Emma Fenu, "La madre del vento"
La madre del vento
Emma Fenu
PubMe Gli scrittori della porta accanto, 2024
pp 133
La madre del vento, di Emma Fenu, scrittrice che ammiro per la bravura e il lirismo – basti citare il bellissimo incipit, mutuato dalle ultime parole della nonna del marito, “Tienimi la mano, Madre. Stanotte ho paura” o, poco più avanti, il potente “elicriso ferito dal sole” – ruota intorno alla figura di Dalida Nissei, una donna finita in manicomio perché diversa, perché non amata e perché autoconvinta di essere portatrice di morte. La madre Maddalena non l’ha mai amata, anzi, l’ha apertamente detestata, costringendola a non amare se stessa.
Bellissima, delicata, selvaggia – in una parola libera – è stata vilipesa e allontanata da tutti. Ha una sensibilità così estrema da portarla in contatto con l’invisibile, con l’aldilà, con gli agenti atmosferici, con le premonizioni. Troppo avvenente per non essere in combutta col diavolo, troppo chiare le sue iridi per appartenere a questo nostro mondo, troppo passionale l’amore per quello che diverrà suo marito, e che la odierà al pari di tutti gli altri.
L’unica che non l’avrebbe aborrita, che le avrebbe voluto un bene istintivo, è colei che non ha potuto conoscere, la figlia che non le è stato permesso crescere, Lucia, il secondo io narrante della storia, la quale, a sua volta, può essere collegata al diavolo ma solo nell’aspetto luciferino, ossia come portatrice di luce e conoscenza.
Dalida e Lucia, madre e figlia, ma anche Dalida e Maddalena, la nonna di Lucia. Tre donne attraverso le quali si perpetua una maledizione di sofferenza che sarebbe stata evitabile. Sarebbe bastato interrompere la catena, fare scelte diverse, come quella compiuta nel finale da Lucia. Una scelta che redime, trasfigura il ghigno della follia in un sorriso di assoluzione e pacificazione in punto di morte.
La Fenu analizza a fondo il concetto di Maternità. È madre matrigna Maddalena, cattiva, superstiziosa ed egoista; è madre inconsapevole e negata Dalida; è madre protettrice la Madre del vento, entità mitologica ambigua, che governa il mare e le tempeste, che racchiude in sé compassione e pericolo, acque calme e acque agitate, quello che, in fondo, sono un po’ tutte le madri, non sempre perfette come le si preferisce immaginare.
Questo romanzo mi ha fatto tornare in mente, per libera associazione, Sulle ali del vento del nord, di George Mc Donald. Anche lì c’è un bambino diverso, “un bambino di Dio”, geniale ma talmente candido da apparire ritardato, che si affida a una entità temuta da tutti, ma non da lui, che altri non è se non la Morte stessa.
Un romanzo, questo della Fenu, impastato di antiche leggende, storie di famiglia rielaborate, archetipi junghiani, desideri inappagati, tradizioni sarde. Un’altra conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, delle straordinarie capacità affabulatorie di questa magnifica narratrice.
"Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon", a cura di Enzo Concardi
Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Maurizio Zanon
a cura di Enzo Concardi
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Maurizio Zanon è nato nel 1954 a Venezia dove attualmente risiede. Il volume su Zanon, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una notevole complessità e articolazione a livello architettonico nell’esaminare a trecento sessanta gradi l’opera in versi del Nostro. Come scrive Concardi nell’introduzione il presente lavoro si prefigge la finalità di ordinare il materiale costituito dai contributi della critica letteraria a commento delle opere poetiche di Maurizio Zanon. Concardi a proposito di quanto suddetto parla di quella invalsa e maggioritaria corrente contemporanea che si può definire “critica multifattoriale”, ovvero lo studio degli svariati e molteplici aspetti dei lavori letterari posti sotto la lente d’ingrandimento dalle scuole di pensiero dall’Ottocento a oggi in un’epoca che è stata definita da taluni post-crociana cioè dopo l’ultimo grande maestro in materia.
