Cormac McCarthy, "Cavalli selvaggi"
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CAVALLI SELVAGGI
Cormac McCarthy
Cavalli selvaggi è un romanzo di Cormac McCarthy, pubblicato nel 1992; da esso fu tratto il film Passione ribelle con Matt Demon e Penelope Cruz nel 2000.
Il titolo è bello anche se nulla c'entra con quello originale, All the pretty Horses.
È ambientato tra il sud degli Stati Uniti e il Messico in un'epoca in cui in teoria il vecchio West dovrebbe essere terminato da qualche decennio, ma ne resta ancora l'atmosfera.
È un romanzo di formazione intensissimo che vede tre ragazzi finire appunto in Messico dove un tempo fuggivano i banditi e gli avventurieri. Il protagonista, John Grady, amante dei cavalli e dei ranch, sente di poter essere vivo solo in quella terra piena di contraddizioni; peraltro il libro si apre con il funerale del nonno del giovane e con la notizia che il ranch di famiglia sarà purtroppo venduto. Così vogliono i suoi genitori. Questa è una cesura fondamentale.
Il ragazzo, amareggiato, decide di mollare tutto e di partire con un amico andando oltre la frontiera dove incontrerà un altro giovane, dal passato misterioso e fonte di guai. Grady trova un Messico dai mille colori, un luogo magico dove si vedono persone di estrema generosità accanto a gente corrotta e vile, cittadine pericolose e povere accanto a luoghi dove la natura trionfa; l'autore regala passi caldi dove descrive con poesia feroce tramonti e notti accanto a un fuoco dove si mangia quello che si è cacciato.
Grady, appena sedicenne, come gli altri personaggi sembra adulto nel senso che affronta situazioni complicate con molto coraggio; si dimostra abile fino all'inverosimile con i cavalli. Sembra un vecchio cowboy con una sicurezza che talvolta arriva alla spavalderia. Ma con Cormac bisogna abituarsi ad adolescenti autonomi, pieni di forza, un po' disperati, indomiti, a volte pronti a fare discorsi "filosofici" sulla vita e la morte. Talvolta si trovano anche lunghi passi apparentemente slegati dalla vicenda principale, non sempre chiarissimi.
Il protagonista soffre e patisce, cerca vendetta in atmosfere che si fanno western, ha poca nostalgia di casa nonostante abbia pagato un bel dazio in termini di vicissitudini e peripezie.
Malgrado la forte violenza di tante situazioni, nel libro trova spazio il romanticismo di una storia d'amore, per quanto molto tormentata.
Alla fine il mondo di Grady è il Messico, guardato con sufficienza e disprezzo da molti americani; ma in quella terra piena di semplicità e arretratezza il mondo si è fermato e per chi quel mondo lo ama e detesta la modernità, è il posto dove viverci, pur senza trovare mai la felicità.
Luca Andrea Marino, "Ferite emozionali"
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Ferite emozionali
Luca Andrea Marino
Eretica Edizioni, 2024
Ferite emozionali di Luca Andrea Marino (Eretica Edizioni, 2024 pp. 60 € 15.00) è un libro intensamente dominato da sensazioni e percezioni, promuove e sostiene la personale e accogliente corrispondenza con il mondo, l'attraente e appassionante conoscenza degli altri, lungo il cammino labirintico e disincantato della vita, nello spontaneo e persistente percorso di ogni inaspettato incantesimo nelle relazioni affettive. Luca Andrea Marino assegna al suo sentimento l'incisione inesorabile, applica la condanna del cuore nell'inevitabile dileguamento romantico, affronta le dolorose conseguenze dovute all'annientamento della mancanza d'affetto, gestisce le dinamiche psicologiche nell'esperimento sensitivo dell'esperienza e della direzione delle comprensioni, indica una linea di pensiero poetico, accosta lo sconcerto del vuoto esistenziale alla dispersione dell'impulso sensibile, tra commozione e distacco. I testi di Luca Andrea Marino si scontrano con la consapevolezza amara e toccante della realtà quotidiana, nelle occasioni di crescita interiore, nella rivelazione evocativa dei rimpianti, nella qualità disarmante e inafferrabile dei desideri, nella costante e risoluta necessità di colmare l'inconsistenza. Urtano nell'attrito delle tensioni affettive e nei contraccolpi del destino, ricadono sotto la risonanza della dimenticanza e dell'indifferenza emotiva, richiamano la memoria invisibile del dolore, diffondono l'eco profonda e significativa delle difficoltà, ricordano l'intensità della sofferenza, l'oscura complessità di accerchiare la fine di un legame e di inabissare l'impalpabile epilogo come un naufrago in cerca di salvataggio, nella sconfinata conquista della salvezza e dell'adesione alla vita. Le ferite emozionali che lacerano il vissuto di Luca Andrea Marino attraversano il luogo dell'anima, condensano l'urgenza di superare l'estraneità delle assenze, provocano l'esigenza di manifestare l'acuto presagio in intuizione sensoriale in cui l'osservazione di alcuni segni premonitori rivela profeticamente l'interruzione della coscienza, toccano l'incrostatura delle offese, stuzzicano i