Fabio Recchia, "Opera Omnia"
Opera Omnia. Poesie (2009-2023)
Fabio Recchia
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Con il volume Opera Omnia Fabio Recchia sembra donarci il “testamento spirituale” di un uomo che ha dedicato tutta la vita all’arte in tutte le sue espressioni. Una summa della sua migliore produzione artistica. Poeta, pittore, scultore artista eclettico che ha saputo fare dell’arte una ragione di vita con onestà e umiltà, coraggio e tenacia. Una missione a tutto tondo. Per lui l’arte non è mai stata merce di scambio ma solo la più pura espressione della creatività dell’intelletto umano. La sua ispirazione si snoda attraverso i temi dell’esistenza, la contemplazione delle piccole cose, l’incantato regno della natura, i labirinti della memoria dei ricordi degli affetti e dell’infanzia.
La ricerca interiore di Fabio Recchia trova la sua giusta misura attraverso un intimo richiamo alla poesia che si anima come fonte di vita. Traspare un’incrollabile amore per la vita nonostante le difficoltà che propone, un desiderio di trascendere gli elementi stessi dell’esistenza per giungere a dare di questi elementi la parta più intima del loro senso filtrandolo filosoficamente ed emotivamente.
La sua poesia nasce come voce del cuore e risulta tanto più affascinante quanto più aderisce al corso dei pensieri. Poesia che nasce da un’autentica tensione emotiva colorata da immagini, sensazioni, meditazioni a volte dolorosi stati d’animo. La sua lirica conduce ad una dimensione umana e trascendente, nella metafora rivela itinerari di pensiero coniugati a una realtà che scava i misteri del Creato nella quale si immerge per raccogliere i frutti della chiara odissea di uomo ma anche di spirito libero.
Data l’elevata produzione poetica di Fabio Recchia si è preferito optare per un’Opera Omnia tematica nella quale concentrare il meglio dei suoi motivi ispiratori; questo volume contiene un ampio ed esauriente “florilegio” di poesie tratte da varie raccolte pubblicate tra il 2009 il 2022, arricchito con l’aggiunta di poesie inedite del 2023. Varie sono le tematiche cui si ispira Fabio Recchia: liricità e sentimento della natura, la memoria, le vicende umane con tutte le loro contraddizioni, il sentimento religioso in una prospettiva escatologica. L’opera in questione è suddivisa infatti in cinque capitoli, ovvero nelle tematiche più rilevanti della sua ispirazione letteraria: Luminosità della natura, Il ‘panta rei’ memoriale, Amore per sempre, Attraverso la condizione umana, Visitazione del Cristianesimo.
Madre natura con i suoi misteri e incanti per cui i versi sembrano riflettere una poetica ariosa che viene espressa in delicate e suggestive immagini e descrizioni ambientali (capitolo 1 - Luminosità della natura); a titolo esemplificativo si legga la lirica Natura: «La natura è guardare lo schiudersi di una gemma / al primo sole di primavera, / guardare un fiore che sboccia, / dischiudere i petali profumati d’amore. / È guardare un tramonto fra / le foglie di un albero, / è sentire il vento fra i capelli, / accarezzare il seno / di una madre…». I versi così diventano strumento per interiorizzare i vari stati d’animo. E ancora con la poesia Torrenti: «…Tra nuvole bianche / il cielo si fonde / all’orizzonte / nella luce del tramonto». Avverte quindi l’immanenza di un grande mistero, di cui la natura è un’allegoria: il poeta avverte che il visibile rimanda all’invisibile. L’autore ci conduce per mano per affrontare i più universali problemi esistenziali, partendo dal proprio vissuto.
Poesie dedicate anche alla sua natia Levico: «Brilla fra i monti, / tra verdi montagne. / Levico / corona di fiori…» dove l’atmosfera, le luci i colori si fondono in unico canto per la sua terra natia. Un canto d’amore, si potrebbe dire, per la “mia verde montagna”, popolato di suggestioni, di rimpianti, di attese. La sua è un’evocazione della natura che si avvale di sensazioni memoriali, quando rigogliosa e intatta ignorava l’invasione del cemento. Ma è sempre presente una tensione etica, una sorta di immanente spiritualità che pervade la sua ispirazione: la montagna vista come collegamento tra Dio e l’Uomo. Il monte nella sua grandezza nel suo innalzarsi verso il Cielo è considerato come dimora del Dio invisibile, la cui maestà è nascosta dalle nubi.
Altro tema ricorrente nella poesia di Fabio Recchia è la memoria con tutti i suoi risvolti (capitolo 2 - Il ‘panta rei’ memoriale). Si legga ad esempio la lirica L’immagine dei ricordi: «Si riflette nell’anima / come fosse uno specchio / l’immagine dei ricordi, / l’allegria, la voglia di vivere, / la magia della musica. / Ma ora diafana è la figura, / rapita, / rubata, / velata nella luce dell’oscurità». Poesia che risente certamente di una solida attitudine a scavare in profondità la condizione umana attraverso la consapevolezza del tempo, della memoria, delle illusioni ma anche di speranza. La memoria come un sottile fil rouge che unisce passato e presente. E ancora con la poesia Frugo nei ricordi: «Sprofondo nella memoria, / frugo nei ricordi, / quasi dimenticati, / levo la polvere / e riaffiora un’immagine, / quella che ogni giorno / mi accompagna». Il ricordo e la natura si pongono così come interpreti del vissuto, fondamenti di una lirica che non dimentica la dimensione socio-esistenziale dell’uomo.
Con il tema del sentimento Fabio Recchia pone l’accento sull’amore (capitolo 3 - Amore per sempre). Amore vero, incondizionato: quello che muove il mondo e l’universo. Un’energia che fa parte della natura umana, un amore primordiale. Si legga La notte senza luna: «Risplendono / come stelle nella notte senza luna / i tuoi occhi. / Svelano l’universo che nascondi / e io come astronauta navigo in te / alla ricerca dell’amore primordiale». Amore come sentimento universale che ci tiene in vita; Il mio amore: «Si raccoglie in un mazzo di fiori, / tutto il mio amore, / ogni stelo un pensiero, / un ricordo, / un abbraccio, / tutto si distilla / nella fantasia del profumo, / che risveglia in me / un ricordo indissolubile».
Ancora più particolare è il tema delle vicende umane (capitolo 4 - Attraverso la condizione umana): con le contraddizioni dei tempi moderni. Prima tra tutte la tragedia degli emigranti: «La nave ti aspetta / per navigare / verso il futuro. // Un mare di lacrime / lasciate sulle guance di chi ami. // Un mare / che sa di sale ti accoglie / e porti con te / le speranze // rinchiuse / in una valigia di cartone» (Emigranti). Leggiamo l’emblematica lirica Si intrecciano: «Si intrecciano le creste delle onde / come reticolati di guerra. / Dimenticati popoli navigano / sui flutti per cercare libertà. / Speranze / riposte sui relitti di morte. / Tese le mani / verso chi raccoglie / le vite disperate».
Ma il sentimento religioso sembra essere l’elemento catalizzatore e il vero collante della produzione del poeta (capitolo 5 - Visitazione del Cristianesimo). Un Cristianesimo vivo di alta levatura morale che assegna alla poesia un ruolo anche sociale ed etico. Spiritualità e religiosità si manifestano in Fabio Recchia attraverso le stazioni della Via Crucis, trasformati in altrettanti momenti lirico memoriali della passione e redenzione di Cristo. Come già sottolineato da Enzo Concardi nella prefazione alla raccolta Un amore infinito (2018) pubblicato da questa Casa Editrice «…occorre sottolineare soprattutto la connotazione cristiana della sua visione, basata su una cristologia dell’avvento, della passione, della morte, della resurrezione e redenzione, ovvero il nucleo del disegno divino, voluto dalla Trinità per la salvezza del genere umano».
Tutta la poesia è intrisa di un messaggio salvifico, di fiducia in un’incrollabile fede, in quanto corroborata da un’intensa religiosità di fondo. Il poeta sembra così ammonire l’uomo contemporaneo: «Non perdere / la speranza. / Dono divino allo scoccar della vita. / Per l’esistenza. / Sarà con te ogni momento / fino a quando lo incontrerai» (Speranza). Senza dimenticare uno dei più importanti e difficili comandamenti da attuare nel mondo di oggi: «che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Fabio Recchia questo lo sa e con la poesia Carità («Amati. / Ama / chi hai di fronte. / Lui / ti ama sopra ogni cosa, / così fai tu, / emula / l’amore perfetto») sembra suggerirci una via di salvezza per l’umanità.
In definitiva alla base della poesia e dell’ispirazione artistica di Fabio Recchia rimane un profondo amore per l’uomo e per il mondo.
Michele Miano
Fabio Recchia, Opera Omnia. Poesie (2009-2023), prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 200, isbn 979-12-81351-30-1, mianoposta@gmail.com.
