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recensioni

Daurija Campana, "Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato"

26 Gennaio 2025 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Daurija Campana

Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato

Guido Miano Editore, Milano 2024

 

Daurija Campana nasce a Meldola (Forlì) nel 1977; è poetessa. scrittrice e pittrice. Nel 2013 pubblica la raccolta poetica La casa di paglia. Le sue opere pittoriche appaiono in diversi cataloghi e nel 2023 pubblica la silloge poetica Sola tra memoria e dolore, con Guido Miano Editore,

La raccolta di poesie della Campana, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’esauriente prefazione di Michele Miano centrata e ricca di acribia.

Come scrive il critico, la silloge rientra in un progetto più articolato del suddetto Editore, la collana dedicata al Parallelismo delle Arti secondo il quale la pittura può risultare poesia muta e la poesia pittura parlante.      

Se nella raccolta precedente prevalevano il senso del dolore intimamente connesso con quello della solitudine, dolore dovuto soprattutto alle morte del padre, nella nuova silloge sicuramente in continuum con l’altra, la poetica si apre a un felice sforzo di uscire dal male di vivere e dal dolore dell’esistere, proprio attraverso l’elemento della novità che può portare una luce nella visione del mondo della poetessa.

Ma con un’analisi più profonda ci accorgiamo che nell’anima della Campana, nella sua memoria, nella sua camera della mente coesistono, come si evince dal titolo del volume, anche ricordi relativi al passato che riemerge come una provenienza e poi si parla di qualcosa di blu che pare essere il colore preferito dalla poetessa e di qualcosa che prende il nome di prestato che potrebbe identificarsi nei versi stessi donati ai suoi lettori per poi riaverli e tutto questo non può che generare un gioco intrigante per arrivare almeno ad attimi di pace nella creazione e nella fruizione del testo e dal piacere che ne deriva.

Citiamo dalla sezione Qualcosa di vecchio i seguenti versi tratti dalla poesia Stelle cadenti: «A che m’importa guardare là fuori/ e rivederci bimbi col pallone,/ se non posso più vedere i colori/ dei tuoi occhi, tra il nero e il marrone?...». In questa poesia la Campana si rivolge ad un “tu” che presumibilmente, se tutto in poesia è presunto, è il suo amato del quale non può vedere la tinta degli occhi la cui forza è importante, come asseriva Alfonso Gatto e il titolo bene s’intona all’atmosfera di questi versi, intrisi di un controllato dolore.

Quindi una raccolta complessa quella della Campana che va letta anche più di una volta per assaporare ogni suo particolare nella consapevolezza che la vita è degna di essere vissuta e che la salvezza e la leggerezza sono sottese all’arte, in questo caso rappresentata dal binomio poesia-pittura salvifico come cura per l’anima e per il corpo, sia per il poeta, sia per il lettore.

L’arte per il superamento stesso dell’angustia e del resto le interazioni tra le linee di codice delle arti sono nella loro sinergia il mezzo per ritrovare un potenziamento sul piano estetico quando i versi sono ispirati da immagini pittoriche.

Dalla sezione Qualcosa di blu riportiamo questi versi della poesia Il lago: «E me ne andrò col cuore in gola e un pianto/ che non soffocherà la mia sete di te,/ mio lago amato, del dolce conforto/ che, amichevole, non mi hai mai negato/ e venivo con l’angoscia nel cuore/ piangendo ti parlavo di mio padre/ e pregavamo insieme che guarisse…». Qui ancora una volta l’interlocutore è un “tu” che viene amorevolmente definito lago amato, e del quale ogni riferimento resta taciuto e c’è l’elemento mistico della preghiera da recitare insieme all’amato per la guarigione dell’uomo.         

In La verità, poesia che apre la raccolta e che ha un carattere programmatico, componimento che è connesso e che interagisce con il dipinto ad olio eponimo, attraverso versi sinuosi, magici e intellettualistici sicuramente di natura lirica, la poetessa nomina la vanità e la verità e si rivolge in modo intenso ad un tu che potrebbe essere l’amato o se stessa: «Ma tu sciogli i capelli e a piedi nudi/ calpesti tutte le tue certezze/ mostra il vero di quanto in te richiudi/ le tue impressioni e le delicatezze/ celate nella maschera di vetro/ ti sembrerà di andare controvento/ tra i giudizi e le risate dietro…». Il dipinto a olio su tela eponimo si associa ai versi del componimento La verità che ha anche qualcosa di neo orfico, attraverso il comune denominatore che hanno la poesia e il dipinto che consiste in un fattore x di suggestione e magia e inoltre i versi emanano una vaga luminosità come il dipinto stesso che raffigura una misteriosa ragazza con un lumino a olio acceso che nel buio risplende per una ricerca simbolica della verità stessa.

Raffaele Piazza

 

Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-41-7, mianoposta@gmail.com.

 

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Andrea Cattania, "Amore per sempre"

25 Gennaio 2025 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni

 

 

 

 

Andrea Cattania

 Amore per sempre

Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

La raccolta delle liriche di Andrea Cattania, ingegnere prestato (con successo) alla poesia, è un insieme di testi scelti da quindici sillogi (Inno alla vita, Il canto dei petali di pesco, Ricerca perenne, Alla ricerca del cosmo, Come l’ape ben sa, Lila è tornata, Verde come quest’ora tra le foglie, Il cammino del pensiero umano, Tra natura e tensione metafisica, La sinfonia del cosmo, Gocce di luce, I colori delle parole, Lunga sarà la notte, Dimmi perché il vento stasera e La traccia folgorante di un pensiero) delle oltre venti da lui pubblicate dal 2001 in qua. Il libro proposto da Guido Miano Editore è diviso in tre parti in riferimento alle tematiche “Amore per sempre”, “Le problematiche dell’essere”, “La contemplazione dell’universo e della natura”, con altrettante Prefazioni nel campo della Letteratura Comparata. In quella alla prima parte, Enzo Concardi propone un parallelo della poesia amorosa dell’Autore con quella dello statunitense Edward Estlin Cummings (1894-1962); quella della seconda parte, di Gabriella Veschi, lo accosta al francese Charles Baudelaire (1821-1867) per la “affascinante consonanza di immagini e motivi, unita ad un linguaggio dalla dirompente carica innovativa”; la terza, di Floriano Romboli, lo presenta come ‘vicino’ allo stile di un altro grande poeta francese, Paul Claudel (1868-1955). Tutto ciò è testimonianza del grande spessore dei versi del Cattania.

I versi a volte interrotti, spesso col pensiero che si conclude ‘a capo’, non seguono una metrica precisa: si alternano settenari ed endecasillabi, ma a volte le sillabe aumentano fino a quindici, talvolta si fermano a cinque o arrivano ad otto. Un ritmo spezzato che ben asseconda l’aritmia del pensiero del poeta.