Svariati e variegati gli ambiti della critica che riguarda questo autore, che vanno dalla poetica all’estetica tout-court nell’esaminare i motivi ricorrenti e lo stile e il linguaggio, l’ambiente naturale e lagunare, gli intrecci memoriali e d’amore con scampoli autobiografici. esistenzialismo e spiritualità, saggi di letteratura comparata e antologia essenziale delle poesie.
Ricordiamo che nella prefazione a Fralezze, raccolta poetica di Zanon, (Guido Miano Editore, Milano 2022) lo stesso Concardi esprime l’idea che in questo libro Maurizio metta in scena la sua visione della vita, ovvero l’effimero esistenziale della condizione umana e che l’osservatorio da cui scruta il mondo è ora quello della vecchiaia e il richiamo autobiografico d’una corsa che va verso il capolinea è costante, pur alternando negli esiti lirici, stati d’animo fatalistici e crepuscolari ad altri speranzosi e valoriali.
In ogni caso rispetto a quanto suddetto c’è da mettere in luce che nonostante il pessimismo di fondo ci sia anche dell’ottimismo nella concezione della vita dell’autore, ottimismo che si evince in accensioni poetiche fulminanti e icastiche come quella in cui Zanon scrive “mettevano le ali i miei sogni” (Memorie, da Fralezze) che è un momento lirico veramente alto.
La poetica è costituita dal ventaglio dei motivi lirici più ricorrenti nei testi, che sottintende anche la visione del mondo emergente da essi, il pensiero dell’autore, i messaggi comunicati ai contemporanei, in altri termini per la critica che cosa ha veramente detto Zanon con la sua scrittura.
Viene in mente il concetto del premio Nobel Seamus Heaney che paragonava l’azione dello scrivere e quindi anche quello dell’esercizio della critica letteraria a uno scavare nella parola quando la penna stessa diviene una vanga da usare nel terreno del senso e del significato in questo caso delle poesie e della poetica di Zanon.
Molti sono i critici che hanno scritto contributi sulla poesia di Zanon come Francesco Flora (1891-1962) più vicino a Croce e al suo concetto della parola-poetica, avente come caratteristica il linguaggio intuitivo e primitivo, espressione di uno spirito purificato in senso culturale. Oppure il contributo di Walter Binni (1913-1997), teorico del divario tra poetica, ovvero il programma dell’autore comprendente le sue tematiche e le sue convinzioni e poesia, cioè la realizzazione del progetto.
Tantissimi altri nomi autorevoli hanno scritto su Maurizio Zanon che, per la qualità del suo poiein veramente notevole, ha meritato i numerosi contributi critici sul suo fare poesia sempre laudativi.
Raffaele Piazza
La caduta delle Ciminiere
Presto ci lascerete ciminiere antiche, siete d’intralcio al futuro, a quel che dicono, ma in questo crepuscolo d’ottobre svettate in un cielo tutto nubi, imponenti e altere, come un tempo. Il padule solo, abbandonato, Orti Bottagone del ricordo, i pali immaginari d’una porta, in un romanzo che un piccolo scrittore volle dedicare al suo paese, acquitrini lacustri, neri d’inchiostro, soffusi di tristezza. La Centrale dismessa, come un rudere, inutile castello di lamiere, accanto il mare e il suo eterno ritorno. Mi mancherete compagne ciminiere, siete il panorama consolante di quel ragazzo che tornava a casa da una vacanza, da un viaggio, da una partita giocata chissà dove. Mi mancherete quanto l’altoforno che un giorno è caduto, ginocchia ormai tremanti, lasciandoci in attesa d’un futuro che ancora va tutto costruito. Il pianto antico non è per quel che perdi, un simbolo che cade, un panorama che spezza il già vissuto, un sogno stemperato dal pensiero. Il pianto antico è per l’incertezza del domani, se un simbolo che cade non ci porta a percorrere convinti strade nuove.