contrasti dello spirito indurito, rimarginano, nel coagulo, il tragitto di rinascita e di evoluzione. Il graffio del trauma (e non a caso nel termine greco la parola trauma coincide con ferita) irrompe l'immediatezza dell'impatto sconvolgente, segna l'isolamento spirituale dell'uomo, consente di recuperare la guarigione attraverso il superamento degli abbandoni e dei tradimenti, distinguere la vertigine della solitudine e affrontare l'avvolgimento delle illusioni, accostando l'ascolto con se stessi e con la propria resilienza, fortificando la fiducia e l'autostima, confrontando il coraggio contro le ostilità. La poesia di Luca Andrea Marino cristallizza l'essenza temporale dell'ispirazione soggettiva, scioglie e plasma il flusso di un'espressione universale, modella la reazione cicatrizzante dei ricordi. Luca Andrea Marino fa suo il compito nobile della poesia, di indagare le proprie inquietudini e accogliere la possibilità di nutrire la propria risorsa incisiva nella redenzione delle parole, nella forza di ridurre la sospensione di ogni pagina e lenire la superficie della saggezza, nell'inseguire l'impronta intima della corrispondenza per mezzo degli strumenti celebrativi degli scenari, dei suoni e dei colori che animano il suggestivo carattere dell'umanità.
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Dove ti porterai oggi
con le tue scarpe nuove
che fanno male alla strada
quando intralcia gli sguardi altrui?
E le tue timide mani
di cui ti affanni di dimenticarti
che splendono dentro,
lasciano cadere un fragile sorriso.
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Bisognoso di una febbre
che mi avvinghi a sé
e solleticandomi con dolore
vigili sul tepore della domenica
stridendo la sofferenza.
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Il paese non è qui
ma una tua civiltà
si è fatta strada senza scuse.
Ore come queste mi acclamano
ma senza fidarmi mostro il sospetto
per quello che è già trascorso.
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Non è oblio
se non si sa distinguerlo mentre osservo
il fondo del bicchiere
in cerca di una calma versata
che mi ristori
dalla voglia di punirmi.
Dalla tua piovono risate
a vanificare il tentativo
di crescere e maturare nella ragione
trasfigurandoti nell'offesa
con abile puntualità.
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Alla tua pace
invochi con libero scambio
la propria cura con la sorte.
Che lo sforzo non ti mortifichi
senza renderti sobria
dei tuoi anni.
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Con una guerra
si snodano queste note
tenute dal filo spinato
e che vibrano senza fischiare
riverberi attorno al fuoco.
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Assaporo il tuo verso
mentre mi reclami,
volgendoti a ricordarmi
quanta audacia serve la sorte
per esprimersi nelle sue forme.
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Cerco la traduzione di chi
a mio parere,
possa svelarmi come vivere
prima ancora di sapere e di trascrivermi
lasciandomi scegliere il rimedio.
William Dalrymple, "Il ritorno di un re"
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Il ritorno di un re
William Dalrymple
Adelphi
Il ritorno di un re è un libro di William Dalrymple, edito da Adelphi.
La vicenda storica è molto articolata e si svolge tra India, retta allora dalla Compagnia delle Indie, Russia, Afghanistan e Persia. Ci troviamo quindi nella grande cintura tra Impero Russo e India Britannica e si vivono le grandi tensioni più o meno sotterranee tra Pietroburgo e Londra, con i timori inglesi di un'espansione ulteriore dell'influenza degli zar in particolare verso Kabul. Difficile non pensare alle tensioni che anche oggi restano forti in queste aree.
Chi ha letto Il Grande Gioco di Peter Hopkirk troverà atmosfere simili; spie, intrighi, regolamenti di conti, carrierismi esasperati e competizione sfrenata tra politici e diplomatici soprattutto inglesi. Ma soprattutto, rispetto al libro di Hopkirk qui ci sono sanguinosissime guerre e non solo per procura. Assistiamo all'invasione britannica dell'Afghanistan del 1839 dettata dalla volontà di imporre al paese un re filoinglese; questa grande e costosa invasione avviene in modo irragionevole. L'emiro afghano Dost Mohammed stava resistendo alle pressioni dei russi e intendeva avviare ottimi rapporti con gli inglesi, grazie al grande lavoro dell'ufficiale ed esploratore Burnes, molto apprezzato a Kabul. Ma la linea che passa è quella opposta; nonostante i rapporti di Burnes sottolineino il positivo atteggiamento di Dost verso l'Inghilterra, i suoi superiori in India si convincono che il sovrano stia per cedere ai russi e perciò convincono Londra che si deve agire in modo aggressivo. Viene imposto come sovrano il vecchio Shujah, un re cacciato molti anni prima e che viveva in esilio in India. È l'inizio del disastro. Un capo afghano disse ai generali inglesi: "Avete portato un esercito in Afghanistan, ma come lo farete uscire?".
