Gabriella Carrano, "Èros e Thànatos nel mondo greco-romano"
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Gabriella Carrano
Èros e Thànatos nel mondo greco-romano
Antologia di saggi critici.
Guido Miano Editore, Milano 2025.
Gabriella Carrano, autrice del volume che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Salerno ed ivi residente; è titolare di Lettere greche e latine presso il Liceo Classico Torquato Tasso della sua città. Ha pubblicato monografie afferenti all’Anglistica ma i suoi interessi sono focalizzati soprattutto sul mondo antico.
Con Guido Miano Editore ha pubblicato la raccolta di poesie Mosaici lirici (2023) e un saggio intitolato La scoperta dell’anima nell’apologia platonica (2024) rispettivamente nei volumi 17 e 18 di Alcyone 2000-Quaderni di poesia e di studi letterari.
Come scrive Enzo Concardi nell’acuta premessa sono sei i saggi critici di questa antologia, visitatrice del mondo culturale e ideologico ellenico e latino, sulla tematica complessiva riguardante alcuni aspetti di Eros e Thanatos nel mondo greco-romano.
A livello di categorie Eros e Thanatos in tutte le culture ipostatizzano un discorso complesso e approfondendo l’argomento si può affermare che all’Eros che dovrebbe incarnare l’amore e la vita, come contraltare esiste anche la modalità del Pathos che è dolore specialmente se riferito alla sfera erotica e amorosa.
Il pregio della scrittura saggistica della Carrano è quello di raggiungere la sintesi tra acribia e discorsività, tra complessità e chiarezza, elemento che trasporta il lettore nelle atmosfere della classicità, che sembrano rivivere, riattualizzarsi con la loro visione del mondo diversissima da quella della nostra attualità e che sono portatrici, anche tramite l’arte, di un fascino arcano.
Proprio per la chiarezza e comprensibilità dei concetti profondi espressi in queste pagine viene spontaneo credere che questa pubblicazione possa essere diffusa e letta non solo dagli addetti ai lavori, dai professori e dai cultori dell’antichità, ma anche dagli studenti liceali e universitari per perfezionare i propri strumenti nell’approccio alla cultura e alla letteratura greca e latina in modo empatico e profondo e forse questa idea era già presente nella mente della Carrano prima di scrivere questa acuta e poderosa opera, che non a caso pare avere anche un intento divulgativo.
Eclettica è la serie delle tematiche che la Carrano ci presenta in questo composito lavoro, suddiviso nei seguenti capitoli: 1. Introduzione Le origini della tragedia e del tragico le riflessioni di Mario Untersteiner, 2. Eros e Thanatos nell’epos, il desiderio e il dramma della conoscenza nella trasfigurazione di Ulisse. Il viaggio dell’ulisside tra arethè e entropia planetaria. 3. Patogenesi dell’Eros al femminile nell’universalità del dramma classico Fedra, Medea, Didone tragedie di passione, passioni della storia. 4. Il fiore di Nosside in tessa Locrese balsami alessandrini per una mistica della femminilità. 5. Ovidio e le pratiche abortive Ethos elegiaco e scienza ellenistica in Lucrezio e negli elegiaci. 6. La meditatio mortis tra finis et transitus: i traslati del lessico e dell’interiorità.
Tutto in questo volume diviene un esercizio di conoscenza e le concezioni sull’Eros e Thanatos nell’antichità divengono un viatico e una provenienza per la vita nel terzo Millennio che ha per modello delle società dei vari popoli caratteristiche lontane anni luce per usi e costumi, visioni del mondo e tecnologia da quella degli antichi greci e degli antichi latini.
Nel Novecento Eros e Thanatos come pulsioni sono stati oggetti di studio e di approfondimento anche da parte di Freud e della psicoanalisi come poli antitetici della personalità umana che nel loro fondersi fanno in modo che in un certo senso si delinei ed emerga l’identità della persona.
Emerge che Eros e Thanatos come categorie fondanti si realizzino in due maniere diverse ma che possono essere considerata l’una lo specchio dell’altra e viceversa e queste due modalità sono ovviamente la letteratura e la vita che è anche quella dei lettori delle stesse opere letterarie nei loro vari generi.
Viene spontaneo leggendo i saggi che costituiscono il volume riflettere sulla varietà degli argomenti trattati e cercare di definire quali di essi hanno attinenza con la sfera dell’Eros e quali altri invece con quella di Thanatos.
Per esempio quando viene detto l’omerico Ulisse con la sua sete di conoscenza e sapendo che l’eroe del mito greco è un vincente pare che implicitamente si voglia alludere ad argomenti che hanno a che fare con l’Eros non solo a livello amoroso, ma anche con quello della pienezza dell’essere, della realizzazione materiale e spirituale dell’individuo con il suo diritto alle felicità.
Viceversa quando viene detta la patogenesi dell’eros femminile con gli esempi di Didone e Medea siamo ovviamente in un universo di pulsioni di sofferenza fortissima e di morte per la qualcosa si può affermare che qui si debba parlare di Thanatos e di perdita, connessa ad alienazione e al male di vivere del peggio possibile, del baratro.
Nel momento in cui vengono detti i balsami alessandrini per una mistica della femminilità si rientra nella sfera dell’Eros perché misticismo ed erotismo si toccano mentre nelle riflessioni latine sulla morte ovviamente si entra nel campo di Thanatos anche se pare che la stessa morte venga vista serenamente.