La caduta delle ciminiere, subito dopo l’altoforno, la caduta dei giganti, piedi d’argilla immersi nella sabbia, davanti al mare. La caduta d’un mondo che scompare, anche se il nuovo è tutto da scoprire, frantuma simboli ma non comprende da dove ripartire. Il cielo sopra Piombino senza torri industriali, privo di altiforni. Il cielo come non l’hai mai visto, non è più lo stesso cielo, ma ti dovrai presto abituare. Le ciminiere nella copertina di Calcio e acciaio restano indelebili, pali d’una rete immaginaria, sono la storia, sono il mio passato. Dimenticare Piombino è impossibile, siete la porta del mio cuore, quando percorro la Geodetica per tornare, il campo di calcio immaginario d’una vita che parte dal Magona, tocca l’altoforno in via Gaeta, quindi si spinge, sognando, verso il mare.
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Gordiano Lupi
www.ilfoglioletterario.it
Mi mancherete compagne ciminiere, siete il panorama consolante di quel ragazzo che tornava a casa da una vacanza, da un viaggio, da una partita giocata chissà dove. Mi mancherete quanto l'altoforno
PIOMBINO — Il Foglio Cinema ha realizzato un cortometraggio dal titolo "La caduta delle ciminiere" per rendere omaggio a quello che rappresentavano due simboli della Piombino di un tempo, le ciminiere della ex centrale Enel di Tor del Sale, recentemente abbattute. Il montaggio del video è di Stefano Simone, il soggetto e la voce narrante sono di Gordiano Lupi, le fotografie sono di Riccardo Marchionni, i video sono di Emanuele Gentili e la musica è di Federico Botti.
Aldo Dalla Vecchia, "Irresistibili"
Irresistibili
Aldo Dalla Vecchia
Isenzatregua edizioni
pp 145
12,00
Aldo Dalla Vecchia ci ha abituato a questi agili manuali ricolmi di piccole chicche, sorta di cofanetti Sperlari gonfi di caramelle deliziose.
Irresistibili è l’ultimo della serie. Ha come sottotitolo 70 donne che hanno reso grande il piccolo schermo, è prefato da Silvana Giacobini e illustrato dall’Intelligenza Artificiale. Settanta donne, in ordine alfabetico, come settanta sono gli anni della tv, fra quella di stato e quella commerciale. Dalla Vecchia, che è giovane e non li ha vissuti proprio tutti, ne è, però, come sappiamo, innamorato e profondo conoscitore, in quanto autore di programmi oltre che scrittore.
Le donne di cui parla non sono certo tutte quelle presenti in televisione dagli inizi a oggi, ma sono frutto di una sua scelta personale. Ogni pillola ritratto è un breve cenno biografico – niente gossip, solo professione – unito a personali dolcissimi ricordi dell’autore.
Settanta figure imprescindibili, mostri sacri come Raffaella Carrà, Loretta Goggi, Mina o Sandra Mondaini, personaggi di spicco come Milly Carlucci e Alba Parietti, show girls come Lorella Cuccarini, giornaliste come Lilli Gruber. Donne che hanno fatto e che stanno ancora facendo la televisione. Donne non più giovani, donne che ci hanno purtroppo lasciato, donne che sono sulla cresta dell’onda e ci resteranno per chissà quanto ancora. Grandi personalità alle quali sono collegate memorie di programmi cult irripetibili, successi nazionali, capaci d’inventare tormentoni, battute, persino look e stili di vita. Quindi, ogni individualità qui rappresentata, non è solo se stessa ma anche lo spirito del programma che ha condotto o al quale ha partecipato.
Caratteristico il “tu” con cui l’autore si rivolge alle signore di cui traccia l’immagine, quasi il suo mestiere d’intervistatore tornasse a galla, continuando un dialogo mai interrotto, intimo e affettuoso, persino con coloro che non ci sono più.
Come al solito i libri di Dalla Vecchia, di qualunque cosa parlino, sono leggeri, ameni eppure mai superficiali, e, allo stesso tempo, trascinanti, nel senso che una pagina tira l’altra, un ritratto tira l’altro, come fossero piccole gustose ciliegie.
Lessons
I gessetti: stecche di solfato di calcio, per non tenere a stecchetto le nostre menti affamate di sapere. Da menzionare il cancellino, in quanto utile per cancellare diversi errori e molti problemi. Naturalmente, non prima di risolverli.
Si può cambiare registro? Sì, è possibile, inoltre bisogna essere sempre pronti all'appello e svolgere al meglio i compiti quotidiani, al fine di non arrivare impreparati sia agli esami della vita sia agli esami di coscienza.
