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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Nonno sprint

31 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Mio nonno materno, che personaggio!

Incallito donnaiolo e grande girovago, con i suoi ottant'anni passati, sprizza arzillosità da tutti i pori. Un dongiovanni, quindi? Eh sì, tant'è vero che in famiglia l'abbiamo da sempre soprannominato Don GiovanNuccio, derivante dal diminutivo di Nuccio. In proposito si lancia con nonchalance all'avventura, nel prendere treni o autobus per raggiungere le sue conquiste, spesso rimorchiate tramite quelle cosiddette rubriche Cuori Solitari, oppure semplicemente per farsi delle belle e spensierate gite.

Bene, arrivati a questo punto è necessario tornare indietro di circa trent'anni, a quando il nonno era più giovane e, per i suoi spostamenti, utilizzava uno sgangherato ma stranamente funzionale Piaggio Si con il quale aveva girato un po' tutta la Sicilia orientale e occidentale. A quei tempi, io e la mia famiglia abitavamo a Trabia, in provincia di Palermo, lo sprintoso ci veniva a trovare una volta l’anno per rimanere ospite da noi per una decina di giorni. Talvolta spuntava in maniera inaspettata, vale a dire a sorpresa.

In breve, provo a descrivere il tragitto: partenza all'alba, dal messinese al palermitano, giungendo da noi nel tardo pomeriggio, attraversando strade, stradine, paesi, paesini, campagne etc., sfidando persino avverse condizioni meteo, sebbene per ovvi motivi il Lawrence d'Arabia de' noantri scegliesse prevalentemente le giornate soleggiate.

Io e mia sorella, se sapevamo del suo arrivo, ci piazzavamo sul balcone ad aspettarlo. Non ci portava mai dei regali, al massimo un vassoio di piparelle. L'ingresso a casa nostra da parte del nonno lo consideravo di tipo trionfale, un mix tra il folle e l’eroe, tra l’altro ancora oggi ricordo bene il suo cascaccio color marrone senza visiera che con la fantasia identificavo da aviatore. 

Una sera, quasi al termine della cena, avvenne un simpatico episodio degno di nota. In sostanza a Don GiovanNuccio domandai da cosa traesse origine quel suo spirito da avventuriero, e il perché prediligesse l’utilizzo di quel catorcio.

«Vedi, caro nipote, da ragazzino amavo leggere i giornaletti e sognavo di girare il mondo. Ed eccomi qua!» 

«E qual è il tuo preferito?» gli chiesi con slancio, poiché a sette anni ero un avido lettore di fumetti.

«Tex Willer!» esclamò e con le dita fece finta di sistemarsi un immaginario cappello da cowboy.

«Ah ecco, ora si spiega tutto!» intervenne ironico mio padre. «Praticamente entrambi in sella. Tex, col cavallo andando per dune e per monti, mentre lui... col Si.»

Scoppiammo a ridere.

«E se piove? Come fai?» domandò mia sorella rivolgendosi al nonno.

«Non si pone il problema perché l'Uomo del Vento... non teme la pioggia.»

La sua risposta non poteva che essere prettamente willeriana.

 

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La tennista

30 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Skyler Patterson, mentre si riscaldava attraverso una serie di esercizi di stretching statico, fremeva dalla voglia di cominciare. Aveva come scopo principale dimostrare di essere la migliore tennista del mondo, ne aveva le "palle" piene dei giornalisti e dei bookmakers che la davano per sfavorita, a differenza di Scarlett Chavez, soprannominata "La Regina del Tennis."

In ogni caso, tutto quello che doveva fare era colpire bene e resistere più a lungo possibile per vincere la gara più difficile della sua vita, al fine di conseguire la Mosq Cup.

L'ambiziosa giocatrice osservò maliziosamente la sua rivale seduta su una panchina a bordo campo e nel frattempo cogitò su quale sarebbe stata la strategia più indicata da adottare per gestire il match.

Cinque minuti dopo la partita ebbe inizio, le ragazze inarcarono il braccio con la racchetta in mano, pronte a dare spettacolo. Vennero azionate le barriere protettive per isolare il campo di gioco, il Giudice di Sedia rimase all'esterno assieme al Giudice di Punti.

Da un singolare macchinario dotato di una gigantesca teca di vetro, fuoriuscirono una miriade di zanzare pantera, grandi quanto noci, in direzione della Patterson e della Chavez per pungerle e dissanguarle senza pietà. L'unico modo per inattivare quell'apparecchiatura, la morte di una delle due o di entrambe le tenniste qualora non avessero retto nello stesso momento.

«Vi sistemo io!» pensò la giovane atleta estremamente motivata e concentrata a bruciare i pericolosi insetti con la sua folgorante ed elettrica Racket 4000.

 

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Cecilia Natale, "Radici e orizzonti"

26 Luglio 2023 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

 

Radici e orizzonti

Cecilia Natale

 Guido Miano Editore, Milano 2023.

 

S’avverte nella poetica di Cecilia Natale una profonda esigenza di rivisitazione delle proprie radici lucane dopo la ‘migrazione’ sulle coste pugliesi; una viva appartenenza all’identità femminile; il bisogno di ricercare sentimenti umani autentici in una società liquida, spersonalizzata e spersonalizzante; lo slancio ideale verso i territori dell’essere, i percorsi spirituali, l’incontro con il divino identificato nella Verità. È la stessa autrice, poetessa e pittrice, ad aprire il ventaglio delle sue tematiche prevalenti suddividendo questa sua ultima fatica letteraria, dal titolo Radici e orizzonti, in quattro parti: Il tempo delle donne; Paesaggi e stagioni; Ideali e sentimenti; I sentieri dell’anima. Attraverso una metrica ragionata e pacata, composizioni spesso monostrofiche e versi brevi, sintesi concettuali, verbi dinamici, aggettivazione sobria ma efficace, scansioni e ritmi appropriati, ella sviluppa un percorso memoriale, esistenziale, interiore e in parte storico-sociale, nel quale l’approdo finale diviene sempre l’abbraccio coi valori trascendenti e dunque religiosi.