Nella prima parte, soprattutto, dominata dalla presenza-assenza dell’amata Lila – amore che vive “sul filo dell’immaginario”, come recita il terz’ultimo verso della poesia Il filo immaginario, riportata nella seconda parte della raccolta, dominata da riflessioni ‘filosofiche’ sulla vita; e qui, preannunciando quale sarà il tema centrale della terza parte, l’Autore propone riflessioni sul cosmo, del quale dichiara di voler essere come un frammento “senza turbare la trama sottile/ che ci avvolge e disegna l’universo” (Il futuro non sarà nero).

Seconda parte ricca di domande sul destino dell’uomo, sull’Assoluto che si manifesta “per ricordarci chi siamo e perché”, sulla natura delle cose, sulla loro essenza e sulla bellezza dell’universo che sempre invita alla ricerca “di qualche spiegazione al grande Tutto” (ultimo verso di Viaggio nel mio io).

Nella terza parte, infine, la contemplazione dell’universo porta ad altre profonde riflessioni sulla natura, e sull’uomo in rapporto ad essa, fino al paragone (per nulla leopardiano nel ritmo, ma come quello di Leopardi universale nel tono) con L’infinito, e fino a spingersi ad esclamare, in un titolo: Vorrei conoscere i pensieri di Dio.

In questa raccolta il lettore trova molte domande e molti spunti per farsi altre domande sulla propria e l’altrui vicenda umana, ma non trova risposte – se non adombrate, forse un po’ suggerite dalle liriche scelte. Perché il Cattania affida alla poesia questo compito: “Come il medico deposita il miele/ sul bordo della tazza/ perché il bimbo malato non avverta/ il ripugnante sapore del farmaco,/ così il poeta addolcisce nei versi/ la dura realtà che trasfigura/ affidandola al canto delle Muse” (Il compito della poesia).

E così la lettura di questo Amore per sempre è una medicina per l’anima di chi legge.

Marco Zelioli

 

Andrea Cattania, Amore per sempre, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-46-2, mianoposta@gmail.com.

 

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Tommaso Cevese, "Iridescenze"

24 Gennaio 2025 , Scritto da Maria Elena Mignosi Picone Con tag #maria elena mignosi picone, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Tommaso Cevese

Iridescenze

Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

 

Un magnifico libro di poesie, pura e sublime arte poetica, merletto di versi, musica melodica; tenerezza e delicatezza, raffinatezza ed eleganza; il creato palpitante di vita, affetti e sentimenti profondi, spiritualità e fede: tutto questo troviamo nell’opera dal titolo “Iridescenze” del poeta, filosofo e compositore musicale, Tommaso Cevese.

Il senso della vita, il perché degli accadimenti, se guidati dalla mano di Qualcuno o frutto del caso; la brevità e la precarietà della vita umana, e soprattutto cosa c’è dopo la morte: questi pensieri, che hanno sempre arrovellato la mente degli esseri umani, sono anche qui motivo di ricerca per Tommaso Cevese, incline alla speculazione filosofica e ansioso di indagare sul Mistero dapprima con la prerogativa umana della ragione, la “nuda ragione”, come egli la definisce. “… Mosaico più compiuto/ scorrendo le stagioni/ è ciò che pare piovuto/ da un cielo d’occasioni/ eppure si rivela/ disegno non banale/ tessuto da una tela/ che intreccia bene e male…” (Ascolta).

Ci sono due modi però di accostarsi al Mistero, che è appunto il senso della vita, quello del filosofo e quello del poeta, afferma l’autore, e la ragione della filosofia, ad un tratto, cede di fronte, sia pure alla vaghezza, della poesia, che, anche talora nella irrazionalità, come ad esempio la speranza contro ogni speranza, invece, vi azzecca appieno. Altro che inutile la poesia! Il poeta, afferma Tommaso Cevese, è “specchio dell’intero”. Infatti: “… Filosofi e poeti sanno/ che il senso è l’interno./ Ma si perdono i primi/ in distinzioni e confini/ in complessi sistemi/ volti alla ricerca del vero/ nei labirinti del solo pensiero./ Alle sorgenti di vita/ attinge il poeta/ del cosmo intima voce/ soffio, sussurro di luce …” (Comuni destini).

Poesia come la fede. E come la poesia supera la ragione dei filosofi, così la fede supera la poesia. E il filosofo Tommaso Cevese, poi poeta, infine ci si rivela uomo di fede quando perviene alla affermazione che il senso della vita sta in Gesù, l’Uomo che disse: “… mia madre è Maria/ son figlio di donna/ ma pure di Dio/ la stella cometa/ che traccia la via./ (…)/ Un ultimo, un vinto,/ incredulo quasi,/ di tanto castigo/ eppure risorto/ col corpo terreno/ asceso alla gloria/ di un mondo diverso.” (Ecce Homo). Il senso della vita sta dunque in Gesù, e in che cosa di Gesù? Nell’amore. Ecco il senso della vita: l’amore. E così il mistero si fa luce. “… Solo ciò che appare/ come stella cometa/ rivelò una promessa/ mai tradita, la notte/ che mostrò la via lucente/ dell’amore e della vita.” (Celesti presagi).

Non ha capito il senso della vita “… chi mina/ presente e futuro e si crede/ padrone di un pianeta/ che sfrutta senza freno ...” (Il Dio mortale).

E solo l’uomo è capace di questa speculazione intellettiva, e pure della poesia e della fede, e Tommaso Cevese lo esorta: “Uomo/ scopri il senso della vita/ nella libertà e nel dubbio/ di chi il vero non possiede/ ma ricerca con fatica..” (Uomo).

In questa ricerca del vero, espressa in versi, Tommaso Cevese in alcuni accorati interrogativi sembra riecheggiare Giacomo Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, come ad esempio quando si chiede: “Dimmi, corpo mio mortale,/ quando scade il tuo affitto…?/ Quando volgerà al tramonto/ il mio ciclo naturale/ il mio essere nel mondo?...» (Scadenze naturali), oppure ancora nei versi: “…Che riserva ancor la via?/ E di me, di noi, che sarà/ e dell’anima immortale?/ (…) Così ragiono nella stanza/ della mente, che vaga …” (Tu misuri il tempo).

Un altro richiamo ancora è Gabriele D’Annunzio ne La pioggia sul pineto per quanto riguarda la descrizione della natura nei suoi minimi particolari, l’attenzione al palpito degli elementi, la fusione tra natura e anima umana.

Spicca, inoltre, nella poesia di Tommaso Cevese, l’antitesi Temporalità ed Eternità. Solo la natura e l’uomo hanno la prerogativa di superare la dimensione temporale per attingere all’eterno. “… Forte, antica natura/ ancorata al suolo/ oltrepassi senza fine/ i tempi della vita./ E tu, uomo di breve corso/ e destinato al volo!/ Vita pulsante un battito d’ali,/ giovane creatura, anima cosciente/ che duri come un niente/ solo tu, oltre le nubi e i cieli/ vedrai eternamente.” (Temporalità).

Maria Elena Mignosi Picone

 

Tommaso Cevese, Iridescenze, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 148, isbn 979-12-81351-44-8, mianoposta@gmail.com.