Infatti, quando il nuovo re si dimostrerà un fantoccio in mano agli stranieri, non in grado di far rispettare le tradizioni e la religione, nascerà una aggressiva opposizione. Complice l'enorme superficialità dei comandi inglesi, inizia la catastrofe che avrà il suo acme lungo le vallate e i passi montani in cui le truppe soprattutto indiane tentano di ritirarsi. Ma questa è solo la prima parte dei fatti prima di una nuova invasione, condotta dalla cosiddetta Armata vendicatrice che compirà enormi stragi e distruzioni per reagire alle umiliazioni subite precedentemente. Nel complesso l'Afghanistan si rivela un paese non occupabile, diviso tra clan e faide, povero ma agevolato da una morfologia che rende quasi impossibile la sua duratura conquista. Eppure i vari statisti ancora una volta saranno sordi davanti alla lezione della storia. Sia nel 1979 da parte dei sovietici, che di recente, da parte statunitense intorno al 2001, saranno avviate lunghe guerre e invasioni del paese, destinate alla fine al fallimento.
Il libro è ricchissimo di personaggi, anche femminili, con sguardi che spaziano dall'India britannica, al Punjab, alla Russia. Indimenticabili soprattutto due figure romantiche in azione sui due fronti opposti, ma con molte similarità tra loro. C'è infatti il già citato Burnes, acuto conoscitore dell'Asia ma con pochi appoggi in alto e l'ufficiale zarista Jan Vitkevič; conoscitore di molte lingue e dialetti locali, aveva sposato la causa russa per uscire dalla difficile situazione legata alle condanne subite come insorto polacco. Ambedue saranno fra le innumerevoli vittime in questi anni tormentati.
Pietro Rosetta, "Poesie nascoste nella dispensa"
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Pietro Rosetta
Poesie nascoste nella dispensa
Guido Miano Editore, Milano 2024
La raccolta Poesie nascoste nella dispensa (Guido Miano Editore, Milano 2024) ci fa incontrare una delle tante figure di autore “prestato” alla poesia, ma proveniente da tutt’altro campo che quello letterario. Pietro Rosetta, infatti, è un Oftalmologo, responsabile dell’Unità Operativa di Oculistica dell’Istituto Humanitas San Pio X di Milano. Eppure sembra un autore consumato, non certo un principiante. Lo testimonia anche il fatto che il suo esordio nella poesia risale al 1997.
Sotteso a tutta quest’opera c’è un amore che lacera e sembra far presentire una fine prossima, tanto che, ad un certo punto, l’Autore gli dedica quasi un epitaffio: “Qui giace il nostro amore/ a due passi da quelle onde agognate/ che lontane come non mai,/ ora, tormentano senza pace il silenzio dei nostri cuori”. Tuttavia tale amore, a tinte a volte drammatiche, non comporta alcuna solitudine, poiché tutti siamo “onde della stessa acqua”, come notato anche nella Prefazione di Enzo Concardi: “è presente un ‘tu’ nel ruolo di interlocutore che potrebbe essere sia un altro-da-sé, che il suo alter-ego” – e per questo l’itinerario dell’opera si riassume come un cammino “tra il canto d’amore e la ricerca esistenziale senza approdi”.
Fra tali apparenti opposti c’è il tempo della vita, che corre via e costringe il poeta ad esprimersi con pensieri concitati, come nella poesia (solo un asterisco come titolo, come molte altre) che inizia e finisce con le medesime parole “Il tempo è sbocciato”. Poesia da leggere tutta d’un fiato, perché è quasi senza punteggiatura tranne cinque virgole e il punto finale, ma il cui messaggio è semplice, comprensibile a tutti: è immagine del tempo che fugge - appunto. E il tempo della vita porta con sé tanto i ricordi (a volte sbiaditi, a volte fulgidi, a volte amari e a volte dolci) quanto gli incontri con persone sorprendenti, come la suora che nel poeta fa nascere interrogativi e così la tratteggia: “senza parlare preghi quel tuo/ Gesù che da sempre nascondi/ in cucina nella dispensa”; o come la “Maria, stanca Maria”, il cui sguardo basta a far intuire “del giorno in cui una nonna/ ti aveva spiegato il peso della vecchiaia”.