Più che un affronto delle problematiche relative alla condizione femminile, nella prima parte Cecilia Natale ha voluto omaggiare le personalità, la testimonianza e l’opera di alcune donne reali - più o meno note - che hanno lasciato il segno nel loro passaggio temporale in questa nostra parabola terrestre: in tal modo emerge comunque chiaramente, per le scelte effettuate, la sua visione sulla questione donna. Tra le liriche dedicate segnaliamo in prima istanza quella scritta per omaggiare la madre, definita anche nel titolo una Ruvida quercia, ma sempre pronta all’altruismo anche nella stanchezza degli ultimi anni. Toccanti le parole attribuite a Elisa Springer, scrittrice ebrea sopravvissuta alla Shoah: «...ho urlato / ai rami giganti / della foresta di Auschwitz / il diritto negato, / sfidando la notte dei cristalli / sotto cieli di piombo...» nella poesia A-24020 (Sognando la libertà), dove la sigla alfanumerica indica la sua matricola nel campo di concentramento nazista. Un’altra donna significativa esce dai Vangeli e si chiama Maria di Magdala, divenuta seguace del Cristo, che le cambiò la vita conducendola sulle strade del vero Amore. In epoca contemporanea l’autrice è affascinata dal lavoro della giornalista Tiziana Ferrario, che racconta la vita di popoli lontani e di guerre contro i poveri (Il vento di Kabul). Così anche colei che viene chiamata nel testo Rosa d’Inghilterra, ovvero Diana Spencer, è ricordata per la sua scelta di vita: «Dallo scrigno d’oro / della tua solitudine / approdasti / alle deserte spiagge / di chi soffre...». Seguono poi nomi di donne della vita quotidiana non meglio identificate: Maria, Emma, Marta, Anna, Giovanna, Luisa… non celebri, ma importanti nel mondo affettivo della poetessa. E Come una pergamena è la lirica dedicata a se stessa, dove prevale la sua voglia di ricominciare dopo ogni errore riconosciuto.

La seconda parte ci consegna frutti della memoria alla ricerca di taluni luoghi del borgo di Forenza, dove ebbe i natali, e impressioni sul successivo ‘habitat’ geografico e storico, ovvero la cittadina adriatica Mola di Bari. Oltre alle rimembranze qui fanno testo i tratti paesistici, le atmosfere ambientali, le immagini e i colori di un nucleo antropico e naturale d’impronta marina, le ripercussioni nel suo animo di tutto ciò. La Lucania, “l’antica terra dei briganti” è definita Terra di luci ed ombre per via dei suoi contrasti: vi sono eterne querce, candide greggi, verdeggianti boschi, chiome di fulve pannocchie. Il suo borgo, Forenza, parla attraverso il fumo acre della legna, le «spigolose pietre millenarie / indurite da secoli di storia» (I vicoli del mio paese), le feste degli emigrati tra il profumo delle ginestre e le primule fiorite. Il ricordo si sofferma anche sulla stazione di Forenza, dove il fischio del treno si perde tra mandorli e ginepri, mentre il mite vento di ponente - lo zefiro - fa volare i suoi pensieri. Scenari diversi in terra di Puglia: ora reti, pescatori, barche, bitte, il faro, pietre angioine, bianchi gabbiani… popolano le sue giornate (Sui fondali di questo porto, Paese di mare).

Con la terza parte avviene il passaggio ad una scrittura più soggettiva, interiore, specchio d’idee e d’anima, riflessiva, non mancando tuttavia sguardi sul mondo e la società proprio alla luce delle personali convinzioni. Si tratta di brani poetici tasselli di un mosaico variegato, tuttavia uniti da un forte élan vital bergsoniano, tendente a valorizzare l’amore per la vita prima ancora del suo significato.

Con immagini talora oniriche la poetessa ci invita ad entrare nelle dimensioni del silenzio, dove arte e pensiero hanno dimora; dove gli ideali, cavalieri celesti, combattono furiose battaglie. Compiange i sogni perduti di quelle generazioni che hanno perse se stesse inseguendo chimere, dimenticando il Coraggio di essere, sepolto sotto le cappe di piombo delle proprie catene interiori, e quella Leggerezza dell’essere necessaria come la manna nel deserto. In lei il filosofico élan vital si trasforma, in ultima analisi, in quella forza dell’Amore con il sigillo della Trascendenza che ci fa rinascere se a nostra volta amiamo. La finestra sul mondo s’apre verso Il bagaglio dell’emigrante, perennemente legato alle memorie dell’infanzia (risvolto autobiografico); al dramma dei migranti, profughi strappati dalla propria terra per finire in balìa delle onde; alla sofferenza delle vittime della pandemia che hanno lasciato questo mondo spesso senza «una voce / una presenza» (Marzo 2020).

 A conclusione della silloge Cecilia Natale s’abbandona al canto religioso, nel quale l’Anima e Dio divengono i protagonisti indiscussi; i valori essenziali sono scritti con l’iniziale maiuscola: il Bene, l’Eternità, la Fede, l’Amore, la Luce, il Credo, la Sapienza, la Speranza, la Felicità, il Signore, la Verità… Un lessico spirituale cristiano dove la preghiera è la comunicazione tra l’uomo e Dio; dove la Parola antica si rinnova continuamente; dove la nostra beatitudine si trova solo nell’incontro col divino… L’epilogo è scolpito in Come corde di un’arpa (ultima lirica del libro): «Viandante / con le spalle curve / nella tua Casa / depongo il mio fardello /…/ Fammi restare, Signore / in questa tenda /…/ ricuci Tu i lembi strappati / nella ricerca della Verità!».

Enzo Concardi

 

Cecilia Natale, Radici e orizzonti, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 86, isbn 979-12-81351-03-5, mianoposta@gmail.com.

 

 

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L’AUTORE

 

Cecilia Natale, nata a Forenza (pz) e residente a Mola di Bari (ba), è laureata in Materie Letterarie. Poetessa e pittrice, ha pubblicato le raccolte di poesie: Infinito presente (1995), Le nuvole sfiorano le vette (2004), Risonanze (audiolibro, 2009). È inoltre autrice del libro: Chiesa Sacro Cuore. Il tempio e la sua storia (2013), raccolta di foto, documenti e testimonianze riguardanti l’iter della realizzazione della Chiesa Sacro Cuore di Mola di Bari. L’attività poetica di Cecilia Natale è trattata nel terzo volume dell’opera Storia della Letteratura Italiana. Il secondo Novecento, G. Miano Editore, 2004.

 

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Claudia Messelodi, "Emozioni"

22 Luglio 2023 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

Emozioni

Claudia Messelodi,

Guido Miano Editore, Milano 2023.

