Gordiano Lupi e Riccardo Marchionni, "Amarcord Piombino"
/image%2F0394939%2F20220704%2Fob_9cd664_woman-2696408-1920.jpg)
Amarcord Piombino
Gordiano Lupi e Riccardo Marchionni
Edizioni Il Foglio, 2022
pp 238
15,00
Non dovrei trovare così attraente un libro che parla di una città non mia, che racconta dettagli poco importanti di una provincia lontana nel tempo. Ma se a scrivere di Piombino è il suo bardo, Gordiano Lupi, mi lascio di nuovo catturare. Chi è nato e vissuto per sempre nella stessa città conosce – come la conosce la sottoscritta – la sensazione che ogni angolo, ogni via, ogni fondaco, ogni panchina conservino memoria di fatti accaduti, di gente amata che ci ha lasciato, di prospettive che non si sono avverate, di ambizioni frustrate.
La Piombino di cui parla Lupi c’era e non c’è più, si è trasformata in qualcosa che, comunque, si fa voler bene lo stesso, che diventerà ricordo dolceamaro per le generazioni future. Una città di spiagge e acciaio, di tamerici salmastre e fuliggine, di gabbiani e archeologia industriale. Una città amata con nostalgia e strazio, con la potenza magica del tempo che tutto trasforma, che è selettivo, che rinnovella e ricrea, che contempla il bello e il brutto, il cielo pulito e la spazzatura sotto il marciapiede, le ideologie vissute solo come patetico ricordo. Se a trovare un tappo di bottiglia è un bambino che ci giocherà e che porterà quei momenti incisi nel cuore, persino la fugace visione di tale modesto oggetto crea un continuo, inafferrabile anelito insoddisfatto.
“Vivere sarà soltanto questo desiderio inappagato di ritorno verso quel che non può tornare.” (pag 213)
Sono le eterne, ricorrenti tematiche di Lupi – che qui vengono supportate anche dalle tangibili, seppur evanescenti, fotografie di Riccardo Marchionni. Da Alla ricerca della Piombino perduta, attraverso Calcio e Acciaio, fino a questo Amarcord Piombino, è tutto un susseguirsi sempre più straziato e disilluso di velleitaria, sfinita e un po’ blasé nostalgia. Da un libro all’altro c’è come un arrendersi, un cedere il passo estenuati al nuovo che avanza, un capire che, se le cose stanno come stanno, in fondo è perché noi lo abbiamo voluto.
Conosco bene la mancanza d’un irraggiungibile romantico ideale, la bellezza trascendente di ciò che non sarà mai più, forse perché, in fondo, non è nemmeno stato davvero. Conosco il trasformare qualsiasi momento in gemma struggente purché lontano nel tempo. Cosa rimane a noi sessantenni se non ripercorrere il passato, sentire l’affievolirsi delle pulsioni, il venir meno del talento e dell’elan vital? Possiamo solo vivere ogni angolo delle nostre città, dei nostri mari, delle nostre periferie industriali accarezzandole con lo sguardo, ritrovandoci ciò che è stato e creando allo stesso tempo nuove future rappresentazioni per il tempo che sarà, se mai ci sarà concesso.
Struggente poesia, come sempre nei testi di Lupi, che ti trascina privo di meta da una pagina all’altra, affatato e dilaniato da una malinconia senza confini, una malinconia da bestia stanca che ormai si lecca le ferite.
The First Memory
/image%2F0394939%2F20220702%2Fob_9bcc18_clock-1258448-1920.jpg)
Il mio primo ricordo è di quando avevo suppergiù tre anni. L’immagine iniziale che si materializzò davanti ai miei occhi fu un orologio quadrato con cornice in legno appeso al muro.
Tic tac, tic tac, tic tac…
Imbambolato e con sguardo alzato, fissai quello che definii un giocattolo, ed ebbi il desiderio di prenderlo cosicché potessi divertirmi a scassare le povere lancette. Ecco, se fosse stato un orologio a cucù, sicuramente avrei voluto acchiappare l'uccellino.
Con le braccia alzate, salticchiai davanti alla parete con l'intento di afferrare l'orologio. Ma piccino com'ero non ci riuscii.
Mi resi comunque conto di essere padrone del mio corpo e di poter interagire con l’ambiente circostante, tra l’altro giungendo ad una riflessione esistenziale. A tal proposito, mi chiesi come ero giunto in quella cucina irradiata da una meravigliosa luce solare che proveniva da una porta finestra spalancata. Tale apertura conduceva al balcone dove un triciclo di colore rosso mi invitava a giocare.
