Pietro Nigro, "Opera Omnia"
OPERA OMNIA
Volume 1 – Poesie
Dopo tante fatiche letterarie Pietro Nigro, poeta e scrittore siciliano di Avola (classe 1939), si gode il meritato riposo dall’insegnamento e, giunto a un certo momento, fa il bilancio della sua vita. Comincia a riunire le sillogi poetiche sotto lo stesso titolo nell’Opera Omnia (Guido Miano Editore, Milano 2024), dedicata alla moglie da poco scomparsa. Quest’opera, negli auspici della Casa Editrice, assume il senso di “divenire e costituire una ‘memoria’ documentativa e testimoniale degli scrittori contemporanei”, rammentando che non sempre il merito giunge nell’immediato come la storia delle letterature insegna (per esempio Gianbattista Marino, Vincenzo Monti, Italo Svevo) oppure giunge in tarda età (come è successo ad Andrea Camilleri, il padre del “Commissario Montalbano”). Auspicio che serve di stimolo e di conforto per scrittrici e scrittori militanti.
Nella prefazione, il lombardo Enzo Concardi considera la vicinanza del sentire tra Guido Miano e Pietro Nigro per via delle comuni origini siciliane in terra siracusana e l’amore per la cultura classica dell’antica Grecia. Il critico si sofferma sulla struttura dell’Opera spiegando che le poesie si distendono su sette capitoli: nei primi sei confluiscono quelle selezionate e raggruppate secondo “motivi ispiratori dell’ars poetica”; e nell’ultimo, gli inediti. Infine commenta: “Lo scavo in profondità lo accomuna alla poesia d’impegno umano, intellettuale, etico, civile che tanto manca nel panorama contemporaneo”.
I motivi ispiratori sono i seguenti (molto succintamente): 1- le migrazioni dei siciliani nella grecità perduta; 2- simbiosi tra uomo e natura; 3- memoria come passato; 4- vita e amore; 5- vita e oblio; 6- divinità e trascendenza: 7- Gesù e l’attualità.
Possiamo dire di trovarci dinanzi ad una autobiografia e a una dichiarazione di poetica. Solo per dare un assaggio dell’humus poetico mi soffermo sull’Opera anche perché giovano sempre le emozioni primarie (o “primeve”, per usare un aggettivo più volte ripetuto dal Nostro). Citerò brani e omettendo le barre separatrici dei versi, considerata la loro scorrevolezza.
***
Trinacria e Magna Grecia. Pietro Nigro apre con Esodo e segue con argomenti legati alla Sicilia, il suo Sud. Appare chiaro il suo sentimento sull’emigrazione della sua “gente”, partita e destinata a vivere e a morire altrove. La sua è terra d’aranci e limoni, di fichi d’India, di zagare e salsedine, di sole e del carrubo; della bella Taormina, di Noto e di Avola. Terra dagli “aromi di pane secco d’olive e di menta”; mentre adesso si respirano gas solfidrici delle ciminiere. La sua coltre è fatta delle Madonie, dei Monti Iblei e di trazzere; vi si respira “tiepida brezza marina”; ma, sembra dire, è terra tradita dagli uomini e abbandonata da Dio. I suoi, sono “uomini duri come scorza d’ulivi”. Si chiede se la sua Isola si risolleverà, riprendendo l’antico splendore. Terra dal “sapore greco antico d’Eschilo e di Pindaro, di Teocrito, Simonide e Bacchilide.” (Indefiniti confini, p.29). Disilluso, promette: “Non voglio fiori bianchi sulla mia tomba, ma certezze.” (Ho visto seccare il torrente, p.24).
Chiaroscuri della natura, è conseguente di quanto precede: “Non mi rimane forse che sognare… Non posso credere che invano trascorra una vita per prepararsi alla fine l’oblio d’una tomba;” (Si scioglie l’inverno, p.38). Qui lo spirito si distende beandosi dei verdi campi nell’incanto della natura: “Giardini che ornate le campagne del Sud e che Goethe esaltò con le parole «Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?»” (Odoranti campi di zagara, p.59).
I labirinti della memoria. Pietro Nigro si raccoglie nel silenzio delle sue meditazioni, andando all’età della spensieratezza, anche se la realtà gli sta sotto gli occhi. Affiorano così dal suo profondo frammenti di memoria, immagini evanescenti, come di fantasmi, di case distrutte, siamo nel secondo dopoguerra, di case abbandonate dai comignoli muti. Passioni esaltanti, sogni e progetti, come su “tele illusorie”; ma dentro egli piange. Si trasporta a Parigi (Montmartre, la chiesa del Sacré-Coeur, Saint-Germain, la Senna, Saint-Michel, la Sorbona). Ci offre un tocco dotto d’arte e di poesia. Ma, prossimo per un addio, sembra che i suoi passi abbiano lasciato l’impronta.
Amore è vita, evoca la sua donna “Dov’è l’amor mio mentre tra le fredde ombre di solitarie luci nell’immensa solitudine di stanche strade addormentate solo avanza la mia nostalgia di lei col passare della notte sotto i portici d’una città in attesa.” (Lontananza, p.96). Eleva un inno all’amore, riprende il motivo della ricordanza “La sera al Boulevard Saint-Michel”, in compagnia del suo amore nell’estate al Bois de Boulogne, a Montmartre, métros di Cluny, Saint-Germain, Saint-Michel, e altre località divenute luoghi dell’anima ove “parlare d’amore”.
Tra la vita e l’oblio, è canto che si fa lirica: “Non andremo più a raccogliere fiori di campo tra gli ulivi” (Caducità, p.119). Pietro Nigro ripercorre momenti che hanno preceduto la “subdola malattia, inizio di morte” (Contropartita, p.122). Piange e le certezze vengono meno, muoiono le illusioni, perfino la natura non avrà il suo profumo e il suo canto.
Dal dolore all’anima, dall’essere all’infinito. Il pensiero si fa più assertivo e rassegnato. Emergono pensieri di morte, rivolge un pensiero al proprio padre svanito in una “notte di marzo”, un pensiero pure al poeta e attore Bruno Vilar (marito dell’attrice Paola Borbone, morto in un incidente automobilistico); alla figlia Gabriella (1967-2014), prematuramente scomparsa. Si chiede: “Dov’è il segno della sua rivelazione?” (Gesù e la storia, p.177). Non resta che la fede!
Alla fine del tragitto, capitolo settimo, silloge inedita del 2023. Il Poeta considera che fin dai tempi primordiali l’essere umano ha avvertito il bisogno di rivolgersi a un Essere superiore, chiamandolo con nomi diversi. Ma man mano, bisogni indotti e superflui, hanno prodotto “malsani pensieri”. Anche qui pensieri di morte, della figlia, e dei morti recenti come nel conflitto in Israele nella Striscia di Gaza [territorio grande quanto la città di Enna o di Firenze]. Deluso dalla situazione attuale, dei molti morti. L’animo afflitto cerca conforto nell’illusione di Parigi. Infine conclude con quest’ultimo pensiero: “Se l’uomo un giorno volgesse lo sguardo dove l’orizzonte non ha più confini, … agevole sarebbe il percorso della sua vita più sopportabile il dolore della morte sublime la strada che conduce all’immenso” (La meta, p.193).
