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recensioni

Alessandro Del Gaudio, "L'alba del vespero"

6 Maggio 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Alessandro Del Gaudio
L’alba del vespero
Pubme/Milos - Pag. 310 - Euro 17

 

Alessandro Del Gaudio ha pubblicato una ventina di romanzi dal 2001 a oggi, anno in cui ci siamo conosciuti, quando lui aveva appena mandato in stampa Il candore dei ciliegi, romanzo dedicato al Giappone, e io mi pare che mi trovavo a Torino per promuovere un invendibile romanzo horror. La sua produzione varia dal fantastico al romanzo sentimentale, ma nel fantasy la sua penna trova la consacrazione più adeguata. Abile saggista, ricordiamo un bel libro sui supereroi nel fumetto e uno sui manga giapponesi, scrive molto, con stile piano e scorrevole, lineare, senza salti temporali o picchi di astrusa originalità. L’alba del vespero è la storia di Beatriz Cristea, che forse è solo un nome fittizio, così come la persona potrebbe essere tutta una montatura. Beatriz è un Agente Segreto di Indagine Ultraterrena, alle dipendenze di un’organizzazione chiamata il Vespero, ma nessuno si fida di lei e del suo potere, neppure i suoi più stretti collaboratori. Nicodemo Borgonero è l’alleato di Beatriz, un operatore dell’occulto in fuga dopo una missione fallita, braccato dai suoi vecchi alleati. Il romanzo è ambientato in un’Europa di fantasia, popolata da streghe, creature fantastiche, angeli e uomini con poteri soprannaturali. Non poteva mancare un nemico fantastico come il Tarocco, un Killer di agenti segreti, che miete vittime e dev’essere fermato. Nel romanzo ci sono collegamenti con altre storie, tra cui Anello d’Ombra, ma il romanzo si può leggere benissimo senza conoscere le precedenti opere di Del Gaudio, perché le storie sono separate. Abbiamo avvicinato l’autore che ci ha confidato: “Particolare attenzione meritano i personaggi del libro, la cui collocazione all’interno della storia si definisce in corso d’opera, così come il destino. Difficilmente ne L’alba del Vespero si hanno eroi romantici, mentre ogni attore sulla scena si muove rispettando un personale codice e senso di giustizia”. La vicenda sembra condurre, capitolo per capitolo, verso la trasformazione di un mondo che si rivela bene più variegato di quanto inizialmente appaia, in conformità allo stile dell'autore, che ama inventare universi o, quantomeno, reinventare quello che ci circonda. Ecco che il viaggio di Beatriz e Nico sembra condurre alla notte del mondo che conosciamo e all'alba di uno nuovo. L’alba del vespero è un romanzo fantasy ma anche una spy-story dai continui colpi di scena e ricca di azione. Il romanzo ideale per cominciare a conoscere un autore interessante.

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Raffaele Gatta, "L'odore del caffe amaro"

5 Maggio 2024 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #racconto

 

 

 

 

“La prudente follia del riverbero emotivo”con questa premurosa e significativa espressione trascritta nell'intestazione, Raffaele Gatta spiega il suo romanzo L'odore del caffè amaro (Robin Edizioni, 2013 pp. 190 € 13.00). Si tratta di una raccolta di racconti articolata in un ordine di lettura di piccoli capitoli in cui lo strumento creativo della narrazione illumina la riflessione esistenziale, nell'effetto riflesso della condivisione sensibile intorno alle vicende della vita, alla superficie provvisoria delle emozioni. Raffaele Gatta prende a pretesto l'occasione di assaporare il profumo del caffè, come metafora di estrazione culturale, dal sapore intimista e suggestivo, come elemento di complicità e di solidarietà nei confronti del vissuto quotidiano, come interpretazione del piacevole e catartico intervallo dalle difficoltà individuali e dall'insidioso sentore di tematiche importanti e universali come la disagevole precarietà del lavoro, il risvolto ambiguo e contraddittorio della morale, le vicissitudini speculative dell'etica. Scopre, attraverso la consuetudine specifica e simbolica del senso antico e terapeutico del caffè, la magica connessione esplorativa degli incontri, l'affabile espressione di un'invitante peculiarità sociale, intuisce l'acceso desiderio della comunicabilità e l'interessante indagine intellettuale, nella strategia di affascinanti e coinvolgenti storie, nel consolidamento immersivo delle relazioni umane. L'odore del caffè amaro diffonde la gradevole e piacevole attrazione verso il destino dei personaggi, assorbiti nella ritualità di un'occasione vitale in cui la misura ipotecaria del tempo incrocia la sua naturale agilità e supera la vischiosità degli eventi. Il profumo percepibile dei sentimenti circonda l'evoluzione della memoria emotiva, sprigiona la riservatezza della densità affettiva, dona a ogni contesto il sapore della speranza. Raffaele Gatta utilizza l'accurata puntualità dei suoi pensieri e traduce l'essenzialità nella brevità di un'istantanea, ordina la specialità discorsiva di ogni assaggio introspettivo, con accattivante laconicità, giostra la  sintesi di una sperimentazione linguistica caratterizzando l'avventura immaginativa nelle parole giuste, l'applicazione ermetica nei dettami provocanti del nondetto, il dettaglio evocativo della confidenza, nel rilievo fondamentale di ogni segreto. Si interroga sull'integrazione dei personaggi intorno alla promessa di abitare ogni nuovo giorno in tutte le sue imprevedibili dinamiche, nelle intenzioni della fiducia,  combattere le paure, fronteggiare l'ansia delle sconfitte, proteggere l'incanto dell'amore, nella coerenza filosofica delle esperienze. Il libro analizza il legittimo intervallo di ogni passaggio della vita, accompagna il cammino del sogno, accoglie lo spostamento della luce, protegge il riscatto dei personaggi, nell'intento di rimuovere la deriva della solitudine. Raffaele Gatta conduce la raffinata qualità metaletteraria delle sue micronarrazioni nella struggente e matura consapevolezza della realtà in ogni palpabile e visibile contraccolpo, occupa il luogo intimo d'adozione della  narrativa immediata, nella fulminea e impulsiva osservazione dell'ordinario, nella coraggiosa sfida per la determinata direzione nella corrente sinuosa del vivere. Invita il lettore a considerare la fragilità umana della società contemporanea come la qualità straordinaria e necessaria all'ineluttabilità della legge di natura, nella scorrevolezza della comprensione dei punti di forza, quando la vulnerabilità delle sensazioni riceve in dono l'insospettabile meraviglia del cuore.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

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Mario Santoro, "Viaggio con la madre"

4 Maggio 2024 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni

 

 

 

Mario Santoro

VIAGGIO CON LA MADRE

 

La figura della madre è sempre stata al centro delle creazioni artistiche umane, anche solo per il motivo che la madre è generatrice di vita e che s’instaura tra madre e figli un rapporto del tutto particolare, analizzato nella modernità con pretese scientifiche dalle varie scuole psicanalitiche. Pittura e scultura, ad esempio, hanno raffigurato in ogni epoca e secondo varie interpretazioni, il dolore di Maria madre del Cristo. La musica ha onorato le stesso tema nei numerosi Stabat Mater composti da autori di ogni scuola. La letteratura e il cinema si sono interessate alle illustrazioni delle figure materne a più riprese: per restare nella contemporaneità possiamo citare la famosissima poesia di Ungaretti, La madre, di profondo significato religioso; oppure il romanzo dello scrittore russo Maxim Gor’kij dallo stesso titolo, in cui si narra la storia di una madre rivoluzionaria che sposa la causa sociale del figlio e dei suoi compagni; od ancora la luminosa, dignitosissima, manzoniana madre di Cecilia nei Promessi Sposi al tempo della peste; ed infine, per le storie narrate dalla “settima arte”, Pedro Almodovar con Tutto su mia madre imbastisce la vicenda dolorosa di Manuela, imperniata sulla morte del figlio giovinetto.