 

Questa nuova pubblicazione di Claudia Messelodi, laureata in Lingue e Letterature Straniere, prosegue il discorso poetico della precedente opera I colori dell’arcobaleno (2020) edita dalla medesima Casa Editrice. In quella sede tre saggi - curati da Floriano Romboli, Enzo Concardi, Nazario Pardini - realizzavano una “Analisi Poetica Sovranazionale del terzo millennio”, nell’ambito dell’omonima collana letteraria. In particolare nel primo saggio (Le problematiche dell’essere in Claudia Messelodi e Anna de Noailles), il critico sottolineava l’inevitabile contradditorietà dell’esistenza emergente dai versi, in cui gli aspetti di positività e negatività s’intrecciano attraverso immagini e creazioni dialettiche. Il mio contributo (Il tema dell’amore in Claudia Messelodi e Jaroslav Seifert) metteva in risalto, tra l’altro, la condizione di vulnerabilità nel sentimento d’amore autentico, quando ogni barriera difensiva della razionalità crolla sotto la spinta indomabile della passione. E ancora nel terzo intervento (Claudia Messelodi viaggia tra le armonie della natura in braccio alla grazia del Creatore) Pardini indicava nei simboli della natura e nel linguaggio figurato una delle principali valenze della sua poetica, un’unione panica che la conduce verso visioni celestiali, verticalità eccelse, prospettive escatologiche nelle dimensioni del divino.

Visitando poi l’antologia essenziale della critica, sempre utile per un lavoro di analisi comparate, ho trovato interessanti e testimonianti la complessa anima spirituale e poetica dell’autrice, alcune annotazioni di Angela Giassi a proposito della raccolta Intrecci (2014): «Si tratta di liriche grondanti di vita, dove si mescolano passione e contemplazione, affetti e paure, di un animo pulsante, mai pago, teso piuttosto alla continua indagine del significato primario e autentico dell’essere». E così anche Freya Pickard, nella prefazione a Intrecci, si sofferma sulla prevalenza di una poesia che si manifesta come un viaggio dell’anima, quindi ricerca di interiorità profonde, lontane da sirene mondane.

Questa nuova raccolta ripercorre i motivi più cari all’autrice – tratteggiati in precedenza – amplificando gli spazi dedicati ai modelli estetici orientali (haiku, tanka, elfje) i quali, nell’insieme, ci restituiscono strutture linguistiche sommamente e prevalentemente sintetiche, raccoglitrici comunque di baluginanti ma densi concetti, astrazioni, messaggi. Il bisogno di essenzialità – reso in poesia magistralmente, ad esempio, dall’immagine degli ossi di seppia montaliani – mi pare tipico e necessario dell’attuale fase spirituale di Claudia Messelodi che - dopo aver tanto vissuto, cercato, sperato, sofferto, combattuto - vuole forse ricapitolare tutto il magma esistenziale personale e sociale in visioni armoniose, unitarie, semplici ma che corrispondano ad altrettante voci di libertà e verità. La scrittura si presenta allora come un insieme di lacerti poetici, tasselli musivi, colori caleidoscopici volti a dipingere mondi da conquistare, dimensioni da raggiungere, mete privilegiate di un rinnovamento integrale della personalità umana fin qui carente e lacunosa.

Le vie da seguire iniziano da un dialogo sincero e contemplativo con gli ambienti naturali, colloquio sempre rigenerante e formativo per la poetessa. Non a caso la raccolta si apre con la lirica Croce di Baone, luogo reale del Garda Trentino che simboleggia l’attaccamento alla terra d’origine e la sua passione per la montagna e che poi travalica la realtà fisica per inoltrarsi nei territori metafisici e della spiritualità. È opportuno offrirla alla lettura integralmente per assaporare fino in fondo il suo messaggio di bellezza, meditativo, memoriale, pacificante: «Paesaggi chiari / ovattati d’albe a pastelli / tiepida carezza di un cielo maculato / aria boschiva che genera respiro / forme di vita. / Spazi senza un nome / occulte radici dell’anima / un lento ritrovarsi a casa / con passi lievi in danze libere / con un cuore in pezzi… / cristalli di brina. / E un incontro pacato, un sospiro / un sorriso gentile / come mantello di pace / una fonte di eterno ristoro / nella serena dimora. / Ecco la croce di vetta / la fine e l’inizio. // Colle di luce / nell’incontro di un volto / sempre rinasco». Va da sé che i versi finali rimandano a simboli religiosi (la croce di vettaincontro di un volto) appartenenti alla fede cristiana.

Le stagioni rappresentano l’abito variopinto del nostro clima temperato, il biglietto da visita della natura poetica, la suggestione delle policromie: la poetessa ne coglie i particolari con vivaldiana vivacità. L’autunno tenero e dorato; l’inverno gelido con le sue brezze, la luna di ghiaccio, le sue vibrazioni; il solstizio d’estate con l’immenso sole, il vento sulle vele e gli scogli, la luna al tempo della fienagione, sono altrettanti momenti di vita nei quali possiamo ritrovare noi stessi e le nostre radici. Ritorna il motivo della vetta, tra silenzi e sguardi aperti mentre il fiato si fa di roccia: un’immagine della fatica di natura metamorfica. E ancora picchi, rupi, sogni, in una sinfonia che successivamente abbraccia un cammino «di monte in monte», tra «mari e ancora mari», mosaici di colori, luci, respiri di luna (altra sinestesia accattivante).

Le stagioni del tempo accolgono ed accompagnano le stagioni dell’amore, le cui emozioni spesso vengono vissute in contesti naturali lirici, che si alternano con gli stati sentimentali personali. Sono immagini simili a toccate e fughe musicali o ai pizzicati degli strumenti a corda: lei si perde nello sguardo di lui, fino a non capire a quale punto stia la sua lucidità; nei baci «labbra su labbra» si creano atmosfere magiche come i «sogni all’alba» e i sapori dei frutti o i colori dei velluti; lentamente riaffiora il tempo del cuore tra fiori di loto, promesse d’amore, ebrezza di amare liberamente; scorre il tempo, ma rimane sempre lui al centro dei pensieri.

Oltre le emozioni il bisogno più profondo è quello del sempre, che emerge all’improvviso in questi versi: «Per un attimo / la mano nella mano / per una vita». Claudia Messelodi accenna anche a freddi amori dentro l’inverno e ad amori mai esistiti, ma questi non hanno storia. Storia e storie invece si dipanano in altri testi più distesi sulla pagina quando ella esprime il suo sentimento in modo compiuto.