***
Penso che a un certo punto della vita poeti e poetesse ambiscano realizzare un’opera che raccolga il meglio di sé, se non addirittura una raccolta completa del proprio pensiero. Confesso di avere letto già sei o sette opere del poeta siciliano di Avola e non nascondo che ciò, forse, mi ha condizionato nel formulare la mia impressione sull’opera in parola. Altresì penso che Pietro Nigro con la sua Opera Omnia (volume 1, relativa alla poesia), riferisca un dettato sentimentale comune a tutti gli esseri umani; ma credo lo faccia semplicemente con gocce di vera poesia, degne di essere citate, che si trasformano in un fiume. Raccontare diventa un bisogno, un filo teso per unire chi ci sta vicino, che amiamo e che ci ama; raccontare vuole significare legare il presente al passato e proiettarlo nel futuro per trovare il senso della vita, ma anche “il senso della morte” (mie virgolette).
Tito Cauchi
26 luglio 2024
Pietro Nigro, Opera Omnia. Volume 1 - Poesie, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 208, isbn 979-12-81351-28-8, mianoposta@gmail.com.
Franco Colandrea, "A mio figlio Paolo"
A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore
Franco Colandrea
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Non credo che sia necessario impiegare molte parole per descrivere il dolore cocente e insuperabile, la terribile deprivazione affettiva e intellettuale-morale, provocati nell’animo di un genitore dalla morte di un figlio, evento difficilmente concepibile e quindi razionalizzabile nella sua innaturalità.
Un maestro del pensiero antico, nonché grande scrittore, Lucio Anneo Seneca, nella Consolatio ad Marciam – un testo databile intorno al 40 dopo Cristo – si accinse a confortare la madre, figlia del senatore Cremuzio Cordo, la quale aveva perduto il suo Metilio, ricorrendo ai luoghi consueti della dissertazione filosofico-letteraria; riuscì tuttavia a focalizzare soprattutto la pena tenace e tormentosa («Tertius iam praeterit annus, cum interim nihil ex primo impetu cecidit: renovat se et corroborat cotidie luctus et iam sibi ius mora fecit eoque adductus est ut putet turpe desineret», 1 («Ormai sono passati tre anni, e ancora niente dell’originario sgomento è venuto meno: piuttosto si rinnova e rinvigorisce ogni giorno e la durata si è fatta diritto, sino a spingersi a ritenere disonorevole desistere, traduzione mia»), e a indicarne la causa precipua: «Nihil enim ad rem pertinent anni, quoniam nullum non acerbum funus est quod parens sequitur», 17 («Perché al riguardo non contano nulla gli anni, in quanto non c’è funerale, che abbia al suo seguito un genitore, che non sia prematuro»).
Franco Colandrea, nell’intento di definire la propria condizione etico-sentimentale, si affida alla rappresentazione accorata dell’analoga situazione psicologica di una “signora senz’anima”, tramite la felice soluzione narrativa della corrispondenza speculare, dell’individuazione di una “microstoria” entro la “storia” principale, secondo lo schema inventivo che i critici professionali chiamano mise en abîme: «Ogni pomeriggio giravi con la bicicletta ed una signora molto magra ti salutava sempre, il suo volto era molto scavato dalla disperazione. Un giorno mi domandasti cosa avesse quella donna e perché fosse sempre triste, ti risposi che aveva perso il suo unico figlio per un incidente stradale (…) Mi abbracciasti ed esclamasti: “Povera donna, papà!” Ora sono io che cammino nella stessa piazza» (La signora senz’anima, il secondo corsivo è mio).
L’episodio appena menzionato costituisce altresì un interessante momento di svolta nell’organizzazione strutturale-compositiva del racconto, ne precisa l’equilibrio formale e stilistico. La parte iniziale del testo, che lo comprende, è caratterizzata infatti dall’essenzialità e dalla nettezza del discorso, dominato da una simmetria basata sulle frequenti cadenze iterative e come bloccato da scoperte preoccupazioni cronistiche connesse all’obiettività di un accadimento tragico e ineluttabile, che ha imposto uno stato sconvolgente di mancanza, di sottrazione e quindi di autentica amputazione spirituale: «Ti ho voluto in vita con la forza della vita. Mi hai fatto vivere con quella magica forza della vita. Ti ho cresciuto con la potente forza dell’amore. Ci siamo tenuti in vita e siamo cresciuti insieme con la forza dell’amore e della vita (…) Appena viene a mancare la forza della vita, anche quella dell’amore lentamente passa nel buio dell’orizzonte» (A Paolo con forza, corsivo mio, come sempre dopo); «Di sera, nei momenti in cui ci vedevamo, il tuo sorriso mi caricava. Di giorno, al telefono, vedevo sempre il tuo silenzioso sorriso, era energia invisibile per tutti e due. Di notte la parte conscia del mio cervello comunicava con la parte inconscia, sorridevo col tuo sorriso. Mi manca il tuo sorriso» (Il tuo sorriso); «Sui Monti Ausoni – ricordo che avevi dieci anni – insieme abbiamo esplorato gli impenetrabili boschi di lecci, eravamo felici (…) Adesso non troverò più niente di simile, ma quello che manca veramente è il tuo sorriso» (Appunti di gioventù).
Il ricordo è straziante, e la terribile, profonda lacerazione suggerisce di conseguenza correlazioni antitetiche: «Avevi otto anni e la febbre che sfiorava i quaranta gradi (…) Era notte ed avevi paura del buio. Trovammo tre candele strette e lunghe (…) Era una luce flebile ma piena di calore. Ora quel pagliaio è vuoto e senza luce» (Il pagliaio).
In seguito però – grazie anche all’aiuto “terapeutico” della “scrittura” (mi sembra invero interessante lo spunto meta-letterario costituito dal capitoletto intitolato Amica penna: «Non ti stanchi mai, sei sempre disponibile, alle volte hai delle pause di riflessione, ogni tanto vieni buttata con rabbia nel pennaiolo, ma poi vieni ripresa e così sei di nuovo pronta a dare una mano») – il respiro sintattico si amplia, la costruzione dei periodi si fa più complessa, e l’ossessione memoriale diventa occasione per una sublimazione ideale, per un meditato trascendimento catartico del cupo animus luttuoso, attraverso un percorso lucidamente deliberato nella sua alterità qualitativa, carica di rigeneranti implicazioni emozionali e cognitive: «Non riesco ad avere pace, ma devo accettare il fatto compiuto. La strada che intendo intraprendere per comunicare con te attraverso il corpo eterico è nel campo della metafisica e spero tanto un giorno di riuscire a comunicare con te attraverso uno di questi canali» (La rassegnazione).