Quanto al modo di scrivere, uno stilema tipico di Pietro Rosetta, quasi insistente, è la ripetizione delle stesse parole o di un intero verso, a mo’ di ritornello d’una canzone: il che dà al lettore la sensazione di leggere delle nenie (come “I canti delle vedove”, “Questa notte”, “Quando la città è lontana”, “Centrato da non so quale grandine”, “Non so” – per fare solo alcuni esempi). Due volte, poi, una poesia inizia e conclude con le medesime parole (“Il tempo è sbocciato” e “Il tempo è maturo”). Però nessuna pesantezza grava sul fluire dei versi, che corrono via con semplicità e immediatezza, coinvolgendo il lettore, quasi costringendolo ad andare avanti. E così si arriva alla fine del libro senza accorgersene, con la voglia di leggere ancora, per scoprire quale mistero si celi dietro l’affascinante racconto poetico dell’Autore, il quale sembra quasi descriversi compiutamente in questi versi: “Rintanato nella caverna/ della mia vita/ mi riscaldo al fuoco dell’esperienza” – ma anche tenta la nostra curiosità di conoscere altri suoi “appunti dimenticati/ nella fretta del passaggio”.
Marco Zelioli
Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 88, isbn 979-12-81351-21-9, mianoposta@gmail.com.
La festa vuota
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Alla vigilia del matrimonio, colei che doveva vestirsi di bianco, dopo una notte insonne, fece una scelta.
Il giorno successivo, nella sala ricevimenti Torre Rubino, le raffinate tovaglie somigliavano a dei fantasmi stesi. Sopra di esse, file di tovaglioli avvolti come coni senza gelato, i quali si affiancavano ai costosi piatti con relative posate e ai bicchieri d'argento che sembravano provenire da una gioielleria.
Gli èpergne con i fiori rappresentavano un'inutile natura morta. A tenere tediosa compagnia ai centrotavola decorativi, le bellissime candele di cristallo destinate a rimanere spente. Nell'eventualità fossero state accese, sarebbero arse apparendo come luci fatate.
Lungo la parete, gli strumenti del DJ aspettavano invano di suonare dei dischi per far ballare gli sposi e gli invitati. Invece, sulla pista da ballo roteavano pigre svariate particelle di polvere.
Avrebbe dovuto esserci tanta gente, musica, discorsi, pianti di gioia, brindisi e risate, non una festa vuota dal penoso silenzio. La funerea atmosfera di quel locale si conformava all'interno di una casa di campagna, l'oramai ex nido d'amore. In una delle stanze, un uomo si trascinava sul pavimento. Alla sua sinistra, una bottiglia rovesciata di brandy dava origine a una pozza di liquido giallo ambra, distillato con lacrime amare.
Shoot!
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Al riparo di un muro di mattoni, punto il fucile d'assalto ad altezza d'uomo. Nonostante l’efficacia del visore notturno agganciato sull'elmetto, non devo comunque sottovalutare il buio, in quanto basta un attimo per finire crivellato, oppure per ferire o uccidere qualche innocente. Prima di girare l'angolo riesco a scorgere alcuni individui che si sporgono dalle finestre dalla palazzina che ho di fronte. Alzo l'arma, appoggio il dito sul grilletto e prendo la mira. Calma e sangue freddo, non risultano ostili.
Procedo verso est. Un individuo col turbante e dalla lunga barba che imbraccia un AK-47 appare in posizione di tiro. Gli sparo un colpo in testa. Fottiti!
«Centro, qui Blue, sospetto neutralizzato» comunico via radio.
«Roger, raggiungi la zona prestabilita per ricongiungerti con la squadra» mi risponde la centrale operativa.
Dannazione, c'è qualcuno dietro quel lampione. È senz'altro un merdoso terrorista. Apro il fuoco per ben tre volte.
Cristo, si tratta di un ragazzino. Stringendo i pugni osservo affranto la lattescente figura che ho colpito in pieno. Nel frattempo, le luci si accendono.
«Johnson!» urla l'istruttore. «Non hai superato la prova! Sei fuori!»
Cazzo, ci tenevo a diventare un agente della SWAT.
Maledetta sagoma.
Fonti Wikipedia: *SWAT, acronimo per Special Weapons And Tactics, (in italiano: Armi e tattiche speciali) in origine sigla di Special Weapons Assault Team, (squadra d'assalto con armi speciali) è un termine usato negli Stati Uniti d'America per indicare le unità speciali di polizia destinate a compiti ad alto rischio, come operazioni antiterrorismo, salvataggio di ostaggi e interventi antisommossa.