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L’AUTORE
Fabio Recchia è nato nel 1953 a Levico Terme (TN) dove attualmente vive. Cavaliere al Merito della Repubblica, si è sempre impegnato in politica ricoprendo ruoli istituzionali e nel sociale. Poeta, pittore e scultore, ha pubblicato diverse raccolte di liriche, alcune delle quali illustrate con sue riproduzioni d’arte. Dipinge con la tecnica dell’acquerello, dello spray, del mosaico e altre tecniche miste; ha all’attivo numerose mostre in Italia e all’estero; sue opere sono presenti nell’archivio del Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti per la poesia e l’arte.
Pietro Rosetta, "Poesie nascoste nella dispensa"
Pietro Rosetta
POESIE NASCOSTE NELLA DISPENSA
Pietro Rosetta è un affermato medico oculista che nel 1997 ha pubblicato qualche poesia nel volume antologico Scrittori Italiani del II Dopoguerra. La poesia contemporanea edito da Guido Miano Editore.
Nel mese di aprile del 2024, per la stessa Casa Editrice, ha dato alle stampe la sua raccolta di poesie, un’opera prima, silloge nella quale si rivela come un poeta eccellente, una vera scoperta letteraria il cui merito va proprio a Guido Miano Editore che lo ha incoraggiato e spinto ad uscire dal suo silenzio.
Evocativo il titolo della raccolta che sembra mettere in luce la riservatezza del Nostro perché ha tenuto nascoste queste poesie presumibilmente per molto tempo prima di pubblicarle, cosa che accomuna molti poeti.
Ora Rosetta è uscito allo scoperto con questa raccolta e ha fatto bene perché le sue composizioni sono splendide nel loro essere connotate da vaghezza e grande originalità e bellezza affascinante.
Ha tolto metaforicamente i componimenti dalla dispensa, elemento che evoca qualcosa di domestico, e senza esitare più ha messo le poesie nella bottiglia del messaggio e le ha lanciate nel mare magnum del circuito letterario con il volume che prendiamo in considerazione in questa sede.
Veramente centrata e ricca di acribia la prefazione di Enzo Concardi a questa silloge nella quale il critico individua il tema dominante dei versi che è quello del dualismo amore - morte interiorizzato dal poeta; dualismo che emerge nel suo approccio alla poesia, alla scrittura che è la vita perché si scrive sempre di sé stessi e la poesia stessa è sempre d’occasione.
La raccolta non è suddivisa in sezioni e per la sua unitarietà tematica, formale e stilistica potrebbe essere considerata un poemetto.
Ad una prima lettura si nota nei versi un forte senso del dolore sotteso alla condizione umana e anche nell’approccio alla dimensione amorosa e si potrebbe pensare a questo proposito al pessimismo cosmico di Leopardi e al male di vivere di Montale.
Tuttavia ci sono poesie connotate da un atteggiamento positivo verso la vita e l’amore e la poetica di Rosetta è piena della raffinatezza delle parole controllatissime e debordanti nella stesso tempo e i versi sono generati da una forte urgenza del dire e risultano chiari e complessi nello stesso tempo.
Si tratta di poesie icastiche e leggere nello stesso tempo che si possono definire neo liriche e che hanno intrinseca una componente riflessiva e intellettualistica.
«Un sottile brivido sbocciato / d’improvviso nel mio giardino / viene a sussurrare l’estate / ai miei pensieri, fioriti nella mente / senza più trovare le parole» scrive Rosetta in una poesia senza titolo (pag.16) che è affascinante perché per argomento ha il rapporto tra detto e non detto che crea nel breve tessuto linguistico una forte tensione che si lega a un senso di sospensione e di forte solipsismo nell’io-poetante molto autocentrato; anche un senso di magia e di malia emerge da questa poesia raffinata e ben cesellata come del resto sono tutti i componimenti del Nostro che nella maggioranza dei casi non presentano titolo e ciò ne accresce il senso del mistero.
«Il tempo è sbocciato / figlio di un sogno che non si vuole realizzare // e le mie mani tra le tue mani / e la mia pelle contro la tua pelle / e i miei occhi dentro i tuoi occhi / e il mio domani, forse anche il tuo domani // sono magici incantesimi che le parole / trascinano impetuose al tribunale della realtà // il tempo è sbocciato / figlio legittimo di una pienezza sconosciuta / e le voci della città / sono fiori, sono frutti che tu hai sparso / intorno a me…».
Nella suddetta poesia (pag.19) densa metaforicamente si respira un senso di ottimismo e molto bella è l’espressione anaforica «Il tempo è sbocciato» per la quale il tempo stesso è figlio di un sogno che non si vuole realizzare e figlio legittimo di una pienezza sconosciuta.
Nel componimento è centrale il tema amoroso erotico e sensuale quando sono nominati gli occhi, la pelle e le mani del poeta e dell’amata che divengono biblicamente una sola carne.
Quindi è una poetica quella di Rosetta in bilico tra gioia e dolore e la complicità, la connivenza che l’io – poetante cerca nell’amata è sicuramente un sintomo di positività nel credere fermamente che l’amore ricambiato stesso possa aprire le porte alla felicità.
Si può definire una ricerca del senso vero e profondo della vita quella di Pietro, una tensione stabile verso la realizzazione dei desideri dettati dai sentimenti soprattutto nel campo amoroso.
E se la poesia è la leggerezza e la quotidianità con il suo eterno ritorno è il vero esistere, Rosetta dimostra che lo strumento umano per riuscire a trovare sicurezza consiste nel creare un’osmosi tra poesia e vita che richiede una grande attenzione che salva e fa realizzare l’individuo in amore, nel lavoro e in tutto.
Il discorso del Nostro affascina perché ogni suo lettore s’identifica in lui che è portatore di sentimenti e valori universali con profondità e fertile intelligenza.
Raffaele Piazza
Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-21-9, mianoposta@gmail.com.
Antonino Stampa, "Fiori di calendula maritima"
Antonino Stampa
FIORI DI CALENDULA MARITIMA
«Il titolo Fiori di Calendula maritima (pianticella salvata dall’estinzione che cresce solo in una piccola parte costiera della Sicilia trapanese) ci colloca subito nella terra di Antonino Stampa, alla quale lo scrittore ci trasporta attraverso i suoi occhi innamorati»: così Marco Zelioli in apertura della sua prefazione alla raccolta poetica in questione (pubblicata da Guido Miano Editore, 2024). In effetti è l’attaccamento radicale alla sua terra d’origine una delle più fertili fonti d’ispirazione lirica: così, fra le varie parti del libro – Come un battito d’ali; Noi e gli altri; Quel che lasciamo; Universo – è la quinta quella che mi pare risulti più efficace ed avvincente nelle formulazioni stilistiche ed immaginifiche, come nei contenuti umani, sociali e culturali: “Belice 1968-2018 (Quadri di un terremoto e del prima e del dopo. Un itinerario tra emozioni e ricordi)”.
La tragedia che si abbatté sulla Sicilia per lo scatenamento delle forze incontrollabili della natura viene rivissuta nelle sue componenti individuali e collettive attraverso alcune liriche temporalmente dislocate tra un prima, un durante e un dopo. Il come procedeva la vita dell’autore prima del terremoto viene scolpito da versi scarni ed essenziali, nei quali il destino della terra e del suo lavoro di contadino traspaiono con afflato epocale, intrisi di fatica e senza prospettive: «Solitario il mio passo / solitario il mio lavoro /… / Risalgo la valle /…/ oltre, / s’innalza la montagna / scabra…» (Del Prima). Poi il ritmo ripetitivo dei soliti gesti quotidiani che, tuttavia, hanno il sapore d’una cantilena poetica: «… Con me / la mula, / la bisaccia ai fianchi. / Mi lavo il viso / alla cisterna, / accanto la mula si disseta» (ivi). Ci sarà la biada per la mula e la tavola apparecchiata per la cena. Infine il presagio, o meglio, la certezza di quel che sarà il futuro della sua montagna, ovvero l’abbandono delle nuove generazioni, partite per altri mondi: «Questa mia terra /… / incolta alla mia morte / perché il figlio, / altrove, / altro mestiere, / altra vita conduce» (ivi).
Il momento della prima forte scossa per Antonino Stampa è simile ad un mare sconvolto che rovescia impietosamente le sue onde addosso a case e persone e «nel nero della notte / s’aprì la terra» e tutto divenne l’impero della morte, da cui scampa solo qualche sopravvissuto che s’aggira barcollante fra pietraie e macerie. Ma le scosse si ripetono: «…Ancora / la terra trema, / vibra, / si scuote. / Case sventrate svelano / pudori d’affetti. / Sotto le pietraie / giace la memoria» (15 gennaio 1968, ore 3, minuti 10). Sugli effetti della strage del sisma, una lapidaria riflessione del poeta: «Quella notte / morì una Sicilia. / Dopo / nulla è nato, / qualcos’altro / è venuto» (Premessa). Del dopo terremoto abbiamo due immagini in contrasto tra loro: quella della poesia Gibellina nuova - Le tre piazze, un quadro della ricostruzione che, tuttavia, appare ammantata da asetticità e distacco, forse nel rimpianto del vecchio nucleo abitativo distrutto dal sisma. E quella dei Ruderi di Poggioreale, dove il poeta rivive il dolore antico ma sempre vivo: «Il vento / fra i muri / urla, / piange nel mio cuore».
