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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

giuseppe scilipoti

In banca

3 Gennaio 2025 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #immagini AI

 

Immagine generata con Microsoft Designer AI

 

 

 

Era una tranquilla mattina negli uffici della SicilKas, una banca di Palermo. I clienti erano pochi e le mansioni da espletare da parte degli impiegati non risultavano impegnative.

Guido, il dipendente più anziano, fremeva dentro di sé, difatti in qualche modo teneva a bada l'euforia, d'altro canto quel lunedì 23 maggio 2016 lo considerava un giorno speciale.

Intorno alle undici, prese una moneta da un euro dalla tasca sinistra della giacca e si alzò dalla scrivania per piazzarsi davanti al distributore automatico per la pausa caffè. I colleghi a passi lesti si aggregarono a lui, che iniziò così ad attaccare con alcune battute fritte e rifritte.

Tutti i presenti lo ascoltavano con genuina simpatia, tranne uno: Arnoldo Vizzini, il direttore, un uomo rigoroso e serioso che mal sopportava lo spirito scherzoso del signor Guido, tra cui una ricorrente frase umoristica espressa in quel momento che suonva: «I soldini, in soldoni al soldo mio.»

Costui stette a origliare un po' dal corridoio finché sopraggiunse col chiaro scopo di disperdere la combriccola creatasi, nonché far trasparire quanto gli stesse sul cazzo il "clown" della filiale.

«La Spada, è da trent’anni che ci sorbiamo le sue solite minchiate da... quattro soldi!» sbottò. «Sempre pasta e fagioli, pasta e fagioli, pasta e fagioli…»

«È da trent'anni che anche lei è sempre lo stesso. Eppure non mi sono mai lamentato» gli rispose Guido sardonico, approfittando per togliersi un sassolino dalla scarpa.

I colleghi risero in simultanea e ne seguì un caloroso applauso.

«Fino all'ultimo, Cristo!» borbottò il superiore, allontanandosi dal gruppo per avviarsi verso la toilette.

«Sotto sotto l'hai mandato... a cagare» osservò, ammirata, Margherita la ragioniera.

«Eh, da domani sarò in pensione e vaffanculo al direttore!» le rispose il battutaro, tronfio di aver "incassato" una bella soddisfazione.

 

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La Grande Statua

12 Dicembre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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La Grande Statua con gli occhi vitrei rivolti verso il cielo non si lascia impressionare dai violacei e violenti fulmini.

Massiccia e finemente levigata la figura, impassibile l'espressione, impossibile rompere quel cuore di pietra.

Consapevole di non poter scendere dal piedistallo, con celata rassegnazione si ostina a non mostrare sentimento alcuno.

E i secoli passano.

 

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La pozzanghera

2 Dicembre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Da bambino cascai in una pozzanghera che si tramutò in un vortice scintillante. Nel rialzarmi, mi ritrovai sempre nella mia città, ma con la sola differenza che tutto appariva inverosimile. Difatti, mentre mi avviavo in una via di Barcellona Pozzo di Gotto, per prima cosa notai che le insegne dei negozi erano scritte capovolte, tra cui quella della frutteria Alosi che divenne isolA.

Persone, automobili, scooter e animali si muovevano come in un nastro riavvolto, inoltre, ascoltando le conversazioni della gente constatai che formulavano le frasi in mirror speakers. Provai un'angoscia indescrivibile, al punto che gli occhi mi si riempirono di lacrime.

«olocciP, èhcrep ignaip?» mi domandò un attempato signore ben vestito che stava percorrendo il marciapiede. 

«Non la capisco, mi dispiace» gli risposi singhiozzando.

«azroF e oiggaroc ehc opod elirpa eneiv oiggam!» disse l'uomo accarezzandomi il mento per poi allontanarsi in retro walking.

Assai rabbuiato, imboccai una stradetta senza uscita dove erano cinque carusi che giocavano col Super Santos, un tipico pallone in pvc, di colore arancione con bande nere. Nonostante l'assurdità della situazione, chiesi di unirmi a loro. Il gruppo annuì con un cenno della testa, continuando a palleggiare.

