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Vladimiro Giacché, "Hegel - La Dialettica"

12 Dicembre 2023 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #saggi, #filosofia

 

 

Vladimiro Giacché
HEGEL – La Dialettica
Introduzione al pensiero hegeliano
Diarkos – Euro 18 – Pag. 225

 

Un mestiere complesso e utile è quello del divulgatore che rende semplice il difficile, pur mantenendo intatta la complessità del tema trattato. Vladimiro Giacché - laureato in filosofia alla Normale di Pisa - fa molto bene questo lavoro, occupandosi della sua materia e rendendo comprensibile un autore importante come Hegel, mostro sacro per gli studenti liceali. Giacché aveva scritto una prima edizione del volume, andata ben presto esaurita, quindi si è visto motivato ad ampliare il lavoro, dopo essersi occupato anche di scienza della logica, storia tedesca e filosofia ottocentesca tra idealismo e positivismo. Questo volume edito da Diarkos è un’introduzione al pensiero di Hegel scritta in un linguaggio semplice, chiaro e accessibile anche ai profani, che introduce alla dialettica, il più importante libro del pensatore, la base della sua teoria filosofica. Si parte dagli scritti giovanili in tema di religione e filosofia, la critica della morale kantiana, passando per la fenomenologia dello spirito come forma di conoscenza, per arrivare alla scienza della logica e alla filosofia della natura e dello spirito. Il libro prende in esame il pensiero di Hegel ma non trascura gli hegelisti, gli adepti, la scuola hegeliana, infine pone l’accento sull’influenza del pensatore nel mondo scientifico e letterario. Tra le concezioni più importanti e ancora attuali troviamo il pensiero sullo Stato, l’importanza della contraddizione e della dialettica, le considerazioni sulla funzione dell’arte, oltre al ragionamento sistematico - storico su realtà e razionale. Tutta la seconda parte del libro consiste in una corposa antologia di letture per dare la parola a Hegel e far conoscere il pensatore con brani scelti dalle singole opere. Per finire abbiamo alcuni approfondimenti sulla considerazione ciò che è reale è razionale e un apparato critico, in appendice a un lavoro interessante, utile ai fini dello studio, come primo approccio sul pensiero filosofico di Hegel. Un volume importante, per la sua semplicità colta, sia per gli studenti di materie filosofiche che per i semplici appassionati di cose culturali. Hegel è alla base del pensiero storico - letterario di tutto il Novecento.

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Domenico Minardi, "Quand 'ca sémia burdèl"

11 Dicembre 2023 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

 

 

 

Quand ’ca sémia burdèl (“Quando eravamo ragazzi”)

Domenico Minardi 

Guido Miano Editore, Milano 2023.

 

«Sfogliando la tua vecchia agenda dove negli anni hai fissato le immagini più significative della tua vita, abbiamo scelto alcune delle tue più belle poesie e le abbiamo raccolte perché la nipote Daniela, quando le leggerà, possa conoscere la sensibilità del nonno» (Lucia e Giuliano, Natale 1980). Queste affettuose parole si leggono nell’incipit del libro di Domenico Minardi Quando eravamo ragazzi e ne spiegano la genesi letteraria: sarà infatti proprio la cara nipote, divenuta la professoressa Daniela Romanelli, a commissionare la pubblicazione dei testi alla Casa Editrice Guido Miano. Dalla data della dedica ad oggi sono trascorsi oltre quarant’anni, ma evidentemente il tempo non è nulla di fronte ai sentimenti autentici che albergano nei cuori delle persone veramente legate alla memoria dei propri cari: e questo libro, a sua volta, è assolutamente un’opera in cui la memoria è la protagonista principale.

Si legge anche, nel sottotitolo, che si tratta di Poesie nel dialetto di Castel Bolognese (tradotte qui ovviamente in italiano). Siamo dunque di fronte ad un genere letterario, da sempre classificato a parte rispetto alla produzione nella lingua del sì, senza che ciò - aggiungo io - debba necessariamente implicare un pregiudizio di valore. Indica, piuttosto, questa caratteristica idiomatica, la presenza di radici identitarie ben salde che affondano nella propria terra e nella propria gente, oltre che essere il modo di pensare e di vivere del microcosmo a cui appartengono.