Un’opera profonda quella della Carrano perché ogni lettore riesce a scorgere nelle situazioni da lei utilizzate prese dalla mitologia greca e latina, avvenimenti che riguardano anche l’etica di tutti i tempi; per esempio quando Ovidio si scaglia contro il fenomeno dell’aborto possiamo vedere una similitudine tra l’atteggiamento del poeta latino e quello della Chiesa Cattolica del Terzo Millennio sullo spinosissimo tema dell’aborto stesso.
Sicuramente se consideriamo questo volume in toto ai può affermare che oltre ad essere un’opera letteraria ha una fortissima valenza anche filosofica, psicologica, pedagogica e anche vagamente antropologica.
Una trattazione precisa esauriente e completa di tale opera non si può esaurire in una recensione come in questo caso e richiederebbe a sua volta un saggio corposo e profondo.
Raffaele Piazza
Gabriella Carrano, Èros e Thànatos nel mondo greco-romano, premessa di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 124, isbn 979-12-81351-43-1, mianoposta@gmail.com.
Gabriele Giuliani, "Quartine"
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“L'Uno diventa Due, /i Due diventano Tre, /e per mezzo del Terzo/il Quarto compie l'Unità” (Maria Profetissa) Questa intestazione appartiene a Quartine di Gabriele Giuliani (RPLibri, 2024 pp. 160 € 16.00) ed esprime nel contenuto il pensiero alchemico che contraddistingue l'intero orientamento del libro. La poesia di Gabriele Giuliani scompone l'interpretazione esoterica e simbolica dei segreti dell'esistenza umana. La seducente intonazione dei versi insegue il desiderio del poeta di abitare i sentimenti e di trasformare la percezione compiuta dello spirito, collega l'ascendente enigmatico delle parole all'antica sapienza di esaminare il significato filosofico del numero, inteso come principio di tutte le cose, di identificare ogni entità del reale in una relazione riconducibile alla natura del numero e alla sua stessa sostanza. Gabriele Giuliani analizza la propria visione del mondo attraverso l'iniziatica descrizione di ogni impressione vitale, il vincolo ancestrale e perfido tra anima e corpo, illustra il requisito della conoscenza come strumento speculativo di ricerca interiore, contempla il mutamento occulto delle emozioni, sperimenta l'oscillazione contrastante dell'equilibrio e l'inquietudine incalzante nella psiche umana, elabora l'identificazione del caos, dirige l'armonia cosmica, riconoscendo la purificazione dello spirito nel divenire, disgiunge l'essenza primordiale in un paradigma riflessivo di comunicazione e di comprensione con l'universo. Quartine suggerisce la suggestione del numero quattro, ricco di affascinanti definizioni nel mondo della numerologia per la sua consistenza perfetta, l'elemento rappresentativo, punto di riferimento determinante. Gabriele Giuliani circonda di un'aura impalpabile e ipnotica il rinnovamento della consapevolezza, addensando di luci e di ombre il proprio cammino di estensione emotiva, emana le introspettive tematiche della sua opera poetica con l'espediente complesso e intellettuale delle metafore, il carattere geometrico della decifrazione, le proprietà ascetiche e misteriose dei rimandi letterari, la radice impenetrabile e indecifrabile dell'indagine poetica, il sostegno attendibile della ciclicità del tempo, svelato all'incarnazione catartica degli avvenimenti. Il libro concede al lettore una lettura analitica stimolante, foriera di autentiche esortazioni per sostenere la superficie fertile della vita, accompagnare le inclinazioni dell'inconscio, gli interrogativi esistenziali, l'insinuazione istintiva e la certezza razionale, la spontaneità della bellezza. La scrittura di Gabriele Giuliani rivela il disorientamento fatale del destino, impresso nella necessità inalterabile di ogni legge di natura, traduce l'efficacia esclusiva della coscienza, l'indicazione prospettica dell'universo e della materia. Attribuisce all'esperienza del sentire la prima, persuasiva indicazione assimilabile all'evocazione animista, illumina le intuizioni dell'anima, segue l'incantesimo del poeta che percorre un prodigioso cammino elegiaco, offre fascinose e visionarie corrispondenze nel mezzo espressivo, nel criterio esplicativo, piegato alle esigenze del trascendentale, parafrasando i passaggi cognitivi come l'ispirazione, lo stupore, il presagio e la sensibilità. Gabriele Giuliani dona l'accordo ai suoi versi con la saggia versione dell'archè, componente originaria della realtà, infiamma la dicotomia tra essere e apparenza, oltre la sensazione della decadenza, nella vocazione linguistica dell'origine artistica.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Discorso estivo
Evapora il vecchio apparecchio,
si lasciano andare le parole disidratate
e nel mondo senza senso:
la rubiconda tipografia d'un discorso alla carne.
Pioggia
Come le ali d'una tortora
lo scricchiolio del tetto
racconta la prima goccia
che ha disegnato la linea dei monti.
Stelle nel vigneto
Le nuvole affamate
divorano ottantotto grappoli di cielo
e sulla gelida terra
s'accende un firmamento
D'estate non si muore
Le notti spiaggiate, madide di stelle, svelano il senso.
Con le nuvole che costruiscono castelli di sale
e la schiuma-fiore-di-mirto che rinasce col sole
una voce canta l'inizio che discende dall'acqua.
Il consiglio di Antonia Pozzi
Socchiudi l'arco delle palpebre,
lascia andare lo sguardo verso
bianche sponde, la luce d'un mare mosso
in un verde ipnotico di fronde.
Refrain
Comunione e condivisione:
rapsodica visione ombra d'illusione,
sogno d'espressione d'una vita
assimilare alla sillabazione.