Giocai malissimo, non riuscivo ad effettuare nemmeno un passaggio corretto in quanto la partitella avveniva in modo bizzarro. I ragazzini mi urlarono contro molte volte, finché non mi trascinarono di peso fuori dal vicolo. Il più grande fra tutti mi diede una vigorosa spinta facendomi piombare su una pozzanghera.

«Disgraziato!» esclamò una voce che riconobbi subito, sentendomi afferrare il polso per tirarmi su. Mi guardai intorno, prendendo atto che ero ritornato alla normalità. 

Abbracciai la mia nonnina che, nel frattempo, si prodigava a ripulire i miei pantaloni beige con delle salviette umidificate. Decisi di non soffermarmi su quella pozza d’acqua dimensionale, sicurissimo che non mi avrebbe creduto.

«Niente, 'ste macchie non passano. È inutile che fai il ruffiano, ti avevo avvertito di non camminare all'indietro. Stanne certo che a casa le buscherai da tua madre.»

Da questa esperienza a dir poco surreale è possibile trarre la seguente morale: quando una giornata gira al contrario, non può che finire storta.

 

 

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(A)social network

1 Dicembre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

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Vasco raggiunse i 3500 amici su Facebook.

Alle quattro del pomeriggio, mentre spegneva il PC, avvertì il silenzio avvolgerlo nella sua solitudine e singlitudine.

Lui solo dentro la stanza e tutto il mondo fuori.

 

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Lessons

14 Novembre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #immagini AI

 

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I gessetti: stecche di solfato di calcio, per non tenere a stecchetto le nostre menti affamate di sapere. Da menzionare il cancellino, in quanto utile per cancellare diversi errori e molti problemi. Naturalmente, non prima di risolverli. 

Si può cambiare registro? Sì, è possibile, inoltre bisogna essere sempre pronti all'appello e svolgere al meglio i compiti quotidiani, al fine di non arrivare impreparati sia agli esami della vita sia agli esami di coscienza.

 

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La scala scultorea

13 Novembre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #immagini AI

 

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Si chiamava Serafino. Era l'ultimo ospite arrivato al Conforto, una Comunità Alloggio per anziani situata nel messinese, dove lavoravo in qualità di Operatore Socio Sanitario.

«Prima di avere problemi di deambulazione, mi dilettavo con la scultura. Tu, caro ragazzo, si nota che non hai un cuore... di pietra» mi disse una sera, mentre lo aiutavo a indossare il pigiama.

Quell'uomo mi suscitava simpatia e tenerezza, oltretutto era evidente che desiderava scambiare quattro chiacchiere.

«Massì, nell'attesa che finisca sta' mezz'ora e che giunga l'unità notturna per smontare, mi trattengo un po' con lui» pensai. Nel frattempo, le mie due colleghe del servizio pomeridiano si erano già piazzate sul balcone della struttura a fumarsi una sigaretta e a spettegolare come loro solito.

E fu così che invitai quell'anziano signore, dalla gentile e colta parlantina, a pigliare il suo girello per avviarci in salone a sederci su due poltroncine. 

Serafino iniziò a raccontarmi con tanta amorevolezza della defunta consorte, soffermandosi soprattutto sui trascorsi della malattia che l'aveva resa invalida, costringendola a letto. Successivamente l'argomentazione si orientò sulla politica, definendosi egli un comunista cristiano, per poi riprendere il discorso inerente la sua passione per la scultura. Praticamente passò da falce e martello, a scalpello e martello. 

«Cinque anni fa, nel giardino della casa di campagna in cui abitavamo, decisi di realizzare una piccola scala rivolta verso l'alto. Secondo il mio intento, simboleggiava la congiunzione tra Cielo e Terra.» 

«Una scala rivolta verso l'alto...» ripetei, provando a immaginare quell'opera di sicura autorialità.