Domenico Minardi (Castel Bolognese, 1923 - ivi, 2002) si era laureato in Medicina e Chirurgia veterinaria all’Università di Bologna, esercitando la professione fino agli anni ‘90. Ha insegnato matematica e scienze nelle scuole medie statali. Si è sempre dilettato a comporre e recitare poesie dialettali: c’è dunque da presupporre che in lui l’anima scientifica abbia sovente convissuto con l’anima umanistica e che i due aspetti culturali, spesso, ma a torto, messi in contrapposizione, nella sua esistenza, invece, si siano armonicamente sviluppati, integrandosi dialetticamente. Come adesso vedremo, nell’analisi critica delle sue liriche, le corde del sentimento sono in ogni composizione toccate delicatamente e con pudore, ovvero non gridate ed ostentate, ma chiaramente espresse perché ritenute vere, appartenenti alla sua storia, vissute senza alcuna retorica o nostalgico vittimismo.

Il punto di partenza di ogni lirica del poeta è sempre il passato, il rimpianto di ciò che è stato e che non potrà mai più essere: questa chiara coscienza del lavorio deterministico del tempo suscita in lui stati di commozione, nei quali il lettore può sentirsi coinvolto se ha vissuto le stesse vicende esistenziali, oppure se con l’immaginazione cerca di entrare nel mondo interiore dell’autore. Va da sé, come si diceva in precedenza, che la rivisitazione del passato implica automaticamente un viaggio, degli itinerari nelle dimensioni memoriali, letterariamente paragonabili alla proustiana ricerca del tempo perduto.

Altre componenti non entrano in tale scrittura, per cui si potrebbe pensare ad un’ispirazione monotematica - ed in parte è così - ma solo in parte, poiché Minardi allarga poi lo sguardo sulla civiltà contadina, la campagna, l’infanzia come da lui vissute, certamente, ma da individuali le sue immagini si trasformano in universali, storiche di uno spaccato della nostra società, dal momento che hanno rappresentato una fase del nostro vivere.

Va sottolineato ancora che il carattere fondamentale della sua poesia trae prevalentemente origine da esperienze autobiografiche, dunque soggettive, tuttavia trasformate in temi e miti comuni e ricorrenti anche in autori maggiori della nostra letteratura: il mondo agreste e sensitivo della natura, con gli affetti familiari e l’attaccamento alla terra di pascoliana elaborazione; l’idealizzazione della giovinezza come l’età della felicità temporanea e illusoria, presente negli idilli leopardiani e nella narrativa di Pavese. Ed inizierei proprio dai ricordi dell’infanzia e giovanili la disanima particolare dei suoi testi. C’è la titolazione di una lirica, Quando eravamo ragazzi - che non a caso dà il titolo alla raccolta - paradigmatica di altre dello stesso genere, che racchiude il bisogno profondo, sentito, quasi una necessità vitale, di riandare indietro nel tempo, di rivivere ad occhi aperti quegli anni e quei sogni: nelle sei quartine della poesia agili immagini e pennellate di espressioni visive ci raccontano di una capanna di lamiera sopra un fosso, il centro d’incontro dei ragazzi della contrada, centro di giochi infiniti e un drappo sventolava sopra di essa, come una bandiera di riconoscimento. Tutto era bello, dice il poeta: fare a botte per un amico, rincorrere il treno a vapore, cantare nel silenzio della notte, cacciare con le fionde, divertirsi con poco. Ora di quei ragazzi qualcuno non risponde all’appello, se li è portati via la morte; ma ecco la speranza: «…in alto sulla capanna / c’era un pezzo di latta con su stampato un cuore: / il cuore dei ragazzi della mia Romagna / che dopo morti sembra che vivano ancora».

 Un’altra rievocazione gioiosa dei giochi d’infanzia la incontriamo in Speranza: il poeta ricorda un gran correre spingendo una giostrina e sempre si correva per guadagnarsi un bel giocattolo, l’oggetto preferito di quell’età. E nell’ultima strofa una semplice riflessione ci svela la sua visione ottimistica della vita: «…Tutto quel correre, da grandi dura ancora / perché nella vita manca sempre qualche cosa: / quel giro che da ragazzi facevamo allora / dura sempre, ed è sempre bello!».