Anche altrove il richiamo delle origini è forte e consapevole, la lirica Siciliano è l’emblema delle sue radici: «Sono / di questa terra, / zattera a genti in fuga / nel vasto mare / o qui venute / per sete di dominio. / Non conto i popoli / che nelle mie vene / hanno versato il sangue. // Canto / questa terra arsa / che mi asciuga, / questo vento / che mi leviga, / questo mare che s’alza / in tempesta». E così troviamo anche un riferimento a Levanzo, pitture rupestri. Grotta del Genovese, dove gli antenati preistorici vivevano, cacciavano, pescavano il tonno, pregavano ed «abitavano questa terra, / la loro terra, / così diversa, / così uguale». Un canto al sole e alla luce diviene la poesia di Antonino Stampa nelle altre parti del libro: associandosi alla purezza del mare esso dà voce alla sapienza del gabbiano e non a «quanti della vita fanno commercio». Ma c’è spazio ancora per considerazioni e riflessioni sulla nostra esistenza, spesso così superficiale e frettolosa da trasformarsi in un monumento all’incomunicabilità e al conformismo; su chi siamo come abitatori del pianeta terra, che non è nostro, né dei nostri figli; sul futuro che è solo di Dio, mentre a noi appartiene il presente, forse. Ed infine le dediche all’amato Leopardi, col quale canta l’infinito e le stelle della «stanza smisurata e superba» (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia).
Enzo Concardi
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Antonino Stampa è nato nel 1946 a Trapani dove attualmente risiede; laureatosi in Filosofia presso l’Università di Palermo, ha insegnato Lettere nelle scuole medie. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Marine. Trasparenze in frammenti (1995), Specchio nascosto (2002), Distesi silenzi del mare (2003), Nei gorghi del tempo (2012), Chiedersi (2014), E non distinguo approdi (2017).
Antonino Stampa, Fiori di Calendula maritima, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 84, isbn 979-12-81351-29-5, mianoposta@gmail.com.
Poesia 25
Poesia 25 - Maggio / Giugno 2024
Feltrinelli - Euro 14 - Pagine 130
La rivista libro di Nicola Crocetti edita da Feltrinelli realizza il consueto mix tra poesia conosciuta e nuove proposte, autori italiani e stranieri, in lingua originale e con traduzioni a fianco. Si parte con Giorgio Caproni e un’interessante intervista al figlio Attilio Mauro che rievoca il suo ruolo educativo di genitore e di maestro elementare. Daniele Piccini cura la sezione antologica e compone un ritratto del poeta con alcune liriche ormai diventate classiche (A mio padre, Preghiera, A Rina, A mio figlio), tutte di impronta familiare. Anima mia, fa’ in fretta / ti presto la bicicletta / ma corri e con la gente / (ti prego sii prudente) / non ti fermare a parlare / smettendo di pedalare. Bellissima. Tutte le poesie di Caproni (irrinunciabili e da rileggere in eterno) le trovate da Garzanti in un bel volume edito nel 2016. Silvio Ramat ci fa conoscere una poetessa non indispensabile (amica di Gozzano) come Amalia Guglielminetti. Rosaria Lo Russo traduce le Favole da incubo di Anne Sexton, vero e proprio fenomeno pop anni Settanta riproposto a distanza di cinquant’anni; tra le pagine della rivista leggiamo un delizioso quanto insolito Cappuccetto Rosso, che ricorda opere analoghe di Gianni Rodari e Aldo Zelli. Ad abundantiam, pure chi scrive si è cimentato con un Cappuccetto Rosso horror sceneggiando un film indipendente uscito circa vent’anni fa. Ispirazioni comuni, pare. Graziano Krätli narra la vita e le opere di Weldon Kees che ha fatto poesia anche con la sua morte misteriosa, scomparso dopo un incidente stradale (suicidio?), il corpo svanito in un dirupo, cosa che ha alimentato una ridda di leggende metropolitane. Tomasz Rózycky è un poeta polacco che scrive sonetti - tre quartine e un distico - molto musicali, leggibili e intensi, ben tradotti da Andrea Ceccherelli. Gabriele Tinti traduce John Gould Fletcher (1886 - 1950), morto suicida, anche se la sua poesia nella versione italiana perde il ritmo e la cadenza del verso che per l’autore sono più importanti della rima. Poesia autobiografica, a tratti dolente, versi che s’interrogano sul ruolo del poeta: La primavera della mia vita è ormai alle spalle / e la quieta pace dell’estate non tornerà più …, a giudizio di chi scrive le traduzioni sono molto ben fatte. Giulia Martini si occupa di voci nuove, in questo numero nel suo opificio (ci spiega pure il significato della parola e l’etimologia latina) propone Silvia Atzori (1998), Giulio Zambon (1998) e Fael Marescotti (2000). Ammetto la mia scarsa capacità di apprezzare sperimentalismi e modernismi estremi, ognuno ha i suoi limiti, ragion per cui non mi pronuncio e rimando alla colta introduzione. Monica Ruocco parla del poeta palestinese Mahmud Darwish, scomparso quattro anni fa e del recente volume Non scusarti per quel che hai fatto, a cura di Sana Darghmouni e Pina Piccolo (Crocetti Editore). Bellissima e dolente A casa di mia madre con il poeta che si sente ospite di un se stesso che vede ritratto in foto, molti anni dopo la sua partenza. Alessandro Cenni ci regala 7 poesie da Felo de se e Giulia Martini chiude il volume con il suo Tresor, poesia ispirata ad atti notarili e contratti. Poesia è una rivista libro ricca di contenuti, che da anni riesce a sopravvivere nel complesso panorama letterario italiano, prima come mensile da edicola, adesso come volume da libreria. Unica nel suo genere, anche per questo da promuovere e da difendere. Leggetela, non ve ne pentirete!
Gordiano Lupi
www.gordianolupi.it
"Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon", a cura di Enzo Concardi
Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Maurizio Zanon è veneziano nato nel 1954; conseguita la maturità scientifica, si laurea in Lettere Moderne insegnando nella scuola media e successivamente nella Formazione Professionale. Si è dedicato anche alla poesia pubblicando (salvo verifica) 64 libri, un CD audiolibro, quattro libri di narrativa; è stato oggetto di saggistica e incluso in vari repertori letterari. Dopo vent’anni di attività letteraria gli è stata dedicata, da Mario Stefani, la monografia Maurizio Zanon: il canto di una voce solitaria. Durante il suo percorso poetico ha frequentato vari poeti, artisti famosi e partecipato a eventi artistico-letterari da animatore e anche conseguendo premi e riconoscimenti di alto livello. Si sono interessati di lui, fra gli altri, Flavio Andreoli, e recentemente Enzo Concardi, il quale ha curato il volume di cui ci occupiamo: Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon (Guido Miano Editore, Milano 2024), che si conclude con una “antologia essenziale” di quasi 50 poesie brevi tratte da una ventina di sillogi.
Nel prosieguo mi limito a una esposizione di frammenti, e non di più, delle varie citazioni e di autori, perché penso che appesantirei la recensione, anche se sarebbe più completa. Purtroppo quando si recensisce o si interpreta un libro o una frase, c’è il rischio di modificarne il senso, perciò se un pensiero è ben esposto lo lascio nella sua formulazione originale. La presente recensione non ha molte pretese, è una pallida esposizione dell’opera.
Enzo Concardi, nell’introduzione al volume, avverte che esso contiene contributi di critica letteraria, nell’alveo degli aspetti filologici in relazione ad analisi comparative testuali, con lo scopo di stabilire un rapporto di comunicazione tra autore e lettore. L’informazione si regge tra una fonte emittente e un destinatario ricevente; perché l’informazione si comprenda occorre che entrambi siano in sintonia. Concardi rammenta che il critico fa opera di “mediazione”; direi che è come uno strumento misuratore di fenomeni fisici, tarato soggettivamente. Ecco quindi la ragione di questo volume di scritti vari su Zanon che possiamo definire di “critica multifunzionale”.
A costo di occupare spazio e tempo, ritenendolo utile, mi intrattengo su quanto segue. Concardi ricorda che ai fini di una comprensione e di una valutazione, non si prescinde dai fari luminosi della grande critica, come Benedetto Croce e Francesco De Sanctis. Già quest’ultimo poneva l’attenzione su due aspetti della critica e cioè contenuto e forma (cioè Poetica ed Estetica). La poetica si individua attraverso i motivi lirici più frequenti nell’autore; mentre l’estetica riguarda il modo di espressione. Questa “analisi ragionata” propone stralci critici in ordine cronologico.