«Sai, quotidianamente mi cimentavo a crearla con impegno, tra l'altro con difficoltà, per via dell'età. Eh, mica avevo vent'anni come te.»

«Trentaquattro!» lo corressi.

«Ah, te ne davo dieci meno!» 

Sorrisi e ricambiai quel complimento accarezzandolo con un buffetto sulla guancia.

«L'estate scorsa, feci una specie di sogno. O forse si trattava di una visione. Non so.» Si prese una pausa per soffiarsi il naso con un fazzoletto e proseguì serioso. «In una notte ventosa, mia moglie, inaspettatamente, si alzò dal nostro lettone, mi baciò sulla fronte e uscì dalla camera. Restai paralizzato dallo sbigottimento, finché non indirizzai lo sguardo sulla finestra spalancata di colpo. Lei era lì, in giardino, accanto a un lampione che proiettava sull'erba un tremolante cerchio di luce.

«Mmm...» biascicai, annuendo assai colpito.

«La scala scultorea di cui ti parlavo si era allungata vistosamente, per di più era diventata traslucida, emanando un chiarore indescrivibile» continuò Serafino con la voce rotta dall'emozione.

«Incredibile!» esclamai inebetito.

«Angela mi salutò agitando una mano e piano piano salì i gradini, fino a che non sparì tra le nuvole. Improvvisamente la finestra si richiuse bruscamente e caddi in un sonno piacevole. La mattina seguente, al risveglio, la mia dolce metà c'era ancora. Tuttavia non dava più segni di vita.» 

Serafino, con le lacrime agli occhi dalla commozione, si sollevò sui braccioli della poltroncina, e, inoltrandosi nella sua stanza, mi augurò la buonanotte. 

Rimasi da solo, profondamente toccato. Neanche un minuto dopo suonò il citofono. Ebbi un sussulto. Era il cambio.

 

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Hocus Porcus

2 Novembre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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C’erano una volta, in un piccolo castello della Valle d'Aosta, due sorelle streghe di mezza età di nome Hyra e Fedora, assai pigre e indolenti. Vivevano di rendita, in quanto in passato avevano brevettato l'Antifreezee, una pozione portentosa capace di rendere per quattro o cinque ore un qualsiasi individuo immune al freddo, persino il più estremo.

Per via della svogliatezza delle due sorcières, la cattiva igiene e il disordine regnavano sovrani, tra pile di bucato, luridume e ragnatele disseminate ovunque. Praticamente le uniche attività gradite erano dormire nei rispettivi letti dai materassi ad acqua e sangue, nonché leggere, bere e mangiare su divani sgualciti in pelle umana bretone.

Per il cibo, le suddette non dovevano nemmeno scomodarsi a uscire, visto che per le compere nei vari locali di Aosta si servivano di Oark, un minorco un po' scemotto dalle sembianze più umane che animalesche, al quale veniva affidata la lista delle pietanze da asporto, denaro per saldare i conti e dei sacchi di tele di ragno in carbonio.

Un giorno, Fedora realizzò che effettivamente la dimora versava in condizioni decisamente pietose, anche perché osservò blatte, scarafaggi e topi scorrazzare tranquillamente.

«Che schifo! Dai su, muovi quel culo mollo e aiutami a pulire!» ordinò alla sorella assonnacchiata, scuotendole il braccio.

Hyra, sbuffando, si alzò lentamente dallo sdrucito divanaccio e si guardò intorno.

«Per evitare che ci venga... il colpo della strega, che ne pensi di risolverla con la magia?» propose, assumendo l’espressione di una che la sa lunga.

«Con la magia?»

«Se rammenti bene, esistono diverse formule magiche mirate a sistemare e a lustrare ambienti interni.»

«Il problema è che se sbagliamo il procedimento, saranno pipistrelli amari. Quindi, occhio al mestolo» le disse Fedora, inducendola alla prudenza.

In quell'esatto momento, pezzi di intonaco caddero dal soffitto e contribuirono ad accrescere la sporcizia.