La scala scultorea
Si chiamava Serafino. Era l'ultimo ospite arrivato al Conforto, una Comunità Alloggio per anziani situata nel messinese, dove lavoravo in qualità di Operatore Socio Sanitario.
«Prima di avere problemi di deambulazione, mi dilettavo con la scultura. Tu, caro ragazzo, si nota che non hai un cuore... di pietra» mi disse una sera, mentre lo aiutavo a indossare il pigiama.
Quell'uomo mi suscitava simpatia e tenerezza, oltretutto era evidente che desiderava scambiare quattro chiacchiere.
«Massì, nell'attesa che finisca sta' mezz'ora e che giunga l'unità notturna per smontare, mi trattengo un po' con lui» pensai. Nel frattempo, le mie due colleghe del servizio pomeridiano si erano già piazzate sul balcone della struttura a fumarsi una sigaretta e a spettegolare come loro solito.
E fu così che invitai quell'anziano signore, dalla gentile e colta parlantina, a pigliare il suo girello per avviarci in salone a sederci su due poltroncine.
Serafino iniziò a raccontarmi con tanta amorevolezza della defunta consorte, soffermandosi soprattutto sui trascorsi della malattia che l'aveva resa invalida, costringendola a letto. Successivamente l'argomentazione si orientò sulla politica, definendosi egli un comunista cristiano, per poi riprendere il discorso inerente la sua passione per la scultura. Praticamente passò da falce e martello, a scalpello e martello.
«Cinque anni fa, nel giardino della casa di campagna in cui abitavamo, decisi di realizzare una piccola scala rivolta verso l'alto. Secondo il mio intento, simboleggiava la congiunzione tra Cielo e Terra.»
«Una scala rivolta verso l'alto...» ripetei, provando a immaginare quell'opera di sicura autorialità.
«Sai, quotidianamente mi cimentavo a crearla con impegno, tra l'altro con difficoltà, per via dell'età. Eh, mica avevo vent'anni come te.»
«Trentaquattro!» lo corressi.
«Ah, te ne davo dieci meno!»
Sorrisi e ricambiai quel complimento accarezzandolo con un buffetto sulla guancia.
«L'estate scorsa, feci una specie di sogno. O forse si trattava di una visione. Non so.» Si prese una pausa per soffiarsi il naso con un fazzoletto e proseguì serioso. «In una notte ventosa, mia moglie, inaspettatamente, si alzò dal nostro lettone, mi baciò sulla fronte e uscì dalla camera. Restai paralizzato dallo sbigottimento, finché non indirizzai lo sguardo sulla finestra spalancata di colpo. Lei era lì, in giardino, accanto a un lampione che proiettava sull'erba un tremolante cerchio di luce.
«Mmm...» biascicai, annuendo assai colpito.
«La scala scultorea di cui ti parlavo si era allungata vistosamente, per di più era diventata traslucida, emanando un chiarore indescrivibile» continuò Serafino con la voce rotta dall'emozione.
«Incredibile!» esclamai inebetito.
«Angela mi salutò agitando una mano e piano piano salì i gradini, fino a che non sparì tra le nuvole. Improvvisamente la finestra si richiuse bruscamente e caddi in un sonno piacevole. La mattina seguente, al risveglio, la mia dolce metà c'era ancora. Tuttavia non dava più segni di vita.»
Serafino, con le lacrime agli occhi dalla commozione, si sollevò sui braccioli della poltroncina, e, inoltrandosi nella sua stanza, mi augurò la buonanotte.
Rimasi da solo, profondamente toccato. Neanche un minuto dopo suonò il citofono. Ebbi un sussulto. Era il cambio.
Gordiano Lupi e Francesco Viegi, "La grande bellezza"
La Grande Bellezza
Gordiano Lupi e Francesco Viegi
Edizioni Il Foglio, 2024
15,00
Un libro di contrasti, questo ultimo testo a firma Gordiano Lupi e Francesco Viegi, fatto dei bei – e romantico-decadenti – testi di Lupi e delle ottime fotografie di Viegi.