Siulvana Ramazzotto Moro, "Van Gogh, l'uomo"
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Silvana Ramazzotto Moro
Van Gogh, l’uomo
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Cosa c'è ancora da dire su Van Gogh? Molto, soprattutto perché su di lui si sono diffusi pregiudizi, stereotipi, errori non ancora del tutto estirpati. Molto, perché il grande pubblico, giustamente attratto dalla forza, dai colori, dal fascino della sua pittura, poco si è interessato dell'uomo Vincent che v'è dietro all'artista. Tali doverosi approfondimenti si possono effettuare attraverso la lettura delle sue lettere, scritte in abbondanza durante tutta la vita – e chi ama veramente l'arte, la pittura, la letteratura e lo stesso Van Gogh come persona - senz'altro s'inoltrerà in questo viaggio affascinante. Lo ha fatto, prima di tutto per se stessa - rimanendo colpita, entusiasta, motivata ad andare fino in fondo alla verità – e di riflesso per tutti noi, Silvana Ramazzotto Moro, avvocatessa di professione, ma appassionata anche di filosofia, letteratura ed arte, per cui si è gettata a capofitto, dopo aver studiato le lettere del genio olandese, nella scrittura di un libro che ha intitolato Van Gogh, l'uomo, con un sottotitolo esplicativo: “Raccontato da lui stesso nelle sue lettere: autoritratto, amore, vocazione mistico-religiosa, rapporti con i genitori e con il fratello Theo, arte, soldi, malattia”.
La pubblicazione è avvenuta nel dicembre 2024 a Milano, da parte della Casa Editrice Guido Miano, con la prefazione dello stesso Michele Miano. Per completezza d'informazione occorre precisare che le illustrazioni sono costituite dai disegni del pittore allegati alle sue lettere, e che i brani autobiografici sono riportati secondo la traduzione italiana di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia nell'opera Tutte le lettere di Van Gogh di Silvana Editoriale d'Arte (1959).
Nella sua Introduzione l'autrice giustamente e opportunamente spiega cosa non è questo lavoro, per non far sorgere equivoci e fraintendimenti di sorta: «Questo libro non è, e non vuole essere, un saggio di critica d'arte relativa all'opera del pittore Vincent Van Gogh … L'unico mio obiettivo è promuovere e facilitare la conoscenza dell'uomo che stava dietro al pittore. In una lettera alla sorella, minore… scriveva: “Tu leggi un libro per trarne la forza necessaria a stimolare la tua attività. Io invece ricerco nei libri l'uomo che li ha scritti, lo stesso vale per la pittura e per tutte le arti”. Io ho seguito il suo esempio» conclude la Ramazzotto Moro, ponendo così un sigillo di chiarezza sulla sua opera. Più avanti si preoccupa di affermare altri aspetti del suo ritratto umano, distaccandosi nettamente da certe “leggende metropolitane” a lungo circolate sull'identità di Van Gogh: «… non era pazzo. Era un pittore culturalmente aggiornato, lettore e collezionista di volumi e di stampe, attento alle nuove tendenze artistiche del suo tempo. Fin da ragazzo, infatti, legge instancabilmente libri in olandese, francese e inglese (Voltaire, Dickens, Zola, Maupassant, Shakespeare e tanti atri), studia a fondo la Bibbia».
Già da queste premesse siamo sulla retta via per comprendere umanamente una persona geniale che ha anche sofferto per tante incomprensioni. Inoltre i 13 capitoli del libro ci guidano ad un'ulteriore, approfondita disanima del “chi era veramente Van Gogh”. 1 Autoritratto: Vincent parla di se stesso. 2 La vocazione mistico religiosa giovanile: il periodo dell'infervorarsi religioso per il bene degli altri. 3 L'amore: Ursula, Kee, Sien e Margot, quattro amori infelici. 4 Il rapporto con i genitori: tensioni per le diverse mentalità. 5 Rare ombre nel rapporto con Theo: i dubbi di Vincent perché il fratello, venditore d'asta di quadri, non riesce a piazzarne nemmeno uno dipinto da lui. 6 Il mistero della vita: lettere a Theo in cui esprime le sue meditazioni sul senso dell'esistenza. 7 L'arte, gli artisti e il sogno di un cenacolo di artisti: associarsi con spirito solidale per affrontare le difficoltà d'una vita stentata. 8 Fotografie di paesaggi: descrizioni meticolose dei paesaggi contemplati. 9 Le leggi dei colori: studio approfondito in materia, nulla di improvvisato. 10 Maledetti soldi: il contrasto tra la povertà di Vincent e le quotazioni odierne delle sue opere. 11 La malattia: si legge qui il perché Vincent non fosse né pazzo, né schizofrenico. 12 Vincent e l'arte giapponese: grande ammirazione per l'arte giapponese, compra più di 600 stampe, è preso dal “japonisme'. 13 Spigolature: specie di aforismi di varia natura.
Siamo di fronte quindi ad un'opera assolutamente consigliabile, soprattutto per chi non voglia sobbarcarsi l'onere di leggersi tutte le lettere di Van Gogh, poiché l'autrice ha attuato un'intelligente selezione suddivisa per tematiche.