«Hai ragione, vecchia mia. Consiglio però di dispensarci almeno per i pavimenti e per le scale. Altrimenti stendiamo un velo... polveroso» ironizzò Hyra ridacchiando. «In merito, conosco un'indicata formula in rima. Nel recitarla, gli oggetti prescelti si muoveranno e spazzeranno al posto nostro.»

Fedora, malgrado fosse poco convinta, assecondò l’idea, difatti, sotto sotto non è che avesse così tanta voglia di faticare.

«Hocus Porcus, scope, pale e palette del castello, ripulite 'sto bordello!» evocò Hyra concentrandosi a occhi chiusi e ondeggiando un bastone ricurvo a trecentosessanta gradi.

All'improvviso comparvero una luce bluastra e strali di scintille che avvolsero per una decina di secondi l'intera struttura, dalla cantina alla torre.

«Ti sei rincoglionita, per caso? Come Hocus Porcus? Hocus Pocus, semmai, brutta megera!» reagì Fedora incazzata nera.

I numerosi attrezzi per spazzare, presenti in uno sgabuzzino senza porta, si animarono all'istante. Le palette si scontravano di continuo, mentre le scope si misero a saltellare qua e là, per poi "scopare" fra loro. Dalle “unioni” nacquero le scopette le quali si divertirono a far cascare e distruggere anfore, lumi, ampolle etc.

Hyra e Fedora, non ricordando la contromagia per annullare l'incantesimo, si misero a piangere e a gridare dalla disperazione finché scope, scopette e palette, forse colte dal dispiacere per il baccano e lo scempio causato, si placarono e ritornarono inanimate.

La coppia di streghe si accapigliò, tirandosi i capelli grigi e crespi. Verso sera "magicamente" si riappacificarono, del resto c'era da rimboccarsi le maniche in tutti i sensi.

«Dove non arriva la magia, arriva la buona volontà» sospirò Fedora nel gettare i primi cocci nella pattumiera con l'assenso di Hyra, consapevole di averla fatta... sporca.

 

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Il pupazzo di neve

31 Ottobre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Devo ammettere che ho fatto un ottimo lavoro. L'ho chiamato Lumiukko, che tradotto dal finlandese significa "pupazzo di neve." Ecco una descrizione veloce e sommaria di cosa mi sono servito per realizzarlo: innanzitutto, la materia prima, cioè la neve, i due pomodori di Pachino ne ricreano gli occhi, la carota nodosa rappresenta il naso, mentre una decina di olive greche formano il sorriso. Per quanto riguarda il vestiario, ho utilizzato una sciarpa logora che ho raccattato accanto a un bidone dell'immondizia, una manciata di pezzetti di carbone sarebbero i bottoni, e infine, in testa gli ho messo un cilindro vecchio stile trovato in un baule, appartenuto a un prozio mezzo mago e mezzo medium, vissuto agli inizi del Novecento.

***

Jonathan, il mio dirimpettaio, afferma che Lumiukko è indicatissimo per Halloween. Che stronzata! Semmai, il suo pupazzo di neve è un'autentico orrore.

È soltanto invidioso, ragion per cui vale un detto ideato da me: «La neve del vicino è sempre più bianca.»

***

Sia i bambini che gli adulti dell'intero vicinato evitano di passeggiare nei pressi del vialetto della mia abitazione, perché gira voce che Lumiukko abbia un aspetto sinistro al punto da risultare estremamente agghiacciante.

Bah, la gente si è bevuta il cervello!

***

Effettivamente il mio pupazzo di neve ha un qualcosa di strano, inoltre ho come l'impressione che si avvicini gradualmente all'uscio di casa mia. Mi manca il coraggio di distruggerlo, quindi, in attesa che si sciolga, è meglio se entro o esco dal retro.

***

È passato un bel po' di tempo, dato che mi sento tranquillo, finalmente posso alzare le tapparelle e aprire le finestre, arieggiando così le stanze. Scrutando fuori, di quel dannato snowman non c'è traccia. Ottimo.