Gordiano Lupi lo conosciamo: al di là di qualche incursione nel giallo, nell’invettiva o nel romanzo, è il cantore di Piombino. Parla della sua città com’è adesso e com’era nel ricordo. Memorie personali, forse distorte dall’acuta nostalgia che, col passare degli anni, si fa più amara, venata di sconfitta e di rassegnazione. Piombino non è sfondo ma è sostanza: archeologia industriale, polvere d’acciaio che arrossa il cielo in finti tramonti, agavi spinose e tamerici piegate dal vento, voli di gabbiani che hanno la traiettoria di ciò che non sarà mai più. Come si sa, la memoria rende incantevole anche quello che era quotidiano e finanche doloroso, stemperando e addolcendo. La “sostanza” è in fin dei conti la ricerca di se stessi, di ciò che non abbiamo trovato perché è andato perso, perché c’era già e non lo sapevamo, oppure perché è solo uno scherzo della memoria.
Le foto di Viegi collegano la Piombino che è a quella che sarà, ritraendo fiorenti ragazze in abiti succinti, le quali dovrebbero simboleggiare il futuro, ma anche la “grande bellezza” nascosta nel paesaggio marino e vetero-industriale della città toscana. Le ragazze contrastano con questo vecchio mondo, logoro ma pieno di significato, di persone morte, di voci, gesti e pregnante passato, loro che sono fresche e audaci, proiettate verso il futuro, avvolte da una naturale malizia e da una forse non troppo innocente sensualità.
Questo contrasto fra i ritratti di Viegi e la Piombino di Lupi ha senz’altro una sua ragione di essere ma io, da affezionata lettrice dei libri di Lupi, li preferisco fatti solo delle sue parole, della sua prosa così vicina alla poesia di cui è cultore, preferisco il fico degli ottentotti e i campetti sterrati dove i bimbi calciavano un pallone, i canneti, lo stadio Magona e la spiaggia di Salivoli, ai tacchi a spillo e alle cascate di riccioli mori. Preferisco, insomma, la voce che canta all’occhio che vede, anche quando, oggettivamente, vede la bellezza.
Giuseppe Berton, "Time"
Time – Forty Italian poems
Giuseppe Berton
traduzione in inglese di Luisa Randon
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Many Italians write poems, but it is very unusual for them to write, or translate their poems into English. Congratulations to Giuseppe Berton for this Time, Guido Miano Ed., Milano 2024, a book “dedicated to all those who desire TIME TO LIVE”, as you read in the dedication. The author, in addition to writing poetry, works as a cardiologist and researcher; moreover, he loves running (including marathons), cycling and skiing. He loves music too: the Italian music of Claudio Baglioni, for example, along with the music of Pink Floyd and the Van der Graaf Generator band.
The book comprises Forty Italian poems (this is the sub-title): eight chapters of five poems each. Most of the volume offers the translation of the Italian book The Train and the Poplar (Il treno e il pioppo, Guido Miano Editore, Milano 2021), which already included English translations of some poems, revised in several points for this edition. The section Times of Universe is totally new, as are twelve poems.
Luisa Randon translated all poems but one, In One Look was translated by Elena Boni. Luisa Randon deserves special mention for her ability to communicate the feelings and the rhythm of the Italian version. To do so, she sometimes introduces line breaks different from Giuseppe Berton’s, allowing both to express their own creativity. As a result, both the original Italian poems and their English translations are very evocative; their language is fluent, simple and smooth. A language that invites reading.
The classical roots of Berton’s inspiration are evident in many poems, from mythological Hellenism to the classical style of Leopardi style and to Romantic themes – all pointing to the irremediable and radical enmity between Nature, Reason and Man.
References to Hellenistic classicism are found in poems such as A thousand Years: “… / Wonder of Hellas. / Breathing of the East. / Pain of the Soul. // Perhaps you were weaving your canvas, / enchanting girl, while the sun / was shining on the sea and on you. // Perhaps your heart throbbed in your chest / and Eros, who melts your limbs, / tormented you at night, // slave to desire / and to painful sorrows. / Sweet girl, crowned with violets. // You implored Aphrodite, / on her colourful throne, not to exhaust your soul / with pains and sorrows. / …”.