Sono liriche con metrica più classica e mostrano anche titoli molto emblematici: Portami lontano, Fiordalisi e lacrime, Paradise (paradiso) Missing you (mi manchi). In Portami lontano si vagheggiano luoghi indefiniti, forse più del sogno che geografici, dove l’amore trova pienezza di realizzazione: là s’accende il desiderio, si vivono stupori e abbagli, non si coniuga il verbo dovere ma regnano le emozioni date dalla «presa calda della tua mano», dal «carbone celeste dei tuoi occhi» e si scoprono tesori nascosti mai visti. Fiordalisi e lacrime è una tenera poesia d’amore per lui, centrata sulla cura dell’amato: lei entrerà nella sua vita per allontanarlo da ogni malinconia, lei curerà le ferite del suo cuore per lenire ogni dolore, lei attraverserà i suoi inverni con la tenerezza medicatrice d’ogni male. E alla fine diverranno insieme «…canto lieve fra le zolle / tra labbra schiuse - dove torno a volare / e al confine di un bacio / a cercarti».

In Paradise il canto d’amore celebra l’unione delle anime, alla ricerca del momento magico nel quale si avrà in mano la giusta chiave «…che spalanchi l’accesso / al nostro paradiso…», un eden esclusivo e riservato: «…Per noi soltanto / quest’angolo di cielo / sguardi e sospiri». Invece Missing you è ispirata dal dolore di una momentanea assenza di lui, e per questo i momenti di smarrimento pesano sul suo vuoto d’attesa: «…Vorrei che questo tempo che ci separa / corresse più del tempo stesso…». Nel testo vanno segnalate fantasiose ed originali sinestesie associate a metamorfismi tra elemento umano e naturale, come «spalle di muschio», «collo di eriche», «braccia di sandalo», «colonne di pino selvatico».

Dopo i ritmi e i battiti dell’amore, la poetessa guarda dentro se stessa, scruta orizzonti esistenziali, indaga nelle dimensioni memoriali, sperimenta approdi religiosi. Il viaggio più arduo è quello nell’interiorità, ove vibrano le scelte della vita, ove l’incontro con il proprio io richiede smascheramenti e cambiamenti. La sensazione di ebrezza che scaturisce dalla coscienza dell’infinito s’irradia beneficamente verso le relazioni amicali e verso il proprio cuore, ricolmo di empatie. La natura è partecipe del nostro destino, trova le parole per raccontare e raccontarsi, s’inserisce nelle nostre dimensioni per rubare tempo al tempo.

L’esistenzialità dell’autrice è spesso positiva, pronta a cogliere le miriadi di luci che popolano la realtà, piuttosto che affondare il bisturi sul malessere odierno: meglio abbracciare il cielo, come in un volo onirico verso territori del futuro; meglio un mondo a pastelli che genera sogni; meglio essere eternamente viva e sul campo di battaglia «…impetuosamente selvaggia, / di amazzone / indomitamente libera…» e farsi riconoscere come «…colei che ti terrà sveglio / nella febbre di un pensiero / tutta una notte» (E tu saprai…). Intensità, passione, spessori: ecco il verbo della Messelodi, che si coniuga dunque con un «libero andare / solo emozioni in gioco…» nell’incessante ricerca della vita.

Tuttavia, talvolta, gli echi del dolore la raggiungono nel freddo vuoto di memorie del nulla: la vita può diventare un’altalena dove è facile trovarsi e perdersi, svanire nel tempo che fugge con te, insieme ai tuoi dubbi. Ed allora è saggezza scrivere versi Per un amico: «…tu ed io bambini /…/ farfalle in volo /…/ nuove carezze»; ricordarsi delle mimose al vento nel giorno della festa della donna … e chissà se c’è un Dio in quegli occhi.

Enzo Concardi

 

Claudia Messelodi, Emozioni, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 68, isbn 979-12-81351-12-7, mianoposta@gmail.com.

 

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Angela Ragozzino, "Voci d'anima, d'arte e di natura"

19 Luglio 2023 , Scritto da Marcella Mellea Con tag #marcella mellea, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Angela Ragozzino

VOCI D’ANIMA, D’ARTE E DI NATURA

 

 

Il volume VOCI D’ANIMA, D’ARTE E DI NATURA, di ANGELA RAGOZZINO, edito da Guido Miano Editore, 2023, per la collana “Parallelismo delle Arti”, presenta poesie dell’autrice, foto e dipinti degli artisti Benedetto Scaravilli, Franca Maschio, Fabio Recchia, Enrico Raimondo, Angela Ragozzino, Giovanni Conservo.

La poesia e le arte figurative, sin dai tempi antichi, vanno a braccetto: la poesia, attraverso le parole, suscita emozioni; la pittura, la scultura e la fotografia, attraverso forme, immagini, colori e sfumature, evocano e trasmettono sensazioni. Le opere presenti nel volume dimostrano come alcune tematiche siano fonte d’ispirazione comune per gli artisti e regalano le stesse suggestioni al fruitore dell’arte.

Angela Ragozzino, con le sue parole sempre ben calibrate, dipinge quadri, scene di vita e attraverso la descrizione dettagliata della natura, dei paesaggi e delle persone, che appaiono davanti ai suoi occhi, sparge pennellate di colore, con dosati effetti di chiaro-scuro. La poetessa trae ispirazione da diverse situazioni e ci veicola la sua visione soggettiva, il suo sentire. Le liriche si aprono sempre con la presentazione di quello che l’autrice vede, per poi lentamente immedesimarsi nella scena descritta e trasportare il lettore alla evocazione/rievocazione di un ricordo, di una sensazione, di un evento e quindi di un’emozione.

Le opere figurative che accompagnano le poesie, tutte molto suggestive, danno un immediato colpo d’occhio, stimolano l’immaginazione e suscitano grandi emozioni: sono poesia muta e ci proiettano immediatamente nel tema e nel pathos delle liriche.

Tutte le poesie si contraddistinguono per un marcato lirismo, dettato da profonda meditazione e immaginazione di stampo romantico. Di delicata bellezza sono le poesie dedicate alla natura, natura che rinfranca lo spirito, da sollievo all’animo inquieto e mitiga la solitudine, come in L’ABBRACCIO DELLA NOTTE: «Alzo gli occhi al cielo / e vedo una stella / brillare, / brilla più delle altre. / Percorro il sentiero / tra l’erba, / la brezza tra le fronde / rinfranca / dalla calura d’agosto. / Le ombre, / mi seguono sulle pietre / rischiarate dalla luna, / come timide compagne / danno forma / ai miei pensieri / ai miei sogni, / ormai solo illusioni. / La notte mi avvolge / in un abbraccio, / dolce e silenzioso, / e trovo sollievo / alla mia solitudine». In GIORNI DI PIOGGIA («Cammino… Cammino / sotto la pioggia, / cade a scrosci bagna il viso / lava strade e muri scrostati. / Le foglie volano giù / dagli alberi sferzati dal vento, / mulinelli impazziti / si placano solo / al calar della tempesta /…/ La tempesta è placata, / ma non quella / che agita l’animo mio») l’autrice ci dice di come il mondo esterno interviene e modifica il suo sentire interiore, crea corrispondenze e fa scaturire forti emozioni. Nella poesia IL VENTO DEL NORD, l’autrice descrive la potenza distruttrice del vento, ma nello stesso è consapevole che la vita rinasce e la speranza ha il sopravvento, ne è il simbolo la mimosa che è già fiorita; «Il Vento gelido del nord / sferza la campagna. / Alberi piegati, le foglie strappate / volteggiano impazzite…// Il gelo cala sulla terra nuda / si fa ghiaccio. / L’ultima tempesta / di un inverno lungo e solitario. // Lontani da tutto, / rinchiusi tra quattro mura / in attesa che passi la paura / del nemico che uccide. // Già la mimosa è fiorita, / che pieghi i suoi rami / alla furia del vento e forte, / resista!».