Ombre teatrali
Assetate dalla luce d'una nuova scena
non sanno mai
che lo spettacolo allestito
è finito con l'arrivo del sipario.
Doplero
Nel buio della stanza accendo una sigaretta
per vedere fiocamente
per giocare con la mente
e capire se ricordo tutte le tue linee.
Raccoglitore
No, non sono fogli. Sono giorni e giorni.
Giorni che fanno anni e anni.
Anni che fanno una vita.
Vita vissuta dentro e fuori, sui fogli.
Iano Campisi, "Di fronte alla vita"
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Iano Campisi
Di fronte alla vita
Guido Miano Editore, Milano 2025
Le dilanianti contraddizioni della società contemporanea trovano spazio tra le pagine di Di fronte alla vita, di Iano Campisi (Guido Miano Editore, Milano 2025), un’opera che sin dall’incipit immerge il lettore in atmosfere oniriche e visionarie. Lo scrittore e biologo siciliano delinea un’umanità fragile ma particolarmente resiliente, plasmando una galleria di personaggi che, nella loro varietà e ricchezza, rievocano la Comédie humaine di Balzac. Le situazioni in cui essi agiscono assumono talvolta una dimensione paradossale e sotto alcuni aspetti straniante, non lontana dalla poetica pirandelliana e che accentua il senso di spaesamento. Divisa in quattro sezioni (Di fronte alla vita, con il sottotitolo Racconti e riflessioni inediti, Di ricordi e fantasia, Così come sono, Piccole storie), l’opera è introdotta dalla puntuale e appassionata prefazione del professor Floriano Romboli, che ne illustra con estrema accuratezza e abile maestria i nuclei tematici fondanti e le peculiarità stilistiche.
Nella ricca e coinvolgente trama di racconti, aforismi, riflessioni, nelle brevi incursioni in testi che si avvicinano al genere fantasy, l’io narrante tratteggia una realtà disgregata, nella quale gli antichi valori sembrano essere sul punto di dissolversi. Sullo sfondo si agita la moltitudine di personaggi, alla ricerca di un appagamento illusorio, perdendosi spesso in un ariostesco castello di illusioni.
Un evidente senso di straniamento e di alienazione pervade alcuni dei componimenti, dove Campisi, sulla scia degli autori più illustri della nostra tradizione letteraria, da Leopardi a Verga e Calvino, assume un atteggiamento critico nei confronti della tecnologia e di un progresso che può mercificare l’essenza stessa dell’uomo e del suo operato, sconvolgendone l’esistenza. Emblematico da questo punto di vista è il racconto Appunti sparsi di un ricovero in ospedale: attraverso una serie di potenti analogie, si istituisce un efficace paragone tra la condizione del paziente ospedaliero e quella del carcerato, entrambi ridotti a numeri, in un meccanismo di spersonalizzazione: «Tra poco passeranno i miei carcerieri, brave persone indottrinate a prendere appunti sullo stato di salute del detenuto, a misurargli la pressione e la temperatura, a cambiare la flebo e a controllare se il paziente ha ingerito la pillolina. A loro risponderò seccato nel manifestare i miei sintomi e chiederò ansioso quando mi consentiranno di uscire dallo stato di detenzione».
Alcune intense riflessioni esprimono un profondo legame dell’autore con la sua terra e descrivono attimi di estatico panismo: «C’è una natura […] che riesce a sopravvivere alle difficoltà, che si adatta ai cambiamenti climatici, che prende vita dal suolo, dall’aria ed anche dal sole cocente. Una natura che ti contestualizza e ti ingloba nel suo habitat, che ti affascina mentre ti immergi nel profumo degli agrumi, e sospiri del leggero movimento dei rami e delle foglie […]».
In altri passaggi narrativi, il tempo fluisce inesorabile e la morte serpeggia minacciosa, recando con sé una pesante faretra di dolori, malattie e sofferenze, ma, ciononostante, Campisi rivela un incessante attaccamento ai veri ideali, l’umanità, la fratellanza, la solidarietà, l’amore, considerato nelle sue diverse sfaccettature e angolazioni e di cui è un esempio commovente il ricordo della sorella morente: «Ѐ stata da sempre buona, e l’amore che riversava a me e ai familiari era un dono, una cessione di sé, senza nulla pretendere» (da Hospice).
In Il mistero del lago il filo conduttore è il superamento del confine tra il sogno e la realtà, aspirazione piuttosto ricorrente, incarnata qui nel desiderio del protagonista Marco di poter assistere a qualcosa di incredibile, come lo spettacolo della neve in piena estate, mentre l’enigmatica e affascinante figura femminile che compare all’improvviso sulla riva del lago è lo strumento con cui oltrepassare il limite e rendere possibile ciò che non lo è: «Cadeva la neve, leggera, continua, a rivestire di uno spesso manto bianco l’asfalto della strada. In lontananza, sul sedile in legno dirimpetto al lago, la figura di una donna con in testa un cappello a tese larghe, immobile. Lui sapeva che sorrideva al lago, alla neve e all’incredulità delle persone che irridono ai sogni».
La grande varietà dei temi trattati si accompagna ad uno stile raffinato ed un linguaggio evocativo, talvolta lirico; l’alternanza tra la brevità degli aforismi e delle considerazioni personali e la fluida scorrevolezza dei testi narrativi, unita ad una notevole capacità di modulazione dei toni, rende l’opera particolarmente stimolante nella sua originalità nel trattare con consapevole accettazione tematiche di carattere universale.
