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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

luoghi da conoscere

Lombriconi in forma di rosa

27 Aprile 2019 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

 

Si apre come un’aurora Piombino, dietro le spirali del Cornia, gonfio di alberi splendidi come fiori, biancheggiante città che attende il futuro, forma incerta come una nebulosa, nella nebbia d’un indistinto presente. Come in un film di Pasolini, solo che le Borgate più non ci sono, restano i Lombriconi, antichi palazzi color giallo mattone, con le persiane verdi scolorite da tempo, salmastro e incuria, da neocapitalismo incolto che non è più tale. Resta il ricordo del Rio Salivoli, il canale del Vallone, dove ragazzini tiravano calci a un pallone, futuri giocatori con maglie gialloverdi o nerazzurre. Come in un film di Pasolini, Mamma Roma o La Ricotta, non saprei, passano silenti da questa campagna cittadina, le antiche strade che corrono verso il mare. Pini marittimi svettanti, pitosfori, invecchiati lecci, insolite acacie, oleandri, palme ammalate dalle chiome incappucciate, che circondano questo litorale, una disperata vitalità da non poter comunicare, che non è la morte peggiore, quel che nega la speranza in fondo è solo non essere compreso.   

I sogni del mattino a primavera, cantano monotone le tortore, s’odono grilli e passeracci, mentre quel sole antico splende su panni tesi ad asciugare, tra  palazzoni sul mare, edificati a misura d’operaio; un autobus corre verso il niente, incontro a una giornata sempre uguale, fresca, assolata, tiepida a tratti, il mare leviga la costa rocciosa, immutabile, sgretolando una terra che profuma di sudore e pianto. Una disperata vitalità è quel che resta, nel niente che circonda il mio presente, un telefono che suona, sempre, irriverente, momento eternamente uguale, che consente l’attesa informe d’un istante, irripetibile, che non ti raggiunge. E i panni tesi da un terrazzo all’altro, orrore borghese di triste povertà, sono forse l’unico motivo per comporre poesia dal niente, tentativo di affacciarsi al mare, dalle case popolari di quel golfo, che vissero tempi di perduto acciaio, verso stagioni nuove, turismo senza fumo, dimenticando le troppe ciminiere, i palazzi anneriti, ormai distanti.

Popolo dei Lombriconi, che fai vivere un canyon naturale del Rio Salivoli, in odore di mare. Popolo vituperato da scrittori di successo con i tuoi panni tesi alle finestre, dovrai accontentarti del mio canto che profuma di ricordi, merende anni settanta, giovani calciatori tra primule e glicini in fiore, mentre un televisore in bianco e nero, alle cinque d’ogni pomeriggio, diffonde una musica perduta. Popolo che sottende una curva di dolore tra palazzi uguali alle storie passate, sogni e pini, lecci e acacie, rumore d’acqua sorgiva, mentre le tortore intonano un lugubre canto. Questo non è luogo da noir, cari scrittori, qui scorre poesia in forma di rosa, diventa tempo perduto, sui ciottoli smussati del Rio Salivoli, si perde e si confonde, rapida e silente, in una storia antica che diventa mare.

 

 

 

Il titolo è una voluta citazione di Poesia in forma di rosa di Pier Paolo Pasolini

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Lorenzo Barbieri, "Rione Sanità"

25 Marzo 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #lorenzo barbieri, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

Rione Sanità

Lorenzo Barbieri

LFA Publisher, 2018

pp 167

16,00

 

Leggendo Rione Sanità, di Lorenzo Barbieri, mi è venuto naturale ricordare una visita fatta al quartiere insieme alla mia amica napoletana, scrittrice di talento, Ida Verrei, e anche ricollegare questo testo (si badi bene, solo per contenuto e non per stile, essendo quello della Verrei di molto superiore) al suo Arassusia, ambientato nei medesimi luoghi e nel famoso Cimitero delle Fontanelle.

Come il suo protagonista, anche l’autore non abita più a Napoli, ma da ragazzo ha vissuto addirittura dentro il Palazzo Reale, dove ha sede la biblioteca Nazionale.  La Napoli di cui  parla non è quella di Saviano, delle stese e della paranza dei bambini, non è quella anonima e fredda de L’amica geniale, ma è quella calda, pastosa e sanguigna della grande tradizione partenopea, di Totò, Eduardo, (e anche Ida Verrei).

La città è misteriosa, sotterranea, superstiziosa, legata al senso della morte. Il rione vive di luci e ombre, fatto di vicoli ripidi, di porte che sprofondano direttamente nell’Ade, fra  catacombe e teschi. Contiene fatiscenti palazzi settecenteschi, nobili chiese ma anche bassi poveri e bui dove vive gente misera e dura.

I vicoli sono poesia, fetore, umore di vita, giochi di ombre e raggi di sole, desideri, speranze, rumori, nostalgie e sogni in attesa di realizzarsi.” (Pag. 92)

Il protagonista, Enzo, è un anziano giornalista che rientra a Napoli dopo una lunga assenza, e lo fa solo per seppellire in fretta la madre, con l’intento di tornarsene prima possibile al suo lavoro milanese. Percorre strade, piazze, vicoli insieme al notaio Oreste, sorta di guida dantesca.