References to Leopardi’s lyrics are visible in several poems. For example: “… // The great poet / sang about you / to be relieved from his pain, / for you smiled at him. //… //… Melancholy moon, / light dropping on our eyes / and on the secret paths of the soul, / maybe you are just an illusion. // …” (To the Moon). Perhaps this is why the author writes in the autobiographical note: “The author hopes in Giacomo Leopardi’s good will if he reads it” (this note was alredy in English in Il treno e il pioppo, Guido Miano Editore, Milano 2021, p.93).
The typical themes of Romanticism appear, for example, in the last three verses of the poem dedicated to Van Gogh, Vincent: “…// I have seen the colours of your stars, / the stars of the soul, of madness, of life, / STARRY NIGHT”. Van Gogh is also mentioned at the opening of Colours: “A thousand colours are reflected / on coral and silver meadows / sand on your sweet eyes. / But in the end, at dusk // what will the colours look like? / Will blue be blue again? / And the green / and the yellow fallen from the sun, // like a drop of joy, / for you Vincent, / sweet soul, lost / in starry fields. // …”. The reader of this book will find many more.
There are frequent references to contemporary life, along the lines of Realism, as in Refugees: “Refugees are fine lines, / between the sand and the sea. / Refugees are Mike and Susie, / run away from the life they loved, // … / / We are Mike and Susie, / we are refugees, / we are lost, / we are dreams”. You can find another clear example in Homeless.
The author, as noted above, loves music, particularly the music of the English band Van der Graaf Generator. The five poems of the fourth part of the collection, by explicit admission of the author, are inspired by this band, echoing their contents and style: Refugees, The Lighthouse, Jericho, Forsaken Garden and Once I Wrote a Poem. Hence, Enzo Concardi can write in his preface to Berton’s book Il treno e il pioppo: “Berton tells us everything with a free poetic style (…) conveying to his poetry assonances that echo those of progressive rock” [my translation].
All poems can be easily read with pleasure. This is true for poems divided into stanzas and those not; for lyrics that include only three verses, as Haiku, or more than fifty, as in the case of To the Moon and A Thousand Years; for verses that are short, very short, or even single-worded, and for particularly long verses, as in the first lines of Five O’Clock at Night: “Endless night, wrapping around our thoughts. / Heartbeats, like wings in flight, brushing the skin. / Three hours, thirty years, five o’clock at night”. Berton’s language can be rich and varied as in the poem Like a Dream, or insistently repeated as in In a Sight, where the words “At the end” introduce all the twenty-seven lines of the lyric.
In this collection Berton outlines an itinerary of research; better, a searching itinerary. Search for life, for its ultimate meaning, in a path where uncertainty and confidence coexist, and where something leads our path: “A dim light, still far away, / may lead us / to a safe harbour” (last verses of The Lighthouse).
In every poem of Time you can feel the charm of discovery. Discovery of time, as in Time of Universe; of colours, as in the poem of the same name; discovery of love, as in numerous poems, from which the loving sentiment leaks gently: “While the evening fell / silently / on the restless world. // And our kisses / lightly floated on the earth, / endlessly” (last six verses of Before Calling You Love, to give just one example). Everything is watched with attentive eyes, eager to discover a meaning: eyes able to relate everything to that meaning. All of reality is described with love and reverence, arousing a desire for life. Perhaps a sign of resilient faith, surely an inner search for the meaning of time passing: “And I was thinking of time, / the time measured by physicists, suffered by poets, / considered infinite by believers. // I think time is an illusion, / only an illusion in this unknown life. / And it is less than a kiss.” (last six verses of Time). Time passing is initially seen almost as nonsense, but in subsequent lines time is revalued in comparison with something that feels eternal, that is love: “… // I was looking at my love, / and I could feel things changing all around. / I could feel space and time changing, // somehow like gravity changes / space and time, / around the universe. // …” (from One Day).