Gabriella Veschi
Iano Campisi, Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 252, isbn 979-12-81351-54-7, mianoposta@gmail.com.
Rick Bass, "Diezmo"
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DIEZMO
RICK BASS
La vicenda narrata in Diezmo, romanzo di Rick Bass, edito da Mattioli 1885, si svolge tra Texas e Messico intorno al 1842, seguendo alcune memorie lasciate dai protagonisti di quella che fu chiamata la Spedizione Mier; per il resto, l'autore ovvia alle carenze di documentazione facendo ricorso a un buon piglio romanzesco. Il confine in quella zona era già caldo all'epoca. Non sarà, quello descritto, l'ultimo conflitto in loco; infatti pochi anni dopo, ci fu una durissima guerra tra Stati Uniti e Messico, nel 1846, dovuta sempre a dispute sui confini e la brama di conquista fu premiata. Le conseguenze furono la perdita da parte del Messico di circa metà del proprio territorio. In pieno Novecento, durante la rivoluzione messicana altre due volte i soldati di Washington effettuarono un'invasione. Nel 1914 quando a lungo occuparono la città portuale di Veracruz e nel 1916 quando il generale Persching con un corpo di spedizione partì per cercare di catturare Pancho Villa il quale a sua volta aveva attaccato la città americana di Columbus.
Pochi anni prima dei fatti narrati in Diezmo, ad Alamo i ribelli texani erano stati massacrati dopo tredici giorni di assedio dall'esercito messicano del generale e dittatore Lopez de Santa Anna; un mese dopo a Jacinto l'esercito texano di Sam Houston si vendicava sconfiggendo il nemico. Nel film Alamo - Gli ultimi eroi del 2004, quando il generale Santa Anna davanti ad Alamo afferma di voler attaccare il piccolo fortilizio nemico, senza attendere che giungano le artiglierie adatte all'assedio, alle obiezioni dei suoi ufficiali replica che se non avessero vinto in modo rapido e netto, il Messico sarebbe stato per secoli a mendicare il pane dagli americani. È solo la battuta di un film, però forse ci hanno preso.
Tornando al libro, dopo la battaglia di Jacinto il Texas si fece indipendente e si diede un ordinamento repubblicano. Questo è il retroterra storico del romanzo; il Texas guarda agli Stati Uniti cui si unirà anni dopo ma in questa fase c'è ancora il rischio che il Messico riprenda il Texas che considera una provincia ribelle. Ci sono anche intrighi da parte degli inglesi per far sì che questa annessione con gli Stati Uniti non avvenga. Nel frattempo accadono scaramucce lungo i confini. Succede che in un piccolo paese passano dei soldati i cui ufficiali si presentano come reclutatori per trovare gente da mandare contro il Messico, per rispondere a una iniziativa nemica. È in nome della gloria che persone comuni, ex militari, contadini, adolescenti entrano nella spedizione. Ufficialmente si deve far fronte a una incursione. Anche il giovanissimo protagonista si arma e parte; la paura diffusa è che il treno della gloria parta per sempre. Il ragazzo a sedici anni crede che Alamo e San Jacinto siano fatti lontanissimi e che per le nuove generazioni non ci sia più un'epica per cui vivere. È in nome di alti valori, come la libertà e la patria che si fa leva per arruolare gli uomini. Ma soprattutto si garantisce che ci sarebbero stati molti combattimenti e questa è un'esca efficace. Per il ragazzo infatti conta la voglia di avventura e di partecipare a un grande evento; è come entrare in una piccola Iliade. Chi resta fuori è condannato all'oblio.
E quindi si parte guidati da capi abbastanza autorevoli ma mentitori. La spedizione, spiegano, ha il patrocinio del presidente del Texas Houston di cui si legge spesso una serie di altisonanti dichiarazioni per tenere alto il morale dei soldati. Ma alcune parti del testo del presidente non vengono lette. In particolare si omette questo passo: "Sarete guidati solo dai principi bellici più civili e troverete di grande utilità mostrare misericordia nei confronti della gente comune".
Presto, non a caso, gli uomini cominciano a mostrarsi come arroganti saccheggiatori e nel territorio ancora texano si appropriano di tutto il necessario come se fosse un loro diritto farlo.
Poi una parte del gruppo decide di superare il Rio Bravo ed entrare nel territorio messicano, compiendo un atto illegale. Qui iniziano le violenze più gravi sulla popolazione. La spedizione Mier si muove senza onore e nella convinzione che i messicani siano facilmente battibili. Si depredano i villaggi, si chiedono riscatti, si giustiziano prigionieri e si fa bottino, pensando di essere largamente superiori in armi e qualità. Non c'è nessun freno o pietà verso i messicani.
Poi però davanti a truppe numericamente soverchianti, gli americani cedono e vengono fatti prigionieri. A questo punto dopo tante battaglie ben narrate, il rischio è che il libro diventi un romanzo "carcerario", arenandosi e perdendo il senso dell'avventura e l'amore per gli spazi. In buona parte il rischio è rigettato nel senso che il testo resta vivo; si descrivono la dura vita dei prigionieri, la solidarietà e gli antagonismi interni, la nostalgia di casa e soprattutto il diezmo che dà il titolo al libro. Si tratta di una crudele decimazione imposta ai prigionieri rei di tanti abusi sui civili e poi di vari tentativi di fuga.