E non si prescinde nemmeno dai dettami di illustri studiosi come «Luigi Russo (1892-1961), Mario Fubini (1900-1977), Carlo Dionisotti (1908-1998), Giuseppe De Robertis (1888-1963) e, più vicino a noi, Umberto Eco (1932-2016) con i suoi studi su semiotica e semiologia». Per completezza aggiungo anche «nomi altamente qualificati già nelle vesti di poeti e scrittori: Eugenio Montale, Italo Calvino, Cesare Pavese, Andrea Zanzotto, Giovanni Raboni, Pier Paolo Pasolini». In ogni caso teniamo presente quanto sosteneva Attilio Momigliano (1883-1952), cioè che «non esiste una vera e propria metodologia critica, bensì l’intervento intuitivo del critico, che si mette nei panni del lettore». E a proposito del “divario tra poetica e poesia” (direi, vagamente: tra intenti e risultati), teniamo pure presente concetti richiamati da insigni critici, quali Francesco Flora (1891-1962) e Walter Binni (1913-1997).
Tornando a Mario Stefani e al suo studio su Maurizio Zanon, egli afferma che nella critica letteraria è necessario individuare «alcune chiavi di lettura metodologiche». L’analisi critica si basa su aspetti formali e aspetti sostanziali (un lungo elenco di voci: lingua, stile, filologia, semiologia, ermeneutica, simbolismo, psicoanalisi, sociologia, contesto storico, ecc.). Bisogna tenere conto della sensibilità del recensore e della sua capacità di immedesimazione; e in generale il rapporto Io-Noi è sempre presente nei poeti; è il solito conflitto fra idealità e realtà, o con altre parole tra sogno e realtà, fra spirituale e materiale. Ciò detto ricordiamoci che tutti i libri, come qualsiasi manifestazione di espressione, hanno qualcosa da dire. Ebbene, se mi intrattengo, è perché ritengo che questo volume torni particolarmente utile ad aspiranti scrittori, recensori, e a lettori.
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Quanto alle comparazioni etiche, si vuole spiegare che il nostro poeta non guarda con disprezzo, ma ha atteggiamento di pietas; e che diventa la coscienza del mondo e il suo dolore personale diventa cosmico. Il suo animo è attraversato da tutta una gamma di sentimenti; usando un termine di laboratorio di analisi, direi che la sua espressione diventa cartina al tornasole degli umori universali. Difatti Mario Stefani afferma che le miserie umane, di cui Zanon si fa carico, ci ricordano «Verlain, e certo crepuscolarismo italiano»; e per le sue meditazioni è come «Petrarca che andava camminando per ‘i segreti calli’, dove nessun’orma umana fosse giunta, come poi aspirava Cesare Pavese nel suo continuo amare la natura vergine». Guido Miano richiamava l’attenzione sui motivi della memoria e di ciò che vi è connesso, il che comporta un certo distacco e un velo di nostalgia che ci ricordano il Leopardi delle reminiscenze. E troviamo altre concordanze, come in Mario Santoro che scrive «C’è davvero di tutto nel volume: partecipazione verso l’altro, tensione emotiva sempre calibrata, intensità dei rapporti, senso pieno della gratitudine, (…) umiltà e piena consapevolezza» (p.21). Gli fanno eco Giampietro Cudin, che rileva «una spasmodica ricerca stilistica» (p.23); e Nazario Pardini che osserva come nella maturità nel poeta si siano assestati pensieri e sentimenti, nutrendosi di essi.
Quanto alle comparazioni esistenzialistiche, penso che in senso lato esistenzialisti lo siamo tutti, specialmente gli artisti, con la puntualizzazione che ciascuno giunge ad una propria risposta (agnostica, religiosa, ecc.). In breve Guido Miano riconosce in Maurizio Zanon «umanità e spiritualità indiscusse», paragonandolo a Pablo Antonio Cuadra e concludendo che nel Nostro è prevalsa la fede. Così Dino Manzelli ne individua «l’inquietudine» paragonandolo a Soren Kierkegaard, e ancora a Dostoevskij (de L’idiota). Mentre Roberto Tassinari osserva che «Zanon si richiama … alla millenaria metafora della barca o della nave della quale si sono avvalsi decine di poeti e scrittori da Archiloco e Alceo a Catullo e Orazio e ancora da Dante a Petrarca». E ancora, Nazario Pardini, sintetizza il giudizio nella formula «vita di poesia e poesia di vita»; Anna Castrucci paragona le meditazioni del Poeta alle Confessioni di Sant’Agostino, proprio come “distensio anime”. E ancora, Ester Monachino ne indica la scintilla che si fa «perno d’eterno»; e Marco Zelioli ne rileva la «vita pulsante».
Quanto allo stile e al linguaggio, sempre Concardi, ci dice che oggi si valutano i testi dai loro contenuti e dalle suggestioni che riescono a suscitare «ognuno si è sentito autorizzato ad elaborare scritture a proprio piacimento, in modo anarchico, anche senza eleganza, ritmi, armonie» (p.24); Zanon, invece, segue il precetto oraziano del ‘labor limae’ (e anche di raspa), intendendo la poesia anche come armonia. A tal proposito Angela Ambrosini indica la presenza di allitterazioni e piccoli accorgimenti tecnici; seguita da Guido Miano che parla di linguaggio «dinamico»; così Nazario Pardini indica la capacità di «impennate verbali, iuncturae lessico-foniche»; Raffaele Piazza ribadisce la presenza di «una vena illimpidita», e Maria Rizzi esalta la musicalità di Zanon.
Quanto all’ambiente naturale e lagunare, Concardi (voce discreta) ci illustra questo itinerario letterario, richiama l’attenzione sulle radici lagunari di Zanon per rilevare l’importanza che ha la natura ambientale e naturalistica, così i vari luoghi paesaggistici e l’alternanza stagionale che influenzano la “metamorfosi” dei luoghi. Argomenti che innestano nel Poeta il rapporto con il destino, sia dell’uomo, sia della stessa natura; è ciò che ci porta a considerare la Natura quale rimedio lenitivo. Così Emilia Greco Genesio dice che il nostro poeta si abbandona alla contemplazione del mare e quindi della sua laguna veneta; e di ricalzo Nazario Pardini scrive dell’effetto “luminoso” esercitato dalla primavera; Dino Manzelli ricorda la volontà del Poeta di lasciare una «memoria significativa», senza trascurare anche Mestre come osserva Maria Teresa Secondi; infine Maria Rizzi annota uno spietato confronto con il passato della repubblica veneziana.
Quanto al tema della morte, Niccolò Martinetto individua una «amara speranza e paura per la solitudine del domani»; ma, come osserva Angela Ambrosini «Maurizio Zanon recupera il senso stesso dell’esistenza». Il tema della morte è pressante, così Concardi fa notare che la prima poesia composta da Maurizio Zanon, quattordicenne, s’intitola Cimitero; d’altronde il Critico osserva che «senza alcune passioni che lo hanno fatto sentire vivo, la vita non avrebbe avuto nessun senso».
Quanto al tema dell’amore, come si sa, l’amore o meglio l’innamoramento è esaltazione della persona nell’aspetto psicofisico; la letteratura ne è piena e il poeta Zanon sogna un futuro radioso. Dino Manzelli «Leggere Poesie d’Amore rievoca … Dante e del Petrarca per una donna angelicata»; sulla stessa onda, ma solcata secondo i nostri tempi, sono Guido Miano, Mario Santoro, Raffaele Piazza che aggiungono leggera sensualità o un «erotismo delicato»; tuttavia Maria Rizzi scrive: «ricorrono i temi della solitudine, dell’età che avanza, delle malattie e dell’amore, un amore che commuove, perché rappresenta l’unico urlo tra tanti versi sussurrati». D’altronde Maurizio Zanon sostiene che «Nell’amore non ci deve essere soltanto l’esaltazione di un sentimento per una donna, ma anche quello trionfante e giocondo per la natura, per i luoghi cui si lega affettivamente la nostra esistenza e quello per la vita in generale».
***
Eccoci alla Analisi ragionata dei saggi critici riguardo a Maurizio Zanon, a cura di Enzo Concardi, il quale ha preso le mosse dalla pubblicazione di Maurizio Zanon, nel 2016, della silloge I messaggi del tempo organizzata in cinque sezioni tematiche; ciascuna di esse accompagnata da un saggio critico. Tutto quanto precede può servire per conoscere il poeta di cui ci occupiamo. Concardi ci dice che i cinque saggi del volume I messaggi del tempo «sono studi di letteratura comparata che hanno l’intento di mostrare la caratteristica universale e metatemporale della cultura in generale e della poesia in particolare». I titoli dei cinque saggi contengono in sé la tesi su cui argomentano; autori sono i seguenti.