Così il rapporto padre/figlio riprende e si rinnova attraverso il sogno, un’esperienza che gli antichi greci ritenevano un dono della divinità (« Ὄναρ ἐκ Διός ἐστιν », si legge nel primo libro dell’Iliade): «In sogno, davanti al caminetto acceso che riscalda anche le più remote cellule del corpo, il pensiero è sempre costante verso di te, e ora riesco a vederti, ti vedo con gli occhi della mente nell’altra dimensione (…) Mentre ti volti, accenni ad un sorriso di compiacimento e durante il ritorno verso il tuo Paradiso sussurri alcune parole che sembrano dire: «Ba (Papà), io sono con te, sono sempre vicino a te» (Il sogno di ri…nascita).
È questo il cuore del libro di Colandrea: la comunicazione consentita dall’attingimento di un’altra dimensione, dall’ “oltrepassamento” dei “confini dell’Universo” (v. il racconto L’amore) non può che rivoluzionare ogni misura interiore, rivelando la grave inadeguatezza di ogni concezione relativistico-empirica ispirata al materialismo positivistico. Auspice pure l’influsso della sapienza vedica, la mente del genitore, che ora da maestro si trasforma in scolaro («Dopo la giornata lavorativa non vedo l’ora di andare a letto a dormire con la speranza di rivederti in sogno e ascoltarti ancora perché ho tanto da imparare da Te, figlio mio. Come vedi, ora i ruoli si sono invertiti» (L’ascolto), si apre al mistero, all’idea dell’anima immortale, alla prospettiva dell’incontro liberatorio e gratificante con una Presenza d’amore, la quale assicura infine uno scopo positivamente orientativo alle dinamiche dell’intero ordine vitale, datoché è convinzione conclusiva dell’autore che «tutto vada ‘come se’ il mondo fosse diretto a un fine da una volontà intelligente e superiore» (Il cervello del mondo).
Floriano Romboli
__________________
L’AUTORE
Franco Colandrea, nato a Vallecorsa (FR), vive a Monfalcone (GO). Ha svolto il lavoro di Finanziere nelle Fiamme Gialle e poi dipendente pubblico alla Regione Friuli Venezia-Giulia. La sua vita è cambiata dopo la dipartita prematura del figlio Paolo. Oggi ha quattro lauree e si occupa di Naturopatia. Ha pubblicato i volumi: Le parole che ti ho detto e non ti ho detto in vita (2005), Dialogo inconscio da dimensioni diverse tra figlio e padre (2006), Dialoghi onirici tra padre e figlio - Paolo l’Immortale (2006), Senza Dio sono niente (2018), Rinascere a nuova vita dopo aver subito un dolore impossibile (2023).
__________________
Franco Colandrea, A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-40-0, mianoposta@gmail.com.
Francesco Salvador, "Il dono dell'alba"
Francesco Salvador
IL DONO DELL’ALBA
Il dono dell’alba (Guido Miano Editore, Milano 2024) è una raccolta di poesie non scandita in sezioni che risulta alla lettura magmatica per la densità metaforica dei componimenti che, pur essendo autonomi tra loro, per l’unitarietà contenutistica e formale possono in toto essere letti come un continuum di versi come se fossero collegati da un filo rosso invisibile.
Qui l’ordine del discorso è sotteso ad emozioni debordanti che crea il poeta, emozioni comunque sempre controllate a livello stilistico e formale, e per l’opera esaminata in questa sede si potrebbe arrivare alla definizione di poemetto.
Il male di vivere di montaliana memoria, e vissuto intensamente dal poeta, sembra essere il protagonista di questi versi.
E se nel titolo del volume si parla di un dono di luce è sottinteso che per una caratteristica dei versi presi in considerazione bisogna riferirsi anche ad un altro tipo di dono, che è quello del turbamento che serpeggia ridondante nei versi di Salvador.
Tuttavia, come evidenzia anche Enzo Concardi nell’acuta prefazione ricca di acribia, Francesco Salvador non sta assolutamente a piangersi addosso, affranto da una vita che dà scacco, ma reagisce conscio che la condizione umana può riservare anche tantissime gioie e che la vita stessa è degna di essere vissuta.
Già il titolo della raccolta evidenzia che la vaga luminosità dell’alba è un dono in se stesso e ci fa intendere che nella coscienza letteraria dell’autore può realizzarsi anche la felicità, forse come in momenti perfetti di sartriana provenienza.
Il poeta sa che è proprio la pratica della poesia quello che può salvarlo a prescindere da una visione trascendente dell’esistere.
E la stessa alba è luce e può divenire rigenerante e portatrice di un approccio nuovo alle cose nel confrontarsi con la realtà in tutte le sue sfaccettature e tutti i suoi settori.
In altre parole se la vita non è facile per nessuno, nonostante il pessimismo di fondo, si può varcare anche nel transito terreno la soglia della speranza.
E se Francesco affronta i temi del male, e della morte e del dolore lo fa lucidamente per esorcizzarli e poi trovare serenità.
E non a caso si ritrovano componimenti che sembrano un inno all’ottimismo che non potrebbero esserci se il poeta non avesse toccato nella sua ansia il fondo come attraverso una sintesi di sentimenti per una risalita fino ad una salvifica superficie con animo sereno e senza sforzo.
Molto bella densa e suggestiva la poesia che apre la raccolta intitolata Una mano sulle pietre componimento che ha un marcato carattere programmatico.
Nella suddetta poesia la psiche e il corpo del poeta stesso, dell’io – poetante, sembrano sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda per un magico e affascinante accadimento che trae l’incipit proprio nel toccare con una mano le pietre come nell’incipit della composizione.
“Mi è di conforto/ posare una mano sulle pietre/ della città visitata nei giorni di festa/ più degli occhi ora è forte/ l’istinto di trattenere/ quelle forme nella mente/ come chi sente la vita andare/ e stringe la mano/ dell’ospite nella casa fredda/ e non vuole lasciare la presa/ cercando così di truffare il tempo…”.
Come scrive giustamente Concardi nella prefazione «la poesia di Francesco Salvador va visitata come se contenesse un mosaico d’occasioni che la vita presenta ma che si risolvono spesso in illusioni e poi delusioni, lasciando un fondo amaro per mancanza di prospettive a lunga scadenza».
Raffaele Piazza
Francesco Salvador, Il dono dell’alba, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-32-5, mianoposta@gmail.com.