 

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La complessità della vita e il significato dell’esistenza nella ricerca lirica di Biancamaria Valeri

22 Gennaio 2025 , Scritto da Floriano Romboli Con tag #floriano romboli, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

È caratteristica saliente delle poesie che Biancamaria Valeri raccoglie nel volume Di fiore in fiore, recentemente pubblicato dall’Editore Miano, la notevole essenzialità linguistico-espressiva, come bene ha messo in evidenza il prefatore Marco Zelioli: “Da lei/ la materia è permeata/ e vive/ e sente/ e avverte/ e percepisce./ È un Paese la mia Anima./ È il luogo profondo/ dei sentimenti e dei ricordi miei” (Paese dell’anima). Ciò non è sicuramente indizio di spontaneità impressionisticamente effusiva, di approssimazione formale, giacché - lo sottolinea ancora il medesimo studioso – i testi rivelano tratti manifesti di non superficiale elaborazione artistico-letteraria, a partire dalla frequente, cόlta ricercatezza lessicale: “Algido è il cielo/ dove stormi di uccelli/ si rincorrono/in volteggi lenti e misurati/ malinconico preludio della loro dipartita/ verso altri lidi” (Vento d’autunno) ; e inoltre, citando in ordine sparso, in questi componimenti ricorrono vocaboli quali “adamantino”, “pelago”, “ratte”, “avìte”, “speme”, “fûr” e varî altri.

Per parte mia osserverei in aggiunta che la linearità e la semplicità stilistico-compositive alle quali si è fatto cenno in precedenza conoscono nello stesso tessuto verbale un’interessante sollecitazione antagonistica, una controspinta determinante indugio discorsivo, complicazione e inversione sintattiche prodotti dall’adozione sistematica del procedimento anastrofico: “Brilla/ l’azzurro ciel/ come cristallo adamantino./ Dal mare/ piatto e placido/ refrigerante brezza spira” (Estate); “Racchiuso nell’abbraccio/ di cielo e terra/ dai tuttavia dell’infinito il sentimento” (Il mare); “Di silenzio si riempie/ la sfera celeste e la terra./ Alla muta volta del cielo/ risponde/ il bagliore spettrale/ delle luci cittadine” (Falce di luna calante).

L’impiego meditato di altre figure retoriche, dalla similitudine (Come viandanti/ andiam peregrinando,/ percorrendo una strada”, Viaggio) all’antitesi (“Piccole luci/ che lottano contro la notte/ sembrano parlare tra loro,/ chiacchierine splendenti” (Attesa); “Si capisce la gioia/ se si attraversa/ la stretta e angusta/ porta del dolore” (Dolore e vita), nonché di studiate soluzioni fonico-ritmiche come la rima (“Lì dove il caldo nasce per amore/ e nasce anche/ per l’amara esperienza del dolore”(Lacrime) o l’enjambement (“Di delizie mi sazierò/ nell’infinita pace del tuo/amore” (La tua pace), rappresenta un’ulteriore attestazione dell’origine pure riflessa e riflessiva di questi versi.

Nelle pagine della Valeri è poi palesemente attiva una strategia di “allusione” estetico-culturale a luoghi assai noti della letteratura italiana. Il rinvio intenzionale si fa occasione preziosa di emulazione intellettuale, di stimolante confronto: “La bella d’erbe e d’animal/ famiglia/ gode/ per la ricchezza/ delle messi/ che dona generosa/ la natura” (Estate), in cui appare, appena dissimulato, il richiamo all’inizio dei Sepolcri foscoliani: “Ove più il Sole/ per me alla terra non fecondi questa/ bella d’erbe famiglia e d’animali” (vv.3-5) ; e in forma più franta e diffusa a L’infinito di Giacomo Leopardi: “Non voglio staccarmi/ da questo colle/ dove affacciata sulla valle/ sto bene,/ avvolta nei pensieri miei./ Contemplo l’infinito/ e una profonda quiete/ inonda l’anima mia” (Abbandono). Potrei proseguire con le citazioni, ma mi limito a segnalare la ripresa inequivoca di un passo celeberrimo del canto XXVI dell’Inferno dantesco: “Lui scelse/ il ben dell’Universo/ e mai lasciò/ la linea prefissata/ non illusori risultati/ ma il frutto di/ virtù e conoscenza (Deriva, corsivi miei).

L’autrice riserva in particolare un’attenzione spiccata all’universo naturale, accostato e reso nella sua esuberante vitalità, nella captante molteplicità dei suoi aspetti con gli accenti di un brioso descrittivismo: “Ti affacci sulla valle/ che ampia e verdeggiante/ si apre al tuo sorriso./ Attraversata è dal vento/ questa valle./ Il signore delle nubi/ corre, vola,/ a volte leggero/a volte violento/ … Monti azzurri per i boschi/ che le pendici fino a cima ammantano” (A Ferentino mia città); “Abbracci con forte/ e appassionato legame/ tutta la grande Famiglia/ del genere umano/ che prende da te linfa e nutrimento./ Sostieni erbe ed animali/ ma anche chi appare/ lontano da forme viventi./ Tutto in te vive/ tutto in te si scioglie” (Madre natura).

La natura, oltre che nella sua dimensione autonoma, vive nella complessa valenza metaforica dell’esistenza medesima, della varietà e contraddittorietà suggestive dei tanti volti della stessa, delle gioie e dei dolori, delle aspettative fiduciose e delle amare delusioni, in una dialettica serrata e polivalente: “Metafora caduca/ della vita ingannano il passante/ con lo squillante colore/ delle fronde/ La terra odora di muschio (…) Sospinte dal vento/ sferzante/ in contrasto con la pioggia/ le foglie son cadute./ Un sospiro d’addio/le ha fatte vibrare/mentre abbandonavano il ramo” (Tappeto di foglie); “Mette le ali al cuore/ il dolore,/ che sprofonda il tuo sentire./ Come molla, però,/ ti spinge/ a risalir l’Abisso./ Speme di sopravvivenza/ al Nulla che isterilisce/ rattrappisce” (Dolore).

La speranza trova indubbio fondamento in una Presenza superiore, confortatrice e pacificante, che costantemente accompagna l’uomo nel suo cammino: “Nel tuo seno materno/ troverò pace, o Dio (…) Non m’atterrirà/ alcun male/ se s’apre/ la misericordia tua (…) Luce infinita/ e profondo amore./ Apri le braccia/ e dammi pace,/ Amore,/ nella luce del tuo amore/ quiete avrò” (La tua pace, cit.).

Floriano Romboli

 

 

Biancamaria Valeri, Di fiore in fiore, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2024.