Spalanco felicemente il portoncino d'ingresso e rimango... di ghiaccio. Lumiukko si è piazzato a un metro da me. Per di più, oggi è Ferragosto!

 

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Il sentiero

30 Ottobre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Porco Giuda! Da qui con la macchina non è possibile procedere. Dovrei incontrarmi con una persona all'esterno di una baita per discutere i dettagli per un lavoro stagionale. Provo a contattarlo per informarmi se l'abitazione è vicina o meno. Che iella, il segnale di rete del cellulare è assente.

O la va o la spacca, dai. Proseguo a piedi, seguendo l'indicazione di quel cartello in legno marcio su cui c'è scritto "Colle Osso," sperando che il percorso non sia impegnativo. Non ho voglia di una sfacchinata.

***

È da circa mezz'ora che percorro questo sentiero fangoso disseminato di sassi, tra saliscendi e svariati bivi ho perso l’orientamento. A peggiorare la situazione l'assenza di segnaletiche, per non parlare di una cavolo di nebbia che rende l'atmosfera particolarmente funesta.

Si dice che «La paura mette le ali ai piedi» e difatti inizio a correre, volgendo più volte lo sguardo all’indietro, inseguito da un'inspiegabile paranoia e oppressione.

Il percorso diventa gradualmente pianeggiante, per di più noto una serie di impronte di scarpe sul terreno, le quali certamente confermano che qualcuno è appena passato. Mi sento leggermente sollevato.

La via è giunta al termine, dinanzi a me è piazzata una moltitudine di alberi. Aguzzando bene la vista, scorgo in lontananza un uomo, accovacciato al lato di un sovrastante faggio, che respira affannosamente. Avanzo veloce e gli tocco la spalla per far sì che sì accorga della mia presenza. Il tizio, alzandosi di scatto come una molla, mi fissa con gli occhi pieni di raccapriccio. Non ci posso credere! È identico a me, praticamente una goccia d'acqua, vestiti compresi. Sto impazzendo?

Sopraffatto dall’orrore, indietreggio. Raccolgo una pietra adagiata su una coltre di foglie secche e gliela scaglio con forza sul capo. L’altro me caccia un urlo e crolla al suolo in una pozza di sangue.

Ricomincio a correre inoltrandomi in un nuovo sentiero piano, come sempre coperto di fango e sassi, nonché avvolto da un manto nebbioso. Un angoscioso déjà vu mi pervade poiché il tratto finisce presto, riproponendomi i tanti alberi, tra cui un torreggiante faggio.

Sono sfinito, mi manca il fiato, ho bisogno di rannicchiarmi proprio lì. Di punto in bianco una mano si posa sulla mia spalla e d'istinto mi rialzo bruscamente. No! Di nuovo me, cioè lui! Lo fisso inorridito e l’altro io fa altrettanto. Quest'ultimo, arretrando a debita distanza, afferra una pietra in mezzo a uno strato di foglie e senza pietà me la tira addosso centrandomi la testa. Poi, assai dolorante, stramazzo a terra.

***

Mi sveglio di soprassalto, con il cuore che mi batte all’impazzata. Si è trattato di un maledetto incubo. Cerco di rilassarmi, ovattandomi nella quiete penombra della stanza.

All'improvviso il cellulare vibra sul comodino. Toh, mi è arrivato un messaggio. Il mittente è Giorgio Romero, il signore che qualche giorno fa aveva risposto a una mia e-mail. Apro l’SMS e lo leggo.

«Salve, mi scusi per l'ora. Mi spiace comunicarle che la sua candidatura per un impiego alla baita di Colle Osso è stata respinta in quanto abbiamo già provveduto. Le auguro una buona giornata.»

Quindi, non se ne fa nulla. Beh, forse è meglio così.

Mi rimetto a letto, anche perché... ho un terribile mal di testa. Ehi, ma che è 'sto bernoccolo?

 

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La lunga estate bollente del 2003

13 Ottobre 2024 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

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L'ombra era una manna dal cielo.

 

 

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