Lo scrittore lucano Mario Santoro in Viaggio con la madrepubblicato nel giugno 2023 – si inserisce in questo filone tematico con una prosa suddivisa in 54 capitoletti, nei quali invece ricostruisce il rapporto con sua madre morente. Ne nasce una scrittura di carattere autobiografico-memoriale-sentimentale, dove la problematica della comunicazione ed incomunicabilità, allo stesso tempo, tra madre e figlio, occupa uno spazio importante e l’imminente morte di lei svela a lui alcune verità su cui riflette profondamente e che tutte si possono comprendere nell’incipit del libro: “L’amore e i sacrifici quotidiani di una madre li scopri, sovente, quando stai per perderla. Storia di ordinarie quotidianità, quasi gloria postuma alla figura della madre”.

Santoro dichiara di essersi posto sulla scia di autori come Dino Buzzati (I due autisti) e Ferdinando Camon (Un altare per la madre). Le scelte dell’autore sono precise: il racconto di un viaggio esistenziale sia fisico che spirituale, nello spazio e nel tempo, nelle dimensioni individuali e nelle proiezioni collettive. Il linguaggio discorsivo si avvale di soliloqui e dialoghi, di tentativi riusciti di confidenze e di mutismi per l’incapacità a dire le parole nate dentro. Alcuni versi collocati a guisa di introduzione ci rivelano la sostanziale tenerezza del rapporto materno-filiale, versi che ci insegnano anche come il tempo non cancella i sentimenti autentici: “Nei lunghi decenni dell’assenza / sempre un’idea fissa da seguire / recuperare una e una sola foto tua / nel lieve sobbalzo del cuore / da tenere per me, solo. // La tengo ora nel mio studio / nel ricordo degli anni a catena. / E siamo al cinquantuno o forse all’anno prima, / non mi fisso alla data”.

Dall’ambulanza (disegnata in copertina da Pasquale Zamparella) che trasporta la madre morente dall’ospedale romano fino a casa, il figlio, seduto accanto a lei, racconta non solo i tanti episodi della loro vita insieme, ma tutte le riflessioni e le elaborazioni del lutto che sta per sopraggiungere. Si tratta quindi di feedback sparsi nel tempo, senza una cronologia precisa, ma con l’intento di ricostruire il rapporto con la madre attraverso le parole dette e quelle non dette. Ne abbiamo così un materiale umano, psicologico, relazionale di un’anima - quella dell’autore - profonda, tersa, tesa nella volontà di capire a posteriori ciò che prima non aveva nemmeno considerato. Il messaggio si può riunire, alla fine, in una sola espressione: amore materno e filiale. Al lettore scoprirlo nelle belle pagine del libro.

Enzo Concardi

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Pietro Rosetta, "Poesie nascoste nella dispensa"

3 Maggio 2024 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Poesie nascoste nella dispensa

Pietro Rosetta

 Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Questa prima raccolta poetica di Pietro Rosetta naviga a vista tra il canto d’amore e la ricerca esistenziale senza approdi. Per la prima tematica vale tout court il richiamo al leopardiano amore e morte, nel senso di un romanticismo sentimentale che nel nostro autore trova dimora in quasi tutte le composizioni: vedremo più avanti nell’analisi dei testi quante numerose siano le immagini, le espressioni e le atmosfere che ‘affratellano’ l’amore con la morte. Trattasi quindi di un sentimento forte, passionale, che non fa sconti alle banalità e ai luoghi comuni di tanta poesia amorosa contemporanea; che traccia la sua rotta spesso lontano dalla felicità, condizione sporadica e quasi casuale, forse più assenza di dolore al posto di una vera gioia; che appare romanzato e senza un fine, assumendo la forma di un isolato e spinoso canto del transfert realizzato solo parzialmente, poiché vissuto con intensa problematicità.

Talvolta sembra un andare e riandare nella memoria, in bilico fra esperienza ed immaginazione, talaltra s’imbatte - lo sviluppo della scrittura - in una sorta di ermetismo di significati, in quanto il poeta crea delle pièces, anche oniriche, sospese nel vago e nell’indefinito, dove è presente un ‘tu’ nel ruolo di interlocutore che potrebbe essere sia un altro-da-sé, che il suo alter-ego. La mancanza di titoli - sostituiti da asterischi - nella quasi totalità delle poesie, accentua tale impressione di mistero e vaghezza che, tuttavia, conferiscono alle liriche un senso di fascino dell’ignoto.

Per la tematica esistenziale stile e contenuti non si discostano granché da quel che abbiamo detto finora, tanto che si potrebbe definire, l’amore stesso, un fatto esistenziale, parte integrante di una vita concepita come viaggio, avventura umana, naufragio nella follia e nella morte, intese non in senso biologico, ma come condizioni interiori e spirituali. Ma il poeta non vorrebbe naufragare, per cui la lotta fra Eros e Thanatos è incessante e spossante. Le opposte tendenze, la luce e le tenebre, l’angoscia e la speranza e tutto ciò che è dualistico, bipolare costituiscono forze sempre attive, al lavoro nell’io, impedendo la pace in ultima istanza agognata.

Non per nulla la raccolta inizia con un inusuale - per la mentalità odierna - inno al dolore umano maturato nel nascondimento: tale è la lirica d’apertura, I canti delle vedove. Essa è degna di nota per più di un motivo. Innanzitutto vi sono espressioni di una religiosità antica ma popolare che assumono valore poetico, come: «vecchie chiese di periferia», «luci di candele ingiallite», «parrocchie dove c’è un prete solo», «quei vecchi rosari».

In secondo luogo tali canti vengono definiti, di strofa in strofa, in un modo diverso assumendo significati plurimi e connotando la profondità del dolore: sono voci destinate a spegnersi ma senza tempo; sono reiterati come cantilene infinite dai ritmi battenti nell’arcano silenzio; sono disperazione e lucida follia, adombrando la condizione spirituale di chi li vive; sono «…la speranza cieca / che ognuno di noi porta dentro…», ossimoro ad indicare che «…il presente è vietato / ma il futuro è possibile…»; ed infine c’è l’immedesimazione fra i canti delle vedove e la preghiera personale del poeta nel chiuso e nel raccoglimento della sua stanza, similitudine che ci induce a vedere in lui un soggetto travagliato nei gorghi esistenziali dell’avventura umana. Inoltre, il titolo trasformato in anafore all’inizio di ogni strofa tranne l’ultima, assume valore di nenia quasi tragica, richiamante il lutto, il dolore, la morte.

Tale canone metrico, sintattico e contenutistico è il più utilizzato dall’autore in tutto il libro, che prende così la forma di un poemetto unitario, dalle tematiche esperienziali altalenanti ed autobiografiche senza tempo, sempre teso su livelli di comunicabilità intensa e profonda, che immerge il lettore nel suo messaggio traslato come una carica elettrica. Si diceva all’inizio di amore e morte come leitmotiv della sua poesia amorosa, ed ecco le prove. «Ti parlerò ancora / per pochi giorni / poi, come le onde impetuose / s’impennano al vento e muoiono, // anch’io mi confonderò nel mare, / culla e cimitero di tutti noi, / onde della stessa acqua» (poesia senza titolo, p. 18). In un’altra lirica il connubio è esplicito: «Nudi i nostri corpi la passione trascina / lungo il fiume che ha inghiottito / il mio intimo più segreto insieme al tuo / torrida e infinita // fradici i nostri cuori, sulla riva, / rabbrividiscono al confondersi / di amore e morte / gelide ombre mescolate nella corrente» (poesia senza titolo, p. 19). Anche nella lirica «In riva al mare i sogni» (poesia senza titolo, p. 22) la fine di un amore viene espressa con il verbo morire e sulla spiaggia amara giace l’amore esanime.

Vi è poi la variante dell’amore agonizzante, non ancora morto, ma prossimo alla fine. Bastano due liriche per capirne il respiro. Nella prima (p. 27) la perplessità su una relazione si esprime con immagini forti: «…Non so se le tue mani si confonderanno / alle mie, nelle carezze vellutate / o se la morte lucida già nel marmo / i nostri nomi scolpiti…». Nell’altra (p. 69) immagini marine simboleggiano un imminente naufragio, difficile da evitare: «... e in balia di una zattera / ho abbandonato il nostro amore / che ogni giorno rischia di annegare».