In CANNE AL VENTO, dopo la dettagliata descrizione del paesaggio, la poetessa, nella seconda parte della lirica, identifica se stessa con la canna al vento, trasportata senza meta dalle memorie e dai rimpianti dei tempi passati. «Canne al vento / sulla riva, onde increspate / dalla brezza marina. / Rocce arse, baciate / dal caldo sole d’agosto. / Il fico d’India, verde / dai frutti spinosi, / ma dal cuore tenero e dolce. / Canna al vento, si piega / ma non si spezza. // Un’estate solitaria / come tante altre, / come tutte nella mia vita. / Guardo le nuvole bianche / che galoppano nel cielo / e volo nel mio mondo / fantastico… per non pensare / alle stagioni passate, / al tempo perduto. / Canna al vento, son io…».

 

Nella silloge sono presenti poesie molto personali, intime, dedicate a persone care scomparse: UNA FOLATA DI VENTO (A Rosaria), LA TUA VOCE… IL TUO SORRISO… (A Padre Raimondo), IL TUO SORRISO (A mio Fratello), ma anche poesie di stampo religioso e di contemplazione mistica: E COSÌ TI PORTO NEL CUORE (A San Michele Arcangelo), 8 DICEMBRE… a Capua, ALL’ICONA LASSÙ.

La delicata poesia dedicata alla Madonna del Carmelo, trae ispirazione da un affresco presente in una chiesetta a Sant’Angelo in Formis (CE), di autore ignoto. La poetessa ci offre anche una foto dell’affresco. Siamo qui di fronte a quella poesia che si ispira alle opere d’arte di cui è piena la letteratura: LONTANO NEL TEMPO… (La Madonna del Carmelo) «Lontano nel Tempo… / Rivedo una Cappellina / ai piedi della collina, / mura basse scrostate, / di calce bianca dipinte / e lì in fondo una Madonna. / Ha occhi dolci ed amorevoli / un Bimbo biondo sul grembo. /…/ Lì in fondo, la Luce. / Lontano nel tempo…/ E n’è passato… e ancora ritorno / alla vecchia Cappellina / ai piedi della collina. / E la ritrovo in alte mura incassata, / di calce bianca, dipinta. / È sempre lì, la Madonnina / d’oro soffusa, / ha occhi dolci amorevoli / e il Bimbo biondo sul grembo. / Ti porto una rosa di maggio, / ahimè! piena di spine. // Tu guardi e sorridi, / sai già le pene del cuore. / Oh! Madonna del Carmelo / dei Tuoi figli conosci gioie, / dolori e speranze, / ascolti e lenisci gli affanni / di chi a Te s’affida…/ Ed ora alla Chiesetta / m’avvio, una prece dal cuore s’innalza: / Fa’ che alle rose per Te / non ci siano più spine».

Una poesia che mi piace mettere in risalto, è quella dedicata al poeta Guido Miano, fondatore dell’omonima Casa Editrice. Qui l’autrice, nel ricordare l’amico e l‘artista recentemente scomparso, fa emergere la figura di un uomo sensibile e illuminato, che con il suo operato ha seminato semi di conoscenza, ha stimolato talenti e ha dedicato la vita a rendere il mondo un luogo più bello e migliore: UN LIBRO PER AMICO (A Guido Miano) «È una sera d’estate / l’afa soffoca il respiro, / un soffio di vento smuove / le fronde nel giardino. / Lo sguardo lassù alle stelle / mute e spente…/ Ripenso alla voce triste / che annuncia / la Tua Rinascita al cielo / nell’eterna Dimora. // Quanti tesori hai lasciato / quaggiù… il Tuo seme / ha messo radici / e virgulti sempreverdi / tendono rami al sole. / Quel refolo di vento / ritorna, smuove le foglie. / Ripenso alle parole / segnate con mano gentile, / la Tua dedica. // Sfoglio piano le pagine, / leggo brandelli di vita / sentimenti e nostalgie. / Il dolce rimembrar della terra / natia nel canto d’una sirena, / e «la Carezza lieve del padre», / al suo bimbo, / al mio cuore fanno eco. / E per tal sentire il Tuo Libro / sarà a me caro, / un Amico!».

Molte sono le suggestioni, le riflessioni e le emozioni che la poesia di Angela Ragozzino ci regala. Una poesia elegante nel tono, caratterizzata da un linguaggio chiaro, essenziale ma allo stesso tempo preciso e dettagliato, che non si perde dietro allusioni e significati oscuri; una poesia romantica, in cui la natura è protagonista, una natura che ci insegna a vivere, che riflette i moti dell’animo umano e dà sollievo alle fatiche della vita. Una poesia senza artefici che va diritta al cuore e lo fa vibrare.

Marcella Mellea

 

 

Angela Ragozzino, Voci d’anima, d’arte e di natura, prefazione di Enzo Concardi; Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 80, isbn 979-12-81351-02-8.

 

 

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Maria Angela Eugenia Storti, "Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione e innovazione"

15 Luglio 2023 , Scritto da Gabriella Veschi Con tag #gabriella veschi, #recensioni, #saggi

 

 

 

 

Maria Angela Eugenia Storti

 Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione ed innovazione

 Guio Miano Editore, 2023. 