Intanto il giovane dietro le sbarre cresce e matura. È consapevole del dolore che hanno causato. Lo si vede riflettere di politica e diplomazia dato che intorno alla situazione dei prigionieri che si fa questione politica calda, agiscono e tramano parlamentari americani, diplomatici del Texas e agenti inglesi; le considerazioni che fa il giovane su queste manovre di cui sembra molto informato, forse troppo, sembrano quelle di un adulto ben istruito, non quelle di un adolescente quale è. Comunque è interessante recepire la parte "maledetta" del libro.
La guerra, appunto, inizia all'insegna dell'inganno. In fondo la gente del posto è considerata sacrificabile. Civili o soldati sono pari. Si può ammazzare il civile messicano perché non è giunto il grosso riscatto richiesto. Questa è la brutale etica dei conquistatori che pagheranno per la loro improvvisazione oltre che per i loro crimini. Quando i prigionieri americani sopravvissuti tornano a casa, molti non riescono a uscire dalla strada della guerra e della violenza che segnano le loro vite, senza alternative:
"Era la stessa storia di sempre. Chi non moriva in battaglia era condannato a invecchiare e soffrire di reumatismi, dimenticato e trascurato, come Bigfoot Wallace, ritiratosi in un misero ranch di campagna a ovest di San Antonio, alla fine troppo vecchio per la guerra, ma senza aver conosciuto nient’altro. Dopo avere ucciso forse un migliaio di uomini a colpi di arma da fuoco, coltello e sciabola, e non avendo mai fatto altro in vita sua, fissava il lungo tunnel buio dei suoi ultimi giorni, senza avere altre strade, senza scelte o opzioni rimaste, a parte il silenzio e un lento scivolare nell’oscurità".
È anche questo uno scotto da pagare dopo una spedizione assurda e fallimentare, costruita sulla menzogna e la brama di bottino, ma peraltro seguita da vere e proprie guerre nelle stesse zone, tuttora tormentate.
Il cono
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Anni fa, in un tardo pomeriggio, mentre stavo passeggiando, vidi un cono stradale, di colore arancione con strisce bianche, accanto a una graziosa abitazione dalla porta rosa confetto. Sogghignando, lo raccolsi, poichè mi era balenata in mente un'idea di come sfruttarlo. A tal proposito, essendo stato invitato in un pub per un compleanno, decisi di adattarlo a mo' di cappellino da festa al fine di apparire originale.
Appena tornai a casa, utilizzai un trapano per ottenere due forellini, uno a destra e uno a sinistra, per poi collegare un elastico alle due estremità. Provai il birillo e notai divertito che mi calzava a pennello.
Quella sera non feci scalpore, semmai furore, guadagnandomi i complimenti di Mattia, il festeggiato, e dei presenti. In men che non si dica, mi ritrovai al centro dell'attenzione e al centro della pista da ballo. Irene, la fidanzata di Federico, un caro amico mio, fu l'unica a mostrare la sua contrarietà nei miei confronti.
«Non capisco come fai con quella minchiata di plastica in testa ad avere così tanta considerazione» osservò con aria di sufficienza.
Le risposi con una linguaccia e continuai a scatenarmi ballando, nonché a ridere e a scherzare con tutti.
A ogni modo, a quel cinesino bicolore rimasi "legato", difatti lo indossai in una mezza dozzina di occasioni. Purtroppo, nell'ultimo party, accadde un episodio vomitevole nel vero senso della parola. In buona sostanza, commisi l'errore di appoggiare il cono sopra una sedia, finché, nel giro di pochi minuti, a un tizio grosso, grasso e coglione, avendo ingurgitato svariati pezzi di rosticceria siciliana e tracannato birra a gogò, venne da vomitare. Come è facile immaginare, il cicciobomba in questione, per cercare di limitare il più possibile la figura di merda, passò dal conato al cono per rimetterci dentro. Bleargh!
Uscii dalla festa schifato, abbandonando quello stravagante e improvvisato copricapo. Per consolarmi andai a prendermi un altro cono, gelato però, in un chioschetto vicino la spiaggia di Calderà.
L'angelo custode
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L'angelo Raphael, in attesa del prossimo incarico da parte dei "piani alti" se ne stava spaparanzato su una scogliera di un'isola hawaiana a godersi il panorama. Si sentiva in pace con se stesso, nonostante il fallimento della missione riconducibile a una certa Kimberly che gli era stata assegnata. Infatti, per tutta la durata della sua breve vita, non l'aveva mai protetta dai pericoli fisici e l'aveva pure trascurata a livello spirituale.
Nel rievocare determinati accadimenti, Raphael rise sguaiato, trovandoli alquanto spassosi. Finché, nel rialzars,i notò che l'aureola era sparita, mentre le piume delle ali via via si tingevano di nero pece; per non parlare della materia di cui era composto, che iniziava ad assumere un colore rossastro
«Ma che diavolo sto diventando?» si chiese costernato, per poi realizzare di essersi risposto da solo.
Iano Campisi, "Di fronte alla vita"
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Lo scrittore siciliano Iano Campisi, nell’Opera Di fronte alla vita (Guido Miano Editore, Milano 2025), presenta una miscellanea di aforismi e racconti che mettono in rilievo il suo atteggiamento di fronte all’esistenza. Il Prof. Floriano Romboli, nella prefazione, mette in luce con sguardo lucido le tematiche care a quest’autore, ricco di valori e di una malinconia, intesa come dolore raffinato, lieve, che si posa sui perduto con toni realistici e sognanti al tempo stesso.