Gordiano Lupi e Francesco Viegi. "La grande bellezza"
Una struggente elegia di immagini e parole per catturare lo spirito del Genius Loci, che sembra giocare a nascondino tra la voce di Gordiano Lupi e l’occhio di Francesco Viegi. Perché quanto più le foto si avvicinano allo spazio, tanto più i testi si allontanano nel tempo: e allora quei luoghi accarezzati dai ricordi di ieri sono gli stessi immortalati dagli scatti di oggi, talvolta risultano addirittura più belli, ma sembra svanita l’aura che li avvolgeva, la magia che li riempiva di calore e familiarità, il mistero che li rendeva sacri.
Un incanto che può solo essere rievocato dalla memoria, con il piacere dell’abbellimento e il rischio della falsificazione, attraverso la scrittura di Gordiano Lupi, mai così lirica e, nella sua semplicità, intessuta di citazioni: non per sfoggio di cultura o per omaggio ai poeti, ma perché in lui anche le letture predilette, anche la grande letteratura del Novecento investe e permea ogni angolo di Piombino prima di ricollocarsi nella mente e nel cuore di Gordiano. Così la scavatrice di Pasolini stavolta piange per il palazzo di Elisa Baciocchi in Cittadella, la casa dei doganieri di Montale si fonde con la casamatta di Calamoresca e la vena crepuscolare di Gozzano snocciola deliziosi endecasillabi incastonati nella prosa (“perfette, ordinate, precisine/ il mare al posto giusto, le cabine”). Un mondo perduto di affetti ed emozioni, di odori e sapori familiari che, impossibili da recuperare nella realtà, ci accontentiamo di vagheggiare nell’immaginazione. Un mondo perduto di cui rimangono però i luoghi, come le scenografie di un’opera teatrale dopo la fine della tournée o le location di un vecchio film. Quei luoghi che hanno nutrito il passato vengono visitati oggi dallo sguardo di Francesco Viegi non con illustrazioni didascaliche, ma in un dialogo intrigante tra continuità e contrasto. Il bianco e nero della maggior parte delle foto entra in sintonia con la malinconia vintage della prosa di Lupi, ma le giovani modelle che si stagliano in primo piano nei panorami piombinesi ci suggeriscono che solo la bellezza può medicare la nostalgia.
Chi sono queste fanciulle? Turiste nel passato, come farebbe pensare il vestito rosso di una di esse che spicca in mezzo al bianco e nero del Rivellino e del Comune sullo sfondo? Muse del presente, come testimonia la loro personalità contemporanea? O figure del futuro, che abiteranno i nostri luoghi quando noi non ci saremo più? Forse sono sirene, venute dal mare e sdraiate sugli scogli, come sembra indicare la sorellanza di una di esse con la Sirena del palazzo di Lungomare Marconi in una fulminante inquadratura. Oppure ninfe dei Quattro Pini, del parco di piazza della Costituzione, della Pinetina e degli altri boschi domestici, colti dall’obiettivo di Viegi da punti di vista felicemente inediti.
Se Lupi afferma che siamo “incapaci di comprendere il futuro”, inevitabile non riuscire a capire neanche le modelle che lo rappresentano, tutte seducenti ma ognuna a suo modo distante, indecifrabile, ognuna a suo agio nel contesto del paesaggio ma in contrasto con il testo di Lupi, che racconta il carretto di Ponzo e il fritto della Festa dell’Unità in piazza Dante, tutta roba lontano anni luce da quelle bellezze al bagno. La frase chiave lo rivela: “Il domani è tutto da inventare mentre il passato è perduto per sempre”. Infatti le modelle di Viegi sono tutte da inventare, mentre il passato perduto è terreno di caccia della letteratura di Lupi, il quale spesso ricorre alla metafora della sabbia che sfugge tra le dita, una clessidra da spiaggia per misurare l’irrevocabilità del tempo. Eppure lo stesso Lupi si definisce “cercatore d’immagini”; così Viegi gli risponde fornendogli materiale in abbondanza su cui meditare, tra gli ammassi di lamiera abbandonata, le vie e le piazze del centro storico, i profumi e i “vestiti al posto dei sogni” che hanno sostituito il Sempione e il Supercinema.
Suggestioni cinefile arrivano anche dal corto circuito tra Il posto delle fragole di Ingmar Bergman e Il ferroviere di Pietro Germi, “un film fatto per gente all’antica, col risvolto dei pantaloni”, come lo definiva il regista. Perfetto per rappresentare i fantasmi dei padri, degli operai e dei pescatori. Più difficile è recuperare i sapori, per esempio il gusto del gelato del bar Pellegrini: “si sentiva il sapore del latte, un sapore che adesso cerco di riscoprire in altri gelati ma per quanto mi sforzi non lo trovo, sarà per quel fatto del tempo che passa, non lo so mica per cosa sarà, so soltanto che non lo trovo e tanto basta”. Qui, dietro l’apparente omaggio oleografico alla Piombino del passato, si rivela la motivazione più profonda di questo libro: la ricerca di se stessi, tra tuffi al cuore e languido spleen, “tra la sconfitta e il nulla”.
La nobiltà poetica del rimpianto di Lupi e l’enigmatica avvenenza delle ragazze di Viegi confermano che “ogni stagione ha il suo corso e non siamo le stesse persone per sempre”. Certo, era meglio osservare la vita stupefatti per mano a nostro padre e credere alle fiabe del nonno, capaci di trasfigurare la storia passata, magari assistere alla vittoria del Piombino in serie B contro la Roma, piuttosto che misurare il divenire, le tappe del disfacimento di dentro e di fuori, le sconfitte inevitabili dovute al trascorrere del tempo. L’occhio esperto e birbante di Viegi può concordare con la confessione disincantata di Lupi: “Lo so che il meglio d’altri tempi non era che la nostra giovinezza”.
Che schifo diventare grandi!
(Fabio Canessa)
Maria Cristina Di Giuseppe, "L'armaru"
L'armaru
Mariacristina Di Giuseppe
Navarra Editore
Un viaggio nella galassia femminile della società siciliana negli anni raccontati dalle lettere gelosamente custodite da un armadio “speciale”, un viaggio nella vita della nonna di Agata e, soprattutto, un viaggio interiore nella vita della protagonista. Sono gli elementi che caratterizzano L’armaru, il nuovo romanzo di Mariacristina Di Giuseppe per i tipi di Navarra Editore. Una storia molto suggestiva, ambientata all’interno di un appartamento in un palazzo d’epoca del centro di Palermo. La protagonista, Agata, si trova nell’incombenza di dover vendere l’immobile appartenuto alla sua famiglia, abitato per lunghissimo tempo dalla nonna materna, ormai scomparsa da anni. Quando la decisione di disfarsene sembra presa e non occorre altro che fissare gli appuntamenti con i potenziali acquirenti, Agata si trova ad addurre, più o meno consapevolmente, una serie di scuse e impedimenti alla loro concretizzazione. L’appartamento, che prima di allora le era sempre stato estraneo e indifferente, inizia, infatti, a conquistarla. Ciò accade da quando il grande armadio che si trova nella sala da pranzo sembra darle chiari segni della presenza dello spirito della nonna.