In realtà la città lo ri-cattura, l’antico rione, in cui è vissuto da bambino, lo riacciuffa col suo fascino, col gusto dolceamaro della nostalgia. Da una parte egli mantiene lo sguardo distanziato di chi ormai non fa più parte di quel mondo, dall’altra si abbandona alla memoria, ripopolando ciò che vede con figure scaturite dal passato.

A parte le consuete imprecisioni di Barbieri nell’uso della punteggiatura e dei tempi, e la sua scrittura un po’ distratta, il difetto maggiore sta nell’aver voluto, credo, inserire nel romanzo alcuni racconti precedentemente scritti, non riuscendo ad amalgamarli come si deve nella trama. Il pregio, invece, è l’aver puntato un faro sul Rione Sanità, mostrandocelo com’è ora e com’era un tempo, in una narrazione sempre in bilico fra visione attuale, riscoperta e ricordo, come se il tessuto della realtà presentasse dei vuoti che solo la memoria può riempire, ricomponendo il mosaico.

Ma sul finale del libro c’è un ribaltamento, si esce repentinamente dal sogno con una doccia gelata e la realtà ha il sopravvento sulla deformazione consolante del ricordo. Le persone che sembravano genuine, vergini, povere ma innocenti, si rivelano grette, interessate, persino truffaldine, a conferma che nessuno fa niente per niente.

È vero, il napoletano è uno di buon cuore, disponibile e altruista, ma sotto, sotto, ci deve sempre ricavare qualcosa, è nel suo Dna, non lo fa per cattiveria.” (Pag. 135)

Non solo, il malaffare prospera e la filosofia generale, l’unica possibile, è “far finta di niente e tirare a campare”. Ne esce, perciò, un ritratto della napoletanità a chiaroscuro, una specie di odio e amore, disprezzo e meraviglia, curiosità e ribrezzo. La parte migliore del romanzo è quella iniziale, quando, suo malgrado, il protagonista subisce il fascino del quartiere e riscopre le figure che anticamente lo avevano animato.

Poi, purtroppo, c’è un crescendo di delusione, di meschinità e spilorceria, di fatalismo e rassegnazione che ci lasciano con la bocca amara e coinvolgono lo stesso protagonista il quale, alla fine, non ci sembra poi tanto migliore dei personaggi da lui incontrati.   

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MARIO & TONY MAL A SPASSO PE' ROMA: Er Mascherone dèr Mandrione

15 Febbraio 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #luoghi da conoscere

Mascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter FestMascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter FestMascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter Fest

Mascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter Fest

 

 

 


- A To', come stai?
 

- Mario mio, si sapessi ieri che nottata! Avrò pure guadambiato, ma mànco cjò ho magnato! Daje, accòmpagname a pjà er caffè e poi se ne annamo a Frascati.
 

- Er solito mezzo litro, na gazzosa co' la porchetta e er pane dè Lariano cotto a legna?
 

- E te credo, daje, annamo a pjà er cinque piotte.
 

- Sì, daje, così scappottamo e se spettinamo!
 

- Veramente io me vorrei svejà!
 

- Allora ce vòle n'caffè ar bacio!
 

- Nooo... Basta, te prego, stanotte so stato tutto n'bacio!!... Daje, va' a pjà er cinquino che t'aspetto qua.
 

Er cinquecento de Mario era n'automobbile molto caratteristica, perché, grazie a 'na particolare verniciatura americana, ogni mese je cambiava colore, annava da Walterfest l'artista, che sapeva quello che doveva fa pe accontentà la gente. Sta vòrta er cinque piotte era tutto giallo dippato de rosso e nero, 'no spettacolo!
 

- Oh, 'mazza che bella! Me sembra 'n pò coatta, però l'artista ha fatto 'n bel lavoro.
 

- 'A prossima vòrta me la deve da fa tutta rosa co' le sfumature arancioni.
 

- E perché?
 

- Vojo fa morì lì turisti Giapponesi che me fanno sempre le fotografie, nun poi capìì come li faccio ride!!
 

- Penza sì, se la volessero comprà e te offreno 'n milione!
 

- E mica jè la do, senti, nun rompe er cazzo co' 'ste cazzate, daje, monta che prima de pjà 'a discesa der Quadraro se fermamo alla funtana der Mandrione.

La funtana cor mascherone de Porta Furba se trova sulla via Tuscolana, all'inizzio de via der Mandrione. E' 'n monumento ordinato nel 1733 da Papa Clemente Xll Corsini e, probabilmente, ma nun ne sèmo certi, è stata ideata dall'architetto Francesco Bianchi 'n sostituzzione de 'n'àrtra funtana der 1586, quando era Papa Sisto V, e de questa vecchia àrimane solo 'n epigrafe sull'arco de fianco alla funtana.

Quello che corpisce de più la gente che passa da quelle parti è la figura ar centro della funtana, 'n mascherone che 'n po' te fa paura e 'n po' te fa ride, perché sembra che te vòle pjà p' èr culo.
Dopo er bombardamento a S.Lorenzo der 1943, la gente sfollata scappò e, pe la paura, se nascose sotto l'archi dell'Acquedotto, co' la speranza che l'aeroplani avrebbero àrisparmiato la robba antica de 'mportanza storica.