Quell'atmosfera mi procurava una fantastica suggestione, addirittura gli oggetti presenti sembravano brillare: le tazze, la caffettiera, le pentole, il tavolo...
Un po' come la volpe con l'uva, decisi di lasciar perdere quell'affare "ticchettoso", e girandomi notai mia madre che rideva.
Quanto era bella la mia mamma! Praticamente una ragazza poiché aveva circa venticinque anni. I lunghi capelli neri ondulati che le scendevano sulle spalle, gli occhi grandi e castani, e il suo vestito a fiori furono i dettagli su cui mi soffermai con attenzione.
«Vieni qui, monellino!» esclamò con dolcezza.
Mi prese in braccio e riempiendomi di bacetti mi comunicò che papà stava tornando dal lavoro. Pochi minuti dopo rincasò mio padre con addosso l’uniforme della polizia penitenziaria e con la sigaretta in bocca che spense quasi subito in un portacenere. Appena ci avvolse tutte e due in un abbraccio, avvertii un indescrivibile calore famigliare.
Improvvisamente, da sotto sentii ben altro tipo di "calore", visto che avevo riempito il pannolino di pupù e di pipì.
Di quel giorno, non rammemoro nient'altro.
The Beast
/image%2F0394939%2F20220702%2Fob_beb751_fire-3879031-1920.jpg)
Un colpo di Walther Pkk 7.65 alla tempia è l'ultima cosa che ricordo. Buio, buio e ancora buio, per interminabili momenti che forse perdurano da ore, giorni, o chissà quanti anni.
Finalmente riacquisto la vista, l'udito, l'olfatto, il gusto, il tatto e le capacità motorie. Dove mi trovo? È un posto così terrificante, una selva tenebrosa animata da angoscianti rumori e strilla dall'ignota origine, tra cui un mostruoso muggito.
Nudo come un verme, attraverso alcune stradine sterrate, fino ad arrivare in una cittadella dall'aspetto antico, credo medievale, protetta da mura imponenti dalle quali posso distinguere le innumerevoli macchie di sangue. Avverto un'atmosfera cupa e morbosa, inoltre ad accrescere il mio raccapriccio ci sono le aleggianti e vaporose nubi rossastre. Avanzo lentamente, finché non vengo scaraventato a terra da una forza sconosciuta.
Scheisse! Mi ritrovo ad annaspare in una nerissima fanghiglia dall'olezzo pestilenziale che mi fa contorcere lo stomaco. Mi rialzo penosamente in piedi e scorgo dapprima un'ombra, sino a delineare un'orripilante figura somigliante al Minotauro che se ne sta con le braccia conserte in fondo a una viuzza disseminata da torce accese. Sembra proprio che mi stia aspettando.
All'improvviso, un lampo scagliato dal cielo nerastro rischiara per un solo istante la cittadella come per ammonire la mia iniquità e quella di altri dannati che corrono freneticamente lungo un'intricata rete di passaggi.
Sopraffatto dal terrore inizio a correre, ma è tutto inutile, la nefasta creatura mi raggiunge agilmente tirandomi per il collo per poi scarificare una svastica sulle mie spalle con i suoi unghioni acuminati.
“Mein gott!” esclamo dolorosamente.
“Adolf, qui non c'è Dio, qui ci sono Io. Da queste parti si soffre e si patisce continuamente, il tempo non esiste, semmai il tormentoso eterno sempre" mi sussurra con tono mefistofelico, abbassando il capo.
Rassegnato alle crudeli tribolazioni che mi aspettano, in quest'Inferno sto pagando per l'inferno che avevo causato in Terra.
Lo straniero senza nome
/image%2F0394939%2F20220702%2Fob_9a1e02_bar-1443826-1920.jpg)
Lo Straniero Senza Nome, giunse a El Fica, una tranquilla cittadina del Colorato.
L’uomo, affamato come non mai, entrò in un McLeone’s e si fece preparare Il Panozzo di Terence Hill, un pagnottone farcito di carne di cavallo e fagioli con salsa di pomodoro che divorò avidamente, per di più tracannando un lattinone di gazzosa al cactus.
Uscì dal locale, indeciso se dirigersi in un'armeria ad acquistare una scatola di munizioni per il suo revolver LeMat oppure cercare una locanda per riposarsi, dopo cinque estenuanti giorni a girovagare per monti e per dune a pigliare il cocentissimo sole, tranne lì dove non batteva.