Nelle sei quartine de La statuina le memorie del poeta assumono toni pascoliani, legati alla poetica delle piccole cose, del ‘fanciullino’ e degli affetti domestici: ne è occasione il ritrovamento in soffitta, dentro una vecchia scatola, di una statuina rotta del presepe. Ciò lo riporta ai Natali trascorsi, alle battaglie con le palle di neve, ai primi biglietti d’amore nascosti nelle pagine di un libro, alle calze appese al camino per l’Epifania, alla mamma che gli rimboccava le coperte… Una ricostruzione delle atmosfere natalizie piena di pathos e di emozioni, per successivamente ricostruire in tre versi le gioie della vita: «... e poi ecco la pagina più bella: / la mia donna e poi le carezze della mia bambina / e l’interminabile rosario della nonna».

La cascata dei ricordi di Domenico Minardi è inesauribile: ora è la volta della Vecchia Pocca, «una località della campagna di Castel Bolognese, con un bel bosco, una radura per i balli e una fresca fontana di acqua sulfurea» dice la nota a piè di pagina. Era una meta frequentata dai ragazzi del borgo, sempre «in bolletta» sì, ma a vent’anni avevano quello che era necessario per essere felici: la voglia di cantare, le ragazze, l’amore. Ora è rimasta solo la fontana, e la consapevolezza, con «il groppo in gola», che quell’età e quel mondo non potranno più tornare.

Quando eravamo ragazzi, intesa come scrittura del ritorno alla giovinezza, è il binario sul quale si muove il convoglio di Domenico Minardi anche quando l’accento si sposta maggiormente sul tema del legame con la terra natale: esaminando alcune liriche di questo genere risulterà subito evidente il vincolo con le radici. La voce del gallo risuona nella campagna e diviene occasione per rievocare le origini mai dimenticate: «… Oh, bel gallo della cavéja canterina / fammi contento, fammi tornare fanciullo / fa che baci la terra di Romagna, / che riveda il campanile della mia Castello!». Campagna, nell’ottava d’esordio, è lirica realistica ed efficace, con le sue immagini rudi ed evocative, per stendere un elogio alla civiltà contadina, poiché è lì, in mezzo a quel mondo, che si trova l’armonia e la felicità degli affetti: «Una bicocca fatta da cent’anni, / una porta sgangherata, due finestrelle, / un nastro rosso per tener lontano il maligno, / un pozzo nell’aia, un abbeveratoio, un acquitrino, / una pagliaia con due buchi in mezzo, / un aratro vecchio, una botte già sfasciata, / colombi che si levano con degli svolazzi, / una scrofa nel fango là sdraiata...». E dopo tale elencazione sparpagliata di oggetti alla rinfusa, nell’altra ottava che chiude il canto, il poeta afferma con candore: «... basta una carezza fatta di sera / per essere contenti e vivere in fortuna!».

Le liriche Ritorno e Ritorno in Romagna coniugano il verbo forse più caro all’autore: rivisitare i luoghi natii, le favole in cui allora si credeva, riavvicinarsi al calore dell’antico casolare, risentire il profumo della campagna, ascoltare il cuore della Romagna. E sentirsi in amicizia con le piccole creature della natura, il grillo, la lucertola, la cicala, la cavalletta: un mondo pre-industriale, pre-tecnologico e pre-virtuale, amato così intensamente da essere rimasto attaccato profondamente all’essere, alla materia e allo spirito di questo suo figlio.

E ancora, infine, ritornare Fuori nella notte a contemplare «... il colore del sangue della tua Romagna, / della terra che ti aspetta per accoglierti, / della terra che ti vide correr bambino». Qui il poeta vive un rapporto madre-figlio con la sua terra, che potrebbe provenire quasi da un substrato onirico, se non addirittura psicanalitico, o, più semplicemente, riesce ad essere se stesso solo in tale dimensione.

L’amore che ha sempre sorretto la vita di Domenico Minardi si è concretizzato, oltre che nel rapporto coniugale, anche con la nascita della figlia Lucia e con la venuta della nipote Daniela, presenze importanti che lo hanno ispirato poeticamente: ne abbiamo qui testimonianza nelle liriche A mia figlia e A Daniela. Emerge dai versi un grande senso di tenerezza e protezione nei loro confronti ed anche la sincera ammissione di un errore, cioè di averle avvolte troppo nel mondo delle favole per tenerle al riparo dai mali del mondo: l’affetto col quale è stato ricambiato è segno invece di un modello educativo vincente.