Finita la guera, la gente àritòrnò ar vecchio quartiere ma oramai sotto quell'archi quarcuno ce s'era fatta casa, l'anni '50 erano tempi de fame e disperazzione, e così via der Mandrione divenne na strada de mignotte, de papponi, de banditi e de povera gente baraccata. Adesso pe' fortuna è 'na via normale, tranquilla e, si vòlemo, pure chic, solo la funtana nun s'è mai spostata, è rimasta sempre lì, quasi a ricordacce tutto quello che Roma nei secoli ha passato, ma che è sempre caput mundi pe' la storia de tutto er monno.

- Mario, te piace sta funtana?
 

- E' bella davvero, me viè da penzà che, quanno ce l'hanno messa, qua era tutta campagna.
 

- A me, me sembra pure troppo bella pe sta da sola così isolata, a quell'epoca, a parte le mura dell'acquedotto, 'ntorno nun ce doveva sta gnente, qui stamo quasi più vicino a li castelli che ar centro de Roma.
 

- Cjai raggione, sicuramente ce passavano le pecore co li pecorari, la via der Mandrione forze ha preso er nome da tutti li gregge che ce passavano vicino, qua ce se fermava la gente de passaggio e se faceva na bevuta, ma sai che te dico?
 

- Dimme, dimme.
 

- Che sto mascherone er Papa ce lo mise pe mette paura a li briganti e a la gente senza fede, 'o vedi er faccione cor nasone, l'occhi furbi e la bocca larga che sputa l'acqua dentro a na conchija? Nun te mette soggezzione?
 

- E che te devo dìì? A me n'poco me fa ride!
 

- 'Nfatti, prima te fa ride e dopo, si nun te comporti bene, te fa piagne, che nun le vedi le ali largheaàr posto delle recchie?
 

- Ma mica è 'n mostro.
 

- No, me pare 'n pòro vecchio, però, seconno me, è Caronte, che te dice, bevi fratello ma si nun righi dritto te porto co me dà satanasso, zozzo tizzone d'enferno.
 

- Vòi scommette che te piace Tex Willer?
 

- E che vòi fa? Noiartri da regazzini mica cjavevamo tutto come quelli de adesso, dovevamo divertisse co' la fantasia.
 

- 'Nfatti, daje, arimontamo 'n machina e ànnàmòse a divertì, nannì.


Mario e Tony Mal risalgono in macchina.
 

- Bòngiorno!
 

- Oh! Mo sei diventato pure educato?
 

- Perché?
 

- Maj detto "Bòngiorno"
 

-E mica so stato io!
 

- E allora chi è stato?Io l'ho sentito co' l'orecchie mie!
 

- Certo che je l'avete fatta, eh!
 

- Ma limortacci tua! E te che ce stai a fa dentro la machina? Chi t'ha detto de entrà? E te che sei 'n gatto come fai a parlà?
 

- Ma sète proprio du' rincojoniti, ma nun la sapete che co' la fantasia se po' fa tutto? E poi, che ve possino acciàccàvve nun eravamo amici?
 

- Boh? A mè nun mè pare, a Tò, ma che adesso er gatto è diventato n'amico tuo?
 

- No!


- Scusateme, nun m'ero presentato e nun ve avevo detto de chi artro ero amico.
 

- Annàmo bene! Mo cjai pure artra gente alla quale scrocchi er pranzo e la cena?
 

- Me chiamo Armando e so amico de Dario.


- Ahhh... Mo ho capito!
 

- Vabbè, pure Dario è 'n grande amico nostro, ma adesso che voresti?
 

- Venìì co' voi a Frascati, perché, nun me ce volete?
 

- A Tò, che famo?
 

- A Mario, e che famo, se lo pòrtamo, oramai questo ce s'è accollato!
 

- Come ve vojo bene, me metto de dietro sur sedile, bòno, bòno, e nun ve darò fastidio.
 

- Sì ma, m'arriccomanno, nun te fa sentìì che parli, artrimenti a chi te sente je faremo pjà 'n infarto.
 

- A Mario, mica sei matto! Io parlo solo co' voi che semo amici!
 

-A Tò, ma allora è vero che li gatti so ruffiani.


- Ma che stai a dìì, noi gatti de strada cjavemo er savoir fair.
 

- 'A capito? Mecojoni!
 

E così Mario, Tony e Armando er gatto se ne andiedero a Frascati, se fionnarono dentro a na fraschetta e passarono in allegria er resto de la giornata, domani sarebbe stato 'n artro giorno a spasso pe' la città più bella der monno!

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Pietruccio Montalbetti, "Amazzonia, io mi fermo qui"

3 Febbraio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #luoghi da conoscere

 

 

 

Amazzonia, io mi fermo qui

Pietruccio Montalbetti

Editrice Zona, 2018

 

 

Il valore di Amazzonia, io mi fermo qui, ovviamente, non è nello stile, pur pulito e scorrevolissimo, ma nel contenuto.

Fra All’inseguimento della pietra verde, Fitzcarraldo e Passaggio a nordovest, in realtà un godibilissimo buon vecchio diario di viaggio in Amazzonia, scritto da Pietruccio Montalbetti, uno dei componenti la band - ma prima si diceva complesso – dei Dik Dik.

Montalbetti ha fatto un meraviglioso percorso in Ecuador, nel fitto della selva amazzonica, alle Galapagos e in Perù. È partito da solo, si è avvalso di compagnie occasionali, ha affrontato disagi e pericoli. Ne esce un ritratto di uomo curioso, innocente ma non sprovveduto, intelligente, sincero e gentile. Alcune scene sembrano un po’ cinematografiche e costruite ma non abbiamo motivo di dubitare della loro veridicità.