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Christian Testa, "Pensieri poetici nel tempo"

21 Gennaio 2025 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Christian Testa

Pensieri poetici nel tempo

Guido Miano Editore, Milano 2024

 

La poetica dello scrittore pavese Christian Testa, espressa nella raccolta Pensieri poetici nel tempo, si avvale di una poliedrica tematica articolata in visitazioni interiori e ambientali tali da offrire al lettore una visione complessa delle sfere emotive umane e, allo stesso tempo, uno sguardo critico-valoriale sul mondo contemporaneo. La definizione della sua scrittura qui sviluppata dataci dallo stesso autore - “pensieri poetici” - molto bene si attanaglia alla semantica e al messaggio dell’opera, nel senso che la sua lirica è altamente debitrice di un’ispirazione noetica. Il libro è stato edito nel dicembre 2024 per i tipi della Casa Editrice Miano di Milano, nella collana di testi letterari Alcyone 2000 e reca la prefazione di Michele Miano.

In primo piano emergono le liriche in cui il poeta inserisce le convinzioni che reggono la sua esistenza: tradiscono in parte un afflato didattico-retorico, ma si distaccano nettamente dalla tendenza contemporanea di una letteratura di denuncia non supportata da alternative progettuali. Una delle poesie di tal misura è senz’altro Studenti, ai quali si rivolge tecnicamente con diverse anafore per cadenzare il suo messaggio: “Vostra”, con l’iniziale maiuscola, ad indicare la dignità della loro condizione (innocente, energica, pura, curiosa); “cercate sempre”: un invito a praticare i valori della vita (umiltà, identità, unità, amicizia, pace, autenticità); “non smettete mai”: richiesta di perseveranza e coerenza nei principi ideali (sognare, fare del bene, pensare, proteggere la natura, sperare in un futuro migliore). Così anche Italia, esprimente un caldo amor patrio, con rime libere sparse nel testo, formulata in tre quartine, due distici e una terzina finale in cui sintetizza il suo sentimento d’amore verso l’amato paese: “Italia, Italia, Italia / ti porterò sempre, /per sempre nel cuor”. Ed anche A Giovannino Guareschi, grato per i suoi valori autentici e la sua ironia.

 Un posto di rilievo nella sua ispirazione e nelle sue emozioni assume la dimensione musicale, nella quale egli vibra, gioisce, si commuove, prova brividi e passione, trova pace nell’animo e con il mondo, si sente meno solo e addirittura gli sembra di toccarla e vederla in una sorta di estasi di tipo metamorfico. Ciò nella composizione intitolata semplicemente Musica, praticamente una dea-musa mediatrice fra lui e Dio, alla quale è eternamente grato: “Grazie di esistere. // Senza di te solo il silenzio / e il dolore del mondo”. Altre emozioni interiori scaturiscono per Il tuo compleanno, una lirica composta da un’unica strofa di venti versi, con diciotto anafore suddivise fra “con” (otto volte) “E che festa sia per te” (dieci volte per tutti i versi dispari); ne risulta così una partitura musicale particolarmente ritmata, dalle dediche più svariate, dai sentimenti umani alla partecipazione della natura: una festa di amicizia vera, al calore del sole, al fresco della pioggia, con la forza della vita, nel profondo dell’anima, con il sorriso del cielo ….

 V’è un legame particolare tra il poeta e la natura, un rapporto affettivo che si espande a tutto il Creato: nascono così canti per la Neve, una filastrocca all’incanto del soffice bianco manto; per il Mare, di cui percepisce gli umori e soffre per la sua lontananza; per la Foresta, in cui il verso finale è emblematico del suo desiderio di simbiosi (“Oh foresta mia tienimi con tè / per sempre”; per il Fiore, la cui bellezza è “testimone del divino in terra”; per i fiumi della sua terra, Lambro (immagini del suo inquinamento e degli uccelli morenti) e Adda (“mio amato fiume”); per Varenne, il famoso cavallo trottatore, al quale attribuisce un’anima che “vivrà per sempre”. E il poeta conserva nel cuore tanti ricordi, fino a sciogliere un inno alla memoria, dove sono le nostre radici e la nostra identità: senza memoria e storia non siamo nessuno, ci ammonisce, occorre rimembrare coloro che se ne sono andati, i personaggi del passato, poiché il tempo esegue il volere di Dio. Ed è con la religiosità che la sua poetica punta verso l’alto: nella casa di Dio trova pace e serenità, il valore della preghiera, nonostante il “lungo e tormentato cammino” della Fede.

Enzo Concardi

 

Christian Testa, Pensieri poetici nel tempo, pref. Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 68, isbn 979-12-81351-20-2, mianoposta@gmail.com.

 

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Amelio Cimini, "In Cammin o - 50 anni di poesia in musica"

20 Gennaio 2025 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

In cammino – 50 anni di poesia in musica

Amelio Cimini

Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

«Chi canta prega due volte»: cito Sant’Agostino per dire che questo libro è un chiaro invito alla preghiera. Ma il libro, purtroppo, è senza musica. Il che, per quanto ci fa intendere Don Amelio Cimini nella sua prefazione, è un ‘di meno’ del quale bisogna farsi una ragione. È così: perché, se si ascoltano delle canzoni avendo il loro testo sotto gli occhi, si gustano meglio. Però va dato atto all’Autore di aver avuto coraggio a presentare un libro di ‘poesie senza musica’: che canzoni restano, spesso col loro ritornello, e come tali il lettore le può immaginare (e magari inventarsi la musica). Chi vuole ascoltare la musica di molte canzoni curate da Don Amelio (versione ritmica e arrangiamento) può prendere un CD come In attesa dell’alba – canti spirituali di un popolo in cammino (a cura del Centro pastorale polacco “Corda cordi”), con dodici canzoni tra cui la ben nota Alla Madonna di Czestochowa, col suo amabile ritornello: «Madonna, Madonna Nera,/ è dolce esser tuo figlio!/ Oh, lascia Madonna Nera,/ ch’io viva vicino a te».

Don Amelio Cimini, che ha al suo attivo oltre cinquecento brani musicali pubblicati, ora ci offre questo suo In cammino che raccoglie un piccolo numero di canti-preghiere, ‘distillando’ i testi in sette parti: le prime sei (La vita, Simboli e segnali, La ricerca, La scoperta, Il Mistero, L’Annuncio) sono una sequenza investigativa della vita di chi voglia rendersi più consapevole del proprio essere; l’ultima (Donna e Madre) è quasi l’indicazione della ‘compiutezza’ che l’umanità trova in Maria, cui ci si può rivolgere cantando perché è la ‘nostra’ madre: piena di giovinezza, di misericordia, di luce – per richiamare alcuni titoli.