Time is, in fact, the journey of life, represented by the train, in search for the stability of the soul, whose emblem is the poplar: “… // The train seemed happy, / but nobody knew if it was true. / What matters is not what it shows. // The poplar tree seemed sad, / but nobody knew if it was true. / What matters is what it hides. // …” (from The Train and the Poplar Tree). Few, clear words; verses that spin like the wheels of the train on the tracks and that run away like wind in the poplars’ tops. Words that make us think, because the poet shares with us the awareness that ‘time to live’ is the most important thing. And poetry is indeed able to catch an instant of time and preserve it – as much to the writer as to the reader – so that it is never lost.
In short, this is a book of sincere, pleasant poetry, with a touch of Italian originality that remains in the English translation. Moreover, as the author himself writes in the note that accompanies the Italian book Il treno e il pioppo, “You don’t have to use a dictionary to understand the verses, you just have to use your heart to understand the poet’s language”.
That is true, if a poet - as Berton is - writes himself from the heart. Forgive the involuntary irony, since Berton is not only a poet, but a cardiologist by profession; but you can find some irony also among these Forty Italian poems, which makes their reading even more enjoyable.
Marco Zelioli
Giuseppe Berton, Time – Forty Italian poem, pref. Marco Zelioli, trad. in inglese di Luisa Randon, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-42-4, mianoposta@gmail.com.
Rita Pacilio, "Cosa rimane"
Cosa rimane di Rita Pacilio (AUGH! Edizioni, 2021 pp. 114 € 13.00) è un romanzo che cristallizza il senso dell'esistenza, consegna al lettore una testimonianza forte, dolorosa e struggente dei rapporti umani, domina l'imponente urgenza autentica di narrare la lacerazione emotiva. L'autrice, alla sua prova narrativa, presta la sua parola, sempre e comunque caratterizzata da un registro raffinatamente poetico, all'analisi intima, violenta e tormentosa, del dramma, compone un'opera complessa e densa d'inquietudine, abitata dalla sofferenza e dal disagio dei protagonisti, alle prese con la frammentaria identità di un passato che affonda l'incompletezza del presente e disgiunge il simulacro dei sentimenti. La protagonista Lorena è il personaggio determinante e lineare nello svolgimento delle manifestazioni enigmatiche e infide degli altri, contraddistinto da un percorso interiore, pieno di coraggio e di umiltà, condivide l'incessante amore per la vita, ricompensa la lotta contro il destino inesorabile nella consapevolezza del riflesso introspettivo, accerchia i fantasmi della solitudine quotidiana con la suggestione della nostalgia, alimentando i segreti indecifrabili dell'umanità tra desolazione, illusioni e desideri. Rita Pacilio illustra l'atmosfera cupa e impenetrabile degli inganni, espande lo sconcertante e oscuro segreto degli equivoci della morale, analizza il mondo imperscrutabile e sotterraneo dell'anima, scalfita irrimediabilmente dall'angoscia e dalla durezza delle ingiustizie. Dichiara il sussulto di una confessione, contro l'indifferenza, aperta al valore della responsabilità civile dei modelli sociali, confronta l'equilibrio e la consistenza della libertà con la resistenza della giustizia, contrasta la soggezione e la prevaricazione nelle vicende narrate. L'autrice dimostra la sua mirabile capacità di delineare l'intensificazione inconscia del sentire, il senso di colpa nella deriva dei personaggi attraverso gli echi evocativi del rimorso e del rimpianto, supera il confine temerario e sgomento dell'incomunicabilità, incrocia la trappola degli ostacoli, avverte l'influenza delle esperienze nella colpevolezza dei comportamenti umani, nella disperazione assorbita, nel profondo e occulto mistero del cuore, nella sfuggente e inafferrabile coscienza delle rivelazioni. I personaggi sono tratteggiati con incisiva cura e schietta lucidità, restituiscono la solidarietà nel percorso imprevedibile della sorte, rivestono lo scenario minaccioso e al tempo stesso incoraggiante della memoria, trasformano la persistente decadenza delle assenze, gli sventurati rendiconti personali, rivendicano l'amicizia e