Enzo Concardi

 

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L’AUTORE

Domenico Minardi (Castel Bolognese, 30 marzo 1923 - ivi, 13 marzo 2002) si è laureato in Medicina e Chirurgia veterinaria all’Università di Bologna. Ha esercitato la professione veterinaria prima a Casola Valsenio e poi a Castel Bolognese fino agli anni ‘90. Dagli anni ‘60 in poi ha anche insegnato nelle scuole medie statali matematica e scienze. Membro della rivista “La Piè”, si è sempre dilettato a comporre poesie dialettali tanto da essere invitato a declamarle in numerosi convegni e trasmissioni radiofoniche dedicate. Alcune poesie sono state anche pubblicate in antologie della letteratura italiana.

 

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Domenico Minardi, Quand ’ca sémia burdèl (Quando eravamo ragazzi), prefazione di Enzo Concardi, postfazione di Pier Guido Raggini, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 84, isbn 979-12-81351-11-0, mianoposta@gmail.com.

 

 

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Nicola Crocetti e Davide Brullo, "Dammi un verso anima mia - Antologia della poesia universale"

10 Dicembre 2023 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #poesia, #unasettimanamagica

 

 

 

 

Nicola Crocetti e Davide Brullo
Dimmi un verso anima mia - Antologia della poesia universale
Crocetti Editore - Euro 50 - Pag. 1250

 

Dopo Poesie da spiaggia realizzato con Jovanotti, Nicola Crocetti sceglie un altro compagno d’avventura (Davide Brullo) per compiere un progetto ambizioso come un’Antologia della poesia universale, partendo dagli albori della lirica indiana, cinese e atzeca per arrivare a Vera Linder e Blu Temperini, passando per Thomas Eliot e Tristan Corbière, senza dimenticare la grande poesia italiana, greca, tedesca, orientale e sudamericana. Le introduzioni dei curatori sono già poesia, forse sarà uno dei rari casi in cui le prefazioni si leggono, ché sono importanti e pesanti, con Crocetti e Brullo alla ricerca non del tempo perduto, ma del motivo per cui si scrive ancora poesia, cercando di negare la presunta inutilità della forma letteraria più nobile.  Crocetti, per motivi di nascita, nutre particolare predilezione per la poesia greca, che traduce da anni, quindi dedica molte pagine dell’introduzione a presentare Ghiannis Ritsos, poeta comunista ribelle al regime dei colonnelli, ma anche l’immenso Kavafis e il grande Kazantzakis (autore di un’Odissea contemporanea). Cercare di far leggere poesia - sembra dire Crocetti con le parole di Ulisse - sarà anche una battaglia persa in partenza, ma proprio per questo dobbiamo combatterla. Brullo, invece, sceglie un registro lirico per introdurre alle atmosfere di un libro che va letto come si sfoglia una carta del cielo, aprendolo a caso, cercando un verso, seguendo il ritmo d’un poema. E qualcosa manca di sicuro in questo libro, pur denso, pur corposo, 1300 pagine scarse con indice dei nomi, bibliografia, persino i traduttori indicati in calce alle liriche. Ma noi non siamo frustrati, non andremo alla ricerca di chi manca, ci sentiamo puri di cuore, consapevoli che l’assoluto si tiene a debita distanza dalle statistiche e dai grafici di copie vendute. Ergo, ci limitiamo a stupirci, con Brullo, e ci meravigliamo pure leggendo il nostro microscopico nome sotto una poesia dell’immenso Nicolas Guillén (Parole nel tropico), poeta nazionale cubano di cui abbiamo tradotto ogni lirica, pubblicando con Il Foglio Letterario due enormi volumi che nessuno ha letto. La miglior definizione dell’Antologia della poesia universale sono le parole di Brullo, direttore di Pangea e Magog: “La poesia celebra la vita, addestra a morire. Questo non è un libro: è un incendio, un immenso atto d’amore”. Lo stesso amore che Crocetti prova per la poesia da sempre, genere letterario che ha portato per anni in edicola (dal 1988) con la rivista Poesia, serbatoio inesauribile per la realizzazione di un inestimabile prodotto antologico. Se avete un amico che ama la poesia è il dono di Natale perfetto, intelligente e inesauribile. Per me sarebbe il regalo ideale.

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Francesco Terrone, "Le valli del tempo"

9 Dicembre 2023 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Francesco Terrone

 

LE VALLI DEL TEMPO

 

 

Francesco Terrone è nato a Mercato San Severino (SA): è autore di numerose raccolte di poesia. La sua produzione poetica è trattata in varie opere pubblicate da Guido Miano Editore tra cui Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, vol. IV (2015), Itinerario Organico delle Critiche Letterarie alle Poesie di Francesco Terrone (2016). Dizionario Autori Italiani Contemporanei (2017), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Francesco Terrone.