Enzo Concardi
Silvana Ramazzotto Moro, Van Gogh, l’uomo, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 376, isbn 979-12-81351-51-6, mianoposta@gmail.com.
Daurija Campana, "Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato"
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Daurija Campana
Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato
Guido Miano Editore, Milano 2024
Daurija Campana nasce a Meldola (Forlì) nel 1977; è poetessa. scrittrice e pittrice. Nel 2013 pubblica la raccolta poetica La casa di paglia. Le sue opere pittoriche appaiono in diversi cataloghi e nel 2023 pubblica la silloge poetica Sola tra memoria e dolore, con Guido Miano Editore,
La raccolta di poesie della Campana, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’esauriente prefazione di Michele Miano centrata e ricca di acribia.
Come scrive il critico, la silloge rientra in un progetto più articolato del suddetto Editore, la collana dedicata al Parallelismo delle Arti secondo il quale la pittura può risultare poesia muta e la poesia pittura parlante.
Se nella raccolta precedente prevalevano il senso del dolore intimamente connesso con quello della solitudine, dolore dovuto soprattutto alle morte del padre, nella nuova silloge sicuramente in continuum con l’altra, la poetica si apre a un felice sforzo di uscire dal male di vivere e dal dolore dell’esistere, proprio attraverso l’elemento della novità che può portare una luce nella visione del mondo della poetessa.
Ma con un’analisi più profonda ci accorgiamo che nell’anima della Campana, nella sua memoria, nella sua camera della mente coesistono, come si evince dal titolo del volume, anche ricordi relativi al passato che riemerge come una provenienza e poi si parla di qualcosa di blu che pare essere il colore preferito dalla poetessa e di qualcosa che prende il nome di prestato che potrebbe identificarsi nei versi stessi donati ai suoi lettori per poi riaverli e tutto questo non può che generare un gioco intrigante per arrivare almeno ad attimi di pace nella creazione e nella fruizione del testo e dal piacere che ne deriva.
Citiamo dalla sezione Qualcosa di vecchio i seguenti versi tratti dalla poesia Stelle cadenti: «A che m’importa guardare là fuori/ e rivederci bimbi col pallone,/ se non posso più vedere i colori/ dei tuoi occhi, tra il nero e il marrone?...». In questa poesia la Campana si rivolge ad un “tu” che presumibilmente, se tutto in poesia è presunto, è il suo amato del quale non può vedere la tinta degli occhi la cui forza è importante, come asseriva Alfonso Gatto e il titolo bene s’intona all’atmosfera di questi versi, intrisi di un controllato dolore.
Quindi una raccolta complessa quella della Campana che va letta anche più di una volta per assaporare ogni suo particolare nella consapevolezza che la vita è degna di essere vissuta e che la salvezza e la leggerezza sono sottese all’arte, in questo caso rappresentata dal binomio poesia-pittura salvifico come cura per l’anima e per il corpo, sia per il poeta, sia per il lettore.
L’arte per il superamento stesso dell’angustia e del resto le interazioni tra le linee di codice delle arti sono nella loro sinergia il mezzo per ritrovare un potenziamento sul piano estetico quando i versi sono ispirati da immagini pittoriche.
Dalla sezione Qualcosa di blu riportiamo questi versi della poesia Il lago: «E me ne andrò col cuore in gola e un pianto/ che non soffocherà la mia sete di te,/ mio lago amato, del dolce conforto/ che, amichevole, non mi hai mai negato/ e venivo con l’angoscia nel cuore/ piangendo ti parlavo di mio padre/ e pregavamo insieme che guarisse…». Qui ancora una volta l’interlocutore è un “tu” che viene amorevolmente definito lago amato, e del quale ogni riferimento resta taciuto e c’è l’elemento mistico della preghiera da recitare insieme all’amato per la guarigione dell’uomo.
In La verità, poesia che apre la raccolta e che ha un carattere programmatico, componimento che è connesso e che interagisce con il dipinto ad olio eponimo, attraverso versi sinuosi, magici e intellettualistici sicuramente di natura lirica, la poetessa nomina la vanità e la verità e si rivolge in modo intenso ad un tu che potrebbe essere l’amato o se stessa: «Ma tu sciogli i capelli e a piedi nudi/ calpesti tutte le tue certezze/ mostra il vero di quanto in te richiudi/ le tue impressioni e le delicatezze/ celate nella maschera di vetro/ ti sembrerà di andare controvento/ tra i giudizi e le risate dietro…». Il dipinto a olio su tela eponimo si associa ai versi del componimento La verità che ha anche qualcosa di neo orfico, attraverso il comune denominatore che hanno la poesia e il dipinto che consiste in un fattore x di suggestione e magia e inoltre i versi emanano una vaga luminosità come il dipinto stesso che raffigura una misteriosa ragazza con un lumino a olio acceso che nel buio risplende per una ricerca simbolica della verità stessa.