Sono molte le reminiscenze bibliche, ovviamente, trattandosi di canti religiosi: come l’inizio di Lungo i fiumi. Niente di inutilmente ripetitivo, però; nessun ‘manierismo’, ma un consapevole richiamo a tematiche ‘eterne’ perché siano rimeditate, riassorbite coscientemente da chi legge/ascolta il messaggio di questi canti, che riecheggia e amplifica quello del primo Natale: «… Grande notte dell’Oriente,/ tu portasti al mondo inter/ la Speranza che non muore,/ la dolcezza nel dolor…» (Il sussurro della speranza). Il tema della speranza è uno dei fili conduttori della raccolta, che attraversa dubbi (Il cielo è blu), paure (Se scende la sera), pregiudizi (inizio dell’ultima strofa di Artigiano misterioso), ricerche (Tu sei), scoperte (il finale di La vera vita); e, per un cammino non facile, non senza difetti, si è condotti a scoprire la pienezza della vita: «… Ciò che non arriva a Dio/ non può dar felicità:/ proteso all’infinito/ è il nostro cuor! ...» (La vera vita).

In questa raccolta di ‘poesie senza musica’, l’Autore dimostra di possedere un ritmo adeguato anche alla parola scritta. Ciò rende facile la lettura di quanto proposto per ‘svegliare’ il lettore e fargli percepire che ogni istante della vita ha un senso preciso, vive di un rapporto con l’eterno che – anche inconsapevolmente, a volte – lo fa ‘muovere’ verso gli altri. L’uomo, da solo, è poca cosa; insieme agli altri costituisce una comunità, un popolo. È inevitabile riflettere su ciò, per tutti, anzi per ciascuno – salvo volersi ritrarre dalla vita sociale. Da sempre la musica è un invito all’ascolto, prima, e poi un modo per coinvolgere altri nel canto: crea vicinanza, favorisce amicizie, fa nascere un approccio comunitario agli argomenti trattati dalle parole che accompagna. E la poesia, a ben vedere, fa lo stesso, spesso usando la musicalità delle parole per evocare un ritmo (a volte nascosto) capace di avvicinare gli uni agli altri almeno nel pensiero, se non nell’azione corale.

Quello di scrivere canzoni e pubblicarle senza musica si rivela pertanto un ottimo modo  per ‘coinvolgere’ i lettori. La poesia non crea un coro udibile, ma una consonanza di sentimenti e di pensieri, sì. È questa la ragione del suo esprimersi, in fondo. Lo si capisce bene leggendo le righe (una o due, tre righe solo due volte) introduttive di ogni canzone-poesia. Un escamotage che avvicina la comunicazione dell’Autore a quella che Giorgio Gaber usava nel suo ‘teatro-canzone’ per spiegare al pubblico i suoi pensieri (ben aiutato dal co-autore Sandro Luporini); con la differenza che Gaber usava le canzoni per ‘accompagnare’ il testo teatrale, mentre qui le note introduttive ‘accompagnano’ i testi delle canzoni-poesia. Anche i ritornelli aiutano a ‘collocare’ i testi, indicando il ‘succo’ del messaggio: ad esempio, il ritornello di Quale vita  o di Sono il buon pastore. Allora nulla può più frenare l’impeto che nasce della scoperta della strada (‘stretta’, per rifarci a ciò che indica Gesù nei Vangeli) per la realizzazione non di desideri effimeri, ma della felicità: strada piena di realismo nel considerare sé in paragone a Colui che per salvarci ha dato la sua stessa vita. Così scaturisce la preghiera, come in Davanti alla Sindone.

Le parole di chiusura del foglio illustrativo del CD In attesa dell’alba sono indicative: cantare permette di respirare «un po’ d’aria pulita dopo una giornata di smog», il che offre «una piccola luce, in attesa dell’alba».

Con questa raccolta Don Amelio Cimini ci regala un modo di pregare lungo il “cammino” della nostra vita; e così, tornando alla citazione iniziale, mentre si è letto questo libro abbiamo pregato almeno una volta. Cosa della quale ringraziare l’Autore, al cui invito a camminare per la vita non ci siamo sottratti: perché, come dice il secondo verso del ritornello della canzone di apertura del libro (Allora capirai), «la vita è un cammino, è una canzone».

Marco Zelioli

 

Amelio Cimini, In cammino – 50 anni di poesia in musica; a cura di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-10-3, mianoposta@gmail.com.

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L’AUTORE

Amelio Cimini vive a Ladispoli (RM). Sacerdote, autore-compositore (4 Cantate per Soli, Coro e Orchestra, 500 brani pubblicati), ha curato per diverse Case Editrici oltre 100 album discografici. Insegnante nei Seminari e Licei di Roma e in Istituti di Scienze Religiose, animatore musicale per la catechesi giovanile e la pastorale parrocchiale, ha organizzato, tra l’altro, i Corsi di Aggiornamento Liturgico-Musicale per il Vicariato di Roma e il Corso di Perfezionamento Liturgico-Musicale (Co.Per.Li.M.) per l’Ufficio Liturgico Nazionale CEI.

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Per favore… addomesticami! e il valore dell’amicizia

18 Gennaio 2025 , Scritto da Lucilla Lazzarini Con tag #lucilla lazzarini, #recensioni, #classici

 

 

 

 

PATRICE AVELLA
IL PICCOLO PRINCIPE e le sue Muse
da Parigi a New York

IL FOGLIO LETTERARIO EDIZIONI

– Euro 18- Pag. 390

 

Se c’e un libro che mi ha accompagnato per tutto l’arco della vita questo è Il Piccolo Principe. Avevo cinque anni quando l’ho sfogliato per la prima volta e, benché non sapessi ancora leggere, capivo subito quando chi me lo leggeva saltava qualche frase o, addirittura, qualche parola: volevo che ritornasse indietro e ricominciasse da capo. Mi piaceva guardare i disegni e, su quei disegni, immaginavo altre storie che arricchivano la narrazione. Insomma, mi mettevo in competizione con lo stesso St-Exupery… Poi ho imparato a leggere, altri libri, altri racconti, ma Il Piccolo Principe era sempre sul mio comodino e, col passare degli anni, c’e rimasto. Da adulta, ho riletto ancora questa fiaba cosi delicata, a volte un po’ amara ma sempre carica di significati e di spunti di riflessione. E ho cominciato a comprare, ovunque andassi, una copia del libro nella lingua o nel dialetto del posto, un gadget, un’agenda, un quaderno, un calendario. Anche i miei amici, in giro per il mondo, me ne portavano, e continuano a farlo. E' iniziata cosi la mia collezione che ad oggi conta una quarantina di versioni nelle più svariate lingue e dialetti, dal gaelico al vietnamita, al birmano, all’ebraico, al turco, all’arabo… per arrivare al dialetto della Val di Cornia! Ma quel piccolo libro bianco, in italiano, con il disegno di un ometto vestito di giallo, trascinato per il cielo da uno stormo di uccelli, è sempre sul mio comodino. Un po’ stropicciato, sottolineato a lapis in alcune parti, sta lì. Perche? Perche Il Piccolo Principe non e un libro che si legge una volta sola ma si rilegge infinite volte e ogni volta ci comunica qualcosa di nuovo. Non è solo una fiaba nata dalla fantasia di un qualsiasi Antoine, è una leggenda, un libro senza tempo, è una sintesi di emozioni e, usando un linguaggio universale, parla al cuore di tutti, bambini e adulti. Gli stessi personaggi che il Piccolo Principe incontra sui diversi pianeti che visita, il re, l’ubriacone, l’uomo d’affari, il geografo, il lampionaio, personaggi strani, a volte assurdi, insegnano qualcosa, ciascuno a modo suo, ciascuno con le sue caratteristiche.