Da biologo Campisi è teso a guardare la sua terra con forte spirito di appartenenza e con una palese avversione verso la cieca irruenza dei progresso tecnologico. Ama il mare disperatamente, e leggendolo, ho pensato alla lirica di J. Baudelaire “L’uomo e il mare”: “Uomo libero, amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio; contempli l’anima tua/ nell’infinito muoversi dell’onda…”. Sembra impossibile pensare ai siciliani senza vedere per riflesso l’aria mediterranea che li avvolge e il nostro autore non fa eccezione, infatti lega le considerazioni sugli affetti ai riti della sua natura, “ai profumi degli agrumi, e ai sospiri del leggero movimento dei rami e delle foglie” (“Passeggiata”) .
Credo si potrebbe dire che il testo, nelle considerazioni e nella maggior parte dei brani, ha sapore di diario, in pochi altri spalanca le porte dell’invenzione. L’aspetto autobiografico é dimostrato da vari racconti, tra i quali cito: “Appunti sparsi di un ricovero in ospedale” dettagliato, permeato di condivisione, di pietas, che mette in risalto una splendida distinzione tra il tempo della coscienza, elastico, e quello della scienza, segnato dalle lancette dell’orologio; e dal brano “Cronaca stravagante e noiosa di quattro giorni d’estate di Covid”, dai toni che evocano il Verga delle novelle, descrittivi, pessimisti, tesi a evidenziare l’assenza di interesse per le storie di sempre.
L’immaginazione è la protagonista di testi come il brano in forma di sceneggiatura intitolato “Amori”, che narra la storia tra Alessandro e Margherita, i loro mondi lontani anni luce, il sentimento che nasce sempre non ‘perché’ si è affini, ma ‘sebbene’ si sia diversi e in apparenza incompatibili.
Inevitabile la sofferenza che il Nostro dimostra verso i cambiamenti climatici. D’altronde il clima non rappresenta una cosa aliena, ma l’umanità tradotta in intemperie. E, purtroppo, siamo proprio noi uomini a inquinare, offendere e tradire madre - terra, quasi inconsapevoli di distruggere noi stessi. Gli scrittori nati e vissuti sulle isole, a mio umile avviso, portano in loro l’incanto dell’infinito e dei confini. Inevitabilmente, infatti, le isole sono entità talattiche, che si sorreggono sull’instabile.
Leggendo Iano Campisi ho avvertito un equilibrio elegante, che taglia l’aria, sfida il vento, un perenne impegno verso il compromesso tra i sogni e la realtà. Il lavoro di biologo e la scrittura rappresentano, forse, i due poli diversi e complementari che permettono all’autore di trovare stabilità.
Il nerbo narrativo di questo scrittore è senza dubbio superbo: possiede vitalità, efficacia espressiva, lessico fluido ed eloquente, mostra padronanza dell’ars narrandi e sa viaggiare su tutti i registri. Credo che quelle che vengono riduttivamente definite ‘riflessioni’ rappresentino il punto più alto del suo respiro artistico. Attraverso gli aforismi Campisi piange, canta, ride, si piega su se stesso e, soprattutto sogna. E di fatto, la scrittura, quella vera, intrisa di sangue e di ideali, unisce una parola all’altra nella speranza di unire un uomo all’altro…
Maria Rizzi
Iano Campisi, Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 252, isbn 979-12-81351-54-7, mianoposta@gmail.com.
Don Giovanni Mangiapane, "Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis"
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Don Giovanni Mangiapane
Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis
Guido Miano Editore, Milano 2025.
La fede si veste a festa: indossa la veste della poesia. Bella oltre che buona e vera è la Parola di Dio perché la bontà ovvero l’amore, è la verità e la verità, che è la bontà, risplende nella bellezza. Ma ora questa bellezza rifulge ancora di più. La sua luce si potenzia fino ad arrivare anche a chi non può accostarvisi per carenza di mezzi espressivi nella lingua ufficiale perché conosce solo il dialetto, così don Giovanni Mangiapane, come Papa Francesco, arriva agli ultimi, suscitando così forse anche conversioni.
La poesia in questa sua opera dal titolo Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis non è quella aulica ma è poesia dialettale, viva quanto mai, del dialetto siciliano o, come preferisce chiamarlo l’autore lingua siciliana.
Non sono versi liberi ma il poeta rispetta dell’arte poetica, quello che è la metrica, con la strofe, il verso con il numero di sillabe ben definito, la rima, e per di più con la costante di una simmetria che conferisce pure in aggiunta il decoro dell’ordine.
Due sono i temi in cui sono raggruppati i componimenti poetici, il Rosario e la Via Crucis, ma il numero esiguo non significa niente di restrittivo perché nel Rosario c’è compresa tutta la vicenda terrena di Gesù, dalla nascita, anzi dal concepimento, fino alla Resurrezione. La Via Crucis inoltre non è di quattordici stazioni, ma di quindici, includendo anche la Resurrezione, esclusa comunemente, mentre già era compresa sin dai tempi antichi.
È meritorio che l’autore metta in risalto la Resurrezione perché i Cristiani non sono i piagnoni di Girolamo Savonarola, ma sono lieti nella speranza, perché per la fede cristiana la morte non ha l’ultima parola.