Ma la poesia amorosa di Pietro Rosetta contempla pure l’altra faccia della medaglia, dove l’amore si concede agli amanti, nonostante, talvolta, incontri contrasti. E il poeta ci parla di un amore bello da vedere, di un tempo che è sbocciato per unire corpi e anime, di un tempo che è maturo nonostante aspri e contorti intrecci, di sogni angelici, di assenze dolorose, di notti rubate al sonno, di schiavitù d’amore, di complicità profonde per dar senso alla vita… e finalmente il canto A Paola, l’amore dissetante per una donna: divinità terrena, musa della vita, senso del domani, compagna di viaggio e di ripartenze.

Oltre la dimensione del sentimento umano, il poeta accoglie nella sua sensibilità le vibrazioni esterne dei vuoti interiori, dei deliri e delle follie individuali e sociali, dei pericoli dentro mari tormentati, della paura di solitudini disperate, del rischio di vivere in isole solo per sopravvivere ai naufragi dilaganti.

Sopraggiungono momenti nostalgici di un passato ormai lontano, memorie di radici della terra ora chissà dove abbarbicate e la tenerezza di un volto materno il cui sguardo fa intuire che solo per te, figlio, io ho vissuto.

Enzo Concardi

 

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L’AUTORE

 

Pietro Rosetta vive a Milano; dopo avere conseguito la maturità classica, si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1989, e si è specializzato in Oftalmologia presso la Clinica Oculistica dell’ospedale San Raffaele di Milano. Dopo una esperienza presso la Fondation Rothschild di Parigi, ha lavorato dal 1997 al 2019 presso l’istituto Clinico Humanitas di Rozzano, come specialista nella chirurgia del segmento anteriore e dei trapianti corneali. Attualmente ricopre il ruolo di Responsabile dell’Unità Operativa di Oculistica dell’Istituto Humanitas San Pio X di Milano. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche ed ha inoltre partecipato, in qualità di relatore ad innumerevoli congressi nazionali ed internazionali.

 

 

Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-21-9, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

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Pier Francesco Grasselli, "La Bambola"

28 Aprile 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #recensioni, #gordiano lupi, #racconto

 

 

 

 

Entrare nel mondo letterario di Pier Francesco Grasselli è come tuffarsi in un oceano vasto e pieno di sorprese. La sua prosa, ora calma e riflessiva, ora tempestosa e provocatoria, ci conduce in luoghi inesplorati. I suoi scritti spaziano attraverso una gamma sorprendentemente vasta di temi e stili, rendendo ogni sua opera una novità e una sorpresa.

Noto come uno degli autori più provocatori e poliedrici del panorama letterario italiano contemporaneo, famoso per il suo spirito anticonformista e per il suo audace disprezzo per il mainstream, Grasselli è un autore che non teme di esplorare e sovvertire. Stavolta ci regala La Bambola. Cinque racconti, edito da Il Foglio Letterario.

Il racconto che apre dà il titolo alla raccolta, "La Bambola", è una satira pungente sulla direzione presa da mondo moderno. Ambientata in un futuro distopico e iper-erotizzato, la storia ha come protagonista lo scrittore Raimondo Spallanzani (che abbiamo già visto nel romanzo breve “La Musa” (Edizioni Pendragon) e nella raccolta di racconti “Uno scrittore all’Inferno” (pubblicato dall’autore in modo indipendente) e intrisa di critica sociale. Lo stile ricorda le narrazioni di Philip Dick, però in salsa erotica. Alla maniera di Cronenberg, Grasselli utilizza una prosa diretta e senza fronzoli per immergerci in una realtà disturbante, popolata di AI che non solo interagiscono con gli umani ma ne influenzano desideri e perversioni.

Proseguendo, "Tempo pazzo" si rivela un delizioso gioco metafisico, con il clima che si fa metafora delle incongruenze della vita umana. Un divertente racconto che sa tanto di commedia degli equivoci. Grasselli gioca con le aspettative del lettore, creando una trama che si dispiega in modo inaspettato.

Nella vena di Doyle, ma con un pizzico di surrealismo alla Bulgakov, "Sherlock Holmes e il mistero di Villa Liffredi" trasferisce il celebre detective in una Parma contemporanea e paranormale. Grasselli reinventa Holmes in chiave moderna, trasformando il classico investigatore in un disinvolto uomo di mondo con un debole per il soprannaturale.

Uno dei gioielli della raccolta è senz’altro "Breve storia della contessa Matilde di Fossalta", novella che intreccia la narrazione storica con elementi gotici e surreali. Un omaggio ai grandi classici del romanticismo, arricchito da una freschezza tutta contemporanea.

La Bambola è l’ultima fatica di un autore che non teme di esplorare e di sovvertire. A ogni pagina, l'autore destabilizza le aspettative del lettore e reinventa il modo in cui la narrativa può essere sperimentata, offrendo un'esperienza di lettura sempre avvincente, a tratti esilarante. Pier Francesco Grasselli dimostra ancora una volta di essere un maestro nell'usare la letteratura come uno specchio deformante attraverso cui esaminare gli aspetti grotteschi di questa nostra società, con una versatilità e una disinvoltura che rendono questa raccolta di racconti una lettura frizzante e piacevolissima, un'opera perfetta per chi cerca nella letteratura non solo evasione, ma anche stimolo intellettuale e provocazione. La Bambola è anche un viaggio attraverso generi letterari differenti, ricco di trovate sorprendenti e originali, e conferma Grasselli come uno degli autori più interessanti e controversi del nostro tempo.

 

Per acquistarlo:

 

AMAZON - https://www.amazon.es/bambola-Narrativa-Pier-Francesco-Grasselli/dp/8876069615

 

IBS - https://www.ibs.it/bambola-libro-pier-francesco-grasselli/e/9788876069611

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Maria Angela Eugenia Storti, "Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione ed innovazione"

27 Aprile 2024 , Scritto da Tito Cauchi Con tag #recensioni, #saggi, #tito cauchi

 

 

 

 

Maria Angela Eugenia Storti

 Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione ed innovazione

Guido Miano Editore, Milano 2023

 

Maria Angela Eugenia Storti, laureata in germanistica, è nata a Palermo, dove vive e ha insegnato. Opera in attività teatrali a fini didattici; ha pubblicato sillogi poetiche e saggi; alcuni fra questi ultimi sono raccolti nel volume Itinerari di letteratura del Novecento (Guido Miano Editore, Milano 2023), che chiama scrigno dei suoi sogni più intimi”, è dedicato ai suoi affetti più cari. Il sottotitolo completo specifica trattarsi di “Memorie artistiche a confronto” dei seguenti autori: Mann, Kafka, Woolf, Eliot, Beckett, Wedekind, Pirandello, Montale. Nella sua nota chiarisce che riguarda autori di cultura anglosassone e tedesca con agganci ad alcuni scrittori italiani di “espressione” europea; non di “comparazioni” si tratta, bensì di “collegamenti”. Spiega altresì che gli artisti, in un certo senso, esprimono le diverse anime della società in cui vivono; tuttavia, esemplificando, osserva che coloro che se ne discostano vengono etichettati, per esempio: di annichilimento (come Kafka), o di rivoluzione (come Brecht, qui non esaminato) o di oscillazione tra realtà borghese e mondo artistico (come Mann).

Quanto alla struttura del volume ci chiarisce la prefazione di Lea Di Salvo, la quale ne indica tre sezioni; e cioè: il Romanzo, attraverso le opere di T. Mann, F. Kafka, V. Woolf e T. S. Eliot; il Teatro, in cui si veicola la comunicazione in ambito di modernismo di portata europea, attraverso F. Wedekind, S. Beckett e L. Pirandello che qui trova collocazione con la sua sicilianità. Infine la terza sezione riguarda la Poesia comprendente insieme E. Montale e T. S. Eliot, i quali prendono le distanze dalle assolutezze, considerano la aleatorietà degli eventi. Insomma il volume mira allo svecchiamento delle letterature ampliandone i singoli confini in cui si inseriscono “squarci di memorie italiane, nel periodo tra le due guerre mondiali (…) preferibilmente attraverso l’impersonalità (…) che spesso dà origine ad una frammentarietà linguistica, al nonsense (…) e infine al silenzio”. Il sottoscritto potrebbe fermarsi qui, tuttavia prosegue sulle orme del volume, omettendo citazioni e riferimenti, per snellire l’esposizione, sia pure zoppicando.