“L’armaru rappresenta il ricovero di ricordi, sentimenti, pulsioni che ci informano con la loro sottile e costante persistenza anche quando tentiamo di scansarli, anche quando non diamo loro la giusta attenzione”, spiega Mariacristina Di Giuseppe, “Ognuno di noi possiede un armadio interiore nel quale sono stipati a forza sogni, scheletri, segreti, tabù, dolori. Quando ne dischiudiamo le ante, il suo carico invisibile può abbattersi su di noi con tutto il suo impalpabile carico e tramortirci, oppure può appoggiarsi sulle nostre fragilità con ruvida gentilezza, e accompagnarci nella caduta sul lastricato delle nostre esistenze, nel ‘culo a terra’ da cui ripartire” co,me una bandiera d’amore e consapevolezza. Donne che possiedono il talento dell’amore, il talento del coraggio, della resistenza, della custodia della memoria, e li esercitano con determinazione. La pubblicazione è impreziosita dai contributi musicali di Laura Mollica e Giuseppe Greco, prestigiosi interpreti del repertorio musicale siciliano di tradizione, dalla prefazione di Tosca, e dall’immagine di copertina, Titania, opera di Bruno Pellegrino.
Mariacristina Di Giuseppe, romana di nascita, sin dagli anni accademici frequenta gli ambienti della fotografia, del teatro, della musica. E’ autrice di testi per il teatro e per la canzone d’autore. Ha collaborato ai più recenti lavori discografici di Edoardo De Angelis, quali “Historias”, “Sale di Sicilia” (nel quale la sua lirica “Spasimo” è prestata alla voce di Andrea Camilleri), “Non ammazzate Anna, “Nuove Canzoni” e “Il Cantautore Necessario”. Ha collaborato, inoltre, alla scrittura di testi per Milva, Antonella Ruggiero, Amedeo Minghi, Neri Marcorè. Per Navarra Editore ha già pubblicato i romanzi “Sale di Sicilia” (2014) e “Maremmana” (2019).
Adelia Lucattini, "Psicoanalisi e bambini: vademecum per i genitori"
PSICOANALISI E BAMBINI: VADEMECUM PER I GENITORI
ADELIA LUCATTINI
Carena Editore
Psicoanalisi e bambini: vademecum per i genitori è il nuovo libro della Psicoanalista e Psichiatra Adelia Lucattini, Ordinario ed esperta nell’analisi di bambini e adolescenti della Società Psicoanalitica Italiana (SPI). L’opera, edita da Carena Editore, è disponibile in libreria su ordinazione e nei principali store on line.
Il volume è un’opera fondamentale per coloro che lavorano nel campo dello sviluppo evolutivo, della prevenzione e della cura, così come dell'ambito educativo. Con un approccio psicoanalitico innovativo, l'autrice, Adelia Lucattini, offre ai lettori una vasta panoramica sui temi centrali riguardanti la relazione madre-bambino, la gravidanza, il periodo perinatale e lo sviluppo infantile. Partendo dall'importanza della maternità interiore e della relazione prenatale, il libro approfondisce la necessità di considerare il contesto relazionale come punto di intervento principale nell'ambito psichico. Attraverso il lavoro con i genitori e l'analisi della funzione analitica della famiglia, si cerca di costruire una genitorialità consapevole e attenta, accompagnando bambini e genitori nel loro percorso relazionale. Con riferimenti a importanti teorie psicoanalitiche come quelle di Donald Winnicott e Wilfred Bion, il libro incentiva a esplorare il mondo dell'infantile attraverso il gioco, il racconto e l'interazione emotiva, aprendo così a nuove possibilità di comprensione e cura. La prefazione è firmata dal direttore de “La Voce della Scuola”, Diego Palma, mentre l’introduzione è di Maria Giuseppina Pappa psicoanalista Ordinario, esperta nell’analisi dei bambini e degli adolescenti della SPI. Le interviste sono state realizzate dalla giornalista Marialuisa Roscino.
In “Dalla gravidanza alla nascita” Adelia Lucattini esplora una serie di tematiche cruciali per comprendere e supportare lo sviluppo emotivo e psicologico del bambino fin dalle prime fasi della vita. Sui benefici della musicoterapia prenatale per la relazione madre-bambino sottolinea come la musicoterapia prenatale possa influenzare positivamente la relazione tra la madre e il suo bambino. Riferendosi a opere fondamentali come "Musicoterapia e relazioni sonore" di Donatella De Colle e "Psicoanalisi della musica" di Franco Fornari, l’autrice illustra come il bambino, già nel grembo materno, sia capace di ascoltare e apprendere dal mondo esterno già durante la gestazione, un concetto approfondito anche in "Il feto ci ascolta e impara" di Manfredi e Imbasciati. Le ricerche di Mauro Mancia in "Sentire le parole" vengono utilizzate per evidenziare l’importanza degli archivi sonori della memoria implicita e la musicalità del transfert.
Ne “Il Bonding neonatale: cos’è e perché è importante” la psicoanalista descrive l'importanza del bonding neonatale, un processo essenziale per lo sviluppo psicologico del bambino. L’autrice esplora le teorie di Didier Anzieu in "L'io-pelle" e di John Bowlby in "Attaccamento e perdita", oltre a citare le nuove prospettive evoluzionistiche sull'attaccamento proposte da Cena, Imbasciati e Baldoni. Le intuizioni di Winnicott nel suo libro "Dalla pediatria alla psicoanalisi" vengono utilizzate per spiegare come il legame precoce influenzi profondamente lo sviluppo emotivo del neonato.
In “Essere genitori di un neonato: Nuove prospettive ed equilibri quando nasce un bambino” esplora le sfide e le gioie dell’essere genitori di un neonato. Lucattini discute il cambiamento degli equilibri familiari, supportata da opere come "Prendersi cura dei bambini e dei loro genitori" di Cena, Imbasciati e Baldoni, e "Il codice dell'anima" di James Hillman. L’autrice include anche le riflessioni di Dina Vallino e Marco Macciò in "Essere neonati" e quelle di Casare Zavattini e Maria Adelaide Lupinacci in "Parlando con la coppia", evidenziando come la nascita di un bambino richieda nuovi adattamenti e comprensioni. Adelia Lucattini affronta anche il tema dell’ereditarietà dell’intelligenza, citando studi rilevanti come quelli di Howard Gardner in "Educazione e sviluppo della mente" e di Kindlon e Thompson in "Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo". L'autrice analizza come l'intelligenza sia influenzata da fattori genetici e ambientali, supportata dalle ricerche di Emanuela Quagliata e Davide Serpico.