Tornando alla espressione linguistica diciamo che la lingua ufficiale o nazionale sta alla lingua dialettale come l’abito elegante, da cerimonia, sta alla divisa; entrambi sono abiti come entrambe sono lingue ma con peculiarità diverse, e il dialetto è come il folklore, che è specifico di ogni regione caratterizzandola in modo efficace ed incisivo. Come non si può abolire la parola folklore così non si può, e non si deve, abolire la parola dialetto. Che sia lingua poi è già implicito nella etimologia della parola, dal greco, equivalente a parlare, con riferimento alla viva lingua parlata in contrapposizione a quella scritta. Oggi si rifugge dal dire dialetto e si preferisce connotarlo come lingua siciliana, ma sarebbe allora meglio dire lingua del dialetto siciliano. Questa sostituzione si potrebbe spiegare per il fatto che il dialetto è stato relegato a un rango inferiore e inoltre perché se ne paventa la scomparsa dal momento che in generale ora si parla in italiano ma con un uso che lo sta rendendo un ibrido, pieno di errori come “facile da fare” e non, come sarebbe esatto, “facile a farsi” perché non è lo stesso di “libro da leggere” cioè “che deve essere letto”. Allora noi diremo che l’autore, don Giovanni Mangiapane, ha scritto questa sua opera nella lingua del dialetto siciliano perché troppo cara ci è la parola dialetto, la sentiamo parte di noi e non ci vogliamo rinunciare. Per onorarla magari la scriviamo con la maiuscola: il caro e amato Dialetto.
Don Giovanni Mangiapane, sacerdote e poeta, che in questa sua opera ha aggiunto per ogni poesia, anche una sua riflessione quasi una breve omelia, preceduta dalla citazione di uno stralcio evangelico e seguita dal riferimento a problematiche attuali quali le migrazioni, il bullismo, la violenza, la guerra, non cessa di sentirsi, come lo è, il pastore, il pastore delle anime.
Ardente e vibrante si leva la sua voce in difesa della verità, nello sprone alla bontà, fino al raggiungimento così dello splendore della bellezza. Non per nulla infatti ha scelto di rivestire la fede di poesia.
Maria Elena Mignosi Picone
Don Giovanni Mangiapane, Poesie del Santo Rosario e della Via Crucis, testi in lingua siciliana con traduzione italiana a fronte; prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 72, isbn 979-12-81351-52-3, mianoposta@gmail.com.
Laura Cecchetto, "Il canto del cucculo"
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Laura Cecchetto
Il canto del cuculo
Guido Miano Editore, Milano 2025
Laura Cecchetto, autrice della raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata nel 1954 a Torino dove attualmente vive e svolge la professione medica da 45 anni.
La silloge presenta una prefazione di Michele Miano che afferma acutamente che la poesia di Laura canta la magica quotidianità delle cose semplici in quei mezzi toni che hanno segnato il sussurrare malinconico della nostra tradizione crepuscolare, con i delicati colori di una vita che scorre in ognuno di noi, segnata da momenti sereni e da dolori veri.
Si può dire che la poetica della Cecchetto è neo-lirica ed elegiaca tout-court e che questa raccolta non essendo scandita è molto compatta e può quasi definirsi come connotata da una struttura avvicinabile a quella di un poemetto.
Non a caso con avveduta coscienza letteraria la poetessa ha intitolato la silloge il canto del cuculo, volatile che diviene un simbolo perché l’avrebbe potuta chiamare, nominare, anche con il garrire della rondine o il pigolare del pulcino o il canto del gallo, se in poesia è tutto presunto e nello stesso tempo nulla in essa avviene a caso.
Ed è proprio attraverso l’approfondimento del simbolo – cuculo e del suo canto che si giunge alla chiave interpretativa della silloge per indagarne le sue ragioni che divengono affascinanti e avvincenti per il lettore.
Questo uccello è ritenuto messaggero della primavera, viene immortalato nei proverbi, compare nelle canzoni popolari ed è il marchio di fabbrica di un intero ramo dell’industria orologiera e inoltre nella Valnerina, villaggio montano, il canto novello del cuculo era ritenuto saturo d’un misterioso e benefico potere di rinnovamento e guarigione e inoltre il latino cuculus indicava metaforicamente un uomo molto furbo e questo volatile che vive nascosto ha ispirato molte leggende.
Ma che influenza può avere il cuculo sulla poesia di questa silloge di Laura Cecchetto?
Credo che l’atteggiamento della poetessa consista nell’attendere segnali dalla natura come lo spirare del vento e la pioggia che sono sottesi proprio al canto del cuculo beneaugurante per la vittoria della felicità sul dolore e del bene contro il male nel miracolo di una primavera anche interiore.
Emblematica rispetto a quanto suddetto la poesia Spirito del fiume: «Spirito del fiume/ nella notte silente/ sussurri tra le pietre/ mentre passi veloce/ nel tuo letto tra i monti/ e la luna crescente/ sfiora lievemente/ i gorgoglianti spruzzi/ che giocano tra i sassi./ E un misterioso canto/ riempie la buia notte/ e porta con sé una voce/ che giunge da altri tempi./ E chissà mai quale ricordo/ vuole portare tra il vento».
Qui il canto detto con urgenza è presunto ed è quello del cuculo con la sua fortissima carica incantatoria un canto che giunge da altri tempi e porta remoti ricordi tra lo spirare del vento.
È la natura detta secondo la linearità dell’incanto la protagonista di questo volume. In La festa leggiamo: «Nei giorni della festa/ l’aria del mattino/ ha quel che di frizzantino/ e il sole splende con amore/ in quel cielo così azzurro/ e una nuvola passando/ disegna un dolce volto./ Forse un angelo passando/ ci manda il suo saluto/ e tutto in assoluto/ è così dolce e beato./ E fuori dalla porta/ il profumo della torta/ che mamma ha fatto per te».
L’afflato naturalistico che ha qualcosa di cosmico nella suddetta composizione trova come sua antitesi qualcosa di minimalistico come il profumo della torta, una piccola cosa che si connette agli autentici sentimenti familiari perché la poetessa specifica che la torta è stata fatta da una madre per il figlio.