Angela Ambrosini nel suo saggio, L’incanto della memoria in Maurizio Zanon e Francisco Brines, rileva nel poeta spagnolo la gioia attraverso l’uso del presente verbale alla pari di Zanon. Guido Miano ha composto due saggi: in uno, Il tema del tempo nei testi di Maurizio Zanon e di Vladimir Nazor, afferma che nel poeta croato emergono «richiami esistenziali»; e nell’altro, Il percorso della spiritualità in Maurizio Zanon e Pablo Antonio Cuadra, assicura che la spiritualità del nicaraguense si accosta perfettamente a quella religiosa. Lo stesso Enzo Concardi compone due saggi: in uno, Il tema dell’amore in Maurizio Zanon e Gustavo Adolfo Bécquer, premettendo che «lo slancio del cuore produce sempre energie positive», afferma che nel poeta spagnolo è presente una sorta di panteismo naturalistico; e nell’altro, Il tema della Natura Medicatrix in Maurizio Zanon e Percy Bysshe Shelley, possiamo dire che nonostante le forze avverse della natura (per esempio mare e vento), la natura diventa un rimedio per gli animi tormentati; il poeta inglese è morto nel mare della Versilia per il naufragio della sua barca a soli 34 anni.
Nell’Epilogo, Enzo Concardi conclude con le parole di Mario Stefani da cui abbiamo iniziato, a sigillo della figura di Maurizio Zanon: «Vi è però una luce, è quella dell’amicizia, del camminare assieme, metaforicamente s’intende, per questa via, breve o lunga, accidentata o meno, che è la nostra vita. Ma Zanon vuole essere umano prima che poeta e questa è la sua salvezza».
Tito Cauchi
Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-24-0, mianoposta@gmail.com.
Roberto Casati, "Come armonie disattese"
Roberto Casati
COME ARMONIE DISATTESE
Con la sua nuova raccolta di poesie Roberto Casati emerge ancora una volta come una delle figure più significative della poesia italiana contemporanea.
Come armonie disattese (Guido Miano Editore, Milano 2024) è una raccolta che, come scrive giustamente Enzo Concardi nella prefazione, si situa come continuum rispetto al suo libro di poesie precedente Appunti e carte ritrovate (pubblicato sempre con Guido Miano Editore), libro che meritatamente ha riportato eccellenti consensi dalla critica che si possono tra l’altro leggere nelle motivazioni delle giurie dei premi letterari che ha vinto.
Il Nostro in Come armonie disattese, pur partendo dalle esperienze precedenti, accentua il tono di vaghezza, di sospensione nei suoi componimenti che sembrano il precipitato di sogni ad occhi aperti che hanno anche una patina di espressione surreale e prevalgono anche qui i temi dell’amore per l’amata e della capacità di stupirsi di fronte alla bellezza della natura.
Denominatore comune del poiein di Casati in tutta la sua produzione di poeta neolirico tout-court è quello di produrre tramite le metafore frequenti memorabili epifanie, accensioni subitanee e folgoranti che vengono percepite dal fortunato lettore, per la loro chiarezza già da una prima lettura.
Rarefatta, ben cesellata e raffinata, icastica e nello stesso tempo leggera la forma di questi componimenti sublimi che hanno per tema un amore sensuale per la figura femminile che pare avere qualcosa di salvifico e qui s’innesta il discorso sulla capacità d’amare e sull’eterno femminino perché la stessa amata e amante si fa musa e ispiratrice di versi memorabili.
«Ho rubato i tuoi occhi / sulla linea del non visto, / dove la notte / non è più il pensiero perduto ieri, / dove il giorno / non è ancora il colore sui tuoi anticipi. // Sono rimasto troppo / davanti a te, / cercando con le dita / di sfiorare l’ombra / sugli angoli dimenticati. // Nel tempo che conosco da ieri / sguardo / dato e ripreso / mille volte per sempre».
Nella suddetta poesia si nota anche una forte sensibilità verso il tema del tempo nel nominare con urgenza notte e giorno, e come scrive Casati si può avere anche una conoscenza del tempo e uno sguardo può essere dato e ripreso mille volte ma anche per sempre e qui viene in mente l’attimo heidegeriano feritoia tra passato e futuro quando il tempo virtualmente si ferma in un presente infinito.
‘Armonie’, come leggiamo nel titolo della raccolta, ma ‘disattese’ come se entrasse nella poetica di questo volume di Casati, rispetto agli altri libri un fattore x, una nuova tonalità giocata sulla tastiera analogica.
Con la sua scaltra coscienza letteraria nomina la parola disattese per farci comprendere tutto il pathos che ci può essere in una relazione amorosa che la stessa donna-musa traduce in poesia, come se dettasse lei i versi al poeta stesso, versi, e questo va sottolineato, sempre controllatissimi pur nella loro fortissima carica d’ipersegno.
Disatteso infatti è un termine forte e ricco di significati come dimenticato, tralasciato, non considerato, non osservato e definire le armonie disattese è un modo di farci intendere che nei sentimenti come nella scrittura poetica è sempre tutto sospeso e non scontato e vengono in mente i versi di Goethe a questo proposito: «essere tutto gioia e patimenti… / felice è solo l’anima che ama».
Raffaele Piazza
Roberto Casati, Come armonie disattese, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 164, isbn 979-12-81351-31-8, mianoposta@gmail.com.
Aldo Dalla Vecchia, "La tele a Torino"
La tele a Torino
Aldo Dalla Vecchia
Buendia Books, 2023
pp 105
5,50
Un agile ed economico manualetto tascabile, a guisa di un piccolo scrigno prezioso. Raccoglie 70 anni di televisione legata a una città che non è la Roma della Rai né la Milano di Mediaset, bensì l’austera, elegante e proficua Torino.
“È un destino, o forse fa parte del carattere dei torinesi: il cinema è nato a Torino ed è stato scippato, la televisione è nata a Torino ed è stata scippata, la fiera del libro è nata a Torino e hanno tentato di scipparla…” (pag 82)
Aldo Dalla Vecchia, autore televisivo che del mezzo è innamorato da sempre, ci racconta le radici piemontesi della tivù italiana, elencando, in una sorta di dizionario minimo, tutti i personaggi che hanno gettato le basi di questa grande operazione culturale e d’intrattenimento. Nomi noti e meno noti, conduttori come Mike Bongiorno, ma anche grandi intellettuali del passato come Umberto Eco.
Uomini volitivi e appassionati, donne emancipate che sono state d’esempio per il loro genere; anni ruggenti e romantici che purtroppo non torneranno più. Per quanto i programmi continuino ad esistere sotto varie forme, il momento d’oro della televisione sembra ormai passato – ammettiamolo – così come ahimè defunti sono i giganti che hanno reso grande questo mezzo allora pionieristico.
Completano l’opera belle interviste a grandi signore della tivù come Enza Sampò, Raffaella Carrà e la regista Alda Grimaldi, un approfondimento sul museo sabaudo della Radio e della Televisione, e un gustoso racconto inedito di ambientazione piemontese, di argomento catodico e di genere thriller.
Nell’insieme, un altro cameo imperdibile di Aldo Dalla Vecchia.
Roberto Casati, "Come armonie disattese"
Roberto Casati
Come armonie disattese
Guido Miano Editore, Milano 2024
Nell’opera poetica di Roberto Casati, Come armonie disattese (Guido Miano Editore, Milano 2024) ritroviamo un motivo romantico decadentemente-nostalgico («…ho fermato le tue mani sulle mie labbra, / e rubato ciò che resta / di quello che non saremo mai più domani», p.21; «…il freddo di una primavera / che come te tarda ad arrivare», p.31); nonché similitudini e metafore («Il tempo breve alle distanze», p.33; «sapori non banali dell’essere», p.34); nonché la propensione verso l’oltre e la dimensione umana temporale; nonché il cesello letterario («sento il non scontato del tuo profumo», p.37; «cruda realtà l’indifferenza che / ancora una volta uccide donna e amore», p.73); nonché il lirismo («…Sorridi nell’ultima foto / reggendo con dolce carezza / la vita del tuo bimbo…», p.73; «…solo cerco in silenzio / la fragile lucciola accolta nella mano», p.72); nonché la passione («…la febbre indefinita / che ridona tensione al sospiro d’amore», p.22; «domani forse ricorderai /… la tua mano dimenticata nella mia…», p.48).
Il rifugiarsi nella natura ed esaltarne la bellezza, per consolarsi delle più o meno avverse vicissitudini esistenziali («il vociare della piazza in primavera», p.48) è un motivo ricorrente.
Ci complimentiamo per i buoni sentimenti e la sensibilità cromatico-affettiva dimostrata nell’esposizione accoratamente poetica di luoghi e stati d’animo, augurando al Casati, in un futuro non lontano, di poter coronare i suoi lirici sogni di pace e benessere comune.
Poetessa Fulvia Donatella Narciso
(in arte Viulfa Scaroni)
POESIE
*
Quello che capita
in stanchi momenti
rimuove dal cuore le disattenzioni,
scivolando oltre il già visto,
forse un grido più volte riconosciuto.
Dietro l’angolo
sfuggono parole antiche,
e quello che mi confonde
sono i tuoi sguardi,
oltre gli angoli a dare senso alla notte.
Ho bruciato parole
e raccolto fiordalisi ormai appassiti,
ho fermato le tue mani sulle mie labbra,
e rubato ciò che resta
di quello che non saremo mai più domani.
*
Scivolano dimenticati sguardi
stanche ipotesi
sulla sabbia alzata dal vento,
segreto svelato in crepe antiche.
Ti aspetto ancora qui,
frase improbabile
di un percorso già abbandonato.