Raffaele Piazza
Daurija Campana, Qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di blu, qualcosa di prestato, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-41-7, mianoposta@gmail.com.
Andrea Cattania, "Amore per sempre"
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Andrea Cattania
Amore per sempre
Guido Miano Editore, Milano 2024.
La raccolta delle liriche di Andrea Cattania, ingegnere prestato (con successo) alla poesia, è un insieme di testi scelti da quindici sillogi (Inno alla vita, Il canto dei petali di pesco, Ricerca perenne, Alla ricerca del cosmo, Come l’ape ben sa, Lila è tornata, Verde come quest’ora tra le foglie, Il cammino del pensiero umano, Tra natura e tensione metafisica, La sinfonia del cosmo, Gocce di luce, I colori delle parole, Lunga sarà la notte, Dimmi perché il vento stasera e La traccia folgorante di un pensiero) delle oltre venti da lui pubblicate dal 2001 in qua. Il libro proposto da Guido Miano Editore è diviso in tre parti in riferimento alle tematiche “Amore per sempre”, “Le problematiche dell’essere”, “La contemplazione dell’universo e della natura”, con altrettante Prefazioni nel campo della Letteratura Comparata. In quella alla prima parte, Enzo Concardi propone un parallelo della poesia amorosa dell’Autore con quella dello statunitense Edward Estlin Cummings (1894-1962); quella della seconda parte, di Gabriella Veschi, lo accosta al francese Charles Baudelaire (1821-1867) per la “affascinante consonanza di immagini e motivi, unita ad un linguaggio dalla dirompente carica innovativa”; la terza, di Floriano Romboli, lo presenta come ‘vicino’ allo stile di un altro grande poeta francese, Paul Claudel (1868-1955). Tutto ciò è testimonianza del grande spessore dei versi del Cattania.
I versi a volte interrotti, spesso col pensiero che si conclude ‘a capo’, non seguono una metrica precisa: si alternano settenari ed endecasillabi, ma a volte le sillabe aumentano fino a quindici, talvolta si fermano a cinque o arrivano ad otto. Un ritmo spezzato che ben asseconda l’aritmia del pensiero del poeta.
Nella prima parte, soprattutto, dominata dalla presenza-assenza dell’amata Lila – amore che vive “sul filo dell’immaginario”, come recita il terz’ultimo verso della poesia Il filo immaginario, riportata nella seconda parte della raccolta, dominata da riflessioni ‘filosofiche’ sulla vita; e qui, preannunciando quale sarà il tema centrale della terza parte, l’Autore propone riflessioni sul cosmo, del quale dichiara di voler essere come un frammento “senza turbare la trama sottile/ che ci avvolge e disegna l’universo” (Il futuro non sarà nero).
Seconda parte ricca di domande sul destino dell’uomo, sull’Assoluto che si manifesta “per ricordarci chi siamo e perché”, sulla natura delle cose, sulla loro essenza e sulla bellezza dell’universo che sempre invita alla ricerca “di qualche spiegazione al grande Tutto” (ultimo verso di Viaggio nel mio io).
Nella terza parte, infine, la contemplazione dell’universo porta ad altre profonde riflessioni sulla natura, e sull’uomo in rapporto ad essa, fino al paragone (per nulla leopardiano nel ritmo, ma come quello di Leopardi universale nel tono) con L’infinito, e fino a spingersi ad esclamare, in un titolo: Vorrei conoscere i pensieri di Dio.
In questa raccolta il lettore trova molte domande e molti spunti per farsi altre domande sulla propria e l’altrui vicenda umana, ma non trova risposte – se non adombrate, forse un po’ suggerite dalle liriche scelte. Perché il Cattania affida alla poesia questo compito: “Come il medico deposita il miele/ sul bordo della tazza/ perché il bimbo malato non avverta/ il ripugnante sapore del farmaco,/ così il poeta addolcisce nei versi/ la dura realtà che trasfigura/ affidandola al canto delle Muse” (Il compito della poesia).
E così la lettura di questo Amore per sempre è una medicina per l’anima di chi legge.
Marco Zelioli
Andrea Cattania, Amore per sempre, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 100, isbn 979-12-81351-46-2, mianoposta@gmail.com.
Tommaso Cevese, "Iridescenze"
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Tommaso Cevese
Iridescenze
Guido Miano Editore, Milano 2024.
Un magnifico libro di poesie, pura e sublime arte poetica, merletto di versi, musica melodica; tenerezza e delicatezza, raffinatezza ed eleganza; il creato palpitante di vita, affetti e sentimenti profondi, spiritualità e fede: tutto questo troviamo nell’opera dal titolo “Iridescenze” del poeta, filosofo e compositore musicale, Tommaso Cevese.