 

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IL ROMANZO

 

Paul Thomas Mann (Lubecca, 1875 - Zurigo, 1955). Quanto al Romanzo, Maria Angela Eugenia Storti inizia con lo scrittore tedesco, esaminando, in particolare, l’opera Doctor Faustus (1947), nell’ottica del “lamento” e della “celebrazione”. Il tema del patto con il diavolo è abbastanza noto nei racconti popolari tedeschi e non solo; ma non ha niente a che vedere con il più vecchio “Faust” goethiano (del 1808). Mann trova occasione per denunciare la “decadenza e la fine della civiltà borghese”, con riferimento agli eventi bellici conclusi con la disfatta della Germania.

Tento una approssimativa sintesi. Nel suo romanzo abbiamo andamenti narrativi e saggistici senza distinzione, aggrovigliati in un sapiente gioco di contrasti. Mann prende a pretesto “un compendio romanzato di storia della musica” e un testo di filosofia, argomentando sul linguaggio nei vari ambiti comunicativi, in particolare del suono e della vista, per concludere che è necessario ricercare nuovi modi di espressione.

Il romanzo si svolge in un virtuosismo lessicale di piani a incastro in cui tutti i personaggi sono caratterizzati in modo ben distinguibile, in tutto e per tutto (timbro di voce, aspetto fisico, ecc.). Si fa uso di parodia e di formule tradizionali per farne caricature. I due protagonisti principali sono amici, Adrian e Serenus, agiscono in uno scambio continuo di ruoli, ma assumono un “significato simbolico”: Adrian rispecchia “la figura del musicista tedesco (…) vittima di cerebralismi diabolici”, vuole raggiungere la fama; Serenus è un umanista che contrappone il valore della parola ed è la voce narrante. Tuttavia essi sono le due anime dell’autore, Thomas Mann, che ora estraniandosi osserva la società; ora interprete, ne subisce le contraddizioni (questo è quello che mi pare di capire) nell’eterno confronto tra bene e male, tra Dio e Satana. Metaforicamente Mann si riferisce non (solo) all’uomo, bensì al popolo tedesco. Egli è ora l’uno, ora l’altro dei personaggi, volendo fare percepire la disfatta della Germania “in cui i colpevoli non sono da ricercare solo tra i gerarchi nazisti (…). non si può dire io non sapevo, non è permesso, e solo un occhio ci si può coprire, uno solo”.

 

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Franz Kafka (Praga, 1883 – Kierling, 1924) è il risultato di una rosa di culture molto diverse tra loro: quella slava (di Praga), quella tedesca (avendo studiato in Germania), quella ebraica (essendo figlio di un israelita), nonché di cultura francese per via delle sue letture. Aveva una formazione ampia con l’inclinazione alla metafisica, alla ironia e all’assurdo, perciò infittisce di oggetti e di personaggi impregnandoli di simbolismo e curandone molto i particolari con forte realismo. Il tutto gli conferisce un’immaginazione demoniaca e assurda.

Insoddisfatto delle sue opere, pubblicò solo il racconto La metamorfosi nel 1916 (traslato in versione cinematografica), con chiara allusione all’isolamento dell’uomo, alla sua alienazione. Gli altri tre romanzi, oltre un Diario, vengono pubblicati postumi. Il Castello, nel 1926, è l’ultimo dei suoi romanzi, rimasto incompiuto; il castello è il luogo della burocrazia dove è difficile entrare e sbrigare delle pratiche gravando alquanto sulla frustrazione degli abitanti; il protagonista, vittima di questo senso di frustrazione, si chiama K. (proprio così), un agrimensore, e la narrazione è affidata all’altra figura di nome Olga. Il processo viene pubblicato nel 1925, è sullo stesso tenore del precedente, perché il protagonista, che si chiama Joseph K., è uno “scrupoloso impiegato”, che viene arrestato improvvisamente senza spiegazione alcuna, condotto in una cava e giustiziato.

Kafka si allontanava dalla letteratura contemporanea giudicata decadente, “ha descritto incubi e pensieri, scaturiti dalla realtà del quotidiano. In tutti gli scritti kafkiani le storie narrate sembrano appartenere al mondo spettrale delle visioni” (La lettera k campeggia nei suoi personaggi).

 

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Virginia Woolf (Londra, 1882 - Rodmell, 1941). Negli anni Venti le venne chiesto di redigere una relazione avente per oggetto “la donna e il romanzo”, per alcune conferenze da dedicarsi a studentesse dei college inglesi. La scrittrice si allontanò dagli stereotipi attesi, che volevano la donna relegata agli standard domestici; tuttavia la sua ricerca sprona le donne a uscire dal proprio guscio e a rivendicare la propria autonomia culturale e uscire dalla anonimità. Mirava ad una narrazione verticale e non orizzontale, cioè a rappresentare la realtà, specialmente delle donne, “in profondità, piuttosto che in estensione”. Perciò la sua scrittura recupera i “processi mentali dei suoi protagonisti”.

Molte delle sue idee troviamo nel suo saggio Una stanza tutta per sé, con chiara allusione alla autonomia auspicata delle donne. Concepisce la vita nella sua molteplicità di forme e fa uso di simbolismo e di motivi conduttori come tecnica narrativa; concepisce l’arte in chiave di comunicazione. Fra le altre opere ricordiamo Mrs Dalloway. Invita la donna alla riflessione, all’autocoscienza, a superare la loro anonimità, trasformare la loro solitudine nel diritto di riservarsi un momento di scrittura e creativo più in generale. Invita la società a considerare sotto nuova luce stranezze eventuali delle donne, di non rinchiuderle nei manicomi e di non ignorare la loro genialità.

Virginia infatti aveva tendenze suicide e ha lottato per essere riconosciuta nella sua identità. Esortò le donne, sì a scrivere, ma senza dimenticare che “la mente degli artisti è androgina”. Infine, Storti, così conclude: “Lo ‘sbriciolamento’ dell’Io, il suo conseguente ‘flusso di coscienza’, ‘apre le stanze e le finestre’ a nuovi itinerari e costituisce il contrappunto drammatico della trasformazione dell’esperienza creativa femminile”.

 

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Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 1888 - Londra, 1965). La letteratura inglese del Novecento fu attraversata da fermenti innovativi ove si inserisce Eliot che si era trasferito in Inghilterra; saggista, critico e poeta, uno fra i più grandi del Novecento. Nuovi movimenti scuotevano gli scrittori europei. Si abbandonava il verso classico a favore del verso libero; ci si staccava dal dolce canto per diventare scopritori dell’animo umano. Lo scrittore americano scrive in modo fluido senza curarsi dei nessi di collegamento, suscitando così degli scossoni interpretativi; e favorendo molte possibilità di collegamenti ipertestuali.

Fra le sue opere ricordiamo la sua prima poesia importante che si intitola Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock (del 1911), Poems (1920), “dove gioca sull’opposizione tra passato e presente, tra schemi tragici e farseschi”. Nasce una nuova poesia, che lascia l’Io lirico per farsi Epico e lascia le forme statiche per fare spazio alle necessità della storia. Eliot è aperto a nuove visioni, a una nuova “fioritura delle messi”, ai simbolisti francesi, ai mistici medievali. Si incrociano le varie arti, miti e leggende come nel poemetto Il Re Pescatore (del 1922), un essere tra il divino e un redivivo Tiresia, veggente del mito classico, giustificandone l’esistenza sotto una prospettiva allegorica. Tuttavia il suo capolavoro è La terra desolata (1921) che si ispira al mito medievale del Sacro Graal legato ai temi della decadenza e alla ricerca della resurrezione. Egli si colloca tra l’antico e il moderno.

 

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IL TEATRO

 

Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936). M. A. E. Storti apre l’argomento del palcoscenico con uno scrittore fra i più celebri italiani di levatura internazionale. Era un intellettuale, aveva studiato anche in Germania e ha avuto confronti con altri intellettuali del tempo. Cresciuto fra i templi greci della sua città, si è nutrito del mito classico in veste della sicilianità dei suoi tempi, nel fondo teneva uno strato di romanticismo e di filosofia. È riuscito a innovare il teatro e ha “sprovincializzato il teatro siciliano”. Sostenitore di un’arte rivelatrice dei caratteri reali delle persone.