Le valli del tempo (G. Miano Editore, 2015), la raccolta di poesie di Francesco Terrone che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una premessa dell’Editore ed è suddivisa in cinque parti che sono precedute ciascuna da uno scritto introduttivo.

I suddetti brani sono: L’incanto della memoria nei testi di Francesco Terrone e Juan Ramòn Jiménez a firma di Angela Ambrosini, Le problematiche dell’essere in Francesco Terrone e Jorge Gullén della stessa Ambrosini, Il tema dell’amore nei testi di Francesco Terrone, Franz Werfel e Martinus Nijhoff di Guido Miano, Il percorso della spiritualità in Francesco Terrone e Guido Gezelle di Enzo Concardi e Il tema della Natura Medicatrix in Francesco Terrone e Johannes Bobrowski di Fabio Amato. Seguono, in appendice, la prefazione al libro Pitagora, sempre opera del Nostro, intitolata Una poesia “interlocutoria” a cura di Gaetano Iaia e la presentazione al libro Via Crucis di Giuseppe Agostino Arcivescovo Emerito di Cosenza-Bisignano.

Tutti i componimenti racchiusi nel volume presentano il titolo della raccolta da cui sono tratti e l’anno di pubblicazione.

Quindi il testo può considerarsi un’antologia di poesie composta da eterogenee composizioni della copiosa produzione di Terrone pubblicate prima del 2015.

Si prenderà in considerazione la sublime poesia eponima situata nella terza scansione, componimento rarefatto e concentrato verticale tout-court in quanto alcuni versi sono composti da un solo vocabolo. Si tratta di una poesia luminosa e magica, icastica e leggera che sorprende nella sua metafisica bellezza in un panorama come il nostro dominato dagli sperimentalismi e dai neo - orfismi.

 Vale la pena riportare integralmente il testo perché si tratta davvero di un momento alto nella sua chiarezza ed è doveroso mettere in rilievo che la composizione è tratta dalla raccolta Pitagora del 2014. Ecco la poesia: «Bagno / le mie mani / nell’acqua / delle tue acque / ed accarezzo / la vita / che da secoli / riempie le valli / del tempo. / Leggere diventano / le mie mani / come ali / spiccano il volo / e conducono / il mio cuore / verso / l’infinito mare / verso / l’infinito amore» (Le valli del tempo).

Protagonista del componimento sono le mani dell’io - poetante in questa poesia neolirica come del tutto neolirica è la cifra della poetica di Terrone di raccolta in raccolta.

Quando il poeta dice con urgenza di bagnare le sue mani nell’acqua delle acque del tu al quale si rivolge si assiste ad un interanimarsi mistico-naturalistico dell’io poetante con lo stesso tu al quale si rivolge del quale ogni riferimento resta taciuto e che è presumibilmente l’amata.

Del resto l’archetipo dell’acqua riporta ad amniotiche fonti dalle quali sgorga la vita. Sembra di uscire dal tempo lineare leggendo questa composizione e questo è un fatto affascinante quando il poeta afferma di accarezzare la vita che da secoli riempie le valli del tempo ed è detto l’infinito non a caso come attimo dell’atemporalità che sottende l’intero componimento.

Raffaele Piazza

 

 

 

Francesco Terrone, Le valli del tempo, a cura di Angela Ambrosini, Guido Miano, Enzo Concardi, Fabio Amato; Guido Miano Editore, Milano 2015, pp. 84, mianoposta@gmail.com.

 

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Francesco Terrone, "Tra i miei sogni"

8 Dicembre 2023 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Francesco Terrone

TRA I MIEI SOGNI

 

Francesco Terrone è nato a Mercato San Severino (SA) il 05 giugno 1961. Ha conseguito la Laurea in Ingegneria Meccanica presso l’Università Federico II di Napoli e vi ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione. Ha fondato con orgoglio la Società di Ingegneria Sidelmed S.p.A.

È autore di numerose raccolte di versi. La sua produzione poetica è trattata in varie opere pubblicate da Guido Miano Editore tra cui Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, vol. IV (2015), Itinerario Organico delle Critiche Letterarie alle Poesie di Francesco Terrone (2016). Dizionario Autori Italiani Contemporanei (2017), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Francesco Terrone.

Tra i miei sogni (Guido Miano Editore, 2018), la raccolta di poesie di Francesco Terrone che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Gualtiero De Santi esauriente e ricca di acribia intitolata L’impromptu del leone.