Sfidando il freddo di una primavera
che come te tarda ad arrivare.
Attraversi l’ombra all’ultimo bagliore
portandomi nel tuo tempo,
in una sera inquieta che
copre le spalle di un velo leggero.
Cammini, guardando il mare,
un sorriso di breve felicità,
gli occhi fatti di segrete parole e
i piedi bagnati dalla risacca.
Mentre mi passi accanto
sento il non scontato del tuo profumo
raccontare l’origine della meraviglia,
una imperdonabile lusinga.
Allora capisco che voglio portarti
nel mio orizzonte, nascondendoti al mondo
per il tempo esatto in cui i nostri occhi
vedranno insieme alba e tramonto.
L’AUTORE
Roberto Casati (Vigevano, PV, 1958) si è occupato di informatica gestionale. Ha pubblicato i libri di poesie: Amore e disamore (1984), Roma e Alessandra (1986), Coincidenze massime (1988), Ipotesi di fuga (1992), In navigazione per Capo-Horn (1999), Carte di viaggio (2016), Appunti e carte ritrovate (2020). Ha conseguito molti premi e riconoscimenti; tra i più recenti ricordiamo il primo posto al "Premio Letterario Internazionale Tulliola-Renato Filippelli" del 2023.
Premio Internazionale di Arte Letteraria "Omaggio a Pasolini"
Venerdì 17 maggio 2024 si svolgerà a Roma la Cerimonia Premiativa del Premio Internazionale di Arte Letteraria Omaggio a Pasolini. Un Premio dedicato al grande artista, poeta, scrittore, giornalista e regista Pier Paolo Pasolini, considerato tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento.
L’evento si svolgerà nella sala a volta del seminterrato originario del ristorante “Il Pommidoro” nato nel 1890 e del quale Pasolini era un cliente abituale. Il gestore del ristorante, Aldo Bravi, venuto a mancare nel 2021, era grande amico e fedele confidente di Pasolini. La figlia, Alessandra Borgia-Bravi ha ripreso in mano il ristorante con la stessa filosofia gastronomica, passione e grande senso di accoglienza. Fu proprio in questo storico ristorante che Pier Paolo Pasolini consumò la sua ultima cena, prima di essere assassinato a Ostia, nella notte del 2 novembre 1975. Lo stesso Pasolini aveva lasciato ad Aldo Bravi un assegno di 11000 lire per pagare ciò che aveva consumato, quasi fosse un segno premonitore. Dopo quella tragica notte e la notizia della morte di Pasolini, il proprietario del ristorante decise di non incassare l’assegno ma di farlo incorniciare in un quadro con il ritratto di Pasolini, affinché fosse esposto al pubblico. Questa testimonianza simbolica sarà posta dietro al tavolo dell’ autorevole giuria, la sera della Premiazione .
Il Pommidoro è noto anche perché, nel corso degli anni, è divenuto punto d’incontro di molti artisti, cantanti, registi e giornalisti famosi in Italia e nel mondo intero. Nello stesso quartiere San Lorenzo, vicino alla Stazione Termini, dove si trova il ristorante, si può trovare l’anima della “movida studentesca dell’Università della Sapienza”, sita nelle vicinanze. Ricordiamo che il film di e con Paola Cortellesi dal titolo ‘C’è ancora domani’ fu girato proprio qui, ottenendo un grandissimo successo nel panorama nazionale e internazionale. Ad affiancare Paola Cortellesi, un altro famoso attore, Valerio Mastandrea che ha confermato la sua presenza all’evento del 17 maggio al ristorante Il Pommidoro, di cui è cliente fedele ogni qualvolta si trovi a Roma. Durante la serata, l’attore e regista riceverà una vela in marmo di Carrara come Premio Eccellenza alla Carriera.
La cerimonia si svolgerà dalle ore diciotto alle venti circa e, durante la stessa, si alterneranno contributi artistici e musicali. Il desiderio, l’impegno e la volontà degli Organizzatori è mirato ad onorare tutte le attività del poliedrico artista Pier Paolo Pasolini durante la sua carriera: poesia, teatro, cinema, romanzi, scenografia, fotografia. La giuria ha selezionato vari artisti provenienti da tutta Italia, con percorsi culturali di grande pregio. A questi verranno consegnati diplomi e medaglie come simbolo e a ricordo della serata. Si potranno ascoltare canzoni dal vivo sul tema pasoliniano, grazie a Rocco Rosignoli, ma anche canzoni tradizionali della romanità, grazie ad Alessandro Salvioli. Ci saranno momenti dedicati alle letture di testi e poesie con attori come Trifone Gargano e Giancarlo Gori. La serata continuerà dalle ore ventuno alle ore ventitré con una cena gastronomica romana DOC, cucinata dallo Chef Amedeo Borgia e il suo meraviglioso staff. L’evento sarà ripresa dal noto fotografo romano Ivan Cortellessa e la direzione artistica curata da Aldo Bravi junior.
L’organizzazione dell’ evento ha avuto l’onore di ricevere il patrocinio del “Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia nel Friuli”. La sua direttrice, Flavia Leonardeschi, sarà presente alla serata. Le realtà associative che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento sono : Associazione Culturalmente Toscana e dintorni, Cenacolo Internazionale di Arte Letteraria le Nove Muse, Union Mundial de Poestas por la Paz y por la Libertad, Ciesart. La prof. e critico letterario Marina Pratici ha gestito con grande professionalità l’intera organizzazione, coadiuvata da Patrice Avella, Gaia Greco, Alessandra Casciari.
La giuria internazionale sarà rappresentata dalla pianista classica internazionale Catia Capua, la giornalista della stampa internazionale Séverine Kittler, il filosofo e docente romano Francesco Sirleto e il giornalista greco Dino Koubatis. Presidente Onorario sarà la figlia di Aldo Bravi, Alessandra Borgia-Bravi. Gli illustri artisti selezionati che verranno premiati: Elisabetta Petrolati, Fabrizio Oddi, Giovanni Ronzoni, Annella Prisco, Mary Attento, Maria Teresa Infante, Massimo Massa, Alessandro Russo, Mauro Montacchiesi, Elisabetta Biondi della Sdriscia, Lisa Bernardini, Giancarlo Gori, Trifone Gargano, Davide Magnisi, Marco Tummolo, Rocco Rosignoli, Domenico Palattella, Andrea Ungheri, Lisa di Giovanni, Gordiano Lupi, Rosella Lisoni.
L’obiettivo degli Organizzatori è quello di creare un premio itinerante da svolgersi in altre città italiane e in Europa, per dare ancora maggior prestigio e onore all’artista Pier Paolo Pasolini. Numerosi media italiani e internazionali saranno invitati ad assistere all’ l’evento culturale.