Nelle sue opere abbiamo l’umorismo, cui dedica l’opera omonima L’umorismo (del 1908); abbiamo la comicità, le situazioni assurde, la metafora della maschera dietro cui viviamo, il sentimento del contrario. I suoi drammi evolvono a sorpresa. Sul piano contenutistico, sotto sotto, presenta intenti sociali e denunce (Morire e vivere insieme; mi sovviene Il fu Mattia Pascal).

I suoi personaggi sono tutti caratterizzati psicologicamente, presentano sdoppiamento dentro la vasta gamma dei sentimenti, del pianto, del riso, dell’inganno, del cinismo. È riuscito a fondere forma e contenuto. Infine la Storti conclude così: “Il linguaggio, unica modalità vitale, tradisce se stesso attraverso il dialogo-monologo dei personaggi che, a causa di una mancata comunicazione, testimoniano la disperazione dell’uomo moderno, la cui solitudine tra le cose trova come unico conforto la parola”. (p.54). Credo si riveli in tal modo nell’Agrigentino il “sentimento del contrario”.

 

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Frank Wedekind (Hannover, 1864 - Monaco di Baviera, 1918), la sua arte viene collocata nell’ambito espressionista. Autore di drammi, fra gli altri, di Lo spirito della terra e di Il vaso di Pandora; in quest’ultima opera, sotto i riflettori, è una donna di nome Lulu, “presentata come l’incarnazione del fascino impossibile da addomesticare per l’ipocrita uomo donatore.” È la donna che incarna l’ambiguità, in ogni senso. Le due opere inizialmente pubblicate insieme furono censurate e in seguito pubblicate autonomamente.

Il nome di Pandora fa esplicito riferimento al mito classico, cioè del sacco che contiene imprigionate tutte le furie per volontà di Zeus. Difatti etimologicamente significa “colei che tutto dona”. Lulu è tutto, nel bene e nel male (è un ninnolo, è Eva, è senza pudore, ha una bellezza angelica e al contrario ha una bellezza demoniaca), gli aggettivi non sono sufficienti a descriverla. Lulu si sente legata soltanto a suo padre, ormai nel regno dei morti.

Nella morale contemporanea di tutti, Lulu (prostituta) non poteva godere del consenso nella società; perciò, per redimersi al giudizio del mondo, l’autore la fa morire per mano di un criminale. Lulu è un “nome balbettato tra l’infantile e l’erotico” che fa tenerezza. La sua ambiguità la porta ad amare un’altra donna, anch’essa segnata da esperienze erotiche. “Sia la Lulu (da tutti donata), che infine la Geschwitz (colei che tutto dona), costituenti due parti indispensabili alla completa costruzione di Pandora, pagano il loro riscatto attraverso una lunga e faticosa catarsi”.

 

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Samuel Barclay Beckett (Dublino, 1906 - Parigi, 1989), drammaturgo, scrittore, poeta, traduttore e sceneggiatore irlandese. Al contrario di molti autori la sua drammaturgia è ridotta all’osso, si appoggia su eventi minuti insignificanti, quasi senza nessi logici, un paradosso. Il suo viene definito “Teatro dell’assurdo”. Eppure traccia profili umani dei personaggi; specie nelle sue opere teatrali più famose Aspettando Godot (1952) e Finale di partita (1957), egli mette in luce la “crisi di identità tra elegia e parodia giullaresca”.

Sottolinea l’incomunicabilità umana, attraverso un linguaggio comune, quasi dimesso, di tutti i giorni della chiacchiera quotidiana. I suoi personaggi sono fortemente caratterizzati fisicamente e simbolicamente (per esempio con menomazioni fisiche).

 

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LA POESIA

 

Ed eccoci alla terza sezione di Itinerari di letteratura del Novecento, di Maria Angela Eugenia Storti. Come si può notare tutti gli autori presi in esame vissero e operarono soprattutto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Dunque nell’ambito della poesia diventa argomento il rapporto tra l’Io (obsoleto) e il Noi (che avanza), il tema dell’esistenza, l’uso del simbolismo, quindi il “correlativo oggettivo”. E cioè giungere al lettore usando forma e contenuto che facciano presa su meccanismi psico sociologici. Ebbene la realtà del mondo senza false illusioni, sono i motivi che accomunano Montale ed Eliot.

Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981), uno fra i più grandi poeti italiani mette in atto la sua poetica attraverso la sua prima raccolta, Ossi di seppia (1925); dove “ossi” sta per precarietà della vita, da cui deriva “il male di vivere”, l’angoscia di vivere. E anche Thomas Stearns Eliot, di cui si è scritto più sopra, a proposito, in particolare, de Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock (1911), esprime il senso della solitudine nella sua prima poesia, in cui Prufrock è (pressappoco) l’uomo che non sa amare e si chiude in sé stesso, ma deve prendere coscienza.

Entrambi scelsero una lingua di uso ordinario (di uno di Noi), uno stile asciutto, ridotto all’essenziale; nondimeno “Di difficile comprensione appare l’opera di Montale per molti, e per altri Eliot fu considerato un poeta elitario, la cui gelida intelligenza gli impediva di condividere le comuni emozioni umane.”

 

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Maria Angela Eugenia Storti si congeda definendo gli scrittori, coinvolgenti, “apostoli dell’immaginazione”, donatori ai lettori di “pezzi di vita” (mie virgolette). Penso che recensire un volume come Itinerari di letteratura del Novecento, che comprenda una raccolta di saggi, diventi un’impresa ardua. Tratta di otto autori fra i massimi del panorama letterario, di cui sei sono Premi Nobel: Mann, Eliot, Beckett, Wedekind, Pirandello, Montale (Kafka e Woolf, probabilmente non fecero in tempo). Recensire diventa un impegno non indifferente, una scommessa; argomenti così specifici, anche a procedere a passo d’uomo, come si suol dire, rischiano di fare prendere cantonate.

In chiusura desidero compiacermi della presenza di due poeti italiani, uno del Nord, l’altro del Sud, che rappresentano due realtà diverse, sia pure in tempi differenti. Questi Itinerari meritano certamente molto di più; tuttavia penso che anche una interpretazione zoppa possa tornare utile, quanto meno stimolante e illuminante per imprese analoghe. La lettura è interessante e coinvolgente, perché se ne vorrebbe sapere sempre di più, anche perché i temi trattati sono attuali.

 

Tito Cauchi

 

 

 

Maria Angela Eugenia Storti, Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione ed innovazione, pref. di Lea Di Salvo, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 82, isbn 978-88-31497-99-2, mianoposta@gmail.com.

 

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"Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon" a cura di Enzo Concardi

25 Aprile 2024 , Scritto da Maria Rizzi Con tag #recensioni, #poesia, #saggi, #maria rizzi

 

 

 

 

Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon

a cura di Enzo Concardi 

Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Nel testo Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon (Guido Miano Editore, 2024), è condotta un’ottima, interessantissima disamina del poeta, saggista e narratore veneziano attraverso le voci dei critici che hanno dato contributi ai contenuti e allo stile delle suo numerose Opere. Vengono citati, tra gli altri, Giampietro Cudin, Mario Stefani, Enzo Concardi, Nazario Pardini, Guido Miano, Angela Ambrosini. Conosco questo prolifero artista tramite due sue Sillogi, che ho recensito e amato molto: Tutto fu bello qui del 2020 e Fralezze del 2023. Trovarlo in un’Opera di ampio respiro come l’Analisi ragionata mi ha spinto a ripercorrere le sue orme dagli esordi, con Prime poesie, attraverso le splendide derive dei saggi che celebri Autori, come Dino Manzelli e Flavio Andreoli hanno dedicato a Zanon.