L’Amazzonia è un rigoglio di cose che pullulano, strisciano, volano, urlano; cose che pungono, avvelenano, azzannano. E di persone diverse da noi. Con innegabili differenze culturali che ci riesce difficile accettare. Noi occidentali, in particolare io, troviamo atroci le scene di brutali uccisioni di animali, anche se fatte per cibarsi, con buona pace di quelli che considerano non molto migliori le condizioni di vita e morte nei nostri allevamenti lager. Qui, almeno, sono mitigate per contrasto dalla dolcezza del protagonista, incapace di uccidere anche quando è attanagliato dai morsi della fame.

Di bello c’è la natura incontaminata - sebbene sempre più in pericolo - del bacino fluviale amazzonico. Cieli limpidi, alberi svettanti con in cima meravigliosi fiori colorati, pappagalli variopinti, bambini che sguazzano nudi e felici, scimmie di tutte le forme e misure. Ma anche insetti, vedove nere, anaconda, pirana e coccodrilli; anche insidie, agguati, teste mummificate, coltelli, acquazzoni e piogge incessanti; anche punture d’insetti, fame e pericoli.

Di buono c’è la libertà primordiale, il senso della vita come doveva essere all’inizio del tempo, fatta di cose semplici, di pura sopravvivenza, di affiatamento spontaneo e cameratesco fra compagni di viaggio, fra uomini di nazionalità, cultura ed estrazione diverse. C’è quel muoversi nella natura come fanno gli animali, annusando il vento, sviluppando sensi come l’olfatto che noi abbiamo atrofizzati, riscoprendo l’animale che è in noi. (Un po’ quello che l’etologo Marchesini ci invita a fare nel nostro rapporto col cane.)

Sorge prepotente la nostalgia per un mondo che non sarà mai più, che una parte di noi forse inconsciamente rimpiange, anche se, una volta presane coscienza per lo spazio d’un breve viaggio, è lieta di abbandonarlo per tornare con un sospiro di sollievo alla civiltà.

Le condizioni di vita degli indios, con le loro raccapriccianti zaza appese alle travi delle capanne - ovvero le teste rimpicciolite dei nemici uccisi - costituiscono un ecosistema che incuriosisce ma dal quale possiamo solo ritrarci, conservando, però, dentro di noi, il senso di un dubbio e di una possibilità. E se la civiltà e il progresso occidentali non fossero l’unico dei mondi possibili? Se ci fosse anche un’altra modalità, ancestrale, libera dai condizionamenti, dagli orari, dalla fretta, dall’obbligo di lavorare per vivere?

E colpiscono l’ospitalità e la generosità “da parte di gente che non aveva niente e per cui non ero niente”. La gentilezza, il riso, il pianto, il dolore, l’amicizia ci rendono universalmente umani.

Alla fine resta il rispetto per ciò che è diverso e non conosciamo. Resta la pietà per chi soffre. Soprattutto resta, prepotente, la nostalgia per questo eden incantevole e violento, insieme al fascino incontenibile dell’avventura, quello che ci fa sentire tutti, per un momento, un po’ Allan Quatermain e un po’ Indiana Jones.

 

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Il Gran Sasso

12 Dicembre 2018 , Scritto da Nando Con tag #nando, #poesia, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

Una volta dalla mia terra sono scappato

ora ci riandrei a piedi

con le ginocchia acciaccate

per farmi una mangiata

con gli amici quelli veri

che ti chiedono come stai

non chi sei diventato

magari con un tressette dentro

a un'osteria

schioccando le carte sul tavolino

tutto accompagnato da un po' di vino

Napoli a spade mi piacerebbe strillare ma

è un sogno non succederà

ho girato tutta l'Italia e son contento

ma la mancanza del Gran Sasso sempre la sento

ora un pensiero fisso mi accompagna

di finire il mio tempo sotto la montagna

 

 

Na vodd da la terra mi, so scappat,

Mo ci 'ariess pur a pet

ch li giunucchi scunucchiat,

pe fammm na magnat

ch li amici mi, ma chill ver,

ch ta' duman com sti

no chi i diventat.

Magar ch nu tresset dentr

a na cantin

schiucchien la cart su lu tavulin,

tutt  accumpagnat da nu po di ' vin.

Napoli a Spad, mi piacess strilla' ma

è nu sogn, non succederà.

So girat tutta l'Italia e so cuntent,

ma la mancanz de lu Gran Sasso sempre la sent.

Mo nu pensier fiss m'accumagn di fini' lu temp mi sott a la muntagn.

 

(Nando)

 

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Malinconia bella

15 Novembre 2018 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #le suggestioni di franca, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

Torno qui fra i miei monti, i miei boschi. Non c'è stagione più adatta per chi ama questi luoghi. Nell'aria respiro l'odore della terra umida, delle foglie bagnate, dei funghi, del vino nuovo e delle caldarroste che cuociono lente sul fuoco. E quei colori che tingono la collina, dal giallo al rosso, passando per l'arancione, tutto è uno spettacolo, mentre un raggio di sole dirada la nebbia e un alito di vento mi porta il rumore lieve delle foglie secche che cadono a terra. Mi stringo le braccia avvolte dal golfino di lana che sa ancora di naftalina, guardo avanti oltre la montagna, anche la mia malinconia è bella, si colora di felicità e profuma di autunno. Tempo di castagne e di vino nuovo dicevo, un rito irrinunciabile per me. Vi voglio raccontare di una passione per il vino. Un percorso di profondità, di bellezza e perfino di storia. Di un difficile cammino fatto di pazienza, di dedizione e apprendimento. Alla fine sulle labbra rimane l'ombra di un racconto profumato.

