico gemito è lieto di fronte alle meraviglie del creato. La scena descritta diviene metafora di una rinascita, tema che permea di sé tutta la silloge; le gocce di rugiada suscitano una sensazione tattile di freschezza, mentre l’impareggiabile azzurro riecheggia gli interminati spazi leopardiani, richiamando la tensione verso l’assoluto e invitando a guardare oltre il contingente, in una dimensione futura, per un nuovo inizio. […].
Gabriella Veschi
Maurizio Zanon, Il soffio salvifico della poesia, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 80, isbn 979-12-81351-50-9, mianoposta@gmail.com.
Andrea Cattania, "Amore per sempre"
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Amore per sempre
Andrea Cattania
Guido Miano Editore, Milano 2024.
“Amore per sempre” in Andrea Cattania e in Edward Estlin Cummings
“L’amore per sempre” dei nostri due poeti, come suggerisce il titolo di questa tematica, riguarda la poesia amorosa dedicata ad un’unica donna amata, al sentimento che sfida il tempo, all’eterna promessa fra due entità che s’incontrano per non più perdersi: solo la morte potrà segnare la dimensione dell’assenza, della distanza, ma forse neanche Lei, poiché il ricordo, la memoria dell’unione infranta, sopravvive spiritualmente anche agli artigli della Straniera, e ciò vale per l’esperienza umana e letteraria di Andrea Cattania. Succede a lui – l’amore non conosce differenziazioni di epoche o di mentalità – quel che capitò a Dante con Beatrice (la donna angelicata, salvatrice della sua anima, guida spirituale nel Paradiso della Commedia) e al Petrarca con Laura (la protagonista del Canzoniere, dove il poeta aretino suddivide il suo canto fra le rime “in vita” e “in morte” dell’amata). Assistiamo dunque alla sublimazione del sentimento amoroso, poiché poco importa se Beatrice e Laura non sono mai state realmente a fianco dei due poeti toscani e sono andate all’altare con altri uomini: per loro esse sono rimaste sempre la vera idealizzazione della donna perfetta o perfettibile, fino a costituire costante fonte di ispirazione poetica per tutta l’esistenza. Così anche per Cattania, che nei suoi versi esprime ora il rammarico e l’amarezza per un amore non corrisposto, poi la felicità con la donna che ha amato “in vita” e che amerà per sempre anche “in morte”: Lila» […].
Enzo Concardi
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Le problematiche dell’essere in Andrea Cattania e in Charles Baudelaire
La profonda dicotomia dell’essere che sin dai primordi turba l’animo umano e scuote gli intellettuali di ogni epoca, emerge anche nell’opera del poeta - ingegnere Andrea Cattania; un’ossimorica tensione tra ragione e sentimento, tra angoscia esistenziale e desiderio di elevazione pervade infatti le sue liriche. La poesia di apertura di questo capitolo, Il futuro dell’homo sapiens, pone subito un’accorata domanda, enfatizzata dall’apostrofe e dal rincorrersi di potenti antitesi: «Che ne sarà di te, Uomo Sapiente?// […]/ Vinci sfide impossibili, raggiungi/ le vette della conoscenza astratta.// Spingi al limite il pensiero simbolico.// Incapace di volgere in amore/ la folle ebbrezza di un sapere immenso,/ non sai se non ipotizzare quando/ si estinguerà, e come, la tua specie». L’ammirazione per i risultati raggiunti dalla mente umana, sottolineata dai verbi vinci, raggiungi, spingi, si accompagna alla triste consapevolezza della leopardiana infinita vanità del tutto: l’uomo non sa trasformare la sua conoscenza in condivisione (incapace… non sai), non si innalza al di sopra del contingente e il suo folle volo è ancora una volta fallimentare. Tuttavia i versi sono mossi da un’incessante ricerca, tesa a svelare il senso dell’esistenza e a scoprirne la bellezza, anche quando i sentieri sono impervi e le vie d’uscita lontane: «…Noi,/ piccole talpe cieche sottoterra,/ allunghiamo lo sguardo, ci illudiamo/ di scorgere un chiarore in fondo al tunnel…» (L’intuizione di Anassimandro). […].
Gabriella Veschi
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La contemplazione dell’universo e della natura in Andrea Cattania e in Paul Claudel
Non è raro il caso di una personalità dalla solida preparazione scientifica, che nondimeno riveli vivi interessi artistico-letterarî, che coltivi anche attivamente non superficiali inclinazioni estetico-culturali, una spiccata propensione alla scrittura poetica. Sono d’altronde pienamente ammissibili opzioni tematiche extra-scientifiche, svolgimenti di motivi etico-sentimentali, intimistico-psicologici o storico-sociali, confessioni di esperienze di vita sofferte e inconfondibili.
Invece la ricerca lirica dell’ingegner Andrea Cattania non sa prescindere dalle problematiche logico-matematiche, specificamente astrofisiche, che urgono alla sua mente, stimolano la sua fantasia, la quale se ne alimenta intensamente con risultati di indubbia incisività creativa: «La materia diffusa, l’energia/ che pervade/ l’intero cosmo, ovunque,/ nell’universo/ genera il campo gravitazionale./ La distorsione del mondo reale./ La curvatura dello spaziotempo» (La distorsione dello spazio); «…La luce/ si propaga intrecciando al proprio interno/ i due campi in un’unica natura/ nell’universo dello spazio-tempo./ La sua velocità costante è un limite/ irraggiungibile, esprime il rapporto/ in cui la massa diventa energia» (Vorrei conoscere i pensieri di Dio).
A un discorso imperniato sulla univocità e determinazione lessicali unite a essenzialità sintattica è immanente il rischio dell’aridità intellettualistica o comunque dell’appiattimento prosastico, mentre l’autore non si nasconde le peculiarità preziose della poesia: «La tempesta quantistica flagella/ gli elementi del brodo primordiale./ Li sfibra, li divelle, li affastella/ in seno al cono gravitazionale/ (…) Non solo lo scienziato, anche il poeta/ osa raffigurare lo scenario/ dell’Universo nell’Istante Zero./ La traccia folgorante di un pensiero./ L’origine del tempo immaginario» (La nascita del cosmo, corsivi miei come sempre in seguito). […].
Floriano Romboli
Andrea Cattania, Amore per sempre, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-46-2, mianoposta@gmail.com.