riconciliano la dignità. Rita Pacilio rievoca gli episodi con una riservatezza volontaria, dà voce alla cronaca innescando la delicatezza dell'amore e deturpando gli sfoghi della violenza, ricompone la direzione della carità, fonde l'evocativa intensità delle difficili personalità, descrive la conseguenza della paura e delle sconfitte nelle ostilità emotive. Il contesto sociale descritto dagli anni sessanta a oggi, segna la permanenza dei ricordi e della loro assistenza. La narrazione indugia sull'esito della compassione, riconosce lo scoramento, l'inevitabile sensazione della morte e la pulsione di ogni rinascita. Cosa rimane difende quello che manca, sostiene il carezzevole sguardo sulle vicissitudini umane e sulla fatalità, raccoglie il groviglio della malinconia. Se nella pagina resta sempre qualcosa di non detto, nel romanzo di Rita Pacilio cosa rimane è la prova che il “tempo della scrittura e il tempo della vita coincidono”
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Maria Cristina Buoso, "Vorrei dirti"
Maria Cristina Buoso
Vorrei dirti
PlaceBookPublishing Collana: I Corti
Link Acquisto: https://www.amazon.it/dp/B0DJNP28S4/ref
Copertina flessibile - Pagine 188 - ISBN-13: 9798341496354
Ci sono sempre due verità... e spesso non coincidono. Ci sono stati silenzi e incomprensioni che hanno allontanato Diva da suo padre per diciassette anni. Diva, ormai donna, capisce che per riappacificarsi con lui, prima deve farlo con sé stessa e dare un senso ai tanti ricordi che aveva rimosso del suo passato. Lo farà scrivendo una lunga lettera al padre, nella quale si racconta e spera in una risposta. Non succederà perché le ritornerà indietro con la scritta: destinatario sconosciuto. Cosa è successo? Per saperlo dovrà indagare sulla vita del padre fino alla verità finale. Un avvincente viaggio alla ricerca del significato vero degli affetti più forti, un viaggio non solo fisico ma soprattutto emotivo attraverso i sentimenti, le vicende del passato e le sorprendenti pieghe della vita. Maria Cristina Buoso scrive sin da giovanissima, fiabe e poesie, racconti brevi, copioni, romanzi, gialli, thriller … . Ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra questi il Certificato di collaboratrice della China Writers Association e del Club dei Lettori della Cultura orientale e Letteratura cinese. Gestisce un blog letterario interessante: https://mariacristinabuoso.blogspot.com/. Leggiamo un brano tratto da Vorrei dirti.
“Vorrei dirti tante cose, ma per troppo tempo ho trattenuto le parole dentro di me, forse perché mi sentivo ferita dal tuo silenzio o forse perché troppo orgogliosa per provare a capire le tue scelte. Tu non sapevi dirmi ti voglio bene e io non sapevo come fare per superare il muro che avevi alzato tra noi. E adesso, dopo tutti questi anni di lontananza, non so come riavvicinarmi a te. Tra le foglie verdi ho visto nascere le prime violette della stagione. Il freddo fra un po’ si ritirerà e lascerà dietro di sé un ricordo appena sbiadito sui petali dei primi fiori che sbocceranno. Nei miei pensieri ho tante parole da mettere in ordine e sentimenti da chiarire, come le domande senza risposta che mi sono portata dentro per troppo tempo. Indosso il cappotto ed esco. Sotto i piedi, lo scricchiolio del freddo mi ammonisce di non fidarmi di quel sole che si stiracchia nell’aria, regalandomi i primi tepori primaverili. Mi sorrido e mi avvicino alle prime violette, le raccolgo e ne faccio un mazzetto, poi te lo spedirò insieme alla lettera, racchiuso tra due fogli bianchi. È passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti e forse tu non abiterai più là, non importa, te la mando lo stesso all’unico indirizzo che conosco. È da qui che sono partita diciassette anni fa. Ricordi? Il nostro fu un saluto formale sulla porta di casa, nessuno di noi due voleva abbassare per primo lo sguardo e neppure dire quella parola che forse ci avrebbe permesso di essere meno orgogliosi e freddi. Eravamo due testardi; io lo sono tuttora, e tu? Ti sto scrivendo questa lettera con il pensiero, poi la trascriverò sulla carta, forse cambierò qualcosa, forse niente. Fra un secondo e un altro tutto può cambiare e non solo le parole. Voglio raccontarti di me. Approfitto di questo tuo obbligato silenzio per parlarti”.