Vi voglio raccontare di serate in allegria, di amici, di risate e di canzoni. Di vendemmie sotto il sole settembrino e di sorrisi complici tra i tralci. Di odori e di bella compagnia, ricordi di un rosso tramonto o di un bianco inverno e il vin brulé in un bicchiere bollente. Di una famiglia unita intorno al grande tavolo delle feste, della sicurezza e della protezione avvertita sulla pelle, delle gioie brindate, dei dolori annegati e della facilità di aprirsi quando stappo la mia bottiglia: il sentimento a volte si annusa.

Vi voglio raccontare della semplicità dei gesti, del riscaldarsi dei cuori, della libertà dei pensieri e delle azioni. Chi ama il vino si inebria, non si perde, lo vive e lo sposa. Buonanotte amici, una buonanotte intinta di colori e di sapori.

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Verso sud

17 Aprile 2018 , Scritto da Lorenzo Barbieri Con tag #lorenzo barbieri, #racconto, #luoghi da conoscere

                                                                                 

 

 

 

Sono in viaggio da diverse ore e adesso che sono quasi vicino alla meta, mi trovo intrappolato sulla scorrimento veloce che conduce a Matera. E’ più di un’ora che siamo fermi, una fila ininterrotta di macchine sotto il sole, un vero inferno. In lontananza si vede solo una colonna di fumo denso che il vento porta a invadere la sede stradale, oltre la cortina non si riesce a vedere nulla. Sono esausto, il sole del sud, specie in agosto, picchia forte e restare in macchina sta diventando un incubo. Sulla mia destra, un centinaio di metri più avanti, vedo un cartello che indica una deviazione per una località che non dovrebbe trovarsi lontano da Matera, decido di tentare la sorte e uscire, forse percorrendo le vie poderali potrò raggiungere la città prima di sera. La macchina scotta e la benzina è diminuita in maniera notevole, devo tentare a tutti i costi. Finalmente sono su una stradina campestre, polverosa e stretta che s’insinua fra i campi, come un serpente sdraiato al sole. Ai lati ci sono coltivazioni di grano frammentate da rossi papaveri, all’orizzonte  profili tremolanti di montagne nel riverbero della luce e del caldo. Proseguo ingoiando polvere e maledicendo il mio capo che mi ha mandato in queste lande deserte per un servizio di costume. Matera e il suo hinterland negli ultimi tempi stanno sempre di più attirando l’attenzione dei media e di un turismo di élite. La terra di Lucania dimenticata da tutti si sta prendendo la sua rivincita.

A un tratto vedo un gruppo di alberi, raggruppati intorno a delle rocce, un asino legato ad un ramo se ne sta tranquillo al fresco. Quella visione di frescura sembra invitarmi, decido di fermarmi e parcheggio sotto un grosso albero fronzuto. Dopo tante ore, seduto in macchina e con quel calore, questa sosta è un toccasana. Con mia gran sorpresa, girando lo sguardo intorno, scopro che dietro un masso, leggermente più in basso, nascosto alla vista, c’è una specie di getto d’acqua, sembra una sorgente, il rigagnolo che si forma s’incanala nell’erba alta formando una specie di piccolo laghetto. Mai visione fu più stupefacente, subito mi rimbocco le maniche della camicia e cerco di scendere al livello dell’acqua. L’impresa si presenta più difficile del previsto, il luogo è scivoloso e le rocce appuntite, il leggero gorgoglio mi sprona a far presto, non resisto al richiamo e dopo alcuni scivoloni raggiungo il piccolo getto che  fuoriesce dal terreno, immergo le mani e un brivido percorre il corpo accaldato, l’acqua è fredda, pura, bevo con le mani a coppa e mi bagno la testa, che sollievo! Una sensazione di godimento mai provato. Bagno il fazzoletto e lo metto al collo per godere del fresco, il più a lungo possibile. Dopo queste operazioni, finalmente, scelgo un posto all’ombra e comincio a pensare al da farsi. Guardo l’asino un po’ più su, dove ho parcheggiato la macchina, mi guarda annoiato, con fare svogliato mastica lentamente un ciuffo d’erba. Apparterrà a qualcuno che non deve essere lontano, così decido di tornare alla macchina. Risalgo a malincuore il leggero dislivello e ad aspettarmi trovo una ragazzetta dai capelli neri, un viso grassottello con due occhi lucidi che guardano con interesse la mia macchina.

Appena mi vede si allontana rifugiandosi dietro l’asino che reagisce in malo modo per il disturbo, mentre io cerco di rassicurarla. 

  • Ciao, non aver paura, non ti nascondere, mi sono fermato per rinfrescarmi un po', come vedi la macchina è aperta, se vuoi puoi anche sederti dentro, vieni pure avanti, non aver timore.