Il volume non è scandito, e per la sua unitarietà contenutistica, stilistica e semantica può essere considerato un poemetto o un canzoniere amoroso.

L’io poetante è sempre in bilico tra gioia e dolore nel suo vivere l’amore nel lanciare messaggi alla sua lei nella perenne ansia e pena della paura dell’abbandono o di non essere ricambiato nei suoi sentimenti sublimati tramite la parola poetica.

Tra eros e pathos si gioca la partita e si avverte continuamente la tensione del poeta verso il suo oggetto meta dei desideri, la sua amata, che lo fa soffrire e a tratti lo riempie di gioia quando spera di essere corrisposto soavemente e sensualmente nello stesso tempo.

In una maniera che ricorda quella degli stilnovisti, del Dante de La vita nova e a tratti anche di Petrarca, il poeta effonde nei versi il suo animo delicato e sensibile nelle tribolazioni e le gioie del suo vissuto sentimentale.

Da notare che l’opera è illustrata con dipinti a olio, disegni e opere di legno policromo di vari autori che bene si amalgamano con le poesie.

Come scrive Gualtiero De Santi «pensieri, riflessioni e emozioni sentimentali e congiuntamente scorci e profili di figure (interiori ed esterne) e insieme ambienti: queste le molteplici e variamente ripartibili tematiche. In più, una qual certa distanza da qualsivoglia compiacimento oltremodo formale e tecnicista come da esigenze non altro che dettate dalle convenzioni del momento animano i componimenti».

Nettamente neolirica ed elegiaca l’ispirazione di Terrone in questo libro che come dal titolo consapevole Tra i miei sogni ha un tono onirico e a tratti rasenta la magia con una parola detta sempre con urgenza icastica e leggera nello steso tempo.

Ma il dolore serpeggia sempre come ad esempio nella lirica Corteccia d’amore quando il poeta scrive: «Vivo con rassegnazione / questa profonda ferita / che insiste / senza pietà / in fondo al mio cuore. / Capirai un giorno / il male che / mi hai fatto. / Ormai per me / sei solo una corteccia / che galleggia / sulle onde di un oceano / senza pace!».

E il poeta talvolta torna all’infanzia come in Cuore bambino: «Ho dipinto / i fiori / con il cuore / di un bambino, / la mia vita / con la luce / della tua anima».

Sembra quasi atemporale l’ordine del discorso di Francesco in questa sua raccolta e qualsiasi lettore che abbia vissuto la dimensione amorosa può empaticamente e facilmente identificarsi nell’io - poetante.

Raffaele Piazza

 

 

Francesco Terrone, Tra i miei sogni, pref. di Gualtiero De Santi, Guido Miano Editore, Milano 2018, pp. 100, mianoposta@gmail.com.

 

         

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Sonia Petroni, "Di*vento"