Il libro è impregnato di una simbologia che fornisce spunti continui su cui riflettere: la forza dell’immaginazione, l’infanzia, la capacita di stupirsi che hanno i bambini, la crescita, con la fatica e la sofferenza che ciascuno vive per diventare grande. Ci insegna a guardare il mondo con occhi diversi e da differenti punti di vista, che aprono orizzonti imprevedibili e inaspettati. Ci insegna a saper cambiare prospettiva, a vedere con gli occhi dell’altro e a comprendere. A cercare col cuore la nostra rosa tra le cinquemila dello stesso giardino e a dar valore a ciò che abbiamo intorno. Ci insegna la virtù dell’attesa: se tu vieni ogni pomeriggio alle quattro – disse la volpe – dalle tre io comincerò ad essere felice… ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora preparare il mio cuore… e il valore dell’impegno e della cura reciproca: tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Ci insegna a riflettere sull’importanza di guardare al di là delle apparenze e a vedere con il cuore, Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante, sul senso della vita, sul significato dell’amore e dell’amicizia, sul rispetto, la tolleranza, il senso della morte: Capisci? Non posso portare con me il mio corpo. È troppo pesante. Ma trasmette anche un messaggio di speranza adatto ai lettori di ogni età e un invito a riscoprire l’innocenza dei bambini, che spesso noi adulti non abbiamo più, unendo il senso di meraviglia della scoperta alla saggezza degli anni: Ma so che è ritornato nel suo pianeta, perché quando è spuntato il giorno il suo corpo non c’era… Infine, insegna che amare vuol dire permettere all’altro di essere felice anche quando il suo cammino è diverso dal nostro: quando mi avrai addomesticato sarà magnifico. Il grano dorato mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano… Per favore… addomesticami. Cosa vuol dire “addomesticare”? chiede il Piccolo Principe alla volpe e la volpe gli risponde che significa creare legami: Tu, per me sei un ragazzo uguale a centomila altri ragazzi, io per te sono una volpe uguale a centomila altre volpi… ma se tu mi addomestichi tu sarai per me unico al mondo, io sarò per te unica al mondo. In un mondo come quello in cui oggi stiamo vivendo, abbiamo dimenticato, purtroppo che cosa vuol dire creare legami. Questa piccola fiaba ce lo ricorda.

 

Lucilla Lazzarini

 

Link per acquistare: https://www.ibs.it/piccolo-principe-sue-muse-da-libro-patrice-avella/e/9791256860364?srsltid=AfmBOooQhc0t2Uj2W7iB2AYOuSDU4CyKmAczst_7LkSLTSDiYE2fZbXG

 

https://www.amazon.de/Piccolo-Principe-muse-Parigi-saggi/dp/B0DQ2MY6NW

 

«Ogni donna racchiudeva un segreto: un accento, un gesto, un silenzio». Non si può dissociare la storia del “Piccolo Principe” dalla vita personale dell’autore e delle donne che l’autore ha amato e che pochi, in effetti, conoscono. Il tema di questo libro sarà di far conoscere meglio Antoine de St-Exupéry e, soprattutto, di rendere note le biografie delle donne ispiratrici e Muse che hanno contribuito a scrivere il famoso libro “Le Petit Prince”. Ritroverete così, nel testo, gli eventi e gli aneddoti sulla vita di ciascuna donna che ha ispirato l’autore a scrivere questo capolavoro di umanità conosciuto in tutto il mondo.

 

Patrice Avella, scrittore gastronomade francese di origini italiane, si occupa di gastronomia e di letteratura. Tra le ultime cose che ha scritto per Il Foglio Letterario il noir politico Piazza Fontana, alcuni volumi su Modigliani, Prevert e Artusi, oltre a Piombino con gusto, A tavola con gli Appiani, Pasolini il cinema, gli amori e Roma, Pasta e cinema e La grande abbuffata (a quattro mani con Gordiano Lupi). Sta lavorando a un libro su Baudelaire.

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Maurizio Zanon, "Il soffio salvifico della poesia"

17 Gennaio 2025 , Scritto da Enzo Concardi Gabriella Veschi Floriano Romboli Con tag #enzo concardi, #floriano romboli, #gabriella veschi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

Il soffio salvifico della poesia

Maurizio Zanon

Guido Miano Editore, Milano 2025.

 

 

Il soffio salvifico della poesia è il titolo generale della presente antologia poetica ed appare in contrasto con quello di questo primo capitolo, ovvero La fatica del vivere. In realtà non è così, in quanto per Maurizio Zanon – prolifico autore con profonde radici veneziane – la poesia è stata, ed è nella sua esistenza, proprio l’antidoto principale – insieme all’amore e alla natura – per superare il cosiddetto disagio esistenziale e la particolare inquietudine psicologica dell’epoca contemporanea. È un tema che la letteratura di ogni tempo e parte del mondo ha sempre trattato e cantato, sviscerato e proposto da molti punti di vista, poiché riguarda in sostanza la condizione umana, con le esperienze vissute e con le fondamentali questioni filosofiche sui perché del nostro passaggio terreno: qui Zanon si qualifica come un aedo moderno della vita e della morte, mediante un’incessante ricerca interiore che spesso e con dolore rimane irrisolta, demandando alla futurologia la soluzione di ogni problema.

Troviamo nelle liriche di questo capitolo atmosfere, immagini e pensieri che riflettono sia gli stati d’animo del poeta, che oscillano volutamente tra ottimismo e pessimismo per dimostrare la contradditorietà del nostro vivere, sia le riflessioni di carattere ontologico che nascono da un’osservazione critica della realtà odierna, riferita ora alla propria fatica esistenziale, ora alle tipologie sociali del comportamento umano e delle tendenze decadenti dei valori. In altre parole egli si fa interprete, ed assume su di sé, il destino individuale e collettivo di una umanità probabilmente in via di dispersione. Si riscontra in tutto ciò, dal punto di vista culturale, la lezione dell’Ermetismo novecentesco – più come contenuti che come stile – e una certa vena crepuscolare in senso lato, cioè la ricerca di quieti angoli dello spirito ove chiudere la parabola umana. Dunque poeta-testimone del tempo e poeta-profeta, nel senso di uno sguardo indagatore sull’avvenire.   […].

Enzo Concardi

 

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Un vivo, profondo sentimento d’amore lega Maurizio Zanon a Venezia, la città natale, e alla sua donna. L’intenso rapporto affettivo è, come spesso accade, contraddistinto da un’intima ambivalenza, permeato da quell’acuta sensibilità che sa aprirsi contrastivamente all’apprezzamento delle situazioni positive, spiritualmente gratificanti, e all’avvertimento dei momenti dolorosi, emotivamente deprimenti.