 

 

In Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione ed innovazione (Guido Miano, Milano 2023), Maria Angela Eugenia Storti, docente, saggista, scrittrice pluripremiata, esamina accuratamente le opere di alcuni tra i più significativi scrittori del secolo scorso. L’opera, suddivisa in tre sezioni e preceduta dalla Nota dell’autrice, è un importante saggio di analisi comparata che verte sui tre fondamentali generi letterari diffusi nella cultura inglese, tedesca ed italiana del Novecento: il romanzo, il dramma e la poesia. Come si evince dalla puntuale Prefazione di Lea di Salvo, l’autrice si propone una molteplicità di obiettivi: considerare le opere letterarie come prodotto dei contesti storici di riferimento, ripercorrere la strada che ha determinato l’evoluzione delle tecniche sottese alle diverse tipologie letterarie, rovesciare il concetto di “inutilità dell’arte”, secondo l’accezione data da Oscar Wilde e riferibile ai canoni dell’estetica simbolista decadente. Storti in questo studio dimostra, come da lei asserito nelle Conclusioni, quanto invece l’arte sia indispensabile e come la Letteratura, intesa come arte dello scrivere, divenga dispensatrice di emozioni e fonte di conoscenza.

Il trait d’union tra gli autori scelti è l’osservazione di una società borghese ormai al crepuscolo, insieme ai suoi prodotti artistici; gli scrittori inseriti nell’opera reagiscono di fronte ad un mondo in cui non si riconoscono e dove, dopo il crollo delle certezze positivistiche, tutto appare menzogna, assorti nell’incessante ricerca di nuove e più autentiche modalità espressive che li avvicina ai movimenti di avanguardia del Novecento. Il saggio procede attraverso continue interrelazioni, in un lungo e complesso excursus che, per la sezione Romanzo, prende l’avvio dal Doctor Faustus di Thomas Mann: l’isolamento che circonda il protagonista, il musicista tedesco Adrian Leverkühn, presenta numerosi motivi autobiografici e coincide con la degenerazione della Germania funestata dal nazismo.

Alienazione, frustrazione ed emarginazione sono le cifre peculiari dell’opera kafkiana: sogno e realtà, simbolo e concretezza viaggiano su due binari paralleli. I personaggi, indicati con l’iniziale K, spesso alter ego dello scrittore, si sentono schiacciati da leggi incomprensibili.
Potente si eleva la voce di Virginia Woolf, una tra le prime scrittrici ad occuparsi, in Una stanza tutta per sé, del rapporto tra cultura e mondo femminile; Virginia esorta le donne ad uscire allo scoperto, aprendo al mondo le loro stanze per scrivere senza rinunciare alla propria identità, penetrando all’interno dei processi mentali per immergersi nella novità assoluta rappresentata dal “flusso di coscienza”.

La seconda sezione, Il teatro, si sofferma sul Saggio sull’umorismo di Luigi Pirandello, contrassegnato dal dualismo tra il sentimento del contrario e l’avvertimento del contrario, ovvero tra il comico e l’umoristico, principi ispiratori di tutta la sua produzione. Ed è allo scrittore agrigentino che si deve, dopo Shakespeare e Goldoni, una vera e propria riforma del teatro che ha ampliato gli orizzonti della drammaturgia italiana, innalzandola ai livelli della cultura mitteleuropea. Storti prosegue quindi con due caposaldi del teatro novecentesco: Frank Wedekind, con la sua Lulù, la femme fatale equivalente, per certi aspetti, alla dannunziana Elena Muti, entrambe figure femminili contrassegnate dalla volontà di affermare se stesse contro la morale corrente e Samuel Beckett, uno dei padri del teatro dell’assurdo. Così l’uomo contemporaneo nasconde il suo vero volto dietro la maschera pirandelliana e con Beckett si identifica in una marionetta che si muove estraniata, pronunciando puns e nonsense, nella fissità di una vita - non vita, in un processo di decostruzione della realtà.

Ma Storti individua come il maggior artefice della rivoluzione poetica Thomas Stearns Eliot, il quale sostiene che la tradizione non è solo passato, ma continua a vivere nel presente, fornendoci la coscienza della memoria storica. Eliot è presente nella sezione dedicata al romanzo e anche nella terza ed ultima sezione, Poesia, in un accostamento con Eugenio Montale; oltre alla teoria del “correlativo oggettivo”, i due premi Nobel condividono la creazione di una poesia forse meno lirica, ma certamente molto efficace, nella loro consapevolezza di possedere solo incertezze.

Il saggio di Storti è di fondamentale importanza ed offre succosi spunti di riflessione, rivelando interessanti e impreviste analogie tra autori molto diversi tra loro, ma animati dagli stessi intenti: rinnovare, rivoluzionare, modernizzare una Letteratura considerata ormai alla sua fine; essi hanno fornito un apporto fondamentale alla storia letteraria, influenzando tutte le generazioni successive, fino ai nostri giorni. Ed è anche grazie a Pirandello e Montale, come era accaduto per Dante e Petrarca, che la letteratura italiana può a buon diritto essere considerata a tutti gli effetti parte integrante di quella europea.

Gabriella Veschi

 

 

Maria Angela Eugenia Storti, Itinerari di letteratura del Novecento tra tradizione ed innovazione, pref. di Lea Di Salvo, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 82, isbn 978-88-31497-99-2, mianoposta@gmail.com.

 

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Adriana Deminicis, "8 Infinito 8 - La gemma di giada"

10 Luglio 2023 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Adriana Deminicis

Infinito  8La gemma di giada,

Guido Miano Editore, Milano 2023 

 

 

La raccolta che Guido Miano Editore propone, scritta dalla poetessa fermana Adriana Deminicis, La gemma di giada, è la prima parte di un progetto che dovrebbe comprendere altre raccolte, in un percorso che perciò si presenta come non finito: questo stanno a indicare i due simboli dell’infinito posti prima e dopo il titolo (ma verticalmente). Nella prefazione all’opera, Enzo Concardi sottolinea opportunamente la consapevolezza dell’autrice “di essere vicini all’Infinito ma di non poterlo ancora utilizzare nella sua energia totale e senza limiti … la coscienza della nostra ricchezza interiore che tuttavia tarda a farsi palese…”, e da ciò vede affiorare il tema (ricorrente nella poesia d’ogni tempo) della natura medicatrix – quasi che essa possa dare risposte, mentre è essa stessa creatura (medicatrix, ma non certo creatrix). Questo è il fil rouge che tiene fortemente unite le composizioni di questa raccolta, che si può a buon diritto considerare un poemetto. Si presenta, infatti, come un flusso continuo di riflessioni (che non di rado, curiosamente, la scrittrice declina al maschile) tutte tese a rispondere ai tre soli versi di Una domanda (unica poesia chiusa da un segno di interpunzione e, al pari di Armenian Duduk Music, la più breve della raccolta): “Può esistere una vita / così come io la cerco, / senza la morte, qui sulla Terra ?”.