GORDIANO LUPI - direttore editoriale del Foglio Letterario -
Riceverà il PREMIO ALLA CARRIERA nel quadro del PREMIO PASOLINI
Gordiano Lupi (Piombino, 1960). Collabora con Futuro Europa, Inkroci, La Folla del XXI Secolo, Le Cinéma Café Magazine, La Linea dell’Occhio e altre riviste. Dirige le Edizioni Il Foglio, che ha fondato nel 1999. Traduce scrittori cubani: Alejandro Torreguitart Ruiz, Felix Luis Viera, Heberto Padilla, Guillermo Cabrera Infante… Tra i suoi molti lavori ricordiamo: Nero Tropicale (2003), Cuba Magica – conversazioni con un santéro (2003), Un’isola a passo di son - viaggio nel mondo della musica cubana (2004), Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura (2004), Tomas Milian, il trucido e lo sbirro (2004), Serial Killer italiani (2005), Nemici miei (2005), Le dive nude - Il cinema di Gloria Guida e di Edwige Fenech (2006), Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci (2006), Orrori tropicali – storie di vudu, santeria e palo mayombe (2006), Almeno il pane Fidel – Cuba quotidiana (2006), Avana killing (2008), Mi Cuba (2008), Fernando di Leo e il suo cinema nero e perverso (2009), Fellini - A cinema greatmaster (2009), Cozzi stellari - Il cinema di Lewis Coates (2009), Velina o calciatore, altro che scrittore! (2010), Tinto Brass – il poeta dell’erotismo (2010), Laura Gemser (2011), Fidel Castro – biografia non autorizzata (2011). Tra i suoi ultimi progetti c’è una Storia del cinema horror italiano in cinque volumi, Soprassediamo! - Franco & Ciccio Story e Tutto Avati (con Michele Bergantin). Ha tradotto - per Minimum Fax - La ninfa incostante di Guillermo Cabrera Infante (Sur, 2012). ). I suoi noir più recenti sono Sangue Habanero (2009) e Una terribile eredità (2009), ristampato come Fame - Una terribile eredità (2015). I suoi romanzi più recenti: Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino (2014), Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano (2016), Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (2018), tutti presentati al Premio Strega. Ultime uscite dedicate alla sua cità: Amarcord Piombino, Piombino mi rammento, Il fantasma di Alessandro Appiani, La città del ferro, Giallo Piombino. Sta lavorando ad alcuni libri di cinema: il fenomeno Lacrima movie, Sergio Citti, Joe D’Amato e Laura Antonelli. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/). Pagine web: www.gordianolupi.it. E-mail per contatti: lupi@infol.it
Guido Morselli, "Gli ultimi eroi"
Gli ultimi eroi di Guido Morselli
Il Saggiatore – Euro 29 – pp. 630
Guido Morselli è uno dei casi più strani della letteratura italiana, o meglio, non lo è più di tanto, perché non è un autore commerciale e non ha mai avuto un carattere semplice, ergo non veniva pubblicato, preferendo autori più leggeri, con poche cose da dire ma vendibili e più malleabili da un punto di vista caratteriale. Storia vecchia che si ripete anche oggi, basta guardarsi in giro e vedere che cosa propongono in vetrina le nostre librerie. Tutti i suoi romanzi migliori (Il comunista, Roma senza papa, Dissipatio H.G., Contro-passato), sono usciti dopo il 1973, anno della sua morte (aveva 62 anni) per suicidio, autore postumo per antonomasia, outsider in vita come in morte, ché non sarà mai un campione di vendite. L’ultimo rifiuto è la goccia che fa traboccare il vaso (già colmo) del povero Morselli, che - pur perdonando tutti - non riesce a perdonare se stesso di non avercela fatta a farsi capire. Vive in provincia Morselli, sul Lago di Varese, scrive molto, non solo romanzi, anche articoli per il quotidiano locale, racconti, progetti per il teatro, sceneggiature, materiale che ritroviamo in questa raccolta de Il Saggiatore che definirei meritoria. Morselli ha uno stile personale e un’indipendenza di giudizio difficili da trovare, fuori dalle mode e lontani da ogni possibile compiacimento a quel che il pubblico vorrebbe sentirsi dire. Racconti e romanzi che sono una via di mezzo tra il saggio filosofico, la cronaca e la narrazione pura, dove la fantasia si abbevera sempre alla fonte della realtà. Morselli resta un magnifico dilettante, come avrebbe voluto essere chiamato, un dilettante di razza, molto professionale, eccentrico, poliedrico, diverso da tutti, uguale solo a se stesso. La raccolta che va sotto il titolo de Gli ultimi eroi merita una lettura per capire molti temi narrativi di Morselli e apprezzare in nuce tematiche che sono sviluppate meglio nei romanzi. Facciamo alcuni esempi. Il grande incontro ipotizza un surreale colloquio tra Stalin e Papa Pio XII in Vaticano; Fantasia con moralità anticipa molte tematiche di Dissipatio H.G., si compone di una parte narrativa e di una critica, inoltre mette in scena l’angoscia per la morte umana; La voce è un dialogo fantastico tra Pinelli e il commissario Calabresi, forse scritto un anno prima della morte; Sono sana anticipa il romanzo Brave borghesi e vede protagonista una donna frigida, solitaria e antimondana; Mondo su mondo sono riflessioni su turismo e consumismo, passando per la protezione del paesaggio; Ho dirottato sul guardrail racconta la storia di una donna che provoca un incidente per farsi considerare da un marito assente … Racconti che spesso sono piccoli saggi e articoli, riflessioni, in certi casi sceneggiature teatrali mai rappresentate, soggetti e lavori del tutto inediti. Edizione molto buona, giustificato il prezzo di euro 29 per 630 pagine accompagnate da saggi critici, curati da Giorgio Galetto, Fabio Pierangeli e Linda Terziroli. Allegato centrale in carta patinata con le riproduzioni dei manoscritti autografi di Morselli, vergati con scrittura rapida e nervosa, piena zeppa di cancellature, note a margine e riscritture.
Guido Morselli, scrittore impubblicabile
Nasco a Bologna nel 1912. Mio padre Giovanni è direttore della Carlo Erba, chimico illustre, stimato dai Visconti di Modrone; mia madre Olga è casalinga, figlia di aristocratici; ho pure una sorella (Luisa), più grande soltanto di un anno. Nel 1914 andiamo a vivere a Milano, dove nasce Maria, l’altra sorella, mentre io cresco strano per una casa di gente pratica e scientifica, amo solo le cose scritte e poi stampate. Otto anni e leggo il quotidiano, comincio a scrivere un romanzo come La mia vita, parlo di quel che ancora deve cominciare, va da sé che non lo finisco, sarà la vita vera a continuare. Son bimbo ribelle, vivace, ruvido, scontroso. Mi puniscono spesso ché faccio giocare le sorelle a cose da maschi, troppo pericolose. Amo mia madre, ricordo e mi commuovo quando penso che cantava la dolce filastrocca: Guidolino, Guidolinetto, eccolo qui il mio bell’ometto. Mio padre lo rispetto, ma è troppo diverso da me, non ci capiremo mai e niente faremo per capirci, per stare vicini, neanche dopo che mamma volerà via dai nostri lidi. Siamo a Varese, nella villa estiva di via Limido, quando muore il nonno e nasce Mario, il fratello più piccolo. Mia madre s’ammala della terribile spagnola, va in clinica a curarsi, poi a Gardone, ma niente può contro il tremendo male. Ho solo 12 anni quando muore e io non so che fare, senza la sua dolce voce mentre canta; Luisa mi farà da madre tredicenne, forte e risoluta, proprio come lei. Irrequieto come pochi, di spirito ribelle, animo avventuroso, faccio incazzare mio padre mica poco: guido l’auto di famiglia di nascosto, rischio incidenti, vado male a scuola, non studio che le cose preferite. Mi piace leggere romanzi, scrivere racconti, ma odio tutto quel che mi ricorda scienza e matematica, persino filosofia e geografia non le sopporto, così diverso da mio padre, amo solo la letteratura. Mi respingono in matematica e filosofia, quando riparo a ottobre il commissario mi promuove dietro giuramento di non iscrivermi per nessuna ragione a scuole scientifiche. Non mi passa neppure per la testa. Prima vacanze borghesi al Forte, in Versilia, dove diciassettenne m’innamoro per la prima volta d’una dolce ventenne fiorentina; poi torno a casa e come scuola scelgo il classico, il famoso Parini di Milano. La scuola è per me un inferno senza fine, vado avanti senza gran passione, boccio alla maturità in tre materie. Greco, matematica e filosofia, scogli insuperabili di questa vita mia. Studio da privatista, ché al Parini non ci torno, non fa per me quella scuola austera, ripeto l’esame un anno dopo e mi prendo una rivincita importante, ché il mio tema viene ben lodato da un bravo commissario d’italiano. In ogni caso meglio cinema e teatro che studiare, al limite leggere e ballare, andare a cavallo, sciare, far di nuoto, queste le mie passioni. Ma mio padre mi vuole laureato. Lo compiaccio, tanto mi costa poco. Mi iscrivo a legge e supero gli esami senza amore. Non sarò mai avvocato, questo è chiaro. Scrivo tanto, invece, su Libro e moschetto, giornale della gioventù fascista; cado innamorato tra le pagine di Einstein e della sua teoria della relatività, nonostante la poca passione per le scienze; scopro Shakespeare e il formidabile Amleto, Ivanhoe di Scott e Dante Vivo del Papini. Sono allievo ufficiale a Bassano del Grappa, tra gli alpini, mi fidanzo con Carla a mezzo cartoline che trasudano amore appassionato, stremato amore d’una vita mai compiuto. Torno a Milano da ufficiale, litigo con mio padre ché l’avvocato proprio non lo voglio fare; leggo Bergson, Turgenev, Palazzeschi, curioso onnivoro di tutto quel che è scritto, saggio o romanzo non importa mica. Viaggio molto: Algeri, Tunisi, Palermo, Parigi, Londra, i