In questo splendido libro, corredato di foto che riprendono alcuni momenti artistici del Nostro, non manca una collana di cammei lirici, intitolata “Antologia essenziale delle poesie”.  Sul greto del tempo in versi del Poeta sembra siano state raccolte perle sparse, concepite nel corso di circa quarant’anni di attività. Il tempo funge da lente d’ingrandimento per rendere nitida la visione del mondo di un autore e i suoi eventuali cambi di passo. Talvolta da giovani si tende a procedere in un orizzonte infinito, mentre con il trascorrere del tempo si riconoscono le parti e i confini. Non è il caso di Maurizio Zanon, o almeno non mi sembra. Leggendo la lirica del 1987 Andando e ascoltando, tratta dall’omonima silloge, sono stata immediatamente trafitta dalle emozioni che mi rapirono nella raccolta Tutto fu bello qui: “Andando e ascoltando / i discorsi del vento / più leggero io mi sento / tra i misteri del tempo”. Il canto si srotola in quattro settenari che racchiudono il mestiere del Poeta, il suo spartito sempre spalancato, le note che si alzano lievi e danzano dolcissime nella brezza e nello scorrere dei giorni, e la capacità, data solo agli artisti, di trarre enigmi anche dalle soluzioni. Attraverso i versi è possibile imbrigliare l’energia e plasmare la realtà percorrendo grandi distanze in un istante. Il mistero non rappresenta un muro, ma un orizzonte: “Felicità sta nel non sapere / ogni passo che verrà di nostra vita” (Felicità, da Liriche scelte, 2010).

Tema ricorrente di Zanon è il cammino, inteso come ‘andare verso’, un senso eracliteo dell’esistenza, vista in continuo divenire. Si muove il cielo, il mare, si muovono gli anni. La destinazione dei percorsi non sono luoghi, ma nuovi modi di vedere le cose.  “… Nulla rimane / nello scorrere inesorabile : questo radicato / cammino di storia è destinato a dissolversi” (da Come il sole d’autunno, 2011). Restano intatti l’amore per la donna e la fede, punti cardine di un’anima che non vaga inquieta tra le burrasche, ma sa posarsi lieve sulle sponde della laguna, a meditare, a fare bilanci, a visitare le isole care della memoria. Non finirà questo amore /che rinasce ogni giorno al canto d’usignoli! (Non finirà questo amore, da Poesie d’amore, 1991). Trovo straordinario tra anime inquiete, disorientate, che cercano nei versi una catarsi, scoprire un uomo che smentisce l’assunto della vocazione artistica sposa dell’infelicità.

L’autore concepisce il sentimento per eccellenza come un viaggio ai confini di se stesso, un’esperienza che consente di essere simili a fuoco, di bruciarsi ed esplodere dentro “Un fuoco interiore che mai si spegne / brucia l’anima nel costante pensiero” (Passione, da Fralezze, 2023). E sa intendere la fede come una continua evoluzione spirituale, un cammino in verticalità nella certezza che “Dio è sensibile al cuore, non alla ragione” (Blaise Pascal). Nelle liriche sparse è presente una preghiera a David Maria Turoldo, presbitero, teologo e filosofo, nato nei primi anni del ‘900, che sostenne il progetto Nomadelfia per accogliere gli orfani di guerra; un sacerdote che condusse una grande avventura nella storia e nella chiesa italiana schierandosi sempre a favore del civile, del sociale.

In riferimento alle rimembranze, il tempo in fieri dell’Autore non concede di tornare indietro. Zanon, come tutti i grandi sognatori, è consapevole che basta sfiorare il filo teso di un profumo per far risuonare i ricordi. “Vivo l’oggi / pensando a come vivere il domani / ma è l’ieri che non si può più: / attendo allora un tempo senza tempo” (da Un tempo senza tempo, 2007).  Il tempo cui allude il Nostro è quello che consente di restare a stretto contatto con l’anima, di attribuire senso al passaggio terreno. Nel tempo senza tempo nulla si crea o si distrugge, è la stessa essenza  che continua a esistere assumendo varie forme, trasformandosi di continuo. “Ci siamo consumati fino a morire / sotto un cielo da cui ci aspettiamo ancora grandi cose” (Tutto fu bello qui, da Tutto passa, 2019). Da Eraclito si passa a Platone nel suo vertiginoso dialogo intitolato “Il Parmenide”, che asseriva. “La natura dell’istante è qualcosa di assurdo (atopos), che giace tra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo”.

Quando ho avuto l’onore di recensire questo meraviglioso artista, che non ha bisogno di ricorrere alle figure retoriche per rendere superbo il suo canto, mi soffermai sull’amore per Venezia, una città che ben s’identifica con il non tempo, in quanto esiste in una dimensione esotica, in una sorta di gioco illusionistico, in una delle forme del mistero e dell’altrove. Zanon non poteva che nascere lì, un luogo che emerge dal mare o forse affonda nel mare. “Venezia bizantina / si stende in riflessi dorati / rivivo memorie passate / su carezze d’onde / ove si posano / gondole d’opaca luce” (Venezia bizantina, da Giallo oro di sole, 1995).  La forza del sentimento amoroso, della spiritualità e del legame alle radici dà risalto a un aspetto tanto intrigante quanto raro, che caratterizza il Poeta veneziano: la costanza, intesa non come energia ferma, ma come volontà di raggiungere le più alte vette, non attraverso improvvisi scatti, ma lavorando anche di notte sugli obiettivi raggiunti.

Maria Rizzi

 

 

Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-24-0, mianoposta@gmail.com.

 

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Alfredo Alessio Conti, "Liriche scelte"

24 Aprile 2024 , Scritto da Tito Cauchi Con tag #recensioni, #poesia, #saggi

 

 

 

 

Alfredo Alessio Conti

LIRICHE SCELTE

 

Alfredo Alessio Conti è lombardo nativo di Bosisio (nel 1967) in provincia di Lecco e vive a Livigno (Sondrio). Ha un curriculum culturale e professionale di tutto rispetto: ha studiato Filosofia, ha formazione teologica, è un educatore, svolge convegni sulle problematiche giovanili e sul disagio sociale; ha pubblicato una ventina di opere tra poesia e prosa. Quest’opera, dal titolo trasparente, Liriche scelte (Guido Miano Editore, Milano 2024), contiene raggruppate poesie in tre capitoli, ciascuno con prefazione a sé.

Il volume è presentato dall’editore Guido Miano, il quale fra l’altro sottolinea le finalità di “indicare di taluni autori un solco di scrittura nella quale sia da individuare una sorta di fratellanza d’arte, nel nostro caso della poesia”, entro una cornice sovranazionale. Ecco le Letterature comparate che consentono accostamenti tra il Nostro e tre illustri autori stranieri, scegliendo le liriche in base alle tematiche più rilevanti, rispettivamente: l’esistenza, l’amore, la religiosità. Così di seguito.

 

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Enzo Concardi (Zibido S. Giacomo, Milano, 1949), poeta e critico letterario, svolge la sua disamina sulla prima sezione della raccolta, denominando la sua prefazione con il titolo “Le problematiche esistenziali in Alfredo Alessio Conti e in Fernando Pessoa” (1888-1935), poeta portoghese autore di Ho pena delle stelle. Il Critico vuole evidenziare che “Nel groviglio esistenziale vissuto dal poeta” i vari aspetti presenti nella nostra società contemporanea vengono oggettivati seguendo tre direttrici (per esemplificare): bibliche, socratiche, ungarettiane, citandone versi in tal senso. Qui anticipo rispettivamente: l’essere e ritornare “polvere”, il “conosci te stesso”, sentirsi fragili come “foglia d’autunno”. Inoltre avverte che i vari contrasti lirici sono segni di una certa “disperazione ontologica”; tuttavia conclude spiegando che “Se Pessoa è considerato poeta del ‘pessimismo totale’, Conti lo affianca fino ad un certo punto (…) per poi accedere ad una teleologia sostenuta in ultima analisi da speranze metafisiche ed escatologiche con bagliori divini”. Insomma sull’esistenzialismo, nel Nostro, è una continua ricerca, anch’essa tripartita: sull’origine, sul destino e sul senso della vita. Argomenti sui quali il Poeta insiste (con anafore) per rafforzare il proprio sentire e i contrasti apparenti (ossimori) sui quali riflette, sono un bisogno biologico di rassicurazione.

La lettura del testo poetico difatti ci conferma il pensiero di Alfredo Alessio Conti, ossia l’argomento comparativo proposto sull’esistenza, ci accompagna tutta la vita. Citerò alcuni versi che reputo molto significativi, per dare ulteriore conferma del sentire intimo del Nostro. Verrebbe da dire che al di là del big bang, l’essere umano rimane con domande irrisolte. Ci affanniamo a rincorrere mete, come ricchezza e carriera, ma poi assistiamo al fallimento della società opulenta ed egoista, senza volerci rendere conto della precarietà della vita, così il Poeta commenta: “Nel respiro del vento/ vivo/ come foglia d’autunno” (p.13, Esistenza) con chiaro richiamo a Ungaretti. Egli sente su di sé le sofferenze degli ultimi, considerati come fratelli; sente che questa è “la bellezza/ dell’essere, dell’esserci” (p.16). È consapevole del travaglio che vive, sa che la morte non guarda nessuno in faccia; difatti considera la vita già un “sarcofago” e indica la terra come “materna morte” (p.17).