Per una porta invisibile che è un varco salvifico entra in scena la poesia stessa, poesia che è sottesa alla vita stessa, e che rende la vita degna di essere vissuta come dono da apprezzare.
Raffaele Piazza
Laura Cecchetto, Il canto del cuculo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-59-2, mianoposta@gmail.com.
Iano Campisi, "Di fronte alla vita"
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Iano Campisi
Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni
Guido Miano Editore, 2025
A cura di Floriano Romboli, che ha svolto un prezioso lavoro di selezione dei testi, scrivendone anche la prefazione, all’inizio di questa primavera è uscito a Milano – per i tipi della Casa Editrice Guido Miano – il volume di narrativa Di fronte alla vita: l’autore è il siracusano nativo di Avola Iano Campisi, biologo, direttore di un importante laboratorio di analisi cliniche e genetiche in Sicilia. L’apparente discrasia tra la sua specializzazione professionale e il campo letterario nel quale è attivo dal 2015, può essere forse spiegata dall’attaccamento profondo alle radici isolane, alla terra delle origini, ambienti in cui avviene la quasi totalità delle vicende raccontate nel libro e che quindi costituiscono la primaria e più importante fonte d’ispirazione letteraria.
Come sottolineato anche nella prefazione dal critico toscano Floriano Romboli, in Iano vive infatti un forte sentimento di appartenenza alla natura e al passato, il quale fa sì che si sviluppi in lui una sorta di disagio della civiltà – per dirla con Freud – ovvero un’istintiva avversione al progresso tecnologico, non in quanto tale, ma quando non si pone al servizio dell’uomo e diviene piuttosto un fattore alienante, inquinante dell’ambiente e delle menti, massicciamente invasivo della libertà interiore e condizionante la comunicazione autentica. Perciò egli auspica il recupero di una ricca umanità; una presa di coscienza sul limite ed il mistero dell’esperienza terrena; un’attenzione solidale verso le questioni sociali in particolare degli esclusi, degli emarginati, dei deboli; accetta con fatalismo tipico della cultura mediterranea il destino comune a tutti i mortali, maturando un sostanziale pessimismo filosofico e storico di stampo pirandelliano, il quale si stempera soltanto con il motivo dell’amore, irrazionale se non talvolta anche folle.
Il lavoro di Campisi è suddiviso in quattro parti datate: la prima sezione riporta il titolo generale, Di fronte alla vita, tuttavia con l’aggiunta del sottotitolo Racconti e riflessioni inediti, 2022-2024 (le meditazioni dell’autore sono numerose e quasi tutte fanno corpo unico con il discorso narrativo e sono sviluppate sia in prima persona che attribuite ai personaggi; s’incontrano inoltre brevi lacerti sotto forma di aforismi ragionati); Di ricordi e fantasia (2018) con spazio prevalente alle suggestioni della memoria; Così come sono (2023), con storie di donne, non senso della vita, altri ricordi; e infine Piccole storie (2022), definite “vere, verosimili, stravaganti”, nelle quali i temi della solitudine, della ricerca identitaria, dell’esclusione e dell’aspirazione a felicità non fugaci si rincorrono, come in tante altre storie sparse ovunque.
Prevalgono nei testi forme di autobiografismo con monologhi autoreferenziali, come in Appunti sparsi di un ricovero in ospedale, che l’autore considera un “carcere duro” vissuto “in avanzato stato di depressione” e con la “più straziante e desolante malinconia”; come in Due mondi, preoccupato di non riuscire a definirsi, con il sospetto di essere un “soggetto insicuro, un po’ bipolare, infedele, inaffidabile”; come in Il mio cervello, dove egli si sdoppia ed imbastisce un filosofico dialogo col proprio cervello, la cui conclusione, riguardo i soliti misteri della vita e della morte, suona così: “credimi, né tu né io sappiamo nulla...”. Anche i racconti della memoria vivono nelle dimensioni soggettive dei vissuti dell’infanzia, della giovinezza, dei raffronti generazionali, ma anche dei cambiamenti climatici (La stazione, Il piccolo delfino, La vespa 50 gialla, Dei tempi andati, Via Malta…).
Seguono pagine sul montaliano “male di vivere” contemporaneo, generato dall’estraneità del prossimo, dal dominio del consumismo, dalla solitudine in mezzo alla massa; esemplare è la descrizione di un odierno ‘santuario’ della mercificazione, ovvero Al centro commerciale, dove osserva “... imbambolati esseri umani, automi, alla ricerca di chissà cosa. Entrano coppie disfatte o in via di disfacimento”, gente dai cervelli in putrefazione, che sa coltivare solo sentimenti di “diffidenza” ed “apparenza”, quasi morti che camminano. Qui troviamo anche storie di esistenze difficili, come quelle di Zaira - della vita e della morte, di Iris, di Cristina; storie di Solitudine (L’uomo e il cane) il cui personaggio sentenzia: “Soli si nasce e soli si muore: è la paura della solitudine che rende indispensabile la compagnia”; storie di emarginazione, come quella di Bartolo, dal simbolico titolo Il brutto anatroccolo. Ma all’uomo resta l’amore, con poesia: “Poco fa guardavo i tuoi occhi, distintamente scortati da una vivida luce. Ci vedevo l’immensità del cielo e la profondità del mare” (Due mondi).
Enzo Concardi
Iano Campisi, Di fronte alla vita. Racconti e riflessioni, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 252, isbn 979-12-81351-54-7, mianoposta@gmail.com.