Leggendo, subito colpisce il ritmo delle parole, che dalla prima composizione (non a caso intitolata Infinito) fino all’ultima (Una scarpa rotta) sembra quasi togliere il fiato al lettore, data la “necessità” dell’autrice di esprimere, in un impeto ininterrotto di sensazioni e pensieri, tutta la sua positiva ansia di vivere e di trovare la pienezza della vita anche in momenti che sembrano fuggevoli, in fatti che paiono marginali, quasi troppo “normali” per essere poesia, e che pure lo sono (“… con l’aria fresca a dissetar / come una bevanda refrigerante, / e il caffè per rifocillare le pause / e i sorrisi per il buon parlare / in una stagione di sollievo …” - Un pensiero alla Luna). Pienezza che l’artista sembra trovare adombrata anche solo in un tronco d’albero, o in oggetti ormai da buttare come un orologio fermo, e perfino in un cane che ama la musica (Dudù e la Panchina).

Così, sensazione dopo sensazione, considerazione dopo considerazione, emergono tutte le innumerevoli linee di ricerca di un senso possibile all’umana vicenda. Tutto può esser segno dell’anelito di compiutezza che guida la scrittrice: la terra, il cielo, la luna, le stelle, il sole, i gabbiani (tutti nomi scritti il più delle volte con l’iniziale maiuscola, come anche le parole Amore ed Anima, al pari di Viaggio e di Vita – e l’elenco potrebbe continuare, non solo coi sostantivi, ma anche con diversi aggettivi). Una ricerca che forse trova nella natura che ci avvolge “il luogo” dove tutto pare potersi alleare per rendere la vita piena, felice, con “l’entusiasmo di chi racconta / una storia vissuta a lieto fine” (Una terrazza sul Mare), col perenne accompagnamento di una musica capace di aprire “tutti i varchi nascosti per giungere / in siti mai visitati” (La Musica che porta lontano). E così “… le stelle cadenti / erano tutte consolazioni, / erano baci al cuore, / erano abbracci per condurre / in un mondo ricco di gratitudine / e di risposte positive piene / di Energia Buona, / nel caro e prezioso vivere ove tutti / potevano esistere sereni e tranquilli” (finale de Il giorno di San Lorenzo). Una tensione continua alla ricerca di un sogno che si intuisce potersi realizzare (come “…una tartaruga cammina veloce / all’interno di un giardino, / una pianta riporta la mappa / con tutti i saperi…”,  Una poesia d’Amore), ma ben sapendo che non è ancora il tempo che ciò accada, pur constatando che man mano, nel tempo “… i versi si riempivano di contenuti / formando una comprensione / che a poco a poco diveniva consistente, / tasselli giunti a trovare / una collocazione, tanto cercata / nel corso della mia vita, / non più soggetta a limiti, / perché oltre l’Orizzonte / la vista non si perdeva…” (Steli di rose). Per questo, forse, ogni composizione non è chiusa da un punto fermo, la cui omissione volutamente indica che bisogna cercare sempre più in là.

Quella di Adriana Deminicis si presenta così come una poesia sognante. È proprio come un sogno la confidenza che ella fa alla gemma Giada: “… le dissi con tutto il mio Cuore / di aiutarmi a far venire / un mondo senza sudore, senza malattie, / un mondo di giovinezza eterna, / di felicità e bellezza / …” (Giada): è l’eterno sogno dell’umanità, è un sogno di paradiso. E sognare è non solo lecito, ma a volte benefico, come ci ricorda la poetessa de La gemma di giada.

Marco Zelioli

 

 

Adriana Deminicis, 8 Infinito 8. La gemma di giada, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 100, isbn 979-12-81351-04-2, mianoposta@gmail.com.

 

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9 domande e 1/2 a Patrizia Poli  

6 Luglio 2023 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #interviste, #poli patrizia

 

 

 

 

 

Amici lettori di signoradeifiltri.blog, Patrizia Poli ha scritto un libro nel quale ha messo tutta se stessa, la sua anima e la sua professionalità. Ora, per darvi modo di conoscere La pietra in tasca, edito da Literary Romance Edizioni, le rivolgerò le mie proverbiali 9 domande e 1/2.

 

 

1 Cosa vuoi dire ai lettori che conoscono la storia delle sorelle Brontë?

 

Il testo è liberamente ispirato alla vita di Emily Brontë e al suo imperituro romanzo Cime tempestose.

Non è l’ennesima biografia, per questo vi rimando a quella classica, e fuorviante, di Elizabeth Gaskell – da cui è tratto il mirabile romanzo di Lynne Reid Banks e che ha contribuito a creare la “leggenda dei Brontë” –, a quella monumentale, moderna e innovativa di Juliet Barker o a quella poetica e struggente di Paola Tonussi.

Qui è Emily che, ormai spirito nella brughiera come la sua Cathy e il suo Heathcliff, ricorda la propria vita e rivive il romanzo. Per questo ci sono ripetizioni e rimandi continui, per questo si va volutamente avanti e indietro nel tempo, mentre i ricordi si mescolano e rincorrono, insistenti, in un flusso di coscienza inarrestabile.  

Oltre alla bellezza immortale del romanzo scritto dalla più misteriosa e solitaria delle sorelle Brontë, a colpirmi è l’atmosfera di morte che ha accompagnato questa tragica famiglia, a partire dal luogo dove i fratelli sono cresciuti, circondato da cupe pietre tombali, fino ai drammatici fatti che li hanno strappati al mondo nel fiore degli anni, uno dopo l’altro.

Che cos’ha di tanto travolgente il romanzo di Emily? L’eroe byronico è scisso in due e non ha nessuna controparte capace di rabbonirlo e redimerlo. In realtà l’eroe satanico trova qui la sua amata metà dell’inferno. Heathcliff e Cathy non “s’innamorano”, non si scoprono, semplicemente “esistono” l’uno nell’altra, da sempre e per sempre (e, entrambi, sono Emily Brontë).

Un libro senza scampo, senza redenzione, almeno per i due eroi principali – dove la morte non è una sconfitta o una punizione bensì un premio. Non vanno in paradiso, questi due, né all’inferno, vanno in un luogo – la brughiera – al quale entrambi appartengono; si ritrovano, tornano a fondersi, a essere di nuovo la persona che la sorte aveva diviso.

Personaggi non immorali ma premorali, agiscono come gli elementi atmosferici, come un fiume che esce dal suo letto o un terremoto che scuote le fondamenta della terra. Non importa quante vittime lascino sul cammino, loro devono fare quello che fanno, cioè amarsi, azzannarsi, fondersi. Ecco perché questo romanzo è così unico, così speciale, così fuori dal tempo.

Né biografia né riscrittura, quindi, come sempre, ho solo parlato di quello che mi piace immensamente e che conosco, rivivendolo dentro di me.