La seconda sezione del libro di Adelia Lucattini, "Crescere Giocando", affronta vari aspetti dello sviluppo infantile attraverso il gioco, l'educazione all'autonomia e la gestione delle sfide emotive e sociali. In “Come educare i bambini all'autonomia” esplora metodi e approcci per favorire l'autonomia nei bambini. Le teorie di Bowlby in "Una base sicura" suggeriscono l'importanza di creare un ambiente sicuro per lo sviluppo dell'autonomia. Maria Montessori, in "Per uno sviluppo a tutto tondo verso l’autonomia", propone attività pratiche che stimolano l'indipendenza. Inoltre, "Diventare genitori" di Quagliata e Marguerite Reid e "Raccontami una storia" di Vallino offrono strategie pratiche per sostenere i bambini nel loro percorso verso l’autonomia. Lucattini spiega anche il fenomeno dell'ossessione per i giocattoli e il significato psicologico dei regali. Opere come "Hans e gli altri" di Innamorati e "Il gioco della sabbia" di Dora Kalff aiutano a comprendere l'importanza del gioco nella psicoanalisi. Anna Maria Nicolò e Trapanese in "Quale psicoanalisi per la famiglia" e Winnicott in "Gioco e realtà" forniscono consigli su come gestire le richieste dei bambini e l'importanza del gioco simbolico.
L’autrice in “Quando il bambino è in difficoltà” affronta varie problematiche che i bambini possono incontrare durante la crescita, fornendo cause, diagnosi e cure. In particolare, l’autrice si sofferma su temi molto sentiti dai genitori come le cause e le cure per il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) e i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), la dislessia, il mal di testa, balbuzie, autismo e vaccinazioni.
L’ultima sezione è dedicata ai “benefici della psicoanalisi per bambini e genitori”. Adelia Lucattini esplora l'importanza della psicoanalisi per il benessere dei bambini e dei loro genitori, analizzando vari aspetti educativi e terapeutici. Dall’importanza della lettura alle potenzialità del disegno, fino alla necessità di allenare la mente e la memoria.
Reperibile anche online nella sezione libri di Amazon
Psicoanalisi e bambini: Vademecum per i genitori https://amzn.eu/d/00J4Cqpf https://amzn.eu/d/00J4Cqpf
Tommaso Tommasi, "Poesogni"
Poesogni
Tommaso Tommasi
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Io con Tommaso Tommasi mi sento in colpa per due motivi. Primo motivo: mi occupo di editoria da trent’anni; ho iniziato verso la fine anni degli anni Ottanta ancora studente liceale con i primi articoli su riviste locali e con i preziosi consigli di mio padre Guido che dirigeva la nostra Casa Editrice. Confesso anche di avere stilato centinaia di prefazioni, saggi, monografie su autori e artisti contemporanei; e tenuto conto della mediocrità dei tempi di oggi, si tratta spesso di espressioni artistiche ormai livellate su canoni estetici e formali consueti e scontati. Mai come in questo caso mi sono imbattuto in un autore sui generis che mescola brani (forse derivano da sogni interrotti?) o meglio brandelli di racconti di vita vissuta spesso dal sapore autobiografico con stralci di liriche in un vortice caotico apparentemente senza senso. E solo ora mi rendo conto della complessità del dettato poetico di Tommaso Tommasi.
Sepolto dalle urgenze redazionali, mi accingo a scoprire un autore di caratura unica. Una scrittura, la sua, che si avvale di un mosaico di frammenti, episodi, immagini, brevi accadimenti slegati tra loro. Pensieri e riflessioni in un magma di sentimenti e osservazioni, racconti e aneddoti spesso senza una logica consequenziale. Lo stesso titolo della raccolta Poesogni è frutto della fantasia dell’autore come i titoli Ripamaro (2020) e Lamodeca (2022) pubblicati da questa Casa Editrice (e non prefati da me ma dal nostro valido e storico collaboratore Enzo Concardi) e che costituiscono una sorta di triade. Tre volumi che racchiudono un percorso di vita e sperimentazione linguistica già intrapreso con la pubblicazione del primo volume Il vento dell’anima nel 1977.
Come giustamente ha notato da Enzo Concardi nella prefazione a Lamodeca «… ne risulta una sorta di zibaldone di motivi, temi, generi letterari, stili i quali sono tuttavia uniti da un principale filo conduttore: stralci di vita dell’autore tratti dalla memoria e proposti oggi come una retrospettiva di vissuti tradotti in forma letteraria in cui vi sono occasioni perdute, esperienze giovanili, prove narrative e sogni interrotti da risvegli».
Proprio in Poesogni (G. Miano Editore, 2024), in uno stato di immaginario dormiveglia, il nostro poeta alterna brani lirici con sogni o meglio brandelli di sogni in una girandola di riflessioni, episodi di vita, memorie macerate intimamente. La dimensione del sogno sempre presente nella sua produzione, qui diventa elemento catalizzante e se vogliamo un processo di “catarsi” dai mali del mondo.
Il rifiuto di una società sempre più alienata e disumanizzata con i suoi falsi miti del progresso e con le sue idolatrie lo portano a isolarsi e a costruire un’interiorità sensibilissima per cui la poesia diventa l’unico approdo “al mal di vivere”; la poesia come tutta l’arte in generale diventa l’unica corazza per difendersi da un mondo ostile e nel quale non si ritrova.
La massificazione della società moderna con la distruzione dei valori più autentici rende il mondo dominato dal caos senza più una gerarchia di valori o principi morali. Il poeta percepisce questo disagio, si sente sopraffatto e questa dolorosa osservazione del mondo rende ancora più difficile il dialogo con l’umanità. Ma Tommaso Tommasi rimane impassibile a volte; la realtà continua a conservare il carattere dell’enigma, dell’illusione, le cose rimangono prive di chiari contorni e di colori. Quasi un caos calmo, un ossimoro di morettiana memoria, dove in una dimensione caotica il poeta trova quasi una rassegnazione senza via di fuga.
La sua complessa e articolata personalità ci induce a una particolare valutazione dell’opera letteraria; oltre a dedicarsi alla poesia, Tommaso Tommasi si dedica al teatro, alla fotografia e alla pittura. Poesia sintetica nell’espressione, dotata di una notevole cadenza ritmica, che non ignora certo la frequenza con i classici, strutturata sostanzialmente tra l’immagine lirica e un ripiegarsi acuto e dolente nell’interiorità; un’interiorità che è resa più aspra dalla solitudine e dallo scorrere del tempo.
Perciò al primo impatto sembra essere una poesia caratterizzata da una visione fatalista e pessimistica della vita dove regna il caos o il disordine e i sogni aiutano ad evadere da questa realtà dolente: «I sogni non sono inutili / se poni tra le mani / un sipario di vetro. / E l’abisso risale / verso volti di uomini / che nascondono la rabbia / della palla del mondo».