monti del Tonale, Oslo, Copenaghen, persino Germania … Mio padre mi vorrebbe a lavorare, mi trova pure un posto come promotore di un’azienda, un lavoro che in fondo saprei fare, ma non ci voglio stare, scappo via dopo un anno, cerco la mia strada. Intanto muore anche Luisa, la mia dolce mammina tredicenne, in una splendida giornata di primavera del 1938, prende la tubercolosi a 27 anni, dopo aver sofferto di spagnola. Scrivo un diario dove annoto i miei pensieri, le mie letture che van da Fogazzaro a Pascal, passando per Ranzoli e Montaigne. L’ultima feroce discussione con mio padre, dopo una colazione di famiglia, mi porta in dote la sospirata libertà sotto forma di modesta rendita che mi affranca dal lavoro. Mio padre non capisce, ma che importa! Vivo bene solo. Voglio scomparire. Voglio essere nessuno. Voglio leggere e scrivere, soltanto, avere per compagni Leopardi, Dante, Schopenauer, Balzac, Rousseau e tanti altri sodali d’avventura. Nel diario scrivo le prime frasi sul suicidio, cosa nefasta, gesto da condannare, ché nega la speranza, l’istinto vitale che non si può tradire. L’Italia entra in guerra, io sono a Varese, leggo Proust e Nietsche, scrivo Filosofia sotto la tenda. Proust è il mio amore letterario, sottolineo, quindi ricopio brani de La recherche mentre scrivo cartoline a Carla e un saggio sul mio scrittore preferito, che pubblicherà Garzanti, pure se la stampa la pagherà mio padre. Conosco Rilke e la sua poesia infinita, soprattutto incontro Maria Bruna Bassi, confidente di tutta la mia vita, amica di famiglia che vive poco distante dalla villa di Varese. Leggo di tutto, la mia guida autodidatta è il pensiero estetico che bramo, il problema di Dio, l’esistenza del male, la natura, il sentimento che condusse Proust a scrivere i suoi capolavori. Sono in Calabria ad attendere la fine d’una guerra che non vuole resa, scrivo nei diari, leggo libri e abbozzo quel primo romanzo, Uomini e amori, lavoro che non amo, dove parlo un po’ di me, nascondendomi dietro ai personaggi. Lascio l’esercito dopo l’armistizio, vivo da Gigetta, una vecchia signora che mi ospita, continuo le letture, da Pascal a Croce, frequento pure Cecov e Tolstoj. Una triste notizia giunge da Bologna e mi fa soffrire: l’amato zio Goffredo morto suicida, malato terminale, lo zio che da bambino mi era stato più vicino. La mia vita è fatta di letture, non conta tanto dove sono stato ma gli autori che ho letto e frequentato: Leopardi, Bernanos, Borgese, Bacchelli, Moravia, Baudelaire, Poe, Fogazzaro … Lavoro al mio romanzo calabrese, comincio ad avvicinare gli editori ma tra di noi non sarà mai una bella storia, infine vado a Milano dall’amico Banfi e con me spesso c’è la Maria Bruna che capisce le pene del mio cuore. Pubblico Realismo e fantasia, a mie spese, meglio … a spese di mio padre - in casa è lui che allarga i cordoni della borsa -, un saggio che sarà l’ultima cosa pubblicata in vita. Per tutto il dopoguerra scrivo tanto: finisco il romanzo calabrese e scrivo Incontro con il comunista, provo a spedire agli editori - persino Mondadori! - ma è tutto inutile, non mi stanno mai a sentire, il romanzo uscirà su La Provincia di Varese, poche puntate, poi dentro un cassetto. Vado a vivere a Varese, nella villa di famiglia di via Limido, non mi attira la vita di città, balli e ricevimenti più non voglio, amo la campagna, la natura, il bosco, i miei cavalli, e poi leggere, scrivere, studiare, con la sola compagnia di Maria Bruna. Poi di amici me ne restan tanti, da Thomas Mann a Gide, persino Kafka, Flaubert, de Musset, Renan e il vecchio Stendhal … Annoto frasi nelle mie agendine, riporto il mio peso, lo stato di salute, le disavventure del mio cuore, provo mille volte a smetter di fumare, senza riuscire. Vorrei scrivere un romanzo ambientato in Germania ma non lo finisco, intanto scrivo per diversi quotidiani, vado a Milano, in Svizzera e a Lugano. Bompiani dice no a Uomini e amori, non è mica il solo, ma io mi consolo scrivendo saggi, racconti e articoli, che faccio ricopiare da solerti dattilografe e pubblico su giornali, poi ripongo in cartelle e nei cassetti. Scrivo sceneggiature e commedie, una conversazione su Proust che porto alla Rai, filosofeggio con Calogero e lui m’incoraggia, pure se un tempo la filosofia m’era indigesta. Compro una macchina alla moda, una Lancia Ardea con le tendine che userò per amoreggiare, mentre Mario si sposa - nonostante il mio odio per le feste mi tocca far da testimone - e Maria mi dà nipoti su nipoti. Maria Bruna è la sola amicizia intelligente, l’unica donna con cui posso parlare, quella che mi comprende, che vien con me a Lugano, alla Radio Svizzera, dove leggo un testo e consegno una commedia, poi mi accompagna a Milano da Indro Montanelli. Mio padre mi regala un podere verso Gavirate dove amo andare a passeggiare, cercare quiete, cavalcare in groppa a Zeffirino, curare vitelli appena nati, occuparmi della fattoria, piantare rose, arbusti rampicanti, alberi da frutto. Faccio testamento nel 1951, ho solo 39 anni ma devo pensare a chi lasciare i libri (al comune di Varese) e le carte (a Maria Bruna), dicendo pure che la mia pistola Browning voglio donarla a Mario, ma che stia attento: è carica. Provo ancora a pubblicare con Garzanti, vado da Streheler a proporre una commedia, discuto, litigo, sono irremovibile su quel che non voglio abbandonare; scrivo articoli e leggo tante cose, mentre il mio diario raccoglie sensazioni, sfiducia, momenti tristi, un po’ di depressione. Coltivo i campi del mio bel podere dove imparo a produrre del buon vino e annoto le spese per il cavallo, giro un documentario nel giardino e infine lo spedisco alla Ferrania; scrivo lettere come un disperato, al Corriere della Sera, a Spadolini, a Umberto di Savoia … Litigo con mio padre e fuggo in Germania, a Bonn - in un mese cambio quattro alberghi - e da lì collaboro con Il Mondo di Pannunzio per raccontare la vita quotidiana dei tedeschi. Leggo Thomas Mann e scrivo dizionari dietetici, passo a Einstein e riprendo il paesaggio estivo di Varese, penso a come risolvere il problema meridionale e spedisco copioni a Visconti. Muore la mia cara Gigetta che mi ospitò in Calabria, ci eravamo scritti tante lettere, mando fiori ma non vado al funerale, sono sempre più legato al mio cantuccio della campagna varesina, poi c’è mio padre che sta molto male. Il dottor Morselli, come tutti lo chiamano, muore a 84 anni, nel 1958; provo un gran dolore, ché non ci siamo mai capiti, non c’è stato tempo di spiegare, forse non lo abbiamo mai trovato. Fede e critica è il mio ultimo lavoro, ci credo, lo porto in Feltrinelli da Spagnol, ma non va bene, non va mai bene niente con questi editori da strapazzo. Vivo nel mio villino di campagna, senza telefono, senza televisore, solo molto tardi deciderò di comprare un frigorifero, ma quando è fresco basta tenere fuori il cibo che mi va di conservare. Carla rifiuta di sposarmi. Non ci vengo a seppellirmi in mezzo ai campi, dice. Restaci tu. Restaci con la tua gatta. Farò a meno anche di lei, tanto ho i miei libri, il mio cavallo, le mie vigne, di puttane ne trovo quante voglio … poi però ci ricado e m’innamoro, non mi fa bene innamorarmi, ormai lo so, quando finisce resto ancor più triste e solo. Che amore d’Egitto! Lei scappa al Cairo e io comprendo che non era amore, la scaccio via dalla mia vita, non la voglio proprio più vedere, meglio le mie giovenche, le mie mucche, la mia campagna in fiore. Roland Barthes e Umberto Eco sono i nuovi miti, accanto a un sacco di letture che parlano di laici e cristiani, poi scrivo Un dramma borghese, lo mando in lettura, solo Sereni risponde per la Mondadori. Non va bene, peccato. A Moravia piace ma non ha il potere di farlo pubblicare. Non me ne curo, prendo un po’ di appunti, ché voglio scrivere il mio romanzo più importante, Il Comunista, dove metto dentro persone vere e fantasie d’autore. Leggo e rispondo a chi scrive che il romanzo è morto, che non è tempo più di far romanzi, dico che la narrativa è l’unica possibilità per la letteratura. Non mi pubblica nessuno, neppure gli articoli, passo per un tipo un po’ bislacco, dal carattere impossibile, litigo con un sacco di persone mentre scrivo Contro-passato prossimo e finisco Il Comunista. Le donne mi fanno soffrire, gli editori pure, nonostante Sereni lo proponga, nessuno vuole Un dramma borghese, io sprofondo ne La nausea di Sartre e mi faccio ancor più male. Scrivo un nuovo testamento. L’ultima illusione è Il Comunista, ché Rizzoli lo pubblicherebbe, firmo un contratto ma non viene rispettato, sciolto dopo un anno e mezzo, senza motivo. Scrivo senza speranza Roma senza Papa, lo accetta solo Rebellato, tra i tanti editori da me selezionati, ma solo se pagherò la stampa. Leggo Il mestiere di vivere di Cesare Pavese e annoto un sacco di appunti sul suicidio. Il testamento è pronto, ormai da tempo. E scrivo sempre meno sul diario, soltanto poche note. Passeggiare in montagna insieme a Maria Bruna è la sola cosa che mi resta. È il 1973, il 31 luglio, trovo tra la posta due manoscritti di Dissipatio H.G., rifiutati. Troppo per continuare ad accettare. La pistola militare Browning è sempre carica. La uso. Sulla mia testa. Nel bagno. Seduto su una sedia a sdraio di tela. La mia ragazza dall’occhio nero non fallisce. Forse la sola che non mi ha mai tradito. Non ho rancori. Non ne ho mai provati. Abbiate solo cura dei miei libri.