 Lei mi guarda titubante, ma non osa muoversi, fissa un punto alle mie spalle, mi volto e vedo avanzare verso di me una donna vestita di nero, a prima vista non sembra anziana, nonostante la sua pelle. Ora che è abbastanza vicina e la posso vedere bene, è cotta dal sole, piena di rughe, i suoi occhi sono appesantiti, hanno una stanchezza che traspare da ogni sua occhiata. Viene avanti dondolando il corpo sugli zoccoli di legno che affondano nella terra, il suo corpo è in sovrappeso, rotonda ma energica, ha i capelli raccolti dietro con una specie di ciambella, fa un cenno col capo alla figlia che subito corre a rifugiarsi fra le sue braccia, mi guarda con uno sguardo fra il cattivo e il minaccioso, ma scorgo più paura che altro.

 

  • Buongiorno signora, mi scusi se ho procurato fastidio o paura alla bambina, non era mia intenzione, mi sono fermato solo per rinfrescarmi, ero troppo stanco e sudato, sulla strada principale non si cammina, c’è una fila infinita, vorrei approfittare della sua presenza per chiederle se può indicarmi la strada per Matera, devo essere lì prima di sera.

 

Il suo sguardo non è cambiato di una virgola, non so se ha capito quello che ho detto, non sembra abbia voglia di rispondermi, si limita a osservarmi e a stringere la bambina, non so che altro dire. Dimentico che la gente del sud è sempre riottosa a esprimersi in presenza di estranei. Scoraggiato, mi dirigo verso la macchina per rimettermi in marcia,  prima di partire vorrei solo prendere una bottiglia d’acqua per il resto del viaggio, la sete è tanta e non so quanto tempo impiegherò per raggiungere la città. Sto cercando qualcosa nel bagagliaio della macchina, quando mi sento interpellare.

  • Signò, la via pe Matera è questa, va sempre diretto e arrivi, ci vorrà meno di un’ora.

Lo stupore ferma i miei movimenti. La voce ha la caratteristica inflessione dialettale del meridione, ma è ferma e sembra non aver nessun timore, mi giro verso di lei e noto che i suoi occhi sono più aperti, meno diffidenti, brillano per l’emozione, per lei è quasi un evento straordinario, la giovane liberata dalla sue braccia si avvicina timorosa e sfiora la macchina con le mani, sembra affascinata, non deve aver visto molte macchine come la mia nella sua breve vita. Ringrazio sorridendo.

  • Grazie per l’informazione signora, correvo il rischio di perdermi fra questi sentieri di campagna, sulla statale è tutto fermo e non so che cosa sia successo.
  • È successo – mi risponde lei mostrando un leggero sorriso che le scopre dei denti bianchi e robusti, che ‘Nduccio, mio marito, dopo raccolto il grano ha dato fuoco al campo, per bruciare le stoppie, prima il vento era favorevole poi ha cambiato e ha portato il fumo sulla strada,  quelli si sono messi paura e si sono fermati perché non si vedeva niente. Voi se dovete andare a Matera, per questa strada ci mettete la metà del tempo, la strada nuova fa nu giro troppo lungo. Lungo la strada ci sta la casa mia, potete fermarvi, vi offrirò un bicchiere di vino, io devo venire co lu ciuccio, voi andate avanti, ci sta mio padre e mio marito, Nunzia la piccerella vorrebbe fare un giro sulla macchina vostra, può accompagnarvi e dirvi dove fermarvi, se non vi da fastidio.
  • Certo che no – rispondo – mi fa piacere e poi un bicchiere di vino non si rifiuta, se risparmio tempo, sarò felice di farmi accompagnare da lei.

Faccio salire la ragazzina. Avrà almeno tredici anni, un’adolescente di campagna attratta da una vettura strana nella sua vita. Il suo imbarazzo è palese, ma la curiosità e la sensazione di gioia nei suoi occhi è tale che dimentica le paure e si siede al mio fianco, con un brivido di piacere. Saluta con la mano la madre e parto, lentamente seguendo il sentiero. Dallo specchietto retrovisore vedo la donna sciogliere l’asino e salire in groppa, si mettono in cammino quasi nello stesso istante in cui io mi allontano dalla zona d’ombra e mi tuffo ancora una volta sotto il sole. Durante il tragitto, la ragazza è silenziosa sfiora con le dita tutto il cruscotto, la pelle dei sedili, non li tocca, si limita sfiorare con la punta delle dita, le sue mani non sono proprio pulite, ma lei capisce, dimostra una sensibilità inaspettata. Ora si è messa rannicchiata, con le gambe sollevate e le ginocchia, quasi all’altezza del mento, le gambe sono robuste, il vestitino a fiori, che a stento contiene l’esuberanza giovanile, si è alzato e si vedono le mutandine di cotone, non c’è malizia in lei, innocente come deve esserlo alla sua età, sono io, uomo di città che riesco a formulare pensieri inopportuni,  mi concentro sulla guida senza guardarla. Poco dopo, lei mi fa segno di fermare vicino a un casolare, appena fermata la macchina, dalla casa escono due uomini, un anziano e un giovane, attirati dal rumore del motore. La ragazza esce dalla vettura e corre verso i due. Comincia a parlare velocemente, non capisco molto di quello che dice, ma il senso è che racconta l’accaduto, gesticola e ammicca dalla mia parte più volte fino a, quando l’uomo anziano si avvicina e mi tende la mano.