Riscontriamo il richiamo dell’antico motto socratico per conoscersi dentro e comprendere meglio gli altri. Il tempo scorre inesorabilmente: “Anni/ di solitudine e silenzi/ di sofferenze/ (…) / mi sono messo/ in disparte/ e tutte le porte/ si chiusero.” (p.23). Opponiamo fra noi steccati e muri, la diffidenza ci allontana dalla bellezza della natura, dalla sua armonia. Si chiede: “Quali domande avranno risposte/ prima che la mia vita finisca, ma/ rimarranno sepolte con me.” (p. 28). Siamo mutevoli: “sento/ l’usura del mio corpo/ andarsene/ con le energie spese/ in queste inutili/ battaglie.” (p.31). Infine: “naufrago/ nella mia/ solitudine” (p.32); e ancora: Siamo “un alito di vento/ immortale/ sul finire/ della vita” (p.33). Sono parole molto significative, dal senso compiuto, provengono dal fondo dell’anima e racchiudono travaglio interiore e riflessione.

 

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Gabriella Veschi (Ancona 1959) formatasi in Lingue e Letterature comparate, tratta “Il tema dell’amore in Alfredo Alessio Conti e in Pablo Neruda” (1904-1973), cileno, uno dei massimi scrittori del Novecento, autore di Cento sonetti d’amore. Per entrambi i poeti la donna è tutto; nel Nostro la malinconia d’amore per una donna lontana palpita struggente; il suo è un inno all’amore che si eterna grazie alla sua intensità. La Critica sottolinea, da parte del Nostro, il modo oculato del lessico che gli consente di esprimere sentimenti pure contrastanti come iperboliche note di sensualità senza scadere nel banale e nel volgare; così l’uso di “un armonioso succedersi di sinestesie, allitterazioni e paronomasie”, accorgimenti stilistici tali da suscitare le sensazioni desiderate.

Perciò passo ai testi poetici senza andare oltre, poiché il tema dell’amore è così universalmente trattato e abusato, e non vorrei ripetere cose ovvie. La lettura conferma la continua dichiarazione d’amore in cui il Poeta pone un’aura intorno alla donna amata elevata sopra ogni cosa; così “L’amore è un fiume travolgente/ sempre in piena/ dirompente” (p.49). È noto che quando si è innamorati si tocca il cielo con un dito, ma pure si sprofonda in un abisso; il Poeta crede che, comunque sia, gli spiriti di entrambi si uniscano dopo la morte, perché intenso è l’amore suo per lei. Lo struggimento di cui si è scritto sopra, è palpabile; nondimeno alcuni passi, toccano o forse nascondono, una perdita o un distacco come in questi versi: “L’ho sepolto lì/ in quel piccolo cimitero di montagna/ il desiderio d’incontrarti” (p.38); perciò questa dichiarazione assomiglia ad una ammissione di conforto.

 

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Ed eccoci al toscano Floriano Romboli (Pontedera, 1949), docente di materie letterarie, che tratta del tema della religiosità, al terzo capitolo intitolato “L’incontro con Dio e con le creature nell’itinerario spirituale di Alfredo Alessio Conti. Il lascito poetico di Paul Claudel (1868-1955). Il poeta francese nelle sue Opere poetiche “amò declinare la fede religiosa” e anche in Conti “è ricorrente l’idea dell’esistenza individuale come itinerario, come cammino” in cui è possibile incontrare Dio e acquisire una giusta direzione o condotta di vita, fra tante perplessità e attese. Il Critico osserva quanto i limiti umani siano un ostacolo per compenetrarsi negli altri; nel Nostro ammira l’accuratezza lessicale di forma discorsiva e lineare; parla di naturale slancio religioso nel poeta Conti, “di un senso di sincera comunione fisica e spirituale con tutti gli esseri” (p.65); parla dell’intimo interiore che il poeta riesce a “esteriorizzare” ricorrendo alle similitudini.

Conti, poeta dell’amore verso la natura, verso il creato che è armonia, pur dichiarandosi “nomade spirituale”, scrive: “se ne va/ ramingo/ nell’anima nel cuore nelle membra/ e ritorna a Te/ con parole semplici/ a Te che leggi/ e vivi/ ed è un ritrovarsi/ sullo stesso cammino” (p.68). Si raccoglie nel silenzio delle tombe e pensa che le anime siano in attesa della resurrezione; con il suo carico di debolezze chiede perdono a Dio e aiuto, ma continua a confidare in “quell’altra vita” che “prima o poi verrà” (p.78). La sua spiritualità si riflette in un ‘tu’ discorsivo che si allarga all’altro; “Osservo la luna/ riflessa nel ruscello/ (…) //Lassù/ è magia, è poesia.” (p.73). Il tema dell’esistenza è presente anche qui; e il verbo, mi viene da dire, che si fa carne è nel più volte indicato “logos”, che vuol dire parola quanto discorso, seme quanto vita, sta a noi essere predisposti all’ascolto. Ascoltare così i passi che ci stanno vicini, per un amore fraterno. “Veglia/ sulla mia esule vita/ e/ riconducimi/ piano piano/ a Te.” (p.87). Sentendosi, come è naturale, un nulla nei confronti di Dio infinito, promette che non si stancherà di cercarlo: “Ti cercherò/ (…) // Ti cercherò…/ fino a quando/ TU/ mi aprirai la porta.” (p.93), una invocazione che sa di dichiarazione di fede; dopo di che il Poeta si assolve da solo.

 

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Fin qui ho cercato di seguire nell’ordine il volume di Alfredo Alessio Conti, Liriche scelte, anche nella sua architettura, nel rispetto verso l’Autore. Tornano utili al lettore i tre contributi critici (oltre quello dell’Editore); tuttavia confesso che, per via dello stacco tra un capitolo e l’altro, mi sono sentito un po’ spiazzato, è stato come se mi fossi trovato tre volumi e non uno solo (Disorientato forse per la poca dimestichezza, del sottoscritto, alla lettura del digitale). Mi sembra chiaro l’intento del volume circa la comparazione del Conti ai tre poeti stranieri (Pessoa, Neruda, Claudel, dei quali sono citati i titoli delle rispettive opere di comparazione). Così facendo viene ampliata la conoscenza oltre confine, il che conferisce maggiore prestigio all’Autore. Comunque, le singole tre tesi, circa l’esistenza, l’amore, la spiritualità del Nostro, si reggono da sole.

Generalmente le poesie sono brevi e in stile discorsivo, dialogo-monologo, come è in uso da alcuni decenni; il numero delle sillabe è variabile e tendenzialmente fa percepire un senso di palpitazione. Le oltre settanta poesie, pressocché equamente distribuite nelle tre sezioni, propongono liriche scelte dalle medesime raccolte pubblicate, tranne una particolarità singola, a partire dalle più recenti e a scendere, oltre che ad altre forse inedite. Per completezza aggiungo l’elenco dei titoli delle raccolte anche per il loro significato intrinseco: Il mistero ultimo della vita (2022), Tutto è respiro (2021), Sulla soglia dell’infinito (2021), La verità nascosta (2020), Quando un poeta se ne va (2019). Inoltre ciascun capitolo ha attinto in modo esclusivo ad altre sillogi, nell’ordine: il primo capitolo, E in questo mal di vivere (2002); il secondo, Avvolto dal tuo tenero amore (1998); e il terzo, Salmodiando Dio oggi (2008) e Vivo di te (2007). Lo sguardo sui titoli, come sui versi, non ci restituisce meri elementi decorativi, ma un’anima. Si sa che la poesia, come tutte le arti, si presta all’interpretazione, è suggestiva. Salvo interpretazioni che possono sviarmi, reputo titoli che fanno intuire un animo che rivela ricerca, indaga e sonda i misteri primordiali della vita.