Dato che aveva la gola secca come il deserto per via dell’arsura, non ritenne urgente nessuna delle due opzioni. Pertanto preferì andare a bere qualcosa di fresco e dissetante da qualche parte.
Il paese era disseminato di saloon, il cowboy ne scelse uno a caso ovvero il Salo'on e le 120 giornate di Sodoma, titolato così in merito a Sodoma, il nome della proprietaria che gestiva il pubblico esercizio per 120 giorni all'anno.
Lo Straniero Senza Nome stava quasi per entrare nel locale quando la sua attenzione e quella di un nugolo di astanti venne catturata da uno sceriffo panzone letteralmente sbracato e da un individuo guercio, dagli indumenti sporchi e lacerati. Entrambi, collocati nella corsia delle carovane a pochi metri di distanza l'uno dall'altro, assunsero una posa da duello.
Lo Straniero Senza Nome pensò che una bella Yucca con ghiaccio poteva aspettare dal momento che non si sarebbe perso la sfida nemmeno per tutto l'oro del Klondike.
Nel frattempo, i due duellanti si studiarono, accarezzando l'impugnatura delle rispettive pistole.
«Questa città è troppo piccola per tutti e due!» gridò il guercio.
«Hai ragione! Preparati ad essere sconfitto!» esclamò lo sceriffaccio.
I due contendenti si guardarono con intensità, immobili come due rocce del Gran Canyon.
«Perché nessuno chiama il becchino?» chiese Lo Straniero Senza Nome a uno dei curiosi seduto sopra una cassa di legno.
«Non ce n'è bisogno» gli spiegò il tizio, un mezzo indiano d'America e mezzo indiano dell'India. «Si affrontano al chi viene per primo da ridere, perde. Si stanno giocando la stella e il posto da sceriffo.»
Passarono circa cinque minuti.
Il grassone scoppiò a ridere, vinse il guercio, grazie a una serie di provvidenziali inarcamenti delle sopracciglia da far suscitare il riso persino ai presenti, al contrario dello Straniero Senza Nome, tutto paonazzo a causa del Panozzo di Terence Hill che gli procurò un terribile mal di pancia dalla conseguente rumorosa scoreggia. Il guercio non ci vedeva bene; tuttavia ci sentiva benissimo, credeva che quel forestiero volesse fregargli il lavoro con un confetto di piombo. Il neo sceriffo, estraendo velocemente la Colt dalla fondina, rispose allo "sparo".
Lo strabismo dello sbrindellato zozzone gli impedì di centrale il cowboy, ma bensì l'insegna del saloon che cascò in testa a quest'ultimo.
E fu così che lo Straniero Senza Nome divenne lo Stranito Senza Nome.
Aldo Dalla Vecchia, "La consapevolezza di te"
/image%2F0394939%2F20220702%2Fob_f3084f_laconsapevolezzadite.jpg)
La consapevolezza di te
Aldo Dalla Vecchia
Isenzatregua Edizioni, 2020
pp 140
12,00
Aldo Dalla Vecchia è sempre Aldo Dalla Vecchia anche quando, con un libro come La consapevolezza di te, spalanca un mondo che la sottoscritta non conosceva. È sempre lui anche quando usa parole oscene e riporta incontri – veri o presunti – scaturiti da chat a scopo sessuale.
A frequentare queste chat erotiche che si concludono a letto sono, ci spiega, non soltanto omosessuali ma molti cosiddetti etero, o meglio maschi sposati, con figli e una vita dall’apparenza banale. Forse è questa tediosa normalità che li spinge a fare sesso con altri maschi, oppure è – come sospetta l’autore – uno stratagemma per non indagare il proprio latente essere gay. Cosa che, invece, l’autore fa con spietatezza e compassione, con lotta e accettazione, con sofferenza ed epifania.
Una serie di quadretti corredati di illustrazione finale – soluzione non nuova all’autore – dove, invece del solito gustoso bozzetto di costume televisivo, c’è l’incontro con un esemplare umano di sesso maschile. Dalla Vecchia colloca ognuno di questi personaggi sotto una lente d’ingrandimento, lo seziona e analizza. In questo procedimento, nonostante l’eccitazione, l’eros, la libido, l’autore rimane distaccato. Così, oltre ai partner erotici, l’autore viviseziona anche se stesso, le proprie reazioni, i propri gusti, accettandosi senza forse piacersi del tutto. Quel narrare in seconda persona è sintomo di un voluto allontanamento, del mancato coraggio di dire “io” e del coinvolgimento di ciascuno di noi, tutti potenziali attori di insospettate trasgressioni porno ma non solo.