Il fascino seducente dell’ambiente lagunare, gli impalpabili, intriganti segreti di una tradizione «portati nel cuore da chi è nato» (Torno a scrivere di te) hanno ancora un importante effetto rasserenante e confortatore («…Aspettando poi il tempo buono per farmi cullare/ da quelle amorevoli acque di barena,/ dai loro incantevoli silenzi» (Soffia il vento di scirocco), mentre appaiono innegabilmente suggestive talune preziose atmosfere fatte di smorzata, contenuta luminosità: «Venezia bizantina/ si stende in riflessi dorati/ rivivo memorie passate/ su carezze d’onde/ ove si posano/ gondole d’opaca luce…» (Venezia bizantina); infine però il soffocamento progressivo e il degrado sostanzialmente inarrestabile provocati dal turismo di massa e dall’invalsa mentalità affaristico-speculativa inducono l’autore ad abbozzare un quadro di triste, opprimente negatività: «…Appari sempre così malinconica, mentre vedi scappare/ ad uno ad uno i tuoi figli/ costretti ad abitare lontano da te/ perché non danno ricchezza, sono solamente un peso…» (Torno a scrivere, cit.).

Non è analogo il risultato intellettuale-morale nel caso dell’evocazione commossa della relazione amorosa con la propria compagna, nonostante che questa possa presentare pure aspetti di sofferenza: «…Un tratto t’ho seguito/ per Piazza dei Signori te ne andavi/ lasciandoti dietro quella scia che sa di ricordi e ferite» (A Padova, corsivi miei, come sempre in seguito). Ora il discorso lirico vira decisamente verso le rilevazioni positive, che giungono alla celebrazione entusiastica, enfaticamente partecipe, sostenuta tra l’altro dal ricorso a una “canonica” similitudine: «Questo amore/ maturato al passo delle stagioni/ oggi vola a ritmi cadenzati/ come ala di gabbiano/ procede in cieli al sole estesi!// Chissà mai dove arriverà questo amore:/ oltre il mare oltre il cielo/ al di là di questa luce forse/ chissà mai questo amore/ dove luna andrà a spiare!?» (Questo amore).  […].

Floriano Romboli

 

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L’interconnessione tra segno verbale e segno grafico ha da sempre affascinato gli intellettuali di tutti i tempi ed è tuttora oggetto di dibattito. Se il primo a proporre lo stretto legame tra pittura e poesia è stato il poeta Simonide di Ceo, il principio estetico dell’ut pictura poësis formulato da Orazio nell’Ars poetica trova la sua piena realizzazione nelle poesie di Maurizio Zanon proposte in questo capitolo. L’autore ritrae con leggiadri tocchi una vasta gamma di paesaggi “pittorici”, caratterizzati dalla presenza di una natura idilliaca, colta in tutte le sue sfaccettature e nei suoi più minuti aspetti; il foglio bianco si trasforma in una preziosa tela, le parole sono come sottili pennellate, capaci di catturare luci ed ombre e i chiaroscuri rivelano gli intimi moti della propria interiorità. I testi appaiono dominati da un io lirico intento ad una fantastica rêverie, da cui scaturiscono dolci e piacevoli atmosfere oniriche, mentre una fitta rete di morbide sinestesie evoca un policromo ventaglio di sensazioni e un vortice di emozioni coinvolgenti.

La struttura a chiasmo della poesia incipitaria sottolinea il gioco fonico di allitterazioni e di assonanze, incastonate anche nelle rime al mezzo e che contribuiscono ad amplificare la musicalità dei versi: «S’alza silenzioso il magico biancore dell’alba/ inconfondibile lucore che l’animo risveglia/ e il nuovo giorno somiglia al lieto gemito/ d’un bimbo appena nato. In questa luce unica/ e profonda/ tutto ricomincia in gocciolii di rugiada./ Pian piano poi il cielo vedi schiudersi/ a un impareggiabile azzurro» (Risveglio di primavera). L’arrivo dell’alba è un momento epifanico e l’io poetico prova un ammirato stupore di fronte al passaggio dal buio della notte alla luce del giorno, paragonato ad un bambino il cui ossimorico gemito è lieto di fronte alle meraviglie del creato. La scena descritta diviene metafora di una rinascita, tema che permea di sé tutta la silloge; le gocce di rugiada suscitano una sensazione tattile di freschezza, mentre l’impareggiabile azzurro riecheggia gli interminati spazi leopardiani, richiamando la tensione verso l’assoluto e invitando a guardare oltre il contingente, in una dimensione futura, per un nuovo inizio.  […].

Gabriella Veschi

 

Maurizio Zanon, Il soffio salvifico della poesia, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 80, isbn 979-12-81351-50-9, mianoposta@gmail.com.

 

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Alessandro Zarlatti, "Le ulime ceneri dell'Avana"

14 Gennaio 2025 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

Un uomo gettato in un anno indescrivibile, il 2020 all’Avana - città che agonizza nel suo eterno tramonto, tra la pandemia e le ceneri dei suoi fuochi ormai spenti - trova il coraggio di narrare una volta ancora una realtà che si presenta come un interminabile giorno prima della fine. Alessandro Zarlatti torna, forse per l’ultima volta, a dialogare con la sua Cuba, con le sue strade senza uscita, con le sue persone, con le sue maschere, con i suoi ricordi. Questa volta lo fa attraverso una raccolta di racconti che sembrano uscire dall’occhio di un ciclone buio e persistente che si abbatte su un paese senza più risposte. Una cronaca, quasi un diario, di un tempo disfatto e terrificante dove diventa impossibile raccontare il presente se non attraverso le lenti deformanti di un monologo interiore. Raccontare ciò che accade fuori, raccontando ciò che accade dentro, in una continua rimonta tra la tragedia privata e quella collettiva che s’impone, quest’ultima, in crescendo, privando ognuno del diritto di cadere in dolori più intimi e smarrirsi. Sono lontani, ad una distanza incolmabile, i tempi e gli scenari delle prime raccolte di Alessandro Zarlatti, lontane e non più percorribili Alcune strade per Cuba che raccontavano un paese pieno di speranze diventate ben presto illusioni, lontani perfino gli echi malinconici e i residui di sogno di Destino Cuba. Appaiono quelli dei libri scritti secoli fa, improvvisamente inattuali. Con Le ultime ceneri dell’Avana sembra approdare tutto, scenari, uomini, sogni, speranze, amori, nelle latitudini agitate della poesia. E’ quello che resta. L’unico bagliore di divinità che ancora ci abita. L’unico gioiello da portare in salvo dalla casa che va in fiamme. E il libro racconta di un incendio che raggiunge dimensioni e paesi che sono ben più vasti dei confini di una città. La pandemia come una tragedia collettiva che ha avvelenato e messo in crisi gli uomini nei luoghi più riparati della propria individualità. Resta la narrazione cruda di un paese e di un uomo che hanno perso tutte le coordinate e a cui sono rimaste solo le parole per non smettere di raccontarsi e, quindi, di esistere. Le ultime ceneri dell’Avana parla di Cuba come potrebbe parlare di ogni parte del mondo perchè si interroga con ferocia, proprio quando sembrano cadere tutte le risposte, sul senso della nostra presenza e sul senso dei nostri amori. Le ultime ceneri dell’Avana è la settima pubblicazione di Alessandro Zarlatti e la prima nelle collane delle Edizioni Il Foglio.