7 Dicembre 2023 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Di*vento di Sonia Petroni (Eretica Edizioni, 2023 pp. 74 € 15.00) eleva la saggia persuasione del tempo umano in relazione all'infinito, consuma il primitivo desiderio del silenzio in un patrimonio d'armonia e di pienezza emotiva, nella riflessione di una sorgente formata nel linguaggio simbolico della natura incontaminata e rivelatrice d'ispirazione. Sonia Petroni concede, all'immanente qualità dei suoi immacolati versi, il prezioso e raffinato intuito meditativo per trascrivere la direzione della transitorietà esistenziale e indicare la successione delle presenze e la tessitura delle assenze lungo le stagioni itineranti del sentire. Accoglie la dimensione contemplativa del pensiero nella compassione, nella capacità di alleggerire il dolore attraverso la comunanza cognitiva della coscienza. L'autrice modula il suo respiro poetico con l'intonazione essenziale di una esperienza interiore, concentrando l'appassionato perimetro espressivo nell'inesauribile, sapiente equilibrio tra il nutrimento lirico del naturalismo e il vincolo della materia, declinando il solco dei versi nella percezione del percorso vitale e nella sensazione dello smarrimento e del rinvenimento. Seduce l'autentico miracolo della poesia con la disposizione a cogliere in ogni disposizione d'animo la dimensione interpretativa del molteplice, a ritrovare, nella diffusione del battito in relazione ricorrente con la natura, il richiamo della realtà come applicazione della proiezione all'ascolto. L'analisi costante e spontanea del mistero umano compone il mosaico della conversazione intorno alla frammentaria erosione dell'esistenza, permette di cogliere il flusso di connessione e di attenzione ai doni della vita, aggrappati alla devozione della luce. La poesia di Sonia Petroni intensifica la corrispondenza dell'incanto, l'improvvisa e imprevedibile risonanza dell'orizzonte emotivo, commuove l'inclinazione all'applicazione letteraria della spiritualità in ogni sentimento, abitato dalla fiduciosa generosità di una permanenza nella vibrazione della meraviglia, dialoga intorno alla benedizione di una preghiera invisibile che attende di ricevere l'immensità delle promesse avvolte nelle radici della terra. “Di*vento” racconta il territorio dell'identità, nel confine tra la timorosa solitudine delle domande e la condivisione silenziosa delle risposte, illustra l'inviolabile requisito stilistico di inaugurare il rifugio intimista tra noi e il significato dei valori nella sfera sensibile, riempie le pagine con una declinazione scultorea delle parole, nell'intesa confidente dell'energia divinatoria della consapevolezza, nella compiutezza della prospettiva profetica che gravita intorno a noi. Sonia Petroni lascia intatta la località tumultuosa del buio per aggirare il tragitto iniziatico della sofferenza, immerge nella ferita del dolore l'incisione del riflesso luminoso, dissolve il raccoglimento di ogni vincolo verso la benevola meditazione, rinnova la cadenza di una conversione panteistica che assimila l'apertura, intensamente viva, di ogni luogo a essere definito un luogo dell'anima. Sonia Petroni alberga con la sua poesia l'entità indivisibile suggerita dalla congiunzione tra il corpo e la mente, sussurrata dalla delicatezza di un alito di vento che accarezza l'insegnamento della voce nuda, trattiene il torpore della sacralità, conforta la religiosità dell'abbraccio universale nel paesaggio rapito dallo sguardo primordiale.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

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Dannata Terra!

6 Dicembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con Pic Finder AI

 

 

 

Era un sabato sera. Dio, con un sorriso compiaciuto e soddisfatto, osservò la Terra, considerandola la migliore creazione dell'Universo. La gestazione si era rivelata assai complessa e difficoltosa, difatti il completamento dell'Opera aveva richiesto quasi una settimana no stop, pertanto Nostro Signore ritenne opportuno un meritato riposo. 

La domenica seguente, Dio si sdraiò sul trono letto e si addormentò saporitamente. E fu così che Satana, sogghignando con cattiveria e approfittando del sonno profondo del Padre Celeste, iniziò a girare e a rigirare la Terra come se fosse una palla di vetro con neve. In un battibaleno, il pianeta divenne il suo personale teatro di marionette, ove si divertiva a rappresentare trame diaboliche, "inscenando" i suicidi e "allestendo" gli omicidi. 

Prima o poi Dio si sarebbe svegliato. Tuttavia Satana si prospettava di scatenargli un panDemonio dal momento che il mondo, mai al mondo, glielo avrebbe restituito.

Quindi, se in futuro si dovesse concretizzare la temuta Apocalisse, come si direbbe in questi casi? Distrutta la Terra se ne fa un'altra!

 

 

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Il cannocchiale

5 Dicembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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«Comandante, stanno guadagnando terreno!» 

«Terreno? Mare, semmai!»

L'ammiraglio Jonathan Denver si affrettò a estrarre il cannocchiale dalla custodia per osservare il vascello nemico a ore nove.

«Preparano i cannoni! Guardate, sull'albero di maestra sventola una bandiera pirata!» gridò uno dei marinai.

L'ammiraglio, tramite la rotella di regolazione, provò e riprovò più volte a mettere a fuoco lo strumento ottico, ma tutto ciò che riusciva a vedere erano curiose simmetrie dalle sfumature giallognole, verdognole, bluastre e rossastre. 

«Accidenti!» esclamò costernato l'ufficiale, girando al contrario l'oggetto in questione.

Fu in quel preciso istante che si rese conto. In sostanza, al porto, nella fretta di salire a bordo della nave, aveva preso il caleidoscopio di suo figlio Rudolph.

 

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Jack

4 Dicembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con Pic Finder AI

 

 

 

Jack Daniel's - «Secondo me ti sei bevuto... il cervello.» 

Giacomo Danieli - «È meglio metterci... un tappo sopra.» 

Jack Daniel's - «Non sparare cazzate!» 