Con questo libro Aldo Dalla Vecchia torna indietro di anni, come se sentisse il bisogno di svincolarsi da tutte le sovrastrutture accumulate nel tempo, che pure fanno parte di lui - la cultura, la professionalità, le relazioni affettive e amicali - per mostrarsi nudo nel vero senso della parola, per riscoprire il nocciolo più autentico di se stesso donandogli in questo modo una nuova purezza. Capiamo che, dopo la lunga guerra interiore, egli finisce per recuperare tutte le parti di sé, per voler bene a quel ragazzo timido il quale ha cercato con tutte le sperimentazioni possibili la propria unicità.
Il grande assente di questa narrazione, vuoi per pudore, vuoi perché non è l’oggetto dell’indagine, è l’amore, se non accennato come ricordo infantile. Ciò connota di tristezza un contenuto che sarebbe solo squallido e arido se non fosse, appunto, esposto con freddezza da entomologo, con la solita lucida – e al tempo stesso innocente – ironia di Dalla Vecchia, quel suo rimanere elegantemente perbene anche quando tratta una materia scabra con termini crudi e brutali.
Marco Galvagni, "Sogno d'amore"
/image%2F0394939%2F20220701%2Fob_924c9e_foto-libro-sogno-d-amore-marco-galvagn.jpg)
Sogno d'amore di Marco Galvagni (Quaderni di poesia - Eretica Edizioni, 2022 pp.76 € 15.00) è un inno alla vita, un canzoniere destinato all'infinito sostegno della vocazione sensoriale nella mente e nell'animo. Il poeta padroneggia la materia plasmabile dell'amore, descrive una eloquente combinazione d'immagini e di sensazioni, coinvolge l'incanto delle emozioni. Marco Galvagni è profeta del desiderio. Raggiunge il talento esplicativo nel ritmo ardente delle liriche, accompagna l'intonazione della pura adesione all'infatuazione e all'intensità dell'anima, nello stupore e nel calore della complicità. L'occasione viva, incondizionata, esclusiva della poesia, sostiene l'esistenza, coglie l'istante descrittivo nei contenuti estetici del cuore, del destino, estende lo scenario naturale dell'illuminazione, attraverso il potere allusivo del mare, il confine simbolico del cielo, la lusinga degli occhi. Il poeta evoca forme e colori universali, nell'immediatezza idilliaca di carezzevoli similitudini e accattivanti metafore, nella trasposizione emblematica del linguaggio. I testi ripercorrono sentimenti suadenti e ritraggono impressioni lusinghiere nei confronti di una idealizzazione romantica, nella fantasia onirica dei paesaggi interiori. La meraviglia ricorrente del poeta esalta il fascino inatteso e amabile della seduzione, il corpo della donna e la trasmissione persuasiva del corteggiamento. Il germoglio amoroso dei versi manifesta l'origine compiuta della passione, unisce la spiritualità e la carnalità, nella sensualità dell'attesa, nella ricerca costante dell'universo di senso, nel carattere pulsionale dell'inconscio. L'eros, in Marco Galvagni, è sempre una rifrazione sincera verso la bellezza, un indicatore elegante e discreto dell'orizzonte segreto della volontà amatoria. Sogno d'amore coglie l'intensità vitale nell'ascolto estasiato del tempo, nella voce saggia del poeta che si affida al fascino originario del destino per decifrare la relazione ammaliante con il mondo. La silloge si compone anche di poesie scelte, riunite nella memoria affettiva, dalle tematiche intimiste, collegate allo strumento letterario di restituzione dei ricordi, nel silenzio della nostalgia. L'orientamento poetico di Marco Galvagni riconsegna alla parola penetrante e fremente l'energia assorta nel balsamo ipnotico dell'immaginazione, sublima l'entusiasmo e la delicatezza dell'ispirazione, evidenzia il beneficio della luce dell'inchiostro gettato su ogni pagina bianca della vita. Il poeta rivolge la sua infuocata e sapiente riflessione sulla natura umana nel vincolo reciproco della speranza, ammette la vulnerabilità della chimera ma continua ad assaporare il dolce spirito del rituale attraente nella necessità d'amare, nelle corde di un cammino memorabile verso la nobile esigenza del piacere. La verità rappresentativa del coinvolgimento, la risonanza intuitiva degli insegnamenti d'amore, traducono la direzione dell'approccio con le tonalità sentimentali dell'essere: “Perché l’amore, mentre la vita ci incalza, /è semplicemente un’onda alta sopra le onde.” (Pablo Neruda)
Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Il poeta
Il poeta è una nuvola innamorata,
una goccia di stella scesa dal cielo,
la sua parola è l'onda che sale e si rovescia,
parola nel mare che sposta le navi col pensiero
macchia di luna bagnata dai raggi del suo sorriso
cielo impassibilmente terso
che custodisce i sogni dei gabbiani:
volano nella notte scendendo dalle stelle,
risalgono nell'aurora bruciando il sole.