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Silvana Ramazzotto Moro, “Van Gogh, l’uomo”

11 Gennaio 2025 , Scritto da Marco Zelioli Con tag #marco zelioli, #recensioni, #arte, #pittura, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

Silvana Ramazzotto Moro

 “Van Gogh, l’uomo”

Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

 

Una nuova, interessante opera su Vincent Van Gogh va ad arricchire la schiera degli scritti sul pittore olandese: è Van Gogh, l’uomo di Silvana Ramazzotto Moro, che Guido Miano Editore propone con quattordici riproduzioni di disegni. Come recita il lungo sottotitolo, l’uomo Van Gogh è “raccontato da lui stesso nelle sue lettere: autoritratto, amore, vocazione mistico-religiosa, rapporti con i genitori e con il fratello Theo, arte, soldi, malattia”.

Il libro si dipana in tredici sezioni, ognuna delle quali individua un aspetto peculiare della vita dell’artista, così come appare dalle lettere scelte dall’Autrice. Si parte dalle lettere che riguardano il celeberrimo Autoritratto, a proposito del quale scrive, in una lettera al fratello Theo: “mi muoverò sempre in una sfera diversa da quella della gran parte dei pittori, perché il mio modo di vedere le cose, i soggetti che voglio ritrarre, inesorabilmente lo richiedono”. Nelle seguenti quattro sezioni si spazia dalla vocazione mistico-religiosa giovanile, alle donne amate nella sua vita (parte ponderosa – quasi 100 pagine – e ‘difficile’, dati gli innumerevoli dubbi e problemi manifestati da Vincent), al non facile rapporto coi genitori e ad i piccoli occasionali screzi col fratello Theo. Le altre sezioni sono centrate sul mistero della vita, sull’arte ed il sogno di un cenacolo di artisti, sui paesaggi, sui colori, su questioni ‘pratiche’ legate ai “maledetti soldi” e sui problemi legati alla malattia, per chiudere con l’arte giapponese e con delle “spigolature” (come questa, particolarmente significativa: “mi viene il desiderio di fare tutto daccapo e di cercare di farmi perdonare il fatto che i miei quadri sono quasi un grido d’angoscia, pur esprimendo in simboli la gratitudine con il rustico girasole”). Quasi tutte le lettere sono indirizzate al fratello Theo (un paio sono di Theo a Vincent), poche all’amico Rappard, alla sorella e alla cognata (spesso chiamata anche lei sorella), pochissime ad altri (all’amico Gauguin, ai genitori - specie alla mamma - ed una al signor Isaäcson).

Questa opera non è un’antologia, ma una raccolta meditata fra le numerosissime lettere scritte dal pittore sulle tematiche delle tredici sezioni; la maestria di Silvana Ramazzotto Moro è proprio nella scelta delle lettere, miniera inesauribile di informazioni: ha individuato alcuni temi esistenziali della vita del pittore ed ha ricercato e riportato i relativi brani delle sue lettere, offrendo al lettore il pensiero autentico dell’uomo Van Gogh. Il risultato è come una storia raccontata dall’Autrice ai suoi otto nipoti, cui il libro è dedicato.

Michele Miano nella Prefazione sottolinea che questo libro non è “un erudito trattato di pittura” o “un atlante d’arte”, ma quasi il ritratto di “un’anima sensibilissima e mai compresa in vita”, un libro che “ci apre le porte di un diverso modo di osservare il mondo per scoprire che la simbiosi dell’uomo con la natura può diventare osmosi, se sappiamo leggere nelle cose la profonda essenzialità poetica”. L’Autrice stessa nella sua Introduzione ci avvisa di non aver riportato giudizi suoi o di altri su Van Gogh, per “far sì che ciascun lettore se ne faccia un’idea prettamente personale e soprattutto autentica”; inoltre confessa che, vedendo le opere di Van Gogh, “per la prima volta gli alberi, l’erba, i campi, i prati, i fiori, la natura tutta mi apparvero come esseri viventi”: un’impressione che ha voluto approfondire, fino a regalarci questa mirabile raccolta. Lei ci presenta Van Gogh non per come è diventato per certa critica superficiale (cioè come un ‘genio pazzo’), ma per come è stato: uomo colto, “lettore e collezionista di volumi e di stampe, attento alle nuove tendenze artistiche del suo tempo”, ma spesso certamente infelice nella sua esistenza. Così si può capire come questa lettura di Van Gogh sia estremamente “preziosa per comprendere la sua arte e per conoscere quale uomo assolutamente eccezionale ci fosse dietro al pittore”. Insomma, una ricerca del ‘vero’ Van Gogh, che muove da lui stesso e non dalle opinioni dei suoi, più o meno favorevoli, critici. Ad esempio, nell’Introduzione è opportunamente sottolineato il pensiero del professor Kraus, all’epoca direttore del sanatorio provinciale di Sanpoort, che aveva a lungo osservato Van Gogh dopo le ‘crisi’ che lo avevano fatto ricoverare, escludendone “alterazioni della personalità” e concludendo come “la visione completamente lucida della sua malattia costituiva un ostacolo insormontabile alla diagnosi di schizofrenia”.

È molto interessante la parte dodicesima, sull’amore di Van Gogh per l’arte giapponese: comprò a poco prezzo molte stampe giapponesi e ne tentò anche il commercio (oltre 600 sono oggi raccolte al “Van Gogh Museum” di Amsterdam). Ne ebbe un’ammirazione infinita, tanto che, trasferitosi ad Arles nella “casa gialla” (dove sognava di fondare una comunità di artisti – cui è dedicata parte della settima sezione del libro), nel 1888 scrisse al fratello Theo che gli sembrava di essere in Giappone: la Provenza diventò il suo Giappone, e lo sfondo di alcuni suoi quadri del tempo riproduce elementi di stampe giapponesi. Infine, è bello e molto significativo che l’opera di Silvana Ramazzotto Moro si chiuda riportando una piccola serie di aforismi tratti dalle lettere del pittore.

Insomma, merito dell’Autrice è di aver scelto, nel mare magnum delle lettere scritte da Van Gogh, le più significative e di aver individuato le tematiche più peculiari; e grazie a questo suo lavoro, riesce ad offrire al lettore uno strumento per comprenderne meglio, e in modo diretto, la vita e i segreti. Operazione riuscita.

Marco Zelioli

 

 

 

Silvana Ramazzotto Moro, Van Gogh, l’uomo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 376, isbn 979-12-81351-51-6, mianoposta@gmail.com.

 

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