Ma anche nella cupa disperazione e sensazione di angoscia si apre uno spiraglio: «Mi hai incantato col tuo caldo corpo / verso confini sconosciuti. / Suonerò il tamburo della mia vita / come il bambino che è in me. / Quel giorno sarà un sogno / e come il sogno sarà senza dimensioni. / Non potrà essere collocato / nello spazio e nel tempo. / Come un sogno / non potrà avere né un inizio né una fine. / Quel giorno sarà come una vita intera».
Ma cos’è poi l’arte, se non un tentativo di recupero del mito di quell’innocenza perduta a cui noi tutti tendiamo e di cercare di scovare negli abissi della propria coscienza quel poco di pace che tutti cerchiamo e che solo pochi raggiungono. E Tommaso Tommasi questo lo sa bene: «Libero, avrei voluto / confessare la mia malinconia. / ma il mondo lontano / abbandona le case del povero / senza graniglia di marmo / o finestre colorate di luce; / e le braccia ricadono stanche / senza le parole incantate / di un mago di bottega».
Il suo non è un canto illusorio poiché sogno, realtà e illusioni si fondono in una identità presente con il pensiero e l’azione. La poesia del nostro autore rivela anche la preoccupazione per quanto dell’uomo rimane di ciò che egli ha vissuto e sofferto nell’iter terreno e comprende che solo l’opera del pensiero individuale può continuare a vivere dopo l’annullamento fisico. Ma ecco che forse «(…) ci sarà sempre / un sorriso di donna / che guarderà felice / lontani orizzonti». Il che non è poco e lascia aperto comunque qualche barlume di speranza. Ed è in questo che risiede l’intima essenza della poesia per Tommaso Tommasi.
Il secondo motivo per cui mi sento in colpa è non avere letto prima gli altri suoi volumi precedenti.
Michele Miano
__________________
L’AUTORE
Tommaso Tommasi è nato a Ripatransone (AP) nel 1948 e vive a Seriate (BG). Laureatosi a L’Aquila, ha insegnato teatro, fotografia, poesia, lingua italiana. È stato bibliotecario presso il Liceo Scientifico di Bergamo. Ha collaborato come pubblicista con giornali e riviste; ha pubblicato varie raccolte di poesie. Tommasi è anche pittore ed ha allestito diverse mostre personali e collettive. Nel concorso “Opera Uno 2011” si è classificato tra i vincitori.
__________________
Tommaso Tommasi, Poesogni - Poesie e sogni, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-36-3, mianoposta@gmail.com.
Adriana Deminicis, "8 Infinito 8 - L'arrivo del gabbiano"
8 Infinito 8 – L’arrivo del Gabbiano
Adriana Deminicis
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Dopo la pubblicazione de La gemma di giada nel 2023 – che ha visto sempre la mia prefazione – ecco ora l’apparizione de L’arrivo del Gabbiano, seconda opera di Adriana Deminicis, appartenente al ciclo dedicato all’Infinito: ne è sicuramente la prosecuzione poetica ed ideale, riprendendone i motivi di fondo e la tecnica letteraria. La poesia incipitaria del libro cerca di illustrare al lettore il lungo cammino che l’aspetta per raggiungere mete e traguardi di spiritualità e benessere, nell’unione con il Tutto: porta lo stesso titolo simbolico della raccolta ed è una sorta di dichiarazione programmatica del significato della presenza dei gabbiani, ovviamente metafora da svelare. I versi chiave mi sembrano i seguenti: «… Il Gabbiano in volo rappresenta / il mio pensiero che ha trovato la via / per poter uscire ed intraprendere / il cammino, nel respiro liberato / che fluttua nell’Aria, ondeggia / ed a ogni batter d’ali / fa imprimere parole sentite, / sgorgano fluttuanti senza remore e paure / e dicon ogni cosa, / tutto quello che il mio cuore in questo momento sente...».
La mente e il sentimento della poetessa agiscono quindi all’unisono, investendo tutta la personalità, l’essere, l’anima, i sensi per compiere un cammino di liberazione e di guarigione, simile alla funzione dell’antica “vis medicatrix naturae”. Qui potremmo già citare - come esemplificazione – le liriche Il quarzo citrino («Non era un vezzo / senza significato / portare un ciondolo / di quarzo citrino /…/ lo vedevo luccicare / lo tenevo a me vicino / e i suoi effetti e benefìci / si imprimevano ben presto / sul mio corpo…»; La gemma di giada («Scompariva il dolore dal corpo / grazie alla preziosa gemma di giada /…/ erano il cielo stesso, l’aria, le acque del mare / a volere tutto questo...»; La gemma corniola («... / indossavo una collana al collo / avvertivo una energia diversa /…/ per non parlare della carnagione / che assumeva un colore diverso ringiovanito / grazie anche alla gemma corniola, / che portavo al collo»).
Gli elementi della Natura sono quindi protagonisti in questa poesia i cui contorni vanno gradualmente definendosi nel suo sviluppo e che incontreremo nell’analisi critica, elementi che sempre interagiscono con l’io dell’autrice, svolgendo un ruolo di alter-ego nel dialogo colloquiale, immaginato e vissuto nell’interiorità ed esternato attraverso il linguaggio poetico. Si tratta dunque di una poesia soggettiva, in definitiva auto-centrata sull’universo personale, una sorta di lunga confessione, un monologo che letterariamente assume la forma di una poesia-fiume che scorre nelle sue vene, trasformandosi in poesia-narrazione e sublimandosi in poesia visionaria, dove la realtà fa solo capolino, in attesa di trasfigurarsi in altro da sé.
In certi frammenti è come l’osservare i particolari di un quadro impressionista, poiché taluni versi ricreano quel tipo di atmosfere: «Vidi passare un fiore di canna rosso / nel cestino di una bici, / ho visto ancora un gioiello rosso / nella via del mercato ed un occhio blu, / si respirava finalmente un sorriso / nel viale del pigneto /.../ C’era anche una farfalla bianca, / quell’abitino senza maniche / mi faceva ancora sognare…» (La via del pigneto).
Ovviamente i richiami alla presenza dei gabbiani nei testi della Deminicis sono numerosi, per cui non possiamo esimerci dal proporne alcuni anche al lettore. Dapprima ci soffermiamo su Entrare nel flusso, lirica nella quale tutto è teso alla ricerca dell’armonia, della comunione vitale con l’energia dell’universo, dove l’arrivo del gabbiano porta al superamento delle contraddizioni, crea alchimie con tutte le creature viventi: la poetessa si alza in volo con lui e sogna l’isola immaginaria, ovvero il regno dell’Amore, la possibilità di un nuovo benessere. Significativa anche Il gabbiano, dove assistiamo ad un flusso ininterrotto di immagini legate ad associazioni di ricordi liberamente rivissute ed espresse, e dove i luoghi concreti si trasformano in contesti irreali senza nomi, tempi, storie, come se la poetessa si fosse seduta sul lettino di uno psicanalista e parlasse a ruota libera dei suoi sogni; così il mare ed il cielo l’avvolgono completamente fino a godere la pienezza del vivere, una completa felicità e le altezze dello spirito, grazie alle lezioni impartite dal gabbiano. Ne I Gabbiani. Arrivarono in tanti, accogliamo un altro messaggio d’infinito e di rinascita, poiché – dice il testo – i loro sguardi andavano oltre i limiti del tempo, presagivano l’arcobaleno all’orizzonte dopo i tuoni del temporale, indicavano la ricchezza della gamma dei colori naturali.