Ho visto te
Ho visto un cielo di bolle
colorate di giallo grano,
di verde cespuglio,
di rosso papavero.
Ho visto uno spazio
libero per l'amore.
Ho visto te.
Sogno d'amore
Donna proibita
carnosa nelle lame di sole
scaverai, dopo un autunno lussureggiante,
con le sottili note di canto
della tua voce
un bagno di musica nel manto nevoso dei prati.
Sono ora ombre di tomba
i vecchi amori con corteccia di tartaruga,
un altro nido ha il mio paesaggio femminile
trepido di future delizie infuocate,
altre finestre hanno gli spifferi di vento -
agiterà con desiderio d'ardore le lenzuola.
Sarà nostro il paesaggio,
nostre saranno le calze che sovrasteranno i cirri,
non un palmo della mia mano ti sarà distante -
sarò la tua palma prestabilita,
dea che trae origini dai miei sogni,
dal mio sogno d'amore.
Sarai frutto deflorato,
regina che spossata si rigirerà
in un turbine di passione,
in un armonico saliscendi di ogni notte
figlio del mio desiderio d'amarti
facendoti gioire col mio vello.
Nell'aurora
Ti scorgo nuda e brillante -
un aculeo di paura
irrompe sotto il firmamento -
un fremito nel corpo
il tuo di corallo
orda la spuma dell'erba.
Giorni funesti per altre donne
bruciano infuocati,
gioventù s'è infranta,
ora son sorrisi velati
tramati di carezze -
avranno i gemiti del fiore brunito.
L'alba libera gli uccelli,
parole dal cuore di marmo,
rettili dagli occhi d'artigli -
costruisco la catena d'un ponte
invisibile come paglia trepida d'aria.
Sulla nostra pelle vestita d'amore
Potremo respirare
l'odore di stelle del mare
annusando il profumo di muschio della notte
sulla nostra pelle vestita d'amore.
Perdermi nella musica d'un arcobaleno
coricati accanto sul silenzio del bagnasciuga
intinto dei tuoi colori: carbone corvino
come le tracce, ornato - come i nembi del cielo -
da un velo d'ebano come il mare dei tuoi occhi.
Volo sognante nella fitta trama dei pensieri
in un'aurora di colori, accarezzato
dalla luce del sole, ascoltando i miei sospiri:
saranno sferzate di brezza
sulla nostra pelle vestita d'amore
mentre sarai nuda tra le mie braccia
e avrai un sorriso di stelle di madreperla, luccicante di
desideri.
Nella sabbia persino gli arenicoli danzeranno di gioia,
lascerà una scia di libertà l'impronta dei nostri passi.
Evento contro la violenza sulle donne organizzato a Prato.
/image%2F0394939%2F20220701%2Fob_333635_290013519-2097247970425221-70514218442.jpg)
Grande successo per la stilista Cinzia Diddi, evento contro la violenza sulle donne organizzato a Prato.
Abbiamo raggiunto al telefono la Stilista Cinzia Diddi, impegnatissima in questo periodo in molte iniziative benefiche, a lavoro su molti set, fra shooting, programmi e film. Quello che ci colpisce di questa grande artista è la sua umanità e l’impegno costante nel sociale. Ormai da anni si occupa dei diritti delle Donne e combatte con tutta se stessa, utilizzando il suo lavoro contro la violenza sulle donne. Da ricordare la sua partecipazione a “Preludio” il cortometraggio che è stato in corsa per l’ambita statuetta, il David di Donatello. Moltissime le iniziative, in prima fila insieme a Jo Squillo al muro delle bambole, per ricordare che le donne devono essere sempre rispettate.
Abbiamo appreso dai social di un nuovo evento contro la violenza sulle donne, perché l’utilizzo di abiti bellissimi e preziosi?