  • Grazie signore di aver portato in giro mia figlia, è molto felice, mi ha raccontato del vostro problema, ma come immagino vi abbia già detto mia moglie, in meno di un’ora sarete a Matera. Ora, se volete onorare la mia casa, con la vostra presenza, vi offriremo uno spuntino. Mia moglie sta arrivando e penserà lei a preparare, io vado a prendere il vino in cantina, mio figlio andrà a prendere delle altre cose, voglio scusarmi per aver procurato disagio a tanti automobilisti, ma le stoppie si devono bruciare. La terra ha i suoi tempi e vanno rispettati. Mi spiace, ma il vento è girato all’improvviso e ha invaso la strada, non ho potuto farci niente.
  • Ecco, sta arrivando mia moglie Antonia, vi lascio con lei, scusate se mi allontano.

Se ne va tirandosi su i calzoni tenuti stretti in vita con una cintura sdrucita, porta dei grossi scarponi sporchi di terra, forse di una misura più grande del dovuto. La donna arriva e senza parlare m'indica una sedia sulla quale sedere, poi ci ripensa e ordina alla figlia di accompagnarmi alla pompa dell’acqua per farmi rinfrescare e lavare le mani. Seguo la ragazza nell’aia antistante alla casa, evitando alcune galline e oche che passeggiano libere, aiutato dalla fanciulla mi dedico a qualche pulizia veloce. Torniamo in casa e troviamo il pesante tavolo di legno coperto da una tovaglia pulita apparecchiata per sei persone.  

Dalla porta entra con un'anfora di terracotta il marito, che annuncia l’arrivo del vino, e subito dietro il figlio maggiore che porta con sé due cesti di frutta fresca appena colta.

Madre e figlia, intanto, portano in tavola vassoi pieni di salumi, pezzi di formaggio, una ciotola di olive condite con olio e peperoncino. La vista del cibo mi ricorda che non mangio dalla mattina presto, il mio solito caffè con cornetto riscaldato, mentre aspetto il padrone di casa che riempie i bicchieri, penso a tutte le false notizie, ai luoghi comuni che molti di noi giornalisti, prevenuti, diamo in pasto alla stampa. Il tanto vituperato sud con le sue contraddizioni, il perenne malessere, il capro espiatorio di tutti i mali che infestano la nostra nazione, ancora una volta, invece, sta dando dimostrazione di  grande civiltà. Il fatto è che, ormai, fa comodo a tutti  poter accollare ad altri i propri problemi, di gran lunga più importanti e seri. L’ospitalità che ricevo in questo momento da una sconosciuta famiglia lucana dimostra che il cuore non conosce confini, io per loro sono un perfetto estraneo eppure mi accolgono come uno di casa, senza chiedere nulla, non si pongono domande né ostentano diffidenza, si offrono in tutta la loro spontaneità. Deve essere stato il mio gesto nei confronti della ragazza, facendole toccare la macchina e portandola a fare un giro. Non lo so e poco m’importa, quello che conta è che sono in casa di persone gentili. Dalla porta aperta posso vedere a vista d’occhio un panorama di terre, in parte coltivate, in parte brulle, quasi deserte. La desertificazione della Basilicata è uno dei temi che dovrei affrontare nel mio servizio, ma al momento non ci penso, mi godo  il contatto con queste persone che con la loro schietta amicizia mi stanno ospitando. Mi stanno offrendo, la loro casa, il loro cibo, tutta la loro umanità.  Durante il pasto, complice il vino, crollano le difese, racconto di me e del perché mi trovo da quelle parti, loro accennano alla vita che conducono senza fare drammi, non si lamentano. Sanno bene che lamentarsi non serve a nulla, si limitano a condurre una vita semplice, sono coscienti che altrove si vive meglio di dove stanno loro, ma quella è la loro terra, ci sono nati, cresciuti e sperano di morire fra quelle pietre antiche. Nel chiacchiericcio sereno che si è instaurato, mi danno informazioni utili al mio lavoro. Li osservo e negli sguardi spuntano, fra una risata e l’altra, fra una ruga e un capello bianco, tracce di felicità.  Rimangono i calli alle mani e la pelle bruciata dal sole, ma è il prezzo da pagare, la ragazza la immagino, fra pochi anni, già sposata, la sua infanzia e la giovinezza racchiuse in una sola esperienza, quella legata al lavoro, alla sopravvivenza in questa terra del sud che ha splendidi tesori, che conserva gelosamente gli antichi valori che danno un significato alla vita.

 

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Piombino: stadio Magona

13 Aprile 2018 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #luoghi da conoscere, #sport

 

 

 

Per quanto ci sarai noi ci saremo, ricordando tempi perduti e folle in festa. Sono stati i nostri tempi il tuo splendore, siamo cresciuti al suon d’una leggenda, barbaglio trepido che riscalda i cuori, tra un rigore calciato in mezzo ai pali e una rincorsa sulla fascia laterale. 

Lo stadio più non sei che apriva cancelli verdeggianti a chi usciva in fretta da siviere, sei solo l’ombra di quando le tue gare cominciavano un quarto d’ora dopo perché arrivassero in tempo gli operai; sei solo la parvenza d’un passato, di altiforni e cadenti cokerie che non abbiamo mai dimenticato. 

Tribuna scomparsa, sedili arrugginiti, speranze di corse da bambini, per quella curva resina e ricordi, sole d’un tempo, occhiali verde scuro, un flebile rimpianto di sorriso. E la tua cadente impalcatura, tra gradoni stretti e bassi a tramontana, confonde l’eco di troppe grida andate, sogni che stemperano flebili sconfitte nel balenare piovoso del presente. 