Tito Cauchi

 

 

 

Alfredo Alessio Conti, Liriche scelte, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp.104, isbn 979-12-81351-25-7, mianoposta@gmail.com.

 

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Giovanni Peli, "Poesie 1994 - 2024"

21 Aprile 2024 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Giovanni Peli
Poesie 1994 – 2024

Calibano Editore – Euro 13 – pag. 130
www.calibanoeditore.cominfo@calibanoeditore.com

 

Le parole non appartengono alla poesia è il giusto sottotitolo di una raccolta poetica che racchiude trent’anni di attività, selezionata in 130 pagine che rappresentano un lungo addio alla scrittura poetica, ritenuta ormai inutile dal bresciano Giovanni Peli, autore di testi per canzoni, prose poetiche, romanzi e libri per bambini. Dieci raccolte edite - dal 1995 al 2023 - riunite in un solo libro, composto dalle poesie migliori, disposte non in ordine cronologico, ma per comporre un coerente discorso lirico; una serie di versi raggruppati per stile e per tema, mai in rima, solo assonanze e musicalità della parola prescelta.  Prefazione (molto colta e incisiva) di Gian Ruggero Manzoni, che spiega la lirica di Peli come ricerca interiore e indagine morale, ispirata da una sorta di politica etica. Parole che diventano musica di delusioni, sinfonia di amarezze e rimpianti, eco di fallimenti e dolore. Una poesia che parla di natura, uomini e animali, soprattutto gatti che fraintendono la notte, ma anche compagni a quattro zampe che ti vengono a cercare proprio quando hai appena detto che avresti fatto a meno di loro, chiedendo una scodella di cibo e un po’ d’amore. Una raccolta a base di poesie brevi - spesso una terzina, in certi casi persino due strofe - ma intense: Mi manca di te / ciò che non sei / stereotipata stella / unica amica mia / guarda come è bella / la nostra bugia. I seni della donna sono pugni di neve, le mani sono lame profonde, la pelle è asfalto che brucia e alla fine il poeta conclude che sa amare solo se stesso che ama. Molte poesie sono rapide frecciate di dolore: Novembre si è preso tutto il merito / si è aperto come una finestra: / sono nato in un grande cimitero. Tra i versi si avverte l’inutilità della scrittura: Coi versi e con la musica son solo: / è così: non c’entro niente con voi. La solitudine dell’artista è sempre in primo piano, mentre tu stai piangendo perché la vita è questa. Il poeta ammonisce: Non devi darti da fare per essere / qualcuno e men che meno qualcosa: / portami via il dolore e poi sorridimi. La conclusione, condivisibile da chiunque oggi tenti di comunicare con la scrittura, è pessimista: È morta la poesia / specialmente la mia … / i lettori fanno le fotografie / prima di arrivare in fondo. Il poeta, pertanto, si chiude in se stesso: Nella pura falsità della poesia, / ci siamo chiesti che cosa, oggi, valesse la pena di raccontarsi. La chiusura del volume è negativa nei confronti della letteratura e per chi fa della scrittura il suo mondo espressivo: Il nostro tempo è passato nel migliore dei modi / e sarà presto dimenticato, anche perché  serve tempo per scrivere / quel tempo vuoto / dove non batte il cuore. Ed è proprio il tempo che troppo spesso manca. Non solo al poeta. Non solo a Giovanni Peli. Un libro da leggere e meditare.

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Il valore culturale della lettura critica della poesia

17 Aprile 2024 , Scritto da Floriano Romboli Con tag #floriano romboli, #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon

 a cura di Enzo Concardi

 Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Recensione di Floriano Romboli

 

Enzo Concardi premette al suo lavoro antologico - che raccoglie e sistema i molti giudizî critici stilati nel tempo sull’attività poetica di Maurizio Zanon – alcune riflessioni metodologiche e teorico-culturali con le quali concordo pienamente. Queste concernono l’importanza della critica ai fini del corretto intendimento dei risultati di una ricerca artistico-letteraria, ne sottolineano la preziosa funzione di mediazione interpretativa e verificatrice degli autentici valori estetici di essa, nella prospettiva di una lettura non ridotta a una semplice reazione impressionistica, a una sintonia soggettiva ed estemporanea con i testi.

Zanon, interessante scrittore veneto, nato a Venezia nel 1954, si segnala per la ricchezza, non soltanto quantitativa, della produzione lirica, contrassegnata com’è dalla varietà dei motivi e da suggestiva eleganza stilistica e ritmica. A questo proposito mi piace citare il parere di chi, come Nazario Pardini - in riferimento specifico alla fondamentale silloge Tutto fu bello qui, stampata nel febbraio 2021 dalla Casa Editrice Miano, ma con lo scopo evidente di una caratterizzazione d’assieme – ha segnalato “l’empatica visione della vita e del suo rapporto con tempo e spazio”, giungendo a un riconoscimento invero significativo: “Non è facile trovare poeti che facciano della vita un’opera d’arte. E Zanon ne è capace. I sentimenti si concretizzano in visioni calde e brillanti, in oggettive sensazioni di metamorfiche vertigini personali”.

D’altra parte gli è connaturale una delicata nota vitalistica: “Eri chiara/ di luce splendente/ come una stella/ e ora che non ti ho più/ sei ancora più bella” (Alla prima giovinezza, in L’uomo narciso, 1987).

Concardi organizza con lucidità e sicurezza il vasto materiale storico-critico in cinque sezioni, iniziando coll’esaminare gli studi concepiti attorno al rapporto fra poetica ed estetica, cioè fra assunti programmatici, fra convinzioni generali, intenzioni progettuali, e concrete realizzazioni formali, obiettive peculiarità compositive. Se il compianto Guido Miano poneva opportunamente in risalto la centralità dei temi del tempo, del nesso problematico vita-morte, della memoria e delle illusioni, in relazione palese con la grande lezione leopardiana, Mario Stefani indicava nella condizione di sofferta solitudine un tratto distintivo della spiritualità zanoniana, il coefficiente essenziale di una “profondità interiore”, un abito “della riflessione e della meditazione” aliene dai profetismi e aperte alla pietas etico-intellettuale e al vigore testimoniale.

Riguardo poi allo stile dell’autore il medesimo studioso, al quale dobbiamo la monografia Il canto di una voce solitaria (1999), si sofferma sulla frequente alternanza nei suoi versi di tensione e musicalità, spezzature e soluzioni euritmiche, di cui hanno scritto con acutezza pure lettori autorevoli quali Angela Ambrosini, Raffaele Piazza e Maria Rizzi.

Seguono le sezioni dedicate all’ambiente naturale e lagunare – ove lo stesso Concardi sviluppa il tema della natura medicatrix, del potere consolatore della stessa, còlto e illustrato attraverso il fascino sempre vivo di Venezia -, alla dimensione memoriale e all’amore (dalle ascendenze letterarie anche remote, addirittura stilnovistiche, come hanno dimostrato interpreti raffinati come Mario Santoro e Dino Manzelli), al tormento esistenziale e alla ricerca di Dio nella società sempre più secolarizzata e votata al culto spersonalizzante e moralmente opacizzante dei “consumi”. Mi sembra in questo senso degno d’interesse il richiamo a un componimento senz’altro riuscito occasionato dalla ricorrenza del Natale di Cristo, intitolato Senza più misure e compreso nella raccolta Liriche scelte (2010): “Che Natale vuoi che sia? / Lo sai che non amo tanto / il Natale di questi anni! / Mi sembra tutto così orientato / all’apparenza delle futili cose, / al consumismo senza più misure. / Basta ingrassare / fra noci e panettoni: / a distanze sempre più accorciate / c’è chi soffre e muore! / Ma vieni ugualmente, mio Dio, / con la tua povertà / in questa festa che magari per me / non è più festa, vieni / ed offrici pure la tua luce/ qui che il buio è quasi sempre”.

Nell’ultima sua parte il volume ospita alcuni saggi di analisi critica comparata e quindi insistente sulle affinità ideali, sulle attinenze tematico-elaborative che il percorso d’arte di Zanon rivela con quello proprio di altre voci poetiche straniere moderne e contemporanee.

Floriano Romboli

 

 

Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-24-0, mianoposta@gmail.com.

 

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