Ed ancora La baia dei Gabbiani, tecnicamente un acrostico basato sul vocabolo poesia, con il chiaro incipit: «Nella baia dei Gabbiani si viveva di poesia…». Un altro sito onirico dove si attendeva la metamorfosi della vita, ma dove: «... Dovevamo essere aiutati, / dovevamo aiutarci perché qui vigevano / ancora la malattia e la vecchiaia / e c’era ancora tanta dipendenza / così da annullare le proprie ricchezze personali...». La poetessa usa il verbo al passato in quanto si tratta di sogni o visioni e quindi eventi già avvenuti, oppure perché sono stati esistenziali preesistenti ed ora superati: vige la legge della dinamica nel nostro vivere.
Nel complesso la poetica del libro sembra rispecchiare talune acquisizioni della filosofia conosciuta come New Age (“Nuova Era”), vasto movimento culturale che comprende diverse correnti psicologiche, sociali e spirituali di natura alternativa sviluppatesi negli ultimi decenni del secolo scorso, come certi concetti e pratiche quali la meditazione yoga, il ‘channeling’, la cristalloterapia, la medicina olistica, l’ambientalismo, l’astrologia, la cabala, la teosofia, le sincronicità numeriche... Tale visione sovente accomuna gli elementi della Terra, del Mare, del Sole, della Luna, dei Pianeti, e degli altri corpi celesti come fonti di energia per la vita umana. Le liriche della Deminicis che rispondono a queste caratteristiche sono numerose ed è interessante scoprire dai loro versi le affinità esistenti; ne segnalo alcune al lettore.
Leggiamo L’energia di Gaia (Gea, la Terra) e vi troviamo il desiderio di connessione con l’energia universale, guaritrice e benefica, apportatrice – dice la poetessa – di quel grande Amore che ha sempre ricercato nella sua vita. Visitiamo L’orizzonte e il mare – dove si dispiegano vaste dimensioni spirituali, ontologiche, oniriche – e conosciamo l’influsso positivo del mondo delle acque, degli oceani con la voce del mare che parla a lei con tutta la sua forza. Così anche in Una conchiglia emergono i bisogni dell’anima, la necessità di una rigenerazione antropologica, dell’incontro con l’amore vero, di una sconfitta della solitudine perché siamo fatti per vivere evangelicamente riuniti ed accedere al Tutto. Ecco poi la divinizzazione del grande astro (L’amore del Sole) che ci regala la vita con i suoi raggi, ai quali non si può rimanere indifferenti: essi parlano e la loro voce ha molte cose da dirci. Il tema è ripreso e sviluppato anche in Una canoa. In tali visioni scontato è uno sguardo diverso verso la Luna: non la gelida ed ostile luna leopardiana, ma la calda, amica e benefica luna, poiché «...Luna eri venuta / per rimanere con me per sempre…». Accanto alla Luna ecco Marte, pianeta bellissimo che, come tutti gli altri corpi celesti, richiama il pensiero dell’Infinito. Infine la poesia astrale dell’autrice si sofferma su Gli anni dei Numeri, dai poteri magici e taumaturgici: «... Ogni numero mi avrebbe accompagnato / con il cuore in mano, ogni numero / mi avrebbe portato giorni generosi / pieni di Amore e di Felicità».
Per consegnare ora al lettore ulteriori chiavi di lettura chiare e sintetiche, ovvero fuor di metafora, come si suol dire, de L’arrivo del Gabbiano, ne enunciamo le più importanti. L’umanità, la vita, l’universo, il cosmo, sono spiritualmente interconnessi per cui partecipi della stessa energia: Dio è uno dei nomi di questa energia. La mente umana ha poteri profondi e vasti che possono modificare la realtà: ognuno crea la sua realtà. Ciascun individuo ha uno scopo sulla Terra e una lezione da imparare: la lezione più importante è l’amore. C’è un nucleo mistico comune in tutte le religioni, orientali ed occidentali: i dogmi, l’identità religiosa, l’intolleranza sono ostacoli al progresso della specie. Tutto ciò che accade ha uno scopo: in ogni momento siamo nel posto giusto per imparare la propria lezione. Il nostro obiettivo è diventare capaci di amare tutto ciò con cui entriamo in contatto, scoprire il divino in ogni cosa e l’unione dell’Uno con il Tutto.
Il poemetto finale dal titolo Un occhio blu vuole insegnare tutto ciò con il risveglio del terzo occhio, la guarigione interiore, dopo la prigionia kafkiana in un castello e l’alienazione psicanalitica con un dottore in camice bianco: l’incubo finisce e nella storia – che sembra un sogno sconnesso – il protagonista ritrova se stesso e la propria felicità.
Enzo Concardi
__________________
L’ATRICE
Adriana Deminicis è nata a Montegiorgio (FM) nel 1958. È docente nella Scuola Secondaria di II grado. Attualmente insegna presso l’I.T.T. Montani Fermo. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Il mio tempo a che ora è arrivato? (2012), Il mio domani non è mai uguale (2013), Oggi così, domani in altro modo (2013), Momenti di vita quotidiana (2013), Quando (2015), Da un Poemetto alla Luna. I fiori di gelsomino (2022), 8 Infinito 8 – La gemma di giada (2023). Altre sue poesie sono pubblicate in vari volumi antologici.
__________________
Adriana Deminicis, 8 Infinito 8 – L’arrivo del Gabbiano, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 152, isbn 979-12-81351-33-2, mianoposta@gmail.com.
Il nuotatore
Sprint sfortunato. Gara. Un buco nell'acqua.
***
Nota dell'autore: negli anni Venti, uno scrittore e giornalista americano di nome Ernest Hemingway, scrisse un romanzo in sei parole nel mentre si gustava un Mojito.
Invece, nel mio caso, ho realizzato questo racconto in sei parole, nel momento in cui sorseggiavo un bicchierone di chinotto siciliano.
Il fotografo
All'improvviso, l'ignaro soggetto dai lunghi capelli rossi come il melograno, nel mentre cammina sorridendo con le braccia alzate verso il cielo tramontante, si ritrova in una posa non voluta. È il momento perfetto per il click di una Polaroid da cui seguirà la magia di uno scatto.
Il timido fotografo, da sempre innamorato della sua migliore amica, porterà dentro il marsupio a tracolla, regolato all'altezza del cuore, l'intimità di quell'istante che sarà soltanto suo.