Giacomo Danieli - «Mai, e dico mai, una volta che tu abbia risolto i miei problemi.»

Jack Daniel's - «Sì, è vero, però ti sei sempre aggrappato... a me.»

Giacomo Danieli - «Non stavolta!»

Jack Daniel's - «Ti sbagli di grosso, dato che posso aiutarti a dimenticarla.»

Giacomo Danieli - «Non voglio dimenticarla.» 

Jack Daniel's - «Ma come? Non desideri obliare colei che ti sta arrecando delusione e sofferenza?» 

Giacomo Danieli - «Non mi sembri adatto alla situazione che sto affrontando.» 

Jack Daniel's - «Beh, considerando che quella stronza ti ha tradito con tuo cugino, con me sarà più facile, te lo assicuro.» 

Giacomo Danieli - «Non ho bisogno di te!» 

Jack Daniel's - «A chi vuoi... darla a bere?»

Giacomo Danieli - «Probabilmente c'è un fondo... di verità in quello che dici. Vabbè, comunque, sei stato un buon amico.» 

Jack Daniel's - «Cosa significa quel "sei stato?"»

Giacomo Danieli - «Ebbene sì, perdonami, ma ti devo svuotare nel lavandino della cucina.»

Jack Daniel's - «No, ti scongiuro!»

Giacomo Danieli - «Umh...»

Jack Daniel's - «Che c'è? Ci hai ripensato?»

Giacomo Danieli - «In un certo senso sì!»

Jack Daniel's - «Ecco bravo, beviamoci sopra, anzi bevimi sopra.»

Giacomo Danieli - «Vieni bello mio!»

Jack Daniel's - «Dove mi stai portando?»

Giacomo Danieli - «Aspetta e vedrai»

Jack Daniel's - «Perché siamo finiti in bagno? Vuoi sbronzarti nella vasca?»

Giacomo Danieli - «Ho deciso di lasciarti andare nel cesso, visto che la mia vita va a rotoli.»

Jack Daniel's - «Ti prego di ripormi nella mensola degli alcolici, magari ne riparleremo tra qualche giorno.»

Giacomo Danieli - «Quali alcolici? È da una settimana che non faccio entrare più nessuno a casa mia. Com'è che non ci avevi fatto caso?»

Jack Daniel's - «Credevo di essere l'unico.»

Giacomo Danieli - «Addio Jack! E salutami il Tennessee!»

Jack Daniel's - «Nooooooooooooooooo!»

 

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Il mercataro intelligente

3 Dicembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

Immagine generata con Pic Finder AI

 

 

 

Avevo da poco terminato il servizio militare e, nell'attesa di trovare un altro impiego, due volte a settimana, per trenta euro giornaliere andavo a lavorare al mercato, in ambito abbigliamento, con mio cugino Mariano e con i miei zii.

Non si trattava di un lavoro particolarmente faticoso, sennonché dovevo alzarmi alle cinque del mattino, non vergognarmi ad abbanniare, cioè a urlare per attirare l'attenzione dei passanti al fine di reclamizzare la merce esposta, e mostrare una faccia tosta nel mercanteggiare con determinate tipologie di persone, tra cui gli indecisi e gli schizzinosi.

In proposito, visto che non ero un modello di baldanza, ma soprattutto non ero competente di brand o marche, capitò un episodio memorabile.

Una mattina, un'attraente ragazza bruna, nel tastare alcuni pantaloni, mi chiese un'informazione.

«Scusami, ho notato che siete sprovvisti di jeans Inblu, quando vi arrivano?»

«Ti sbagli, guarda quanti jeans in blu ci sono lì!» le risposi strizzando l'occhiolino e indicando con la mano una delle bancarelle.

La giovane sorrise, per poi dirigersi verso mio cugino, che in quel momento stava piegando un ammasso di vestiti, e mettersi piacevolmente a parlare con lui.

Essendo una cliente fissa, non mi stupii della loro confidenza, tuttavia mi accorsi con un certo fastidio che mi deridevano a bassa voce.

Una decina di minuti dopo, Mariano mi raggiunse e, con un'aria canzonatoria, mi diede una pacca sulla spalla.

«Ehi, minchione, Inblu è un marchio.»

«Che figura!» esclamai.

«Sai cosa mi ha detto quella gnocca di te?»

«No, cosa?» gli domandai strabuzzando gli occhi.

«Quel ragazzo è bellino, peccato che è un po’ cretino.»

 

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