Una sirena che adesso più non suona, non riprende il suo incedere possente tra quei palazzi color rosso mattone, siepi di pitosforo e cipressi. Il passato è solo tempo andato, non lo ritrovi nel gusto delle cose, il suo sapore è sempre un poco amaro, son solo sogni, son solo i tuoi rimpianti

Una palla gonfia quella rete, un urlo immenso dentro mille cuori, accade che d’un tratto lo ricordi quel vento caldo sollevarsi in cielo. Ma tanto lo sai che non ritorna, è un vento andato, è un vento ormai perduto.

 

Su concessione di Gordiano Lupi

Prima pubblicazione Valdicornia news

 

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Marcial Gala, "Verde limone"

7 Aprile 2018 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #luoghi da conoscere

 

 

 

 

 

Marcial Gala
Verde Limone

Nuova Editrice Berti, 2018

- Pag. 170 – Euro 17
www.nuovaeditriceberti.it

 

La Nuova Casa Editrice Berti, dopo Gli amanti del secondo piano, torna a occuparsi di Cuba con un testo interessante di uno scrittore come Marcial Gala, membro UNEAC e vincitore di premi in patria, noto per la Trilogia di Cienfuegos. Inedito in Italia, sino a oggi, esce sul territorio nazionale, tradotto (tutto sommato bene) da Pier Luigi “Pedro” Mori, con il suo testo più semplice: Verde Limone (Sentada en su Verde Limón, 2004). Niente di sconvolgente, badate bene, la letteratura cubana contemporanea pare voler affogare in un’orgia di sesso, droga e rum tutti i problemi derivanti dalla caduta delle ideologie, dalla fine del comunismo e dal periodo speciale. Marcial Gala si pone sulla falsariga di Pedro Juan Gutiérrez, solo che ambienta le sue storie a Cienfuegos, in una città di provincia, la Perla del Sur, come la chiamano i cubani. Protagonisti di Verde Limone sono Harris Sanzo, saxofonista geniale e ubriacone, la giovanissima Kirena e il pittore Ricardo. Tema di fondo una storia d’amore e morte, come spesso capita, un rapporto per noi quasi impossibile ma che a Cuba può accadere, tra un musicista di 55 anni e una diciottenne, che si consuma per le strade di una terra povera e disperata. Marcial Gala vive tra L’Avana e Buenos Aires, ma siccome a Cuba di tanto in tanto vuol tornare, si guarda bene dal dare giudizi politici, anche perché non è compito di un letterato; in ogni caso non compone un quadro tranquillizzante, in sintonia con quel che vorrebbe il regime, ma sottolinea cose che non sarebbe opportuno dire a voce alta, come l’abuso di droga e alcol per dimenticare i problemi quotidiani. La vita di Harris procede sempre uguale tra musica e sesso, avventure con turiste e fughe, tradimenti e droga, senza badare al solo amore della sua vita che poco a poco lascia morire, trascinando nella sua vita decadente tutte le ingenue speranze di una ragazzina. Verde Limone è un romanzo che non lascia speranze al lettore, non vuol essere una storia consolatoria, pervasa com’è da fantasmi e ricordi, da sogni e illusioni che cadono in fretta. Scritto con stile piano e diretto, senza tanti fronzoli letterari, di tanto in tanto affiora l’animo poetico di Marcial Gala che si abbandona a dialoghi evocativi con i fantasmi della sua mente. L’autore alterna la prima persona alla terza, coinvolge e affascina, cattura il lettore in vicende sensuali e in panorami degradati, lo obbliga a leggere in rapida successione le pagine che lo separano dalla parola fine. Attendiamo l’autore al varco delle prossime opere, nella speranza che questa nostra Italia di non lettori trovi il tempo per accorgersi che è uscito un nuovo narratore cubano. Da traduttore fallito - un tempo pieno di speranze - di Guillermo Cabrera Infante (La ninfa incostante per Sur - Minimum Fax) resto scettico, ma non è mai detta l’ultima parola …

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Radioblog: "Riglione" di Massimiliano Bacchiet

29 Marzo 2018 , Scritto da Chiara Pugliese Con tag #chiara pugliese, #radioblog, #interviste, #vignette e illustrazioni, #eva pratesi, #luoghi da conoscere, #audioletture, #storia

 

 

Quando Massimiliano Bacchiet al Pisa Book Festival 2017 mi ha parlato del suo libro, mi ha detto che ha voluto dedicare la sua prima pubblicazione “alla su Riglione” prima frazione e oggi quartiere di Pisa, raccontandocene curiosità, aneddoti, vicissitudini politiche e sociali.

In questa lettura ascolterete un singolare episodio che racconta del primo sciopero del quale si sono rese protagoniste due donne dai nomi tutt’altro che rivoluzionari Santina e Assunta.

Buon ascolto!

 

Riglione. Questa centrale e laboriosa borgata. Vita sociale e politica 1861-1948 di Massimiliano Bacchiet - BFS Edizioni.

 

Per contattarci: radioblog2017@gmail.com

Illustrazioni a cura di Eva Pratesi: www.geographicnovel.com

Musica: Sinfonia n.1 in Re maggiore “Titan” di Gustav Mahler da www.liberliber.it 

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