 

2 E per quelli che invece non le conoscevano?

 

Si lascino pure trasportare dall’atmosfera e dalla storia ma poi, chiuso il mio testo, corrano a leggersi il classico.  

 

3 Puoi raccontarci la tua gioia e il tuo dolore nello scrivere il testo?

 

Gioia grande per aver potuto approfondire come meritava un argomento che mi affascina da sempre, dalla prima volta quando, ragazzina, mi sono calata nell’atmosfera “haunted and ghosted” del romanzo, fino a quella prima tesina scritta all’università, insieme alla mia amica C.D., che mi ha lasciato la voglia di saperne di più. Su questo si basa tutta la conoscenza e anche la scrittura per me: la curiosità di saperne di più.

Dolore nel ripercorrere le vicende della famiglia Brontë, così disgraziata. Pensare a tutte quelle vite e quei talenti andati persi nel fiore degli anni, rivivere la solitudine di Charlotte rimasta sola con i ricordi nella casa vuota, è straziante.

 

4 Com'è stato lavorare con Literary Romance Edizioni?

 

Avevo già lavorato con Simona Friio della Literary Romance per L’isola delle lepri e devo dire che mi sono trovata benissimo. Lei è una persona seria, competente, affidabile, professionale. In più, abbiamo la stessa sensibilità e lo stesso bagaglio culturale, fatto di letture e passioni comuni.

 

5 Hai mai avuto paura di non farcela?

 

Ho certamente avuto paura di non rendere giustizia al mostro sacro che è Emily Brontë.

Per quanto riguarda la mia carriera letteraria, invece, bisogna vedere cosa s’intende per “farcela”. I tempi sono cambiati, siamo alle soglie di un mutamento epocale, non sappiamo neanche se in futuro esisterà ancora la parola scritta. Quindi, “farcela” non coincide più con il successo e le vendite. Per me, ogni volta che qualcuno mi scrive dicendo di aver provato grandi emozioni leggendomi, sento di aver raggiunto lo scopo.

 

6 L’epoca nella quale sono vissute le sorelle Brontë cosa ha di affascinante?

 

Tutto e nulla. Bellissima la sensibilità romantica, l’anelito verso il trascendente mai raggiungibile, l’ideale contrapposto al reale. Pessime in pratica le condizioni, visto che la speranza di vita non raggiungeva i trent’anni. La famiglia Brontë ne è un tragico esempio.

 

7 Il tuo sogno nel cassetto.

 

Quello comune a molti scrittori: che da uno dei miei romanzi venga realizzato un film o una serie tv.

 

8 Sei più classica o hard rock?

 Senz’altro e ovviamente classica.

 

9 Stai camminando a piedi a spasso con il tuo cane e incontri Andrea Camilleri, che gli chiedi?

 

Se non avrebbe preferito raggiungere il grande successo da giovane invece che in tarda età.

 

1/2 Risottino o carbonara?

 

Entrambi. Sono una buona forchetta e purtroppo si vede.

 

 

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La pietra in tasca

5 Luglio 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #lapietraintasca

La pietra in tasca
 

Con grande orgoglio vi presento la mia ultima creatura, "La pietra in tasca", un libro al quale tengo infinitamente perché è una di quelle cose che fanno di me quello che sono.

Il testo è liberamente ispirato alla vita di Emily Brontë e al suo imperituro romanzo "Cime tempestose."

Non è l’ennesima biografia, qui è Emily che, ormai spirito nella brughiera come la sua Cathy e il suo Heathcliff, ricorda la propria vita e rivive il romanzo.

Oltre alla bellezza immortale del libro scritto dalla più misteriosa e solitaria delle sorelle Brontë, a colpirmi è l’atmosfera di morte che ha accompagnato questa tragica famiglia, a partire dal luogo dove i fratelli sono cresciuti, circondato da cupe pietre tombali, fino ai drammatici fatti che li hanno strappati al mondo nel fiore degli anni, uno dopo l’altro.

Che cos’ha di tanto travolgente il romanzo di Emily?

Un libro senza scampo, senza redenzione, dove la morte non è una sconfitta o una punizione bensì un premio. Non vanno in paradiso, questi due, né all’inferno, vanno in un luogo – la brughiera – al quale entrambi appartengono; si ritrovano, tornano a fondersi, a essere di nuovo la persona che la sorte aveva diviso. Personaggi non immorali ma premorali, agiscono come gli elementi atmosferici, come un fiume che esce dal suo letto o un terremoto che scuote le fondamenta della terra. Non importa quante vittime lascino sul cammino, loro devono fare quello che fanno, cioè amarsi, azzannarsi, fondersi.

Né biografia né riscrittura, quindi, come sempre, ho solo parlato di quello che mi piace immensamente e che conosco, rivivendolo dentro di me.

 

"Di nuovo insieme, nella neve e sui prati fioriti, nella brughiera che è la loro casa.

Heathcliff e Cathy si sono ritrovati, camminano accanto, i mantelli che ondeggiano sulle spalle, le dita che si sfiorano, non più crudeli, non più cattivi ma neanche buoni, solo paghi l’uno dell’altra.

Poco lontana, in disparte, c’è una donna con il suo cane, bestia selvaggia che guarda docile verso la padrona. È una donna con braccia lunghe e falcata ampia, gli occhi spiritati e indomiti. I rapaci volano sulla sua testa, le allodole si posano sulla sua mano, i roditori strisciano attorno ai piedi calzati da vecchi stivali. Heathcliff e Cathy sanno che è colei che li ha creati, quasi fosse la loro madre."

#lapietraintasca

 
 
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Archor

4 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con PicFinder AI

 

 

 

«Rientrare nelle celle!» risuonò la voce monocorde dagli altoparlanti di Archor, il penitenziario di New Baltic.

William Joseph Blasko, il direttore della prigione, affacciandosi dalla finestra del suo ufficio, si focalizzò sui prigionieri che prendevano posizione davanti alle porte d'ingresso.

«L'ora d'aria è il momento propizio per eventuali fuggiaschi» pensò l'austero dirigente. «Le nuove misure di sicurezza dovrebbero scoraggiare persino i più temerari.»

Le telecamere a circuito chiuso e le speciali serrature elettroniche avevano quasi azzerato il budget del carcere. C'erano state critiche sulla recinzione elettrificata e sulle torrette laser, per non parlare dei droni dotati di mitragliatrici. Tuttavia, per Blasko, risultavano soldi ben spesi, in quanto alcuni mesi prima, cinque agenti, erano riusciti a fuggire, per di più travestendosi da detenuti. 

 

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