Mi sono ispirata alla bellezza delle donne, quella esteriore ma soprattutto interiore. Ogni donna è unica e bellissima! Gli abiti sono preziosi tanto quanto lo sono le donne. Gli abiti sono colorati come l’anima delle donne. Gli abiti sono brillanti tanto quanto è brillante il cuore delle donne. I parallelismi sono molti.
L’evento si è svolto a Prato, abbiamo letto sulla sua pagina Facebook.
Un piccolo ma significativo evento, perché è dal piccolo che si parte per attuare grandi cambiamenti, un modo per sensibilizzare ancora all’argomento e poi ancora e poi ancora, senza fermarsi mai.
Non era sola ad organizzare?
Come sempre è una squadra che lavora insieme, un bel sodalizio col fotografo Stefano Nannucci, sei ragazze che hanno indossato gli abiti, Elena Grazzini ed Elisa Mosca entrambe hair stylist, mi piace lavorare con persone professionali e aggiornate nel proprio lavoro.
Perché ha scelto il fotografo Stefano Nannucci?
Quando l’ho conosciuto mi ha detto: amo raccontare le emozioni senza bisogno di parole. È bastata questa frase perché poi è quello che faccio anche io col mio lavoro. E poi sicuramente l’utilizzo sapiente della luce nei suoi scatti e l’arte di fotografare elaborando lo scatto prima ancora di scattare concretamente la foto, prima nella mente e poi nella macchina.
Le chiedo ovviamente perché ha scelto di lavorare con Elisa Mosca ed Elena Grazzini?
Prima di tutto per la loro bellezza come esseri umani e non mi sembra poco di questi tempi! Ovviamente dal punto di vista professionale per la loro competenza, la tecnica. Elena Grazzini, oltre ad essere esperta nello studio profondo di cute e struttura del capello attraverso mezzi quali microscopio, microcamera e luce polarizzata, è anche consulente di armocromia. Elisa Mosca è professionalizzata in acconciature ed è colorista specializzata.
Non avevamo dubbi che scegliesse abili professionisti, vista la sua levatura, pensa che vi rivedremo insieme?
Non posso svelare niente, seguitemi sui social. Ovviamente grazie per questo bellissimo complimento.
I VINCITORI DELLA III EDIZIONE DEL CONCORSO SCARAMUZZA, LETTERATURA PER RAGAZZI: PREMIATI I TEMI DEL BULLISMO E L'AMORE PER GLI ANIMALI
/image%2F0394939%2F20220615%2Fob_06ca3d_rocca-terzi-sissa-trecasali-castelli-d.jpg)
Si è svolta domenica 12 giugno nella splendida cornice della Rocca dei Terzi a Sissa Trecasali (PR) la premiazione della terza edizione del Premio letterario Scaramuzza dedicato alla letteratura per ragazzi.
Dopo la presentazione istituzionale dell’assessore alla cultura Tiziana Tridente, che ha ringraziato la Proloco di Sissa Trecasali per la collaborazione sia nell’organizzazione della finale e sia come parte attiva nel comitato di lettura, Eddy Lovaglio dell’associazione Parma Operart, organizzatrice del concorso, ha spiegato che oltre ai premi per le quattro categorie in gara (letteratura, libri illustrati, racconto inedito, poesia) si sono volute dare diverse menzioni ai finalisti per evidenziare l’altissima qualità degli elaborati selezionati. Tutti gli autori intervenuti sul palco hanno portato argomenti interessanti e coinvolgenti a dimostrazione che la letteratura per ragazzi è una forma di comunicazione ampia, propositiva e vivace.
Hanno vinto in ex-aequo per la narrativa due romanzi sul bullismo: Ragazzi selvaggi di Luca Azzolini (De Agostini) e Canaglia di Pasquale De Caria (Graphofeel). Ragazzi selvaggi è una vicenda autobiografica, ha spiegato l'autore che da ragazzino è stato vittima di vessazioni da parte di alcuni suoi coetanei, e riuscire a scriverla è stato un momento catartico che gli ha aperto nuove strade.
Due vincitrici anche per i libri illustrati, scelti per la particolare espressione dell'amore per il mondo animale. Nicoletta Bortolotti con Il cielo degli animali (Gribaudo, illustrazioni di Cristiana Cerretti) che racconta di un luogo in cui vanno gli animali dopo la morte, e Simona Negro con Bastiano Nullaniente. Lo gnomo che salvò le api (Nuinui, illustrazioni di Zsuzsanna Botos) che introduce i più giovani al magico mondo dell'alveare.
Per la poesia il vincitore è stato C'era una strada nel bosco. Lunario poetico (Giunti editore) un libro illustrato con 365 poesie e filastrocche tradotto da Roberto Serrai.
Il premio per il miglior racconto inedito è andato al giovane parmigiano Alessandro Conforti con Bargnolino e castagnaccio, una storia ambientata in un borgo sugli Appennini ai primi del '900 con protagonista una donna, un po' strega, un po' curatrice.
Tutti i premi:
LIBRI EDITI
VINCITORI ex aequo
Luca Azzolini Ragazzi Selvaggi De Agostini - Libri per Ragazzi
Pasquale De Caria Canaglia Graphofeel edizioni
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Giovanni Eccher La terra degli incubi Mondadori
MENZIONE D'ONORE
Vincenzo Zoda Roberta Tiberia A spasso con Armstrong Gemma Edizioni
MENZIONE DI MERITO
Gabriele Volpe Philì, la cagnolina geniale Autorinediti
LIBRI ILLUSTRATI
VINCITORI ex aequo
Nicoletta Bortolotti illustrazioni Cristiana Cerretti Il cielo degli animali (Edizioni Gribaudo)
Simona Negro illustrazioni di Zsuzsanna Botos Bastiano Nullaniente, lo gnomo che salvò le api (NuiNui editore)
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Beppe Mecconi Laneghè Isola del Mar Tenebroso Töpffer edizioni
MENZIONE D’ONORE
Laura Imai Messina Goro Goro Adriano Salani Editore
MENZIONE DI MERITO
Nicola Lupi Nebù non ha paura Bookroad edizioni
POESIA
VINCITORE
Roberto Serrai C'era una volta una strada nel bosco Giunti Editore
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Gianluca Caporaso Tempo al tempo Adriano Salani Editore
MENZIONE D’ONORE
Sergio Giovannetti E San Rocco fece un fiocco Youcanprint
RACCONTI INEDITI
VINCITORE
Alessandro Conforti Bargnolino e castagnaccio
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Bruno Pompili Il valico del diavolo
MENZIONE D’ONORE
Andrea Francesca Manco Un sogno nell'arnia
Valentina Santini, "L'osso del cuore"
/image%2F0394939%2F20220608%2Fob_70a166_9788833574769.jpg)
Valentina Santini
L’osso del cuore
Edizioni E/O, 2022
– Euro 17 – Pag. 200
L’osso del cuore non è un libro facile. Valentina Santini ha uno stile chirurgico ed essenziale, fatto di periodi frammentari e di brevi dialoghi, efficace per il tipo di storia cruda e senza speranza che vuol raccontare. Il lettore comprende il senso del titolo a pagina 76 o giù di lì. Mi sei entrata nell’osso del cuore (per dire che si è innamorato). Ma il cuore non ha l’osso. Il mio sì. Un dialogo rapido e ficcante fa capire che ci troviamo all’interno di una storia d’amore. Ma non è la solita storia d’amore. No davvero, è una storia d’amore e morte, corretta al fantastico, tipo I viaggiatori della sera di Umberto Simonetta, che Ugo Tognazzi portò al cinema in uno stupendo film interpretato insieme a Ornella Vanoni, che consiglio di recuperare. Ci troviamo nell’Italia del 1976, ispirata all’Argentina della dittatura militare, perché in questa Italia di fantasia ha trionfato una parte politica nazistoide che mette in campo di concentramento i non conformi, gli individui pericolosi e i dissidenti. Il romanzo non è per stomaci deboli, perché buona parte del racconto descrive torture, moncherini vari, animali spellati, corpi attaccati ai ganci e via di questo passo. Se fosse un film sarebbe a montaggio alternato, perché di consequenziale la narrazione ha ben poco, non segue un ordine logico ma avanza per rimandi, flashback e ricordi. In ogni caso la storia si svolge tra Pontassieve, Firenze, Santa Fiora e Peretola, mentre molte sequenze sono ambientate in una Casa della Libertà di pura fantasia, un lager vero e proprio dove ne accadono di tutti i colori e dal quale a un certo punto i protagonisti fuggono. Nella seconda parte ci rendiamo conto che la protagonista femminile è un’artista provetta che confeziona copie perfette di Modigliani e altri autori importanti, oltre a palesare un originale talento. Esordio narrativo di Valentina Santini del tutto diverso da altri debutti, quando troviamo un autore che vuol raccontare una storia personale, urgente, che da tempo tiene dentro e che deve proprio uscire. L’osso del cuore è tutt’altra cosa, è un romanzo costruito secondo le regole della miglior scuola di scrittura creativa, scritto con grande tecnica narrativa, senza errori di sorta, del tutto privo di ingenuità. Un esordio insolito, che nasconde una scrittrice interessante, capace di maneggiare horror e noir, persino il torture, che provoca nel lettore un mix di disgusto e ribrezzo. Certo, è un tipo di storia che ha bisogno di un suo pubblico, desideroso di trovare emozioni nere e crudeli sulla pagina bianca. Valentina Santini è un’ottima scrittrice, questo è fuori discussione, proprio per questo mi piacerebbe leggere un suo romanzo che la coinvolga in prima persona e che segua meno le regole del mercato. L’osso del cuore resta comunque un buon noir distopico, crudo e realistico, fantastico e persino sentimentale.
Federico Guerri, "Senza disturbare i tulipani"
/image%2F0394939%2F20220608%2Fob_53920e_9788896350973-0-536-0-75.jpg)
Federico Guerri
Senza disturbare i tulipani
Edizioni Spartaco, 2022
– Euro 14 – Pag. 155
Condivido gli stessi gusti letterari di Edizioni Spartaco, perché dopo Müchela Iena di Vincenzo Trama, incontro Senza disturbare i tulipani di Federico Guerri, due romanzi scritti da autori che ho pubblicato con Il Foglio Letterario, giustamente liberi di percorrere altre strade e di fare esperienze nuove. Non esiste concorrenza in letteratura, se il fine ultimo è fare cose belle, dare voce a chi merita spazio ma non lo trova in una grande editoria sommersa da fenomeni da baraccone, nani, clown e ballerine. Senza disturbare i tulipani è – per usare le parole del suo autore - un romanzo sui legami, la memoria e il senso di comunità, una favola moderna piena di app, amicizia, motori, amori, pizze e storie. Tante storie. Protagonista e filo conduttore di queste storie che debordano da un romanzo contenitore è il signor Alberto, un settantenne vedovo, il più attempato fattorino di pizze a domicilio della storia. Alberto tratta i clienti con grande gentilezza, alcuni si meravigliano di dover dare la mancia a un signore molto più anziano di loro, ma alla fine lasciano ottime recensioni sui siti, elogiano il suo saper trattare con gli altri, la capacità di ascolto, la sagace ironia con cui tratta i clienti, oltre a consegnare pizze a domicilio. Tu leggi questo romanzo - una sorta di spin-off della saga Bucinella (edita dal Foglio Letterario), alias una Follonica che Guerri non cita, ma che viene fuori dai ricordi - e ti vien voglia di aprire un luogo dove si raccolgono storie e si leggono i libri preferiti, riadattando alla bisogna una vecchia cabina telefonica, che divenga elemento fisso d’un paesaggio in mutazione. Storie come fossero tulipani, ricordi che affiorano dagli abissi d’un oceano misterioso, l’importante è non disturbarli in fondo al mare, saperli coltivare, tenendoli in serbo per quando serviranno. Un romanzo fantastico e surreale, originale, teatrale, intriso di elementi potenti ed evocativi, ambientato in un luogo dove in fondo al mare non crescono alghe e anemoni, ma tulipani; un posto dove i protagonisti sognano di vivere insieme sull’isola dei tulipani. Il racconto è composto di molti personaggi contemporanei, uomini e donne che non hanno bisogno di imparare niente, basta scaricare un app sul cellulare. Tutto scorre a Bucinella, ma si recuperano storie, a bordo di una motocicletta del Terzo Reich che salva le narrazioni proprio dove i nazisti le bruciavano. In compagnia dell’anziano delle pizze, che con gentilezza suona campanelli e consegna Margherite, Maialone e Quattro Formaggi, andiamo alla scoperta della memoria del mondo, di una diga che sta cominciando a cedere, ma basterà un dito di un bambino a salvare il villaggio, fermando la pressione dell’oblio sulle nostre vite. Federico Guerri, già presentato al Premio Strega con 24:00 Una commedia romantica sulla fine del mondo, autore del successo editoriale Questa sono io e del progetto Bucinella - 25.000 abitanti circa, continua a stupire chi ama la letteratura, almeno quanto sorprende come sia possibile che un autore così geniale pubblichi con Il Foglio Letterario e con Spartaco, mentre scrittori inutili vengono accolti a braccia aperte da una grande editoria che ha smarrito da tempo la strada maestra della letteratura.