Il senso della vita, il perché degli accadimenti, se guidati dalla mano di Qualcuno o frutto del caso; la brevità e la precarietà della vita umana, e soprattutto cosa c’è dopo la morte: questi pensieri, che hanno sempre arrovellato la mente degli esseri umani, sono anche qui motivo di ricerca per Tommaso Cevese, incline alla speculazione filosofica e ansioso di indagare sul Mistero dapprima con la prerogativa umana della ragione, la “nuda ragione”, come egli la definisce. “… Mosaico più compiuto/ scorrendo le stagioni/ è ciò che pare piovuto/ da un cielo d’occasioni/ eppure si rivela/ disegno non banale/ tessuto da una tela/ che intreccia bene e male…” (Ascolta).
Ci sono due modi però di accostarsi al Mistero, che è appunto il senso della vita, quello del filosofo e quello del poeta, afferma l’autore, e la ragione della filosofia, ad un tratto, cede di fronte, sia pure alla vaghezza, della poesia, che, anche talora nella irrazionalità, come ad esempio la speranza contro ogni speranza, invece, vi azzecca appieno. Altro che inutile la poesia! Il poeta, afferma Tommaso Cevese, è “specchio dell’intero”. Infatti: “… Filosofi e poeti sanno/ che il senso è l’interno./ Ma si perdono i primi/ in distinzioni e confini/ in complessi sistemi/ volti alla ricerca del vero/ nei labirinti del solo pensiero./ Alle sorgenti di vita/ attinge il poeta/ del cosmo intima voce/ soffio, sussurro di luce …” (Comuni destini).
Poesia come la fede. E come la poesia supera la ragione dei filosofi, così la fede supera la poesia. E il filosofo Tommaso Cevese, poi poeta, infine ci si rivela uomo di fede quando perviene alla affermazione che il senso della vita sta in Gesù, l’Uomo che disse: “… mia madre è Maria/ son figlio di donna/ ma pure di Dio/ la stella cometa/ che traccia la via./ (…)/ Un ultimo, un vinto,/ incredulo quasi,/ di tanto castigo/ eppure risorto/ col corpo terreno/ asceso alla gloria/ di un mondo diverso.” (Ecce Homo). Il senso della vita sta dunque in Gesù, e in che cosa di Gesù? Nell’amore. Ecco il senso della vita: l’amore. E così il mistero si fa luce. “… Solo ciò che appare/ come stella cometa/ rivelò una promessa/ mai tradita, la notte/ che mostrò la via lucente/ dell’amore e della vita.” (Celesti presagi).
Non ha capito il senso della vita “… chi mina/ presente e futuro e si crede/ padrone di un pianeta/ che sfrutta senza freno ...” (Il Dio mortale).
E solo l’uomo è capace di questa speculazione intellettiva, e pure della poesia e della fede, e Tommaso Cevese lo esorta: “Uomo/ scopri il senso della vita/ nella libertà e nel dubbio/ di chi il vero non possiede/ ma ricerca con fatica..” (Uomo).
In questa ricerca del vero, espressa in versi, Tommaso Cevese in alcuni accorati interrogativi sembra riecheggiare Giacomo Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, come ad esempio quando si chiede: “Dimmi, corpo mio mortale,/ quando scade il tuo affitto…?/ Quando volgerà al tramonto/ il mio ciclo naturale/ il mio essere nel mondo?...» (Scadenze naturali), oppure ancora nei versi: “…Che riserva ancor la via?/ E di me, di noi, che sarà/ e dell’anima immortale?/ (…) Così ragiono nella stanza/ della mente, che vaga …” (Tu misuri il tempo).
Un altro richiamo ancora è Gabriele D’Annunzio ne La pioggia sul pineto per quanto riguarda la descrizione della natura nei suoi minimi particolari, l’attenzione al palpito degli elementi, la fusione tra natura e anima umana.
Spicca, inoltre, nella poesia di Tommaso Cevese, l’antitesi Temporalità ed Eternità. Solo la natura e l’uomo hanno la prerogativa di superare la dimensione temporale per attingere all’eterno. “… Forte, antica natura/ ancorata al suolo/ oltrepassi senza fine/ i tempi della vita./ E tu, uomo di breve corso/ e destinato al volo!/ Vita pulsante un battito d’ali,/ giovane creatura, anima cosciente/ che duri come un niente/ solo tu, oltre le nubi e i cieli/ vedrai eternamente.” (Temporalità).
Maria Elena Mignosi Picone
Tommaso Cevese, Iridescenze, prefazioni di Enzo Concardi, Floriano Romboli, Gabriella Veschi; Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 148, isbn 979-12-81351-44-